N. 313 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 marzo 1992
N. 313 Ordinanza emessa il 10 marzo 1992 dal pretore di Bologna, sezione lavoro, nel procedimento civile vertente tra Mandini Barbara e "Adanti Solazzi e C. S.p.a." Lavoro (rapporto di) - Licenziamento individuale - Annullamento giudiziale - Facolta' del lavoratore di optare anziche' per la reintegrazione nel posto di lavoro, per l'indennita' aggiuntiva al risarcimento dovutogli, pari a quindici mensilita' della sua retribuzione globale di fatto - Ingiustificato trattamento di favore del lavoratore licenziato rispetto al lavoratore dimissionario. (Legge 20 maggio 1970, n. 300, art. 18, quinto comma, aggiunto dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, art. 1). (Cost., art. 3).(GU n.25 del 10-6-1992 )
IL PRETORE Pronunziando fuori udienza nella causa proposta da Barbara Mandini contro "Adanti Solazzi e C. S.p.a.", iscritta al n. 3085 r.g.l. della pretura di Bologna; sciogliendo la riserva assunta nella scorsa udienza; O S S E R V A 1. - Con ricorso depositato il 9 settembre 1991 e notificato il 3 ottobre 1991 Barbara Mandini esponeva di essere stata assunta dalla "Adanti Solazzi e C. S.p.a.", con la qualifica di impiegata, il 3 giugno 1991. Soltanto il 22 luglio successivo ella aveva poi sottoscritto la "lettera di assunzione", nella quale era previsto un periodo di prova di due mesi a decorrere dal 3 giugno 1991. Con lettera raccomandata del 2 agosto 1991 le era stato poi intimato il licenziamento con decorrenza dallo stesso giorno e cioe', secondo la datrice di lavoro, "al termine del periodo di prova". La ricorrente argomentava quindi in ordine alla nullita' del patto di prova, sottoscritto dopo l'inizio del rapporto di lavoro, e quindi alla nullita' del licenziamento, privo di giusta causa o giustificato motivo, e cosi' quindi concludeva: "1) Accertare e dichiarare illegittimo il licenziamento intimato alla ricorrente il 2 agosto 1991; 2) ordinare alla ditta convenuta Adanti Solazzi e C. S.p.a. di reintegrare la ricorrente nel posto di lavoro; 3) condannare la societa' convenuta al risarcimento del danno dovuto per l'illegittimo licenziamento sulla base di una retribuzione mensile di L. 2.514.174 .., oltre ad interessi legali e rivalutazione monetaria ai sensi dell'art. 1 della legge n. 108/1990". 2. - Costituitasi in giudizio la societa' convenuta ammetteva che, per negligenza di una impiegata dell'amministrazione, vi era stato un ritardo nella sottoposizione alla ricorrente, per la firma di accettazione, della lettera di assunzione, ma faceva presente che il licenziamento era stato revocato dall'azienda con lettera raccomandata a.r. del 31 ottobre 1991, con la quale si comunicava all'attrice la sua riassunzione con decorrenza immediata. La convenuta sosteneva dunque che, essendo stata "spontaneamente accolta la richiesta di riassunzione della Mandini", era "cessata sul punto la materia del contendere". Quanto alla richiesta di risarcimento del danno la convenuta, richiamandosi a Cass. 24 maggio 1978, n. 2604 e Cass. 11 ottobre 1984, n. 5104, argomentava in ordine alla inammissibilita' della "prosecuzione della sola azione per il risarcimento del danno, stante il collegamento funzionale della condanna risarcitoria alla condanna di reintegra". La convenuta sosteneva infine che anche qualora non si fosse accolta la tesi della inammissibilita' dovevano comunque applicarsi le regole degli artt. 1218 e 1455 del c.c. e non quella di cui all'art. 18 dello statuto dei lavoratori. Le conclusioni di merito della convenuta erano pertanto le seguenti: "Voglia l'ill.mo sig. pretore dichiarare cessata la materia del contendere quanto alla richiesta della ricorrente di reintegrazione nel posto di lavoro. Quanto alla richiesta di risarcimento del danno, voglia in via principale respingerla poiche' assolutamente inammissibile. In via subordinata, ed in denegata ipotesi, voglia l'ill.mo sig. pretore riconoscere il solo danno effettivamente subito dalla ricorrente in quella misura che la stessa sara' in grado di dimostrare in corso di causa, dedotte in ogni caso le somme eventualmente percepite da altro datore di lavoro nel periodo dal 2 agosto 1991 alla data di riassunzione". 3. - All'udienza del 19 novembre 1991 la ricorrente, liberamente interrogata dal pretore, dichiarava di avere ricevuto il 2 novembre 1991 la raccomandata speditale dall'Azienda il 31 ottobre 1991, ma faceva presente di non avere ripreso il lavoro, avendo "deciso di attendere la sentenza". Udito anche il procuratore speciale della convenuta, che si riportava integralmente alla memoria di costituzione, il pretore fissava altra udienza per la discussione, concedendo alle parti termine intermedio per note. 4. - Entrambe le parti depositavano note; la parte ricorrente, in particolare, sosteneva nelle proprie che, essendo avvenuta la revoca del licenziamento successivamente alla notifica del ricorso introduttivo del giudizio (3 ottobre 1991), non poteva parlarsi di "spontaneita'" nella proposta di riassunzione; "in virtu' di tale assunto, dunque, appare evidente come non si possa considerare cessata la materia del contendere". Risultando "inoltre giustificata, se non anche ovvia, la volonta'" dell'attrice "di vedere accertata giudizialmente la sua posizione" la parte ricorrente si riportava "alle rassegnate conclusioni". 5. - L'Azienda convenuta faceva presente, nelle sue note depositate il 7 gennaio 1992, di avere ricevuto, il 27 novembre 1991, una comunicazione, datata 25 novembre 1991, sottoscritta dalla ricorrente con la quale si dichiarava di esercitare la "facolta'- diritto prevista dall'ultimo comma dell'art. 1 della legge n. 108/1990, richiedendo in sostituzione della sollecitata e quindi offerta reintegrazione nel posto di lavoro una indennita' pari a 15 mensilita' globale di fatto". La convenuta, che allegava alle sue note copia della suddetta scrittura, cosi' riformulava le sue conclusioni: "Voglia l'ill.mo sig. pretore, preso atto del comportamento complessivo della ricorrente, dichiarare cessata la materia del contendere quanto alla richiesta di reintegra per fatto alla ricorrente esclusivamente imputabile, e comunque dichiarare che la stessa ha rinunziato per comportamento concludente alla domanda stessa. Quanto alla richiesta della ricorrente di risarcimento del danno voglia in via principale respingerla in quanto inammissibile per i motivi tutti gia' esposti, ed in ogni caso inaccoglibile per il comportamento imputabile unicamente alla ricorrente che ha cosi' impedito volontariamente l'esclusione di ogni danno. In via subordinata, ed in denegata ipotesi, voglia l'ill.mo sig. pretore riconoscere il solo danno effettivamente subito dalla ricorrente in quella misura che la stessa sara' in grado di dimostrare in corso di causa, dedotte in ogni caso le somme eventualmente percepite da altro datore di lavoro nel periodo dal 2 agosto 1991 alla data di riassunzione. Con vittoria di spese, competenze ed onorari". 6. - All'udienza del 16 gennaio 1992, fissata per la discussione, il pretore invitava, preliminarmente, i procuratori delle parti a chiarice quali fossero le loro attuali posizioni in relazione agli sviluppi della vicenda intervenuti in corso di causa, autorizzandoli espressamente a modificare le loro originarie conclusioni al fine di meglio adeguarle ai medesimi; a tal proposito il procuratore della convenuta richiamava le conclusioni prese nelle note autorizzate mentre il procuratore attoreo confermava le originarie conclusioni. L'attrice, presente personalmente, confermava di avere sottoscritto e inviato la lettera 25 novembre 1991 allegata alle note della convenuta. Il pretore, ritenuto che ai fini della decisione appariva rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18, quinto comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, nella sua attuale formulazione, in riferimento all'art. 3 della Costituzione (questione che prospettava d'ufficio) si riservava di deliberare la sua non manifesta infondatezza. 7. - Va esaminato anzitutto il punto della rilevanza nel presente giudizio della norma di cui si tratta. A questo proposito va rilevato che, sulla base della formulazione testuale delle conclusioni attoree, l'attrice sembra continuare a invocare una pronunzia di reintegrazione. La singolarita' del presente caso sta pero' nel fatto che la ricorrente, con atto negoziale extraprocessuale, venuto tuttavia alla luce nel processo, ha in realta' gia' manifestato e comunicato la volonta' di esercitare la facolta' (prevista nel quinto comma dell'art. 18 dello statuto dei lavoratori nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108) di ottenere, in luogo della reintegrazione, un'indennita' pari a quindici mensilita' di retribuzione globale di fatto. La contraddizione e' forse ricollegabile all'opinione dottrinaria che vede nella pronunzia giudiziale di reintegrazione un elemento necessario al fine dell'esercizio della facolta' di scelta di cui all'art. 18, quinto comma, dello statuto dei lavoratori, ma rimane in ogni casi inspiegabile il motivo della mancata formulazione quanto meno di conclusioni subordinate, pur a fronte di un espresso invito del pretore riferito ai gravi motivi costituiti dal mutamento delle situazioni giuridiche intervenuto in corso di causa. Come che sia il pretore non condivide l'opinione dottrinaria cui sopra si e' accennato e ritiene che nulla osti a che il lavoratore richieda direttamente, se del caso nello stesso ricorso per impugnazione del licenziamento, accanto alla dichiarazione di illegittimita' del licenziamento, la condanna del datore di lavoro al pagamento della somma di cui si tratta invece che l'ordine di reintegrazione nel posto di lavoro. La norma citata configura infatti, a parere del pretore, una tipica obbligazione facoltativa (o "con facolta' alternativa"), con scelta rimessa al creditore ("Dall'obbligazione alternativa, nella quale due o piu' prestazioni vengono poste su una posizione di reciproca parita', rimanendo rimessa alla volonta' del debitore o del creditore la scelta di una di esse, va distinta l'obbligazione con facolta' alternativa, nella quale e' prevista un'unica prestazione principale, e solo in via subordinata e su richiesta di una della parti, una o piu' prestazioni diverse, con effetti ugualmente liberatori. Pertanto, per il caso di scelta affidata al creditore, mentre nell'obbligazione alternativa il debitore non ha alcuna possibilita' di adempiere fino a che il creditore non abbia indicato una delle prestazioni, nell'obbligazione con facolta' alternativa il debitore medesimo puo' e deve eseguire la prestazione principale, in difetto di diversa scelta del creditore"; Cass. sez. prima, 5 agosto 1977, n. 3534). Le obbligazioni con facolta' alternativa non sono disciplinate espressamente dal codice civile, ma e' pacifico in dottrina che ad esse si applichino alcuni principi dettati per le obbligazioni alter- native, e tra di essi quello relativo all'irrevocabilita' della scelta (quando essa sia stata comunicata alla controparte), di cui all'art. 1286 cpv., del c.c. Essendo nel presente caso gia' avvenuta tale scelta ed essendo ovviamente pacifica l'illegittimita' del licenziamento subito dall'attrice, la medesima avrebbe senza dubbio diritto a conseguire, fra l'altro, la somma di cui si tratta: in concreto, e in riferimento ai tre punti in cui si articolano le conclusioni attoree, verrebbe anzitutto dichiarata, in accoglimento della prima domanda, l'illegittimita' del licenziamento in questione; dovrebbe poi essere rigettata la domanda di reintegrazione, per essersi gia' validamente e irretrattabilmente verificato l'effetto di concentrazione di cui all'art. 1286 cpv., del c.c. in favore della prestazione facoltativa del pagamento delle quindici retribuzioni, oggetto - quest'ultimo - di un'obbligazione ormai semplice; dovrebbe infine essere accolta la domanda di risarcimento del danno " ex art. 1 della legge n. 108/1990": in riferimento a tale domanda dovrebbero essere riconosciuti all'attrice non solo i ratei di cui al quarto comma dell'art. 18 (per l'autonomia di tale tutela rispetto a quella reale v. Cass. s.u. 23 aprile 1987, n. 3957, in Giust. civ., I, 2913, i cui argomenti di ordine sostanziale appaiono insuperati; riguardo a quelli di ordine testuale essi, necessariamente, non sono piu' attuali; tuttavia le conclusioni sono identiche posto che "la sentenza di cui al primo comma" e' quella con cui "il giudice .. dichiara .."), ma anche, interpretando in bonam partem le originarie conclusioni attoree, i quindici ratei di retribuzione di cui all'art. 18, quinto comma, dello statuto dei lavoratori. Della rilevanza di tale norma nel presente giudizio non puo' quindi dubitarsi. 8. - Non e' facile capire il motivo per il quale il legislatore abbia voluto introdurre nell'ordinamento il bizzarro istituto di cui si tratta, che, tra l'altro, rafforzando ulteriormente la posizione dei lavoratori appartenenti alla categoria piu' garantita, incrementa la distanza tra i due gradi di tutela attualmente esistenti. E' inutile osservare, tanto la cosa e' ovvia, che, pur in assenza della norma in parola, le parti avrebbero pur sempre il potere di regolare con una transazione i loro interessi e non appare con chiarezza quale sia il superiore interesse che giustifichi la compressione della sfera giuridica del datore di lavoro, sottoposta alla facolta' alternativa ex lege del creditore della prestazione reintegratoria: non pare, comunque, che il lucro derivante dal recesso possa inquadrarsi nella tutela del "lavoro in tutte le sue forme ed applicazione" di cui all'art. 35 della Costituzione. Il pretore condivide, comunque, le osservazioni gia' svolte, sul punto della non manifesta infondatezza della legittimita' costituzionale dell'istituto in parola, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal pretore di Varese, nell'ordinanza 18 giugno 1991 di rimessione alla Corte costituzionale (in Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, n. 38 del 25 settembre 1991): l'indennizzo di cui si tratta, corrisposto a fronte di un'immotivata decisione di rinuncia alla prosecuzione del rapporto di lavoro e' molto maggiore di quello spettante ai lavoratori dimissionari per giusta causa, e cio' sembra realizzare un'intollerabile violazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. 9. - Apparendo rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18, quinto comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, introdotto dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, gli atti vanno trasmessi alla Corte costituzionale e il presente giudizio deve essere sospeso.
P. Q. M. Ritenuta non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 18, quinto comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, introdotto dall'art. 1 della legge 11 maggio 1990, n. 108, in riferimento all'art. 3 della Costituzione; Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della Cancelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti e al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camere; Sospende il giudizio in corso. Bologna, addi' 10 marzo 1992 Il pretore: TURCO 92C0664