N. 278 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 marzo 1992

                                N. 278
 Ordinanza  emessa  il  9  marzo  1992  dal  tribunale  di  Torino nel
 procedimento penale a carico di Zanghi Giuseppe ed altro
 Processo penale - Incidente probatorio assunto all'estero - Difensori
    dell'imputato regolarmente  avvertiti  e  non  comparsi  -  Omessa
    previsione  nello  Stato estero della possibilita' di nomina di un
    difensore  di  ufficio  -  Inutilizzabilita'  di  tale   prova   a
    dibattimento   -   Violazione  del  principio  di  obbligatorieta'
    dell'azione penale - Compressione dei poteri probatori dello Stato
    - Disparita' di trattamento a seconda che la prova sia assunta  in
    italia o all'estero.
 (C.P.P. 1988, art. 403).
 (Cost., artt. 3, 24 e 112).
(GU n.21 del 20-5-1992 )
                             IL TRIBUNALE
    Ha  emesso  la  seguente  ordinanza  di rimessione degli atti alla
 Corte costituzionale nella causa penale contro Zanghi Giuseppe,  nato
 a  Palermo,  il 25 marzo 1969 e Zanghi Vincenzo, nato a Palermo, il 9
 gennaio 1971, imputati del reato di cui agli artt. 110, 521, 523,  81
 cpv., e 56 del c.p. In Torino, il 20 giugno 1990.
    A  seguito  di  alcuni  fatti denunciati dalla cittadina straniera
 Elspeth Forrest, residente  in  Scozia,  il  p.m.  svolgeva  indagini
 preliminari  nei confronti di Giuseppe e Vincenzo Zanghi, accusati di
 aver compiuto, il 20 giugno 1990, atti di libidine violenti in  danno
 della  ragazza,  in  occasione  di un viaggio compiuto dalla stessa a
 Torino,  con  alcuni  connazionali,  per  assistere  ad  un  incontro
 internazionale di calcio.
    Su  richiesta  del  p.m.  il  giudice  delle  indagini preliminari
 ammetteva incidente probatorio, con ordinanza  9  gennaio  1991,  per
 raccogliere  la  testimonianza della parte offesa. Poiche' la Forrest
 faceva sapere di non aver intenzione di tornare in  Italia,  sia  per
 ragioni  di carattere economico, sia per lo shock riportato a seguito
 dei fatti oggetto  di  causa,  il  g.i.p.  avviava  la  procedura  di
 assistenza  giudiziaria  penale, disponendo che l'audizione avvenisse
 in quel di Edimburgo, nelle forme della  rogatoria  all'estero  (art.
 727 del c.p.p.).
    Sia  l'ordinanza  ammissiva  di  incidente  probatorio che la data
 fissata per l'esame testimoniale della Forrest  venivano  ritualmente
 notificate al difensore di fiducia degli indagati.
    Il  21 maggio 1991 il giudice delle indagini preliminari, dopo gli
 opportuni contatti con l'autorita' giudiziaria del luogo,  si  recava
 presso  il tribunale giudiziario di Edimburgo, ove, alla presenza del
 p.m. di  Torino  e  del  rappresentante  del  pubblico  ministero  di
 Edimburgo,  il  competente  sceriffo  N.E.D.  Thomson  raccoglieva la
 testimonianza della Forrest (f. 228).
    Nessuno si presentava per la difesa degli indagati.
    Con decreto 22 ottobre 1991 il g.i.p. ha disposto il giudizio  nei
 confronti  di  Giuseppe e Vincenzo Zanghi e, nel formare il fascicolo
 per  il  dibattimento,  vi  ha  inserito  gli   atti   dell'incidente
 probatorio svoltosi per mezzo della rogatoria all'estero.
    All'udienza dibattimentale la difesa ha richiesto la testimonianza
 della  parte  offesa,  ma il p.m. ha prodotto lettera 23 gennaio 1992
 della Forrest con la quale ella ribadisce di non essere in condizione
 di ritornare in Italia, richiamandosi  a  quanto  esposto  avanti  al
 tribunale di Edimburgo.
    La  difesa  si e' quindi opposta all'inserimento nel fascicolo del
 dibattimento degli atti  dell'incidente  probatorio,  trattandosi  di
 testimonianza resa senza la presenza del difensore.
    Il p.m. ha insistito per la validita' dell'allegazione, producendo
 una  missiva  dell'autorita'  giudiziaria di Edimburgo, trasmessa per
 vie consolari, nella quale si da' atto della  validita',  secondo  la
 procedura  e  la  giurisprudenza di quello Stato, della testimonianza
 della Forrest.
    Il collegio ritiene che, con riferimento alla situazione in esame,
 vi sia da dubitare della legittimita'  costituzionale  dell'art.  403
 del  c.p.p.,  in  relazione agli artt. 3, primo comma, 24 e 112 della
 Costituzione.
    Il  tribunale  si  trova  a  dover  decidere  su   una   questione
 riguardante  la  formazione del fascicolo per il dibattimento a norma
 dell'art. 491, secondo comma, del codice di rito: il contrasto tra le
 parti attiene  alla  possibilita'  o  meno  di  inserirvi,  e  quindi
 ritenere  utilizzabile  ai  fini  della  decisione  dibattimentale, i
 verbali dell'incidente  probatorio  disposto  per  l'audizione  della
 parte offesa Forrest Elspeth (art. 431, lett. d), del c.p.p.).
    Il fatto che la deposizione sia stata raccolta all'estero, in base
 alle  convenzioni di assistenza giudiziaria in materia penale, non ha
 particolare  rilevanza  ai  fini  del  giudizio  circa  la  validita'
 dell'incidente   probatorio   poiche',   nel   codice  attuale,  solo
 quest'ultima  procedura  abilita  alla  raccolta,  in via anticipata,
 della prova valida per il dibattimento.
    In passato la giurisprudenza ha piu' volte preso  posizione  circa
 l'efficacia  degli  atti  di  prova  assunti  all'estero, con qualche
 oscillazione  tra  il  principio  locus  regit  actum  e  quello  del
 necessario  rispetto dell'art. 31 delle disp. prel. al codice civile,
 facendosi talora rientrare nella nozione di "ordine  pubblico"  anche
 il soddisfacimento delle esigenze essenziali del diritto di difesa.
    Con  l'entrata in vigore del nuovo codice la questione - ad avviso
 del tribunale - non puo' essere risolta negli stessi termini,  almeno
 non nei casi, come quello della Forrest, in cui la prova testimoniale
 sia  stata  assunta a seguito dell'ammissione di incidente probatorio
 (che, per inciso, costituisce l'unica via per la  parte  che  intenda
 far valere il mezzo di prova nel corso del giudizio).
    L'art.  403  del  c.p.p.  dispone infatti che "nel dibattimento le
 prove assunte con l'incidente probatorio sono  utilizzabili  soltanto
 nei  confronti  degli imputati i cui difensori hanno partecipato alla
 loro assunzione".
    La norma e' diretta in primo  luogo  a  porre  precisi  limiti  in
 ordine   all'efficacia   probatoria   dell'atto   formato  nel  corso
 dell'incidente, circoscritta, nel caso di processo con piu' indagati,
 a quelli rappresentati dal rispettivo difensore. Ma e'  evidente  che
 il  principio  trova  applicazione anche nel caso di procedimento con
 unico imputato il cui difensore non sia presente all'assunzione della
 prova.
    Del  resto,  in  Italia,  e'  questa  una   situazione   che   ben
 difficilmente   puo'   verificarsi:  infatti,  nel  caso  di  mancata
 comparizione del difensore, l'art. 401, secondo comma, prevede che  i
 g.i.p.  designi  immediatamente  un  sostituto ai sensi dell'art. 97,
 quarto comma.
    La  regola  che   subordina   l'efficacia   probatoria   dell'atto
 all'effettiva  presenza del difensore e' di estremo rigore: tuttavia,
 come si vede, l'ordinamento consente il  ricorso  alla  sostituzione,
 per  il  caso  di  difensore  impedito  o, comunque, non comparso; si
 tratta di rimedio sufficiente a scongiurare un eventuale  pregiudizio
 alla raccolta della prova, essendo possibile attingere sollecitamente
 agli  albi  professionali  degli avvocati e ai turni per le difese di
 ufficio  che  sono  stati  opportunamente  predisposti  dagli  ordini
 forensi.
    Se   il  sistema  puo'  funzionare  nel  territorio  dello  Stato,
 tutt'altro  discorso  vale  nel  caso  sia  indispensabile  procedere
 all'esecuzione dell'incidente probatorio all'estero.
    Si  e'  visto che, nel caso della Forrest, la difesa, puntualmente
 avvertita, non ha ritenuto di presenziare  in  sede  di  rogatoria  a
 Edimburgo, senza addurre alcun legittimo impedimento.
    Il   problema   sorge   poiche',  come  il  p.m.  ha  congruamente
 documentato (v. lettera del Crown Office  di  Edimburgo  prodotta  in
 udienza)  nella procedura penale scozzese l'atto che piu' si avvicina
 all'incidente probatorio e' quello conosciuto come "esame preliminare
 di  testimonianza",  nel  corso  del  quale  il  pubblico  ministero,
 nell'interesse dei cittadini, raccoglie le deposizioni, eventualmente
 sotto giuramento, alla presenza del giudice ("sceriffo").
    Orbene,  la  legge vigente in quel Paese, confermata dalle supreme
 magistrature, prevede che, in detta procedura, "la  persona  accusata
 non  ha  diritto ad essere presente o ad essere rappresentata durante
 il dibattimento preliminare" ed  e'  il  pubblico  ministero  che  ha
 l'obbligo  di procurare "qualsiasi prova", compresa quella favorevole
 alla difesa (ed, infatti,  risulta  che,  il  21  maggio  1991,  alla
 Forrest  vennero poste numerose domande in prospettiva difensiva). La
 presenza del giudice, prosegue l'informativa, assicura che  la  prova
 sia   assunta   correttamente,   a   tutela   della  collettivita'  e
 dell'accusato.
    La disposizione dell'art. 403  del  c.p.p.,  nella  parte  in  cui
 subordina   l'utilizzabilita'   della  prova  assunta  nell'incidente
 probatorio  alla  presenza  effettiva  del  difensore  dell'imputato,
 anziche'  limitarsi  a  disporre  che lo stesso debba essere posto in
 condizione di presenziare attraverso i dovuti avvisi,  solleva  dubbi
 circa  la legittimita' costituzionale della disciplina che ne risulta
 nel caso in cui, dovendosi assumere la prova all'estero, la procedura
 cola'  vigente  non   preveda   la   partecipazione   del   difensore
 dell'accusato  (o,  comunque,  non contempli meccanismi tali da poter
 attivare prontamente la partecipazione di difensore d'ufficio).
    Se l'art. 403 del c.p.p. venisse applicato dal tribunale nella sua
 formulazione attuale non vi  e'  dubbio  che  l'incidente  probatorio
 svoltosi   nel   corso   delle   indagini   preliminari  non  sarebbe
 utilizzabile e, quindi, a maggior ragione,  dovrebbe  respingersi  la
 richiesta  del p.m. di inserimento dei relativi verbali nel fascicolo
 per il dibattimento (dovendo il  giudice,  nell'ammettere  le  prove,
 escludere, a norma dell'art. 190 del c.p.p., quelle inutilizzabili).
    Ma,  in  tal  modo, diversi principi costituzionali, ad avviso del
 tribunale, risulterebbero pregiudicati.
    In  primo   luogo   quello   dell'obbligatorieta'   dell'esercizio
 dell'azione  penale  (art.  112  della  Costituzione) che deve essere
 interpretato, attraverso il collegamento con l'art.  24  della  Carta
 costituzionale,  nel  senso che la parte pubblica, nell'attuazione di
 un'esigenza fondamentale dello  Stato  e  dei  cittadini,  dev'essere
 posta in condizione di poter accedere effettivamente e senza ostacoli
 insormontabili alla giurisdizione penale.
    La  norma  impugnata,  viceversa, con riferimento alla particolare
 situazione della prova raccolta all'estero nelle condizioni normative
 descritte, pone l'accusa nella sostanziale impossibilita' di  offrire
 la dimostrazione del proprio assunto.
    Tale  situazione  pare  contrastare  altresi'  con  l'art. 3 della
 Costituzione: a seconda che l'atto probatorio debba essere assunto in
 Italia o all'estero, infatti, la parte pubblica puo'  trovarsi  nella
 condizione   di   poter   raccogliere   o   meno   la   prova  valida
 dibattimentalmente, solo nel primo caso potendo valersi del  congegno
 normativo  di  sostituzione  immediata del difensore non comparso (in
 ipotesi per scelta), in base all'art. 97, quarto comma, del codice di
 rito.    Tuttocio'    al    di    fuori    di    ogni     ragionevole
 differenza/giustificazione  e  con  possibili  conseguenze  di  segno
 opposto in ordine  al  riconoscimento  della  penale  responsabilita'
 dell'imputato.
    La  rilevanza  della  questione  e', del resto, fuori discussione,
 dovendo il tribunale risolvere, anche sulla base  dell'art.  403  del
 c.p.p.,   la   controversia  circa  l'allegabilita'  dei  verbali  di
 incidente probatorio al fasciolo per  il  dibattimento  a  carico  di
 Giuseppe e Vincenzo Zanghi.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara  d'ufficio  rilevante  e  non manifestamente infondata la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 403 del c.p.p., in
 relazione agli artt. 3, primo comma, 24 e 112 della Costituzione, nei
 sensi di cui in motivazione;
    Sospende il giudizio in corso e ordina trasmettersi gli atti  alla
 Corte costituzionale previa notifica della presente ordinanza, a cura
 della  cancelleria,  al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e
 comunicazione  della  stessa  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
                  Il presidente: (firma illeggibile)

 92C0593