N. 311 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 aprile 1992
N. 311 Ordinanza emessa il 1 aprile 1992 dal tribunale di Genova, sezione lavoro, nei procedimenti civili riuniti promossi dall'I.N.P.S. contro Banchero Luigia ed altri Previdenza e assistenza sociale - Pensioni I.N.P.S. - Integrazione al minimo - Perdita, dal 1º ottobre 1983, del diritto all'integrazione al minimo per una delle pensioni nel caso di cumulo di due pensioni entrambe integrate al minimo (con conseguente riduzione di tale pensione) - Affermata sussistenza (secondo la giurisprudenza della Cassazione e con sentenza interpretativa di rigetto della Corte costituzionale) del diritto alla c.d. cristallizzazione del trattamento non piu' integrabile - Esclusione di tale diritto con successiva norma di interpretazione autentica - Irragionevolezza con incidenza sul diritto all'assicurazione di mezzi adeguati alle esigenze di vita - Assenza della condizione di necessita' ed urgenza che giustifichino l'adozione dello strumento del decreto-legge - Compressione dell'autonomia ed indipendenza della funzione giurisdizionale. (D.-L. 20 marzo 1992, n. 237, art. 4, primo comma). (Cost., artt. 38, 77, 101 e 104).(GU n.25 del 10-6-1992 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nelle cause previdenziali riunite promosse dall'I.N.P.S. in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Genova, via XX Settembre, 8/21, presso avv. M. Girotti che lo difende e rappresenta come da mandato in atti, appellante, contro Banchero Luigia, elettivamente domiciliata in Genova, gall. Mazzini, 7/10, presso l'avv. M. Caniglia che la rappresenta, appellata, e contro Canepa Cristina, Mondino Luciana e Motzo Maria, elettivamente domiciliate in Genova, gall. Mazzini, 7/10, presso l'avv. M. Caniglia che le rappresenta, appel- late; Premesso che nelle cause riunite, di contenuto identico a quello del presente giudizio, promosse in grado di appello dall'I.N.P.S. contro Selvatici Argia ed altri, questo stesso tribunale ha pronunciato in data 19 febbraio 1992 ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale della questione di legittimita' costituzionale relativa all'art. 4, primo comma, del d.-l. 21 gennaio 1992, n. 14, al momento vigente, per contrasto con gli artt. 77, 101, 104 e 38 della Costituzione, con la seguente motivazione: "Premesso in fatto: titolari di pensione diretta gia' integrata al minimo e di pensione SO di reversibilita' non integrata, all'esito sfavorevole delle domande amministrative chiedevano, in applicazione degli effetti della sentenza n. 314/1985 della Corte costituzionale (declaratoria d'incostituzionalita' degli artt. 2.2 della legge n. 1338/1962 e 23 della legge n. 153/1969) dichiararsi il loro diritto al trattamento d'integrazione al minimo sulla pensione SO e condannarsi l'I.N.P.S. al relativo pagamento con i ratei arretrati ed accessori in conformita' al disposto dell'art. 6, settimo comma, della legge n. 463/1983 (sulla c.d. cristallizzazione del trattamento d'integrazione sulla seconda pensione fino al suo graduale assorbimento nella perequazione della pensione-base). Si costituiva l'I.N.P.S. resistendo sull'unica considerazione che detta cristallizzazione riguardava la sola causa di cessazione dell'integrazione conseguente al superamento del requisito reddituale di cui all'art. 6, primo comma. Il pretore accoglieva le domande dei ricorrenti con sentenza appellata davanti a questo tribunale dall'I.N.P.S. con le stesse difese svolte in primo grado. Nelle more del giudizio e' peraltro intervenuto il d.-l. 21 gennaio 1992 che all'art. 4, primo comma (titolato Norme di interpretazione autentica e in materia di personale) ha cosi' disposto: 'l'art. 6, quinto, sesto e settimo comma, del d.-l. n. 463/1983, convertito con modificazioni dalla legge 12 settembre 1983, n. 463, si interpreta nel senso che, nel caso di concorso di due o piu' pensioni integrate al trattamento minimo e liquidate con decorrenza anteriore alla data di entrata in vigore del predetto decreto, l'importo del trattamento minimo vigente a tale data e' conservato su una sola delle pensioni come individuata con i criteri previsti dal terzo comma dello stesso articolo'. All'odierna udienza, all'esito della discussione della causa ritiene il tribunale di dover sollevare questione di legittimita' costituzionale di detto art. 4, primo comma, del d.-l. n. 14/1992. All'esame della non manifesta infondatezza della questione, vanno tuttavia premessi alcuni cenni sulle vicende della norma oggetto della 'interpretazione autentica' a significazione del consolidarsi di una giurisprudenza conforme dei giudici di merito, della Cassazione e della stessa Corte costituzionale, basata sulla chiara comprensione del testo del visto, settimo comma, dell'art. 6 della legge n. 563/1983 e della sottesa ratio legis. L'art. 6 in questione, e' stato emanato a seguito di una serie di pronunce d'incostituzionalita' (Corte costituzionale nn. 230/1974, 263/1976, 34/1981, 102/1982 e seguite dopo il 1983 da Corte costituzionale nn. 314/1985, 184, 1086 e 1144 del 1988, 81, 142, 179 e 250 del 1989) che hanno espunto, per incompatibilita' con il principio generale d'uguaglianza, tutti i divieti particolari d'integrazione al minimo delle pensioni, auspicando (cfr. Corte costituzionale n. 148/1988) un intervento legislativo di razionalizzazione che disciplinasse 'sul piano generale, ispirandosi ai principi contenuti negli artt. 3 e 38 della Costituzione la materia relativa al diritto all'integrazione al minimo': l'art. 6 del d.-l. n. 463/1983 ha quindi espresso una valutazione bilanciata del rapporto tra esigenze di vita dei pensionati (riguardanti non solo bisogni elementari e vitali, ma anche del tenore di vita e la posizione sociale raggiunta per effetto dell'attivita' lavorativa svolta: Corte costituzionale n. 173/1986) e la predisposizione dei mezzi idonei a soddisfarle; in questo senso, il settimo comma dell'art. 6 e' stato introdotto, come si legge nei Lavori parlamentari, 'al fine di evitare l'istantaneo ridimensionamento del reddito previdenziale in pregiudizio dell'assistito che perda il diritto all'integrazione al minimo". Su tale ultimo comma si e' quindi formata una solida opinione della Cassazione (cfr. ex pluribus Cass. n. 7315/90 e 841/91) secondo cui 'in ipotesi di cumulo di piu' pensioni, l'assicurato, ai sensi dell'art. 6 del d.-l. n. 463/1983, convertito in legge n. 638/1983 ha diritto ad un solo trattamento d'integrazione al minimo sulla pensione d'importo piu' alto .. ma la cessazione del diritto all'integrazione sull'altra pensione non implica la perdita del relativo trattamento economico essendo questo conservato, ai sensi del settimo comma, fino al riassorbimento del detto trattamento per effetto della rivalutazione automatica della pensione-base'. Tale lettura del chiaro disposto dell'art. 6, settimo comma, ha trovato da ultimo conforto, diventando cosi' 'diritto vivente' nella motivazione della recente pronuncia della Corte costituzionale (n. 418/1991), interpretativa di rigetto dell'eccezione d'incostituzionalita' della stessa norma da interpretarsi nel senso che 'la misura della integrazione .. resta ferma all'importo percepito alla data del 30 settembre 1983 ed e' destinata ad essere gradatamente sostituita per riassorbimento .. per effetto della perequazione automatica'. Cio' premesso, osserva il tribunale che l'art. 4, primo comma, del d.-l. n. 14/1992 riproduce esattamente la tesi difensiva da lungo tempo sostenuta dall'I.N.P.S. peraltro in netto contrasto con l'orientamento giurisprudenziale sopra illustrato; detto decreto d'urgenza ricalca inoltre un identico disegno di legge poco tempo prima bocciato dalle Camere e quindi non inserito nel contesto della legge finanziaria, a differenza di altre norme d'interpretazione autentica prontamente approvate in materia previdenziale. Dubita quindi il tribunale della legittimita' costituzionale del visto d.-l. per un profilo di contrasto con l'art. 77 cpv., della Costituzione, in relazione alla palese assenza nella fattispecie di una situazione di straordinaria necessita' ed urgenza a provvedere in una materia sulla quale il Parlamento aveva appena manifestato una volonta' di segno opposto, ex se evidenziante l'assenza di ogni necessita' ed urgenza sottesa al disegno governativo, come argomentabile a contrariis dalla pronta approvazione di altre norme d'interpretazione autentica d'iniziativa governativa. Ma l'esame della vicenda formativa ed interpretativa dell'art. 6, settimo comma, oggetto del criticato d.-l. n. 14/1992 consente di far intravedere un altro profilo d'illegittimita' costituzionale per contrasto con gli artt. 101 e 104 della Costituzione. E' stato autorevolmente ritenuto (cfr. Corte costituzionale n. 187/1981) che 'non faccia buon uso della sua potesta' il legislatore che si sostituisca al potere cui e' riservato il compito istituzionale di interpretare la legge, dichiarandone mediante altra legge l'autentico significato obbligatorio per tutti, e quindi vincolante anche per il giudice, quando non ricorrano quei casi in cui la legge anteriore riveli gravi ed insuperabili anfibologie o abbia dato luogo a contrastanti applicazioni, specie in sede giurisdizionale' giacche' in tal caso la legge avrebbe solo il nome di interpretazione autentica. Quando, infatti, il precetto della legge antecedente appaia chiaro, non dando luogo a contrasti giurisprudenziali o scientifici, la modificazione dell'interpretazione corrente da parte del legislatore successivo, mediante sostituzione ad essa di altra interpretazione, equivale a novazione legislativa e puo' quindi nascondere il fine recondito di attribuire al nuovo precetto efficacia retroattiva nei casi in cui la stessa non sia consentita; in ogni caso cio' costituisce straripamento dell'alveo fisiologico della funzione legislativa, con invasione di un campo costituzionalmente riservato al potere giudiziario. Ed allora non pare del tutto infondato nel caso di specie, un ulteriore dubbio di illegittimita' costituzionale per contrasto con gli artt. 101 cpv. - della Costituzione, che affermando che 'i giudici son soggetti solo alle leggi' percio' stesso ne esclude ogni forma di soggezione rispetto all'autore della legge, Parlamento o Governo, quando pretende di imporre - con contestuale vulnus all'indipendenza della magistratura tutelata dall'art. 104 della Costituzione, una interpretazione vincolante e difforme da quella consolidatasi come 'diritto vivente' nella giurisprudenza di merito della Cassazione, e della stessa Corte costituzionale, come nel visto caso della cristallizzazione di cui all'art. 6, settimo comma, della legge n. 638/1983. Osserva in ogni caso il tribunale che, anche prescindendo dalla problematica del carattere interpretativo od innovativo del d.-l. definito di 'interpretazione autentica', residuerebbe pur sempre un macroscopico profilo di contrasto con l'art. 38 della Costituzione, secondo cui i lavoratori hanno diritto che siano provveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidita' e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Invero, il taglio del trattamento pensionistico effettuato dal Governo con l'emanazione dell'art. 4 del d.-l. n. 14/1992 nell'ambito di manifeste misure protettive del bilancio degli enti previdenziali, va contro il precetto dell'art. 38 della Costituzione pienamente osservato dalla norma sulla cristallizzazione del trattamento economico vigente al momento della cessazione dell'integrazione al minimo sulla seconda ed ulteriore pensione in fruizione; tale disposizione, prevedendo il graduale assorbimento dell'ormai vietata doppia integrazione al minimo nel tetto della perequazione automatica della pensione-base, permette ai pensionati o pluripensionati ai limiti, comunque, del minimo vitale, di non subire brusche variazioni dell'essenziale reddito previdenziale, come del resto affermato dalla stessa Corte costituzionale nella vista recente pronuncia n. 418/1991. Quanto infine alla rilevanza della questione di legittimita', basta osservare che, essendo tutti gli appellati titolari di due o piu' pensioni in liquidazione anteriormente al d.-l. n. 463/1983 di cui una sola integrata al minimo, la norma 'd'interpretazione autentica' contenuta nel successivo d.-l. n. 14/1992 pare sicuramente applicabile a tutte le posizioni soggettive dedotte in causa. Va pertanto disposta la rimessione della proposta questione alla Corte costituzionale, dandosi corso agli adempimenti previsti dall'art. 23 della legge n. 87/1953"; Ritenuto che, non essendo stato convertito in legge il d.-l. 21 febbraio 1992, n. 14, nel termine costituzionalmente stabilito, il Governo ha nel frattempo emanato un nuovo decreto-legge, avente il n. 237 in data 20 marzo 1992 (in Gazzetta Ufficiale del 21 marzo 1992), nel quale e' stato inserito l'art. 4 che, al primo comma, ripete alla lettera il disposto dell'art. 4, primo comma, del precedente decreto n. 14/1992 decaduto, cosi' che detta disciplina risulta tuttora vigente, ed in conseguenza conservano pieno vigore tutte le osservazioni in punto legittimita' costituzionale avanzate da questo tribunale nella sopra riportata ordinanza; in conseguenza va nuovamente investita la Corte costituzionale affinche' si pronunci sulla legittimita' del nuovo decreto; Ritenuto inoltre che la riproposizione del contenuto del precedente decreto-legge non convertito, mediante la emanazione di un nuovo provvedimento, pone ulteriori problemi di legittimita' costituzionale, relativi sia alla forma seguita che alla potesta' governativa di riproporre la normativa in questione; Ritenuto che sotto il profilo sostanziale va osservato che la reiterazione di un decreto-legge non convertito per decorso del termine, anziche' per voto contrario di una delle Camere, non costituisce letterale violazione dell'art. 15 della legge 23 agosto 1988, n. 400, secondo comma, sub c), ma tuttavia sembra in contrasto con l'art. 77 della Costituzione in quanto si traduce in una ultrattivita', oltre il termine costituzionale dei sessanta giorni, della volonta' normativa del governo; tale termine, viceversa, e' stabilito allo scopo sostanziale di contenere in limiti molto ristretti, e per soli motivi di eccezionale necessita' ed urgenza (che non appaiono piu' tali con il trascorrere dei mesi nell'inerzia parlamentare) il potere straordinario di normazione con forza di legge riconosciuto all'esecutivo; diversa conclusione potrebbe raggiungersi, al di la' di un eccessivo rigorismo che vorrebbe in ogni caso non rieterabile un decreto-legge decaduto, se il contenuto del secondo provvedimento fosse diverso dal primo, ma in concreto la cosa non si e' verificata, in quanto la fattispecie normativa esaminata e' rimasta invariata (senza che possa avere rilevanza il possibile mutamento di altre parti, estranee alla materia, del decreto, perche' cio' non basta a conferire alla singola disposizione un carattere di novita' rispetto alla precedente); Ritenuto, sotto il profilo formale, che l'inserimento della disposizione in esame in un testo normativo contenente una vasta ed eterogenea materia, unificata da un titolo di assoluta genericita', come e' nel caso del d.-l. n. 237/1992 in esame, comporta violazione dell'art. 15, terzo comma, della legge 23 agosto 1988, n. 400, il quale stabilisce che i decreti-legge debbono avere un contenuto "specifico, omogeneo e corrispondente al titolo"; tale violazione, sia pure di una legge di pari grado nella gerarchia delle fonti, ma avente un carattere di inquadramento generale del potere di decretazione del Governo, puo' essere vista come un ulteriore vizio di legittimita' costituzionale per violazione dei limiti sostanziali di esercizio del potere, sempre con riferimento all'art. 77 della Costituzione oltre che al generalissimo principio dello Stato di diritto secondo cui il Governo nel suo operare non e' legibus solutus; Ritenuto che la questione di legittimita' relativa ai limiti del poter di decretazione d'urgenza da parte del Governo, con specifico riferimento alla possibilita' o meno di reiterazione delle norme, era gia' stato portato all'esame della Corte costituzionale da questo tribunale con ordinanza 1º ottobre 1987 in causa I.N.A.D.E.L.-Mule', ma non pote' essere affrontata dalla Corte perche' prima della sua pronuncia sopravvenne la conversione in legge del decreto (cfr. sentenza Corte costituzionale n. 1060/1988); Ritenuto che anche i rilevati vizi relativi alla reiterazione del decreto-legge appaiono rilevanti in causa, perche' dalla soluzione deriva l'applicabilita' o meno ai casi sottoposti al giudizio di questo tribunale della norma rinnovata;
P. Q. M. Visto l'art. 1 della legge n. 1/1948 e 23 della legge n. 87/1953; Dichiara rilevanti e non manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4, primo comma, del d.-l. 20 marzo 1992, n. 237, per contrasto con gli artt. 77, 101, 104 e 38 della Costituzione, e dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, sospendendo il giudizio in corso; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Genova, addi' 1º aprile 1992 Il presidente: SCIACCHITANO 92C0662