N. 276 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 febbraio 1992

                                N. 276
 Ordinanza emessa il 13 febbraio 1992  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  il tribunale di Napoli nel procedimento penale a
 carico di Cavagnuolo Raffaele ed altri
 Processo penale - Decreto di giudizio immediato - Richiesta di rito
    abbreviato - Prevista incompatibilita' per il  giudice  che  abbia
    emesso  tale  decreto,  a  seguito dell'interpretazione data dalla
    Corte costituzionale con  la  sentenza  n.  401/1991  -  Lamentato
    eccesso  di  delega  -  Violazione del principio di buon andamento
    dell'amministrazione   -   Esautoramento   del   gudice   naturale
    precostituito per legge.
 (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma).
 (Cost., artt. 25, 76, 77, 97 e 101; legge 16 febbraio 1987, n. 81,
    art. 2, direttive 40 e 67).
(GU n.21 del 20-5-1992 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  nel procedimento n. 9890/91 a
 carico da Cavagnuolo Raffaele + 5.
    Premesso che in data 11 novembre 1991 veniva emesso dal g.i.p.  di
 Napoli,  sezione tredicesima, nei confronti degli indagati decreto di
 giudizio  immediato,  come  da  richiesta  del  p.m.,  e   che   gia'
 precedentemente   ad   esso   venivano  depositate  istanze  di  rito
 abbreviato  con  consenso  del  p.m.,  questa  sezione  dovrebbe  ora
 trasmettere  il  procedimento  al  capo  dell'ufficio  per  la  nuova
 assegnazione del procedimento ad  altra  sezione  da  designarsi  per
 l'ammissione  e  la  trattazione  del  giudizio abbreviato, a seguito
 della posizione assunta dalla Corte costituzionale  con  sentenza  n.
 401/1991,   la  quale,  nel  dichiarare  infondata  la  questione  di
 illegittimita'  costituzionale  dell'art.  34,  secondo  comma,   del
 c.p.p., affermava che la norma in questione gia' prevede l'ipotesi di
 incompatibilita' rilevata dal giudice a quo.
    Osserva,  pero',  questo giudice: la norma contenuta nell'art. 34,
 secondo comma, del c.p.p., interpretata secondo  i  canoni  enunciati
 nella  citata sentenza della Corte costituzionale, appare contrastare
 con:
       A) gli artt. 76 e 77, primo comma, della Costituzione in quanto
 nella  direttiva contenuta nell'art. 2, n. 67, della legge n. 81/1987
 il legislatore delegante nella  fissazione  dei  principi  e  criteri
 direttivi   in   materia   di   incompatibilita'   ha  stabilito  che
 quest'ultima si possa profilare solo nei confronti  del  giudice  del
 dibattimento,  mentre  il  legislatore delegato nel tradurre in norma
 tali criteri ha fatto riferimento all'art.  34,  secondo  comma,  del
 c.p.p. al "giudizio" e non al "dibattimento".
    Sotto  tale  profilo e per la discrasia evidenziata si ritiene che
 lo stesso legislatore delegato sia  incorso  in  eccesso  di  delega,
 poiche'  nell'attuale  sistema normativo la nozione di "dibattimento"
 assume  una  pregnanza  di   significato   tale   da   differenziarsi
 concettualmente  e,  soprattutto,  giuridicamente  dalla  nozione  di
 "giudizio".
    Infatti punto centrale  della  riforma  del  codice  di  procedura
 penale  e'  che la raccolta delle prove debba avvenire in presenza di
 un giudice  ignaro  del  risulato  delle  indagini:  da  cio'  deriva
 soprattutto  la  distinzione  tra  il  fascicolo  del  p.m.  e quello
 dibattimentale, che e' tesa, appunto,  ad  evitare  il  contatto  del
 giudice   del   dibattimento   con   le   risultanze  delle  indagini
 preliminari, si'  da  assicurare  che  il  giudizio  venga  formulato
 esclusivamente sulla base dell'istruttoria dibattimentale.
    Identica  esigenza non sussiste, evidentemente, per il giudice che
 si trovi a deliberare in sede di rito abbreviato,  dove,  invece,  il
 giudizio  si  definisce  proprio  sulla base degli atti contenuti nel
 fascicolo del p.m., cioe' atti delle indagini preliminari.
    Se questa e' la ratio  della  direttiva  richiamata  (e  non  v'e'
 dubbio  che questa sia), il termine adottato dal legislatore delegato
 "giudizio" non permette  la  delimitazione  precisa,  circoscritta  e
 puntuale  voluta,  in  quanto  risulta "giudizio" anche quello che si
 svolge presupponendo la conoscenza degli atti  compiuti  dalle  parti
 nel   corso   della   fase   di   indagine:   verrebbe   cosi'   meno
 l'impermeabilita' tra il concetto  di  dibattimento  contenuto  nella
 legge  delega  e quello di giudizio adottato dal legislatore delegato
 e, quindi, anche la terminologia e la concettualizzazione del  nostro
 processo,  dove  tutto  cio' che e' dibattimento puo' essere definito
 giudizio,  mentre  tutto  cio'  che  e'  giudizio  non  puo'   essere
 identificato tout-court nel termine di dibattimento.
    Ne'  vale  ad  assimilare  sotto  la  medesima dizione il giudizio
 abbreviato e quello ordinario la considerazione che  in  entrambi  si
 pervenga  ad una deliberazione nel merito, poiche' la norma contenuta
 nell'art. 34, secondo comma, del c.p.p., interpretata nei sensi sopra
 indicati, non tiene affatto conto  che  entrambi  i  procedimenti  si
 concludano  con  una  decisione  nel  merito, ma esclusivamente della
 circostanza che nel dibattimento il giudice  pronuncia  sulla  scorta
 dell'istruttoria  dibattimentale  ignorando  gli  atti delle indagini
 preliminari.
    Non va taciuto, al fine di valutare la questione in esame, che  le
 norme inerenti la incompatibilita' si pongono nel sistema processuale
 penale  come  norme  eccezionali,  in  quanto  prevedono  deroghe  al
 principio  del  "giudice  naturale",  sicche'   l'uso   del   termine
 "giudizio",  usato  dal  legislatore  delegato,  in  luogo  di quello
 "dibattimento" previsto dal legislatore  delegante,  appare  vieppiu'
 illegittimo.
    Occorre adesso soffermarsi su di un altro aspetto del problema che
 emerge  dall'argomentazione  della  Corte.  Ques'ultima  ritiene  che
 l'incompatibilita' di cui si discute risulta  anche  logicamente  dal
 fatto  che  il giudice che dispone il giudizio immediato, avendo gia'
 effettuato un giudizio  sull'evidenza  probatoria  ex  art.  453  del
 c.p.p.,  vedrebbe  pregiudicata  la  sua  posizione di terzieta' e di
 imparzialita' dal "fatto che il giudizio abbreviato  sia  reso  sulla
 base  degli  stessi  atti  valutate  al  momento disporre il giudizio
 immediato".
    La preoccupazione della Corte,  se  pure  tesa  alla  salvaguardia
 della  garanzia costituzionale dell'imparzialita' del giudice, non ci
 sembra condivisibile per una serie di argomenti logici e testuali. In
 primo luogo, infatti, il pronunciarsi sull'evidenza della  prova  non
 significa  pre-giudicare  sulla  colpevolezza o meno, ma formulare un
 giudizio su base probabilistica circa gli elementi di prova raccolti,
 ossia sulla loro idoneita' a fondare  un  giudizio,  ovvero  la  loro
 sufficienza  sul  piano  qualitativo  e quantitativo ad integrare una
 piattaforma da cui il giudice del dibattimento, potra' attingere  nei
 limiti  ovviamente  previsti dal combinato disposto degli artt. 431 e
 457 del c.p.p., elementi  di  giudizio  che,  tramutatisi  in  prova,
 potranno portare alla formazione del verdetto.
    Infatti,  nella  relazione  al  progetto  preliminare  si parla di
 evidenza non come "dato oggettivo  presupposto  all'istaurazione  del
 giudizio", ma come "possibile risultato di un'acquisizione probatoria
 protrattasi  per  un  tempo  non  superiore a novanta giorni", con la
 conseguenza che le acquisizioni sulle quali si fonda  la  valutazione
 di  "evidenza"  non  esprimono  un  giudizio o meglio un pre-giudizio
 circa la fondatezza della tesi dell'accusa, ma  solo  circa  la  loro
 idoneita'  a  sostenere  tale tesi in giudizio. La stessa assenza del
 contraddittorio, voluta dal legislatore, nel  momento  dell'emissione
 del provvedimento e' indicativa della "superficialita'", o meglio del
 fine,  con cui il giudice deve esaminare l'indicazione delle fonti di
 prova a sostegno  della  richiesta  del  p.m.  In  tal  senso  sembra
 opportuno  richiamare  la  sentenza  della Cass. pen., sezione prima,
 pres. Carnevale n. 1937 del 22 maggio 1991 con la quale si e' esclusa
 l'automatica definibilita' allo stato degli atti del procedimento per
 il quale sia stato emesso decreto di giudizio immediato. Con cio'  si
 vuole  dire  che  la valutazione in ordine alla richiesta di giudizio
 immediato ha efficacia unicamente in ordine alla scelta  del  rito  e
 sostanzialmente  si risolve in un giudizio di inutilita' dell'udienza
 preliminare nel caso in cui le indagini siano state cosi'  rapide  da
 essere completate nel termine di novanta giorni;
      B)  con  l'art.  97  della Costituzione, il quale sancisce quale
 obiettivo  imprescindibile  delle  disposizioni  di  legge   inerenti
 l'organizzazione  degli uffici pubblici (cioe' gli uffici giudiziari)
 quello del buon andamento dell'amministrazione: principio che  sembra
 pienamente  accolto  dalla direttiva n. 40 della legge n. 81/1987, la
 quale ha previsto la concentrazione davanti ad un  unico  giudice  di
 tutti  gli  atti  relativi  al  medesimo  procedimento,  in  tal modo
 prediligendo la progressiva conoscenza degli atti dell'unico  giudice
 incaricato  del processo e, grazie ad essa, assicurare il piu' rapido
 svolgimento degli atti stessi.
    Conforme a tale intendimento appare anche il dettato normativo che
 stabilisce termini perentori molto  brevi  per  la  tramutazione  del
 giudizio  immediato  in  abbreviato,  che  mal  si  conciliano con la
 necessita' di procedere ad una nuova assegnazione e che diventano poi
 del  tutto  incompatibili  in  procedimenti a carico di piu' indagati
 solo  alcuni  dei  quali  abbiano  formulato  istanza   di   giudizio
 abbreviato:  in tali procedimenti, infatti, permane la competenza del
 giudice che ha pronunciato il decreto di giudizio immediato  (ad  es.
 per  i  provvedimenti  in  ordine  allo stato di detenzione fino alla
 materiale trasmissione degli atti alla sezione del tribunale e per la
 formazione del fascicolo per il dibattimento) per quanto concerne  le
 posizioni  che  saranno  definite  con  questo rito e contestualmente
 nasce  la  competenza  del  giudice  che  decidera'  in  ordine  alla
 ammissibilita'  del  rito abbreviato e tutto cio' che ne consegue per
 quelle posizioni per le quali v'e' istanza di rito  abbreviato.  Tale
 concomitanza  non  giova  certo  alla celerita' della trattazione del
 procedimento nelle due diverse sedi e, per giunta, rende piu' oneroso
 il lavoro di cancelleria che  resta  gravata  anche  del  compito  di
 approntare in brevissimi tempi fotocopie dell'intero fascicolo.
    Peraltro   proprio  il  tenore  letterale  del  dettato  normativo
 dell'art. 458 del c.p.p., lungi dall'evidenziare la necessita' di una
 differenziazione tra i giudici competenti per  i  due  diversi  riti,
 sembra  riferirsi,  invece,  all'identita' del giudice. Per cui si ha
 materia per ritenere che laddove  per  "giudizio"  debba  intendersi,
 nell'interpretare  l'art. 34, secondo comma, del c.p.p., anche quello
 abbreviato, si violerebbero anche
       C) gli artt. 25 e 101 della Costituzione in combinato disposto,
 in quanto si avrebbe l'effetto di  distogliere  il  giudice  naturale
 precostituito  per  legge  (cioe' quello designato per la valutazione
 della richiesta del giudizio immediato). In  altri  termini,  proprio
 perche' l'art. 458 del c.p.p. non offre argomento alcuno per ritenere
 che debba procedersi a nuova assegnazione del procedimento quando sia
 stato  emesso  decreto  di  giudizio  immediato,  ne'  formula  altre
 prescrizioni in caso di procedimento a carico di piu'  indagati  solo
 alcuni  dei  quali  abbiano  richiesto il giudizio abbreviato, mentre
 impone tempi brevissimi per la definizione di quest'ultimo  rito,  il
 giudice  precostituito  per  legge  per il giudizio abbreviato sembra
 essere proprio il medesimo che  ha  emesso  il  decreto  di  giudizio
 immediato.  Pertanto,  mentre  conforme a tale principio era stata la
 legge delega che limitava l'incompatibilita' tra il giudice che aveva
 emesso il decreto  di  giudizio  immediato  e  quello  componente  il
 collegio  del  dibattimento,  in  contraddizione con esso e, comunque
 contraddittoria rispetto  alla  norma  contenuta  nell'art.  458  del
 c.p.p., e', invece, l'art. 34, secondo comma, del c.p.p. nella misura
 in cui si discosta dalla legge delega per aver sostituito alla parola
 "dibattimento" quella di "giudizio".
    Un'ultima osservazione conviene fare per completare l'argomento in
 questione  sotto  il  profilo  sistematico:  non  appare, ritiene chi
 scrive, che le argomentazioni fin qui svolte  contrastino  con  altre
 pronunciate  della  Corte costituzionale ed inerenti, in particolare,
 l'affermata  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  34,   secondo
 comma, del c.p.p. nella parte in cui non prevede incompatibilita' tra
 il  g.i.p. che abbia pronunciato ordinanza ex art. 409, quinto comma,
 del  c.p.p.  e  quello   designato   per   il   giudizio   abbreviato
 eventualmente susseguente alla formulazione del capo d'imputazione da
 parte del p.m.
    A parte la considerazione che anche tale orientamento poggia su di
 una interpretazione della direttiva n. 67 che postula l'identita' tra
 il  "dibattimento"  ed il "giudizio" (e su tale orientamento ci siamo
 soffermati nella sede piu' propria), occorre  sottolineare  ora  che,
 mentre  il  mancato  accoglimento della richiesta di archiviazione ai
 sensi del quinto comma dell'art. 409 del c.p.p. costituisce, rispetto
 al giudizio abbreviato, il logico ed inevitabile presupposto  di  una
 sentenza  di  condanna  (di  talche' deve concludersi che entrambe le
 pronunce ineriscono esclusivamente ed immediatamente  al  merito  del
 processo), il decreto che dispone il giudizio immediato, come abbiano
 visto,  presuppone  valutazioni  che  hanno ad oggetto esclusivamente
 aspetti processuali ed, in quanto tale,  non  possono  costituire  in
 alcun   modo   anticipazione  del  giudizio  di  responsabilita'  ne'
 "pregiudicare  il  giudicante":  un  procedimento   definibile   come
 giudizio  immediato  potrebbe  non  esser definibile allo stato degli
 atti, viceversa e' possibile che sia definibile allo stato degli atti
 un procedimento per il quale l'evidenza della prova non sia  tale  da
 non    richiedere   l'udienza   preliminare   ovvero   non   vi   sia
 l'interrogatorio dell'indagato ovvero si sia ormai fuori del  termine
 di novanta giorni.
    A  ben  vedere,  l'affermata incompatibilita' tra il g.i.p. che ha
 pronunciato ordinanza ex art. 409, quinto comma, del c.p.p. e  quello
 delegato  per  l'eventuale successivo giudizio abbreviato tradisce il
 fine di evitare anticipazioni di giudizio piu' che il pregiudizio del
 secondo giudicante tenuto conto che questo,  come  il  primo,  decide
 esclusivamente sulla base degli atti delle indagini preliminari e non
 altro. Quale pregiudizio, allora, occorre stornare?
                               P. Q. M.
    Visti  gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge n. 1/1948 e
 23 della legge n. 87/1953;
    Rimetta alla Corte costituzionale la questione della  legittimita'
 dell'art.  34, secondo comma, del c.p.p., nella parte in cui sancisce
 l'incompatibilita' del giudice che abbia emesso decreto  di  giudizio
 immediato   a   celebrare  il  successivo  giudizio  abbreviato,  per
 contrasto con gli artt. 76 e 77, primo comma, della  Costituzione  in
 relazione  alla  direttiva  n.  67  di  cui all'art. 2 della legge n.
 81/1987, nonche' con gli artt. 97 e 25 e 101  della  Costituzione  in
 relazione  alla  direttiva  n.  40  di  cui all'art. 2 della legge n.
 81/1987;
    Ordina   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale  e  dispone  la  sospensione del procedimento penale a
 carico di Cavagnuolo Raffaele + 5;
    Manda alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza al
 Presidente del Consiglio dei  Ministri  e  per  la  comunicazione  ai
 Presidenti  delle  due  Camere del Parlamento (art. 23, ultimo comma,
 della legge n. 87/1953).
      Napoli, addi' 13 febbraio 1992
      Il giudice per le indagini preliminari: (firma illeggibile)
                             Il collaboratore di cancelleria: PACIFICO
 92C0591