N. 246 SENTENZA 20 maggio - 3 giugno 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza  e  assistenza  - Diritto a ratei pregressi di prestazioni
 previdenziali  -  Termini  di  decadenza  -  Inammissibilita'   della
 relativa  domanda  giudiziale - Decorrenza - Norma di interpretazione
 autentica  contraria   alla   giurisprudenza   della   Cassazione   -
 Imprescrittibilita' del diritto a pensione - Non fondatezza.
 
 (D.-L.  29  marzo  1991,  n.  103,  art.  6,  primo  e secondo comma,
 convertito in legge 1› giugno 1991, n. 166).
 
 (Cost., artt. 3 e 38).
(GU n.25 del 10-6-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco Paolo
    CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 6  del  decreto-
 legge  29  marzo  1991,  n.  103  (Disposizioni  urgenti  in  materia
 previdenziale),  convertito  nella  legge  1›  giugno  1991,  n.  166
 (Conversione  in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 marzo
 1991, n. 103, recante disposizioni urgenti in materia previdenziale),
 promossi  con  n.   5   ordinanze   di   diversi   Pretori   iscritte
 rispettivamente  ai  nn.  534,  710, 738 e 739 del registro ordinanze
 1991  ed  al  n.  32  del  registro  ordinanze  1992   e   pubblicate
 rispettivamente  nelle  Gazzette  Ufficiali  nn. 34 e 49, prima serie
 speciale, dell'anno 1991, nn. 4 e 32, prima serie speciale, dell'anno
 1992;
    Visti gli  atti  di  costituzione  di  Aprosio  Maddalena,  Bersan
 Giuseppina,  Pescarolo  Alvisina  e  dell'Inps  nonche'  gli  atti di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 31 marzo 1992 il Giudice  relatore
 Gabriele Pescatore;
    Uditi  gli  avvocati  Salvatore  Cabibbo  per  Aprosio Maddalena e
 Bersan Giuseppina; Franco Agostini per Pescarolo  Alvisina;  Fabrizio
 Ausenda  e  Giancarlo  Perone  per  l'Inps  e  l'Avvocato dello Stato
 Francesco Guicciardi per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Il pretore  di  Fermo,  con  ordinanza  4  ottobre  1991,  ha
 sollevato  questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento
 all'art. 3 Cost., dell'art. 6, del d.l. 29 marzo 1991, n. 103,  conv.
 nella  legge  1  giugno  1991,  n.  166  a norma del quale "i termini
 previsti dall'art. 47, commi secondo e terzo, del  d.P.R.  30  aprile
 1970,  n.  639,  sono  posti  a pena di decadenza per l'esercizio del
 diritto  alla  prestazione  previdenziale.  La  decadenza   determina
 l'estinzione   del  diritto  ai  ratei  pregressi  delle  prestazioni
 previdenziali e l'inammissibilita' della relativa domanda giudiziale.
 In caso di mancata proposizione di ricorso amministrativo, i  termini
 decorrono  dall'insorgenza  del  diritto  ai  singoli  ratei"  (primo
 comma). "Le disposizioni  di  cui  al  comma  primo  hanno  efficacia
 retroattiva,  ma  non si applicano ai processi che sono in corso alla
 data di entrata in vigore del presente decreto" (comma secondo).
    La questione e' stata sollevata nel corso di piu' giudizi riuniti,
 promossi da pensionati che gia'  usufruivano  di  una  pensione,  per
 ottenere  l'integrazione  al minimo (con i relativi arretrati) di una
 seconda pensione erogata dall'Inps, in conseguenza della declaratoria
 d'illegittimita' costituzionale di norme che la escludevano.
    Tale seconda pensione era stata liquidata da oltre dieci anni,  ed
 i   ricorrenti   non  avevano  proposto  l'azione  giudiziaria  prima
 dell'emanazione del decreto legge n. 103 del 1991, cosicche' ad  essi
 era applicabile il primo comma dell'art. 6 sopra menzionato.
    Il  giudice  a  quo  ha  dedotto che, prima dell'entrata in vigore
 della norma impugnata, non  era  prevista  ne'  la  prescrizione  del
 diritto  a  pensione,  ne'  alcuna  decadenza, mentre il diritto alla
 percezione dei singoli ratei scaduti e non pagati si prescriveva dopo
 dieci  anni.  La  norma  impugnata, con una disposizione di carattere
 innovativo, avrebbe estinto ope legis, retroattivamente, il diritto a
 percepire  l'integrazione   al   minimo   del   secondo   trattamento
 pensionistico.
   A parere del giudice a quo, cio' contrasterebbe con l'art. 3 Cost.,
 avendo  la  norma posto in essere una discriminazione irrazionale tra
 chi avesse, al momento dell'entrata in vigore del decreto-legge, gia'
 proposto la domanda giudiziaria e chi, invece,  non  l'avesse  ancora
 proposta.
    Dinanzi  a questa Corte e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
    Nell'atto   d'intervento  si  riconosce  che  la  norma  impugnata
 attribuisce,  con  effetto  retroattivo,  carattere  di  termine   di
 decadenza sostanziale al termine previsto dall'art. 47, comma secondo
 del  d.P.R.  30  aprile  1970, n. 639 (con cio' innovando rispetto al
 diritto vigente, tenuto conto che le sezioni  unite  dalla  Corte  di
 cassazione,  ponendo fine ai contrasti giurisprudenziali al riguardo,
 gli   avevano   attribuito   valore   di   termine    di    decadenza
 procedimentale).
    L'Avvocatura generale dello Stato, osserva, tuttavia, che la ratio
 dell'art.  6  del  decreto-legge  n. 103 del 1991 va ricercata "nella
 necessita' di porre un  limite  alla  possibilita'  di  reiterazione,
 praticamente  illimitata,  di  istanze vo'lte a promuovere successivi
 procedimenti  amministrativi,  tenendo  aperto  indefinitivamente  il
 termine  per  l'esercizio del diritto". In relazione a tale ratio, la
 differenziazione introdotta dal secondo  comma,  delle  posizioni  di
 coloro  i  quali avessero gia' esperito l'azione giudiziale vo'lta al
 riconoscimento del diritto alle  prestazioni  previdenziali,  sarebbe
 giustificata.
    Tale  trattamento  diversificato,  infatti, non travalicherebbe il
 limite del corretto  esercizio  della  discrezionalita'  legislativa,
 poiche'  l'art.  47,  comma  secondo, del d.P.R. n. 639 del 1970 gia'
 poneva  un  termine  decennale  per   la   proposizione   dell'azione
 giudiziaria   e,   nel   succedersi   delle   varie   interpretazioni
 giurisprudenziali,sulla natura di tale termine, la posizione  di  chi
 non  aveva  proposto  l'azione  non  puo'  ritenersi meritevole della
 stessa tutela di quella di chi l'aveva proposta. Ne', del resto, puo'
 ritenersi arbitraria in assoluto una disposizione che, tra le diverse
 interpretazioni giurisprudenziali sulla  natura  di  un  termine,  ne
 abbia affermata legislativamente la natura di termine decadenziale, a
 carattere sostanziale.
    2.  - Con due ordinanze, entrambe in data 22 ottobre 1991, il pre-
 tore  di  Verona  ha  sollevato  a  sua  volta  alcune  questioni  di
 legittimita'  costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost.,
 dell'art. 6, primo e secondo comma, del d.l. 29 marzo 1991,  n.  103,
 conv. nella l. 1 giugno 1991, n. 166.
    Nelle ordinanze si premette - in tema di rilevanza - che i giudizi
 a quibus erano stati promossi da ricorrenti titolari di due pensioni,
 i quali avevano chiesto in via amministrativa all'Inps l'integrazione
 al  minimo  della  seconda  pensione  dopo  il  decorso  del  termine
 decennale previsto dall'art. 47, secondo comma, del d.P.R. n. 639 del
 1970 ed avevano proposto domanda giudiziale dopo l'entrata in  vigore
 del decreto-legge n. 103 del 1991.
    I  giudizi a quibus, pertanto, dovevano essere definiti applicando
 il disposto dell'art. 6 del d.l. n. 103 del 1991 il quale - innovando
 rispetto all'interpretazione data dalle sezioni unite della Corte  di
 cassazione  all'art.  47, secondo comma, del d.P.R. n. 639 del 1970 -
 ha stabilito il carattere sostanziale della decadenza ivi prevista in
 materia di prestazioni  previdenziali  erogate  dall'Inps,  statuendo
 inoltre  (con  disposizione  completamente  nuova),  che  in  caso di
 mancata proposizione del ricorso  amministrativo,  il  termine  debba
 decorrere dall'insorgenza del diritto ai singoli ratei.
    La  disposizione contenuta nel primo comma dell'art. 6, secondo le
 ordinanze di rimessione, si porrebbe innanzitutto  in  contrasto  con
 l'art.  38 Cost., che vieta di sottoporre il diritto alle prestazioni
 previdenziali a termini di decadenza.
    Il giudice a quo ritiene, infatti, che la  disposizione  impugnata
 vada  interpretata  nel senso che sottopone a decadenza decennale non
 solo i singoli ratei delle prestazioni previdenziali,  ma  lo  stesso
 diritto alla prestazione: nel caso di specie il diritto a pensione.
    In  secondo  luogo,  il giudice a quo deduce che la retroattivita'
 del disposto dell'art. 6, primo comma,  sancito  dal  secondo  comma,
 contrasta  con  gli  artt.  3 e 38 Cost., in quanto avrebbe estinto -
 senza che gl'interessati potessero in alcun modo impedirlo - tanto il
 diritto ai ratei di pensione gia' maturati, quanto lo stesso  diritto
 alla pensione, mutando la natura e la decorrenza del termine previsto
 dall'art. 47, secondo comma, del d.P.R. n. 639 del 1970.
    Infine,  il giudice a quo deduce l'irragionevolezza - e sotto tale
 profilo il contrasto con l'art. 3 Cost. - del secondo comma dell'art.
 6 del d.l. n. 103 del 1991, nella parte  in  cui  limita  l'efficacia
 retroattiva  delle  disposizioni  del primo comma, escludendola per i
 processi  in  corso  alla  data  della  sua  entrata  in  vigore.  La
 proposizione  della  domanda  giudiziale prima di tale data, infatti,
 non  sarebbe  elemento  idoneo  a  giustificare  la   differenza   di
 trattamento previsto dalla norma.
    Dinanzi  a questa Corte e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei ministri, col patrocinio dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,
 chiedendo che le questioni sollevate siano dichiarate non fondate.
   Dopo  aver  ribadito quanto esposto nell'atto d'intervento relativo
 al  giudizio  promosso  con  l'ordinanza  del   pretore   di   Fermo,
 l'Avvocatura generale dello Stato sostiene che l'art. 6 impugnato non
 concerne  la  titolarita'  del  diritto  a pensione (indisponibile ed
 imprescrittibile), come si evince dalla  sua  ratio  e  dalla  stessa
 lettura  della  legge  in esame che menziona unicamente "l'estinzione
 del diritto ai ratei pregressi". Cosi'  interpretata,  la  norma  non
 lederebbe  ne'  l'art.  3,  ne' l'art. 38 Cost., ma sarebbe razionale
 espressione di una scelta del legislatore diretta ad evitare  che  il
 sistema previdenziale sia esposto sine die ad un onere imprevedibile.
    Quanto,   in   particolare,   alla   esclusione  dall'applicazione
 retroattiva del primo comma dell'art. 6 del d.l. n. 103  del  1991  a
 coloro  che  avevano  gia'  proposto  domanda  giudiziale  al momento
 dell'entrata in vigore del decreto-legge,  l'Avvocatura  dello  Stato
 osserva  che  essa e' disposta da una norma derogatoria e quindi, ove
 si ritenga che tale trattamento violi l'art. 3  Cost.,  e'  la  norma
 derogatoria che dovrebbe essere dichiarata illegittima e non la norma
 generale derogata.
    Davanti a questa Corte si sono costituite anche alcune delle parti
 ricorrenti  nei  giudizi a quibus, chiedendo che l'articolo impugnato
 sia dichiarato costituzionalmente illegittimo per le ragioni indicate
 nell'ordinanza di rimessione, sottolineando che, secondo il  costante
 insegnamento  della  giurisprudenza costituzionale, la retroattivita'
 delle leggi e' legittima solo ove  non  travalichi  il  limite  della
 ragionevolezza. Limite superato dall'art. 6 del d.l. n. 103 del 1991,
 il  quale,  mutando  la  natura  del  termine  previsto dall'art. 47,
 secondo comma, del  d.P.R.  n.  639  del  1970,  avrebbe  dato  luogo
 all'automatica  estinzione del diritto ai ratei di pensione pregressi
 e all'inammissibilita' delle domande giudiziarie proposte dopo la sua
 emanazione, dirette ad ottenere l'integrazione al minimo di  pensioni
 Inps.
    Si  e'  costituito  pure  l'Inps, chiedendo che le questioni siano
 dichiarate non fondate.
    In proposito ha premesso che l'art. 6 del decreto-legge n. 103 del
 1991 ha stabilito una decadenza sostanziale unicamente per i ratei di
 pensione pregressi, lasciando impregiudicato il diritto  a  pensione,
 come   si   evince   dal  tenore  complessivo  del  primo  comma.  Ne
 conseguirebbe che l'azione  giudiziaria,  in  via  di  principio,  e'
 sempre  proponibile,  anche dopo il decorso del termine di dieci anni
 dalle decisioni adottate  dall'Inps,  qualora  abbia  ad  oggetto  il
 diritto al trattamento futuro. Tuttavia, nei casi che formano oggetto
 dei  giudizi a quibus, l'estinzione del diritto ai ratei arretrati si
 tradurrebbe in pratica nell'estinzione del  diritto  all'integrazione
 al  minimo  della  pensione.  Cio'  in quanto alla data della domanda
 amministrativa e giudiziale era gia' vigente la normativa di cui alla
 legge 11 novembre 1983, n. 638, la quale  all'art.  6,  comma  terzo,
 prevede   che,  nel  caso  di  concorso  tra  due  o  piu'  pensioni,
 l'integrazione spetta una sola volta ed, in caso  di  titolarita'  di
 pensione  diretta  e  di  pensione di reversibilita', sulla prima. In
 base a tale disposizione, non competendo piu' dall'1 ottobre 1983  la
 doppia  integrazione  nel  caso  di  titolarita'  di  due trattamenti
 pensionistici, deriverebbe  ai  ricorrenti  la  perdita  del  diritto
 all'integrazione del trattamento pensionistico dal 30 settembre 1983.
 Quanto al diritto ai ratei arretrati, i ricorrenti lo avrebbero perso
 per  essersi  maturata la decadenza decennale, decorrente, non avendo
 essi proposto ricorso amministrativo - ai sensi dell'ultima parte del
 primo comma dell'art. 6 del d.l. n. 103 del  1991  -  dall'insorgenza
 del  diritto  ai singoli ratei, da intendersi coincidente con la data
 del provvedimento di concessione della pensione.
    Cio' premesso, la difesa dell'Inps ha  affermato  la  razionalita'
 della  disciplina  impugnata  e  la sua conformita' agli artt. 3 e 38
 Cost.
    3. - Il pretore  di  Sanremo,  con  ordinanza  14  giugno  1991  -
 anch'essa  emessa nel corso di piu' giudizi riuniti aventi ad oggetto
 il diritto dei ricorrenti, titolari di due pensioni, all'integrazione
 al minimo di una di esse, con i relativi arretrati - ha  sollevato  a
 sua  volta  questione  di legittimita' costituzionale, in riferimento
 all'art. 3 Cost., dell'art. 6, secondo comma, del  d.l.  n.  103  del
 1991,  nella  parte  in  cui  esclude  l'applicazione retroattiva del
 disposto del primo comma ai giudizi in corso  all'entrata  in  vigore
 del decreto-legge. Precisato in tema di rilevanza che i giudizi erano
 stati  proposti con ricorsi depositati prima di tale data, il giudice
 a  quo  ha  dedotto  che l'applicabilita' retroattiva del primo comma
 dell'art.  6  -  disposta   in   via   generale   -   rientra   nella
 discrezionalita'    legislativa.   Irrazionale,   peraltro,   sarebbe
 l'esclusione di  tale  retroattivita'  relativamente  ai  giudizi  in
 corso,   poiche'   nessuna   valida  ragione  sarebbe  rinvenibile  a
 fondamento della trasformazione retroattiva, operata dal primo comma,
 di un termine di decadenza procedimentale  in  termine  di  decadenza
 sostanziale  per  tutti  gl'interessati,  tranne  che  per coloro che
 abbiano gia' proposto domanda giudiziale.
    Dinanzi a questa Corte e' intervenuto il Presidente del  Consiglio
 dei  ministri,  col  patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato,
 chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.
    L'Avvocatura generale dello Stato ha dedotto in proposito  che  la
 differenziazione  introdotta  dall'art. 6, comma secondo, del d.l. n.
 103 del 1991, tra le posizioni di coloro che, al  momento  della  sua
 entrata  in vigore, avessero gia' esperito azione giudiziale volta al
 riconoscimento del  diritto  alle  prestazioni  previdenziali  appare
 giustificata, "trovando il suo fondamento nella differente situazione
 giuridica e di fatto nella quale essi vengono a trovarsi, rispetto ai
 quei soggetti che versino in condizione di inerzia nell'esercizio del
 diritto".
   Si  e'  costituita  una  delle parti ricorrenti nel giudizio a quo,
 chiedendo che la Corte costituzionale non  limiti  il  suo  esame  al
 profilo  d'illegittimita'  costituzionale  prospettato  dal giudice a
 quo, ma lo estenda all'intero comma secondo dell'art. 6 del  d.l.  n.
 103  del  1991,  dichiarando  illegittima la retroattivita' del primo
 comma, da esso sancita in via generale.
    Si e' costituito pure  l'Inps,  chiedendo  che  la  questione  sia
 dichiarata   non   fondata,   poiche'  la  norma  e'  frutto  di  una
 discrezionalita'   legislativa   non    irragionevole    e    percio'
 insindacabile,  in  quanto  vo'lta  a  tutelare posizioni processuali
 instaurate in relazione ad un indirizzo giurisprudenziale della Corte
 di cassazione, sul quale la nuova normativa dettata con l'art. 6  del
 d.l. n. 103 del 1991 e' venuta ad incidere.
    4. Con altra ordinanza 30 ottobre 1991 anche il Pretore di Voghera
 ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6 del
 d.l.  29 marzo 1991, n. 103, conv. nella l. 1 giugno 1991, n. 166, in
 riferimento agli artt. 3 e 38 Cost.
    Quanto alla non manifesta infondatezza della questione,  anche  il
 Pretore  di  Voghera  deduce  l'irragionevolezza della retroattivita'
 della normativa impugnata - che ha  trasformato  i  termini  previsti
 dall'art.  47  del  d.P.R.  n.  639 del 1970, in termini di decadenza
 sostanziale  -  ed  il  suo  contrasto  con  la  tutela  dei  diritti
 previdenziali disposta dall'art. 38 Cost.
    In  particolare  deduce  il  suo  contrasto con l'art. 3 Cost., in
 quanto avrebbe ingiustificatamente privilegiato (escludendoli da tale
 decadenza) coloro che avessero gia'  proposto  l'azione  giudiziaria,
 rispetto a coloro che si erano limitati ad attendere la decisione del
 ricorso amministrativo.
    Nel  giudizio  cosi'  promosso  e'  intervenuto  il Presidente del
 Consiglio dei ministri chiedendo che la questione sia dichiarata  non
 fondata   per   le   stesse   ragioni  esposte  nei  precedenti  atti
 d'intervento.
                        Considerato in diritto
    1. - I giudizi hanno tutti per oggetto la stessa norma e questioni
 analoghe  o connesse; essi vanno, pertanto, riuniti per essere decisi
 con unica sentenza.
    2. - E' impugnato l'art. 6 del d.l. 29 marzo 1991, n.  103,  conv.
 nella l. 1 giugno 1991, n. 166, secondo il quale: "I termini previsti
 dall'articolo  47,  commi secondo e terzo, del decreto del Presidente
 della Repubblica 30 aprile  1970,  n.  639,  sono  posti  a  pena  di
 decadenza per l'esercizio del diritto alla prestazione previdenziale.
 La  decadenza  determina  l'estinzione del diritto ai ratei pregressi
 delle prestazioni previdenziali e l'inammissibilita'  della  relativa
 domanda  giudiziale.  In  caso  di  mancata  proposizione  di ricorso
 amministrativo, i termini decorrono dall'insorgenza  del  diritto  ai
 singoli ratei" (comma primo).
    "Le   disposizioni   di   cui   al  comma  primo  hanno  efficacia
 retroattiva, ma non si applicano ai processi che sono in  corso  alla
 data di entrata in vigore del presente decreto" (comma secondo).
    In relazione a tale articolo, questa Corte e' chiamata a decidere:
       a)  se  esso  violi  l'art.  3 Cost., in quanto avrebbe estinto
 retroattivamente il diritto a percepire l'integrazione al minimo  del
 secondo   trattamento  pensionistico,  per  coloro  che  non  avevano
 proposto domanda giudiziale al momento  dell'entrata  in  vigore  del
 decreto,  realizzando  cosi'  una discriminazione irrazionale tra chi
 avesse, prima di tale momento, proposto la domanda giudiziale  e  chi
 non l'avesse proposta (ordinanza 4 ottobre 1991 del Pretore di Fermo,
 R.O. n. 710 del 1991);
       b)  se  violi gli artt. 3 e 38 Cost., in quanto sottoporrebbe a
 decadenza decennale non solo i  singoli  ratei  di  pensione,  ma  lo
 stesso  diritto a percepirli; avrebbe estinto retroattivamente, senza
 che gl'interessati  potessero  in  alcun  modo  impedirlo,  tanto  il
 diritto  ai ratei di pensione gia' maturati, quanto lo stesso diritto
 alla pensione, mutando la natura e la decorrenza del termine previsto
 dall'art. 47, secondo comma, del d.P.R.  n.  639  del  1970;  avrebbe
 irrazionalmente  limitato  l'efficacia retroattiva delle disposizioni
 del primo comma, escludendola per i processi in corso alla data della
 sua  entrata  in  vigore,  poiche'  la  proposizione  della   domanda
 giudiziale  non  sarebbe elemento idoneo a giustificare la differenza
 di trattamento cosi' prevista (ordinanza 22 ottobre 1991 del  Pretore
 di Verona, R.O. n. 738 e n. 739 del 1991);
       c)  se  violi  l'art.  3 Cost. in quanto esclude l'applicazione
 retroattiva del disposto del primo comma, ai giudizi  in  corso  alla
 data della sua entrata in vigore, essendo irrazionale l'esclusione di
 tale  retroattivita'  per  i  giudizi in corso, in deroga alla regola
 generale della retroattivita', ivi  stabilita  (ordinanza  14  giugno
 1991 del Pretore di Sanremo, R.O. n. 534 del 1991);
       d)  se  violi  gli  artt. 3 e 38 Cost., avendo leso la garanzia
 costituzionale relativa ai trattamenti previdenziali, nonche' per  la
 sua  intrinseca  irragionevolezza  e  per  avere  ingiustificatamente
 privilegiato (escludendoli dalla decadenza) coloro che avessero  gia'
 proposto  l'azione giudiziaria rispetto a coloro che erano restati in
 attesa della  decisione  del  ricorso  amministrativo  (ordinanza  30
 ottobre 1991 del Pretore di Voghera, R.O. n. 32 del 1992).
    3. - Le questioni sono infondate.
    Va premesso che il d.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, con gli artt. 44
 e  segg. aveva disciplinato i ricorsi e le controversie in materia di
 prestazioni dell'Inps, ivi comprese quelle in  materia  di  pensioni.
 Tale  disciplina  e' stata in parte innovata dalla successiva legge 9
 marzo 1989, n. 88 che, peraltro, non ha  modificato  la  disposizione
 dell'art.  47,  secondo  la  quale  l'azione  giudiziaria puo' essere
 proposta dopo l'esperimento  dei  ricorsi  amministrativi  "entro  il
 termine  di  dieci  anni  dalla data di comunicazione della decisione
 definitiva   del   ricorso   pronunziata   dai   competenti    organi
 dell'istituto  o  dalla data di scadenza del termine stabilito per la
 pronunzia della decisione medesima, se trattasi  di  controversie  in
 materia di trattamenti pensionistici".
    Questa   disposizione   ha  avuto  interpretazioni  divergenti  in
 giurisprudenza, anche  con  riferimento  al  tema  della  tutela  del
 diritto  a  pensione.  Sotto tale aspetto si e' definito un indirizzo
 costante che considera indisponibile il diritto e,  in  quanto  tale,
 imprescrittibile  e  non  assoggettabile,  quanto al suo esercizio, a
 termini di decadenza.
    Al riguardo, mentre si era affermato in modo univoco che l'art. 47
 si riferisse ai ratei di pensione non ancora liquidati, a  divergenti
 risultati avevano dato luogo le questioni se il termine decennale ivi
 previsto  fosse  un  termine  di  prescrizione  o  di  decadenza, e -
 nell'ambito di quest'ultimo orientamento - se detta decadenza dovesse
 ritenersi sostanziale o procedimentale.
    Dopo vari contrasti, la giurisprudenza della Corte di cassazione -
 che in precedenza sembrava essersi orientata nel senso che il termine
 fosse di prescrizione -  da  ultimo  aveva  affermato  che  esso  non
 producesse  effetti  sostanziali, delimitando unicamente "l'efficacia
 temporale  della   condizione   di   procedibilita'   della   domanda
 giudiziale",  prevista  dall'art.  47  del d.P.R. n. 639 del 1970. La
 scadenza del termine, pertanto, avrebbe comportato esclusivamente  il
 difetto di detta procedibilita', rendendosi necessaria la ripetizione
 della  procedura  amministrativa  per  esperire  nuovamente  l'azione
 giudiziaria.
    Ne derivava, ai  fini  dell'agibilita'  della  pretesa  diretta  a
 conseguire  l'integrazione  al  minimo,  che  questa  dovesse  essere
 proposta entro dieci anni dalla data  di  comunicazione  del  ricorso
 amministrativo   o   dalla  scadenza  del  termine  previsto  per  la
 formazione del silenzio-rigetto; se  detto  termine  fosse  trascorso
 senza  l'instaurazione del giudizio, la domanda in via amministrativa
 doveva essere  riproposta,  per  poi  adire  il  giudice.  Sul  piano
 sostanziale,  invece, dovevano ritenersi prescritti i ratei anteriori
 ai dieci anni precedenti la presentazione del ricorso o della domanda
 in sede amministrativa.
    Il  diritto   alla   pensione   di   vecchiaia   sorge,   infatti,
 automaticamente,  con  la maturazione dei requisiti richiesti, ma non
 coincide  con  la  decorrenza  delle  prestazioni.   Il   trattamento
 pensionistico  originariamente aveva inizio dal primo giorno del mese
 successivo  a  quello  del  compimento   dell'eta'   pensionabile   o
 dell'acquisizione,   se  posteriore,  dei  requisiti  assicurativi  e
 contributivi (art. 7 d.lgt. 21 aprile 1919, n. 603, art.  7  r.d.  30
 dicembre  1923,  n.  3184,  art. 79 del regolamento di cui al r.d. 28
 agosto 1924, n. 1422, art. 62 r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, art.  9
 r.d.l.  14  aprile  1939, n. 636). In seguito - dopo che con la legge
 delega 18 marzo 1968, n. 238 (art. 6, lett. d) e il d.P.R. 27  aprile
 1968, n. 488 (art. 18) la decorrenza della pensione era stata fissata
 al  primo giorno del mese successivo alla data di presentazione della
 domanda - con l'art.  6  della  l.  23  aprile  1981,  n.  155  detta
 decorrenza  (salva  la  facolta'  dell'assicurato  di  optare  per il
 riferimento alla data della domanda), e'  stata  riportata  al  primo
 giorno  del  mese  successivo  al  compimento dell'eta' pensionabile,
 fermo  l'eventuale  spostamento,  alla  data  di   acquisizione   dei
 requisiti  assicurativi  e  contributivi.  Con  la conseguenza che la
 prescrizione dei ratei decorre dal momento in cui sorge il diritto  a
 ciascun  rateo  ed  e' interrotta dalla presentazione della domanda o
 del ricorso.
    4. -  In  relazione  al  prevalere,  sul  precedente  orientamento
 giurisprudenziale,  di  quello  da ultimo ricordato circa la natura e
 gli effetti del termine previsto dall'art. 47 del d.P.R. n.  639  del
 1970,  il  legislatore e' intervenuto con l'impugnato art. 6 del d.l.
 n.  103  del  1991,  avente  carattere  di  norma   d'interpretazione
 autentica.
    Secondo   quanto  piu'  volte  affermato  da  questa  Corte  detto
 carattere ricorre ove la legge, senza modificare il  tenore  testuale
 della  norma  interpretata,  ne  precisi  il  significato precettivo,
 scegliendo una fra le interpretazioni  possibili,  di  guisa  che  il
 contenuto  sia  espresso  dalla coesistenza delle due norme, le quali
 permangono entrambe in  vigore,  incidendo  la  legge  interpretativa
 sulla  norma  interpretata  senza  abrogarla  (cfr.,  da  ultimo,  le
 sentenze nn. 380 e 155 del 1990; n. 6 del 1988;  nonche'  l'ordinanza
 n. 205 del 1991).
    Tali elementi ricorrono puntualmente nell'art. 6 impugnato, la cui
 ratio sta nella voluntas di procedere ad un'interpretazione dell'art.
 47  del  d.P.R.  n.  639 del 1970 diversa da quella cui era pervenuta
 piu' recentemente la giurisprudenza, esplicandone  in  tal  senso  il
 contenuto.  A  questo fine, il legislatore ha statuito (art. 6, primo
 comma) che il termine previsto dall'art. 47 del  d.P.R.  n.  639  del
 1970  -  cosi'  come  quello  quinquennale  indicato  dal terzo comma
 dell'art. 47, estraneo all'attuale thema decidendum - deve intendersi
 posto a pena di decadenza, nel senso che il  suo  decorso  "determina
 l'estinzione   del  diritto  ai  ratei  pregressi  delle  prestazioni
 previdenziali". Ne consegue che il termine ha  valore  sostanziale  e
 non  procedimentale,  come  invece  aveva affermato la giurisprudenza
 delle Sezioni unite della Cassazione.
    Va precisato che in questa visione interpretativa l'art. 6,  primo
 comma,  del d.l. n. 103 del 1991 - cosi' come l'art. 47 del d.P.R. n.
 639 del  1970  al  quale  si  riferisce  -  non  puo'  riguardare  la
 disciplina  del  diritto  a  pensione,  ma solo quella del diritto ai
 ratei di essa.
    Il  diritto  a  pensione,  infatti,  come  si  e'  accennato,   e'
 imprescrittibile   (ne'   sottoponibile   a  decadenza)  secondo  una
 giurisprudenza  non  controversa,  in  conformita'  di  un  principio
 costituzionalmente garantito che non puo' comportare deroghe legisla-
 tive.  L'ossequio a tale principio si rinviene puntualmente nell'art.
 6,  primo  comma,  del  d.l.  n.  103  del  1991,   avendo   esso   -
 nell'interpretare autenticamente l'art. 47 del d.P.R. n. 639 del 1970
 -  espressamente  stabilito  che  la decadenza ivi prevista determina
 l'estinzione del diritto "ai ratei pregressi".
    5.    -    Le    considerazioni    che    precedono,   in   ordine
 all'interpretazione dell'art. 6, primo comma, del  d.l.  n.  103  del
 1991, implicano la non fondatezza di tutte le questioni, proposte dai
 giudici remittenti sulla base dell'erroneo convincimento che la norma
 preveda  l'estinzione  -  a  seguito  della  decorrenza  del  termine
 decennale - non soltanto dei singoli ratei, ma dello stesso diritto a
 pensione.
    Debbono  parimenti  dichiararsi  non  fondate  le  questioni   che
 coinvolgono la retroattivita' dell'art. 6, primo comma cit., definita
 di  per  se'  irrazionale e contrastante con l'esigenza di tutela dei
 diritti previdenziali stabilita dall'art. 38 Cost.
    La retroattivita' e', infatti, elemento connaturale alle leggi in-
 terpretative  (sentenza  n.  123  del  1988)  e  la   conformita'   a
 Costituzione di tali leggi si riflette anche su questo elemento (cfr.
 sent. n. 118 del 1957).
    6.   -   Nel   quadro   della   determinazione  dei  limiti  della
 retroattivita' si inseriscono le questioni sollevate circa il secondo
 comma  dell'art.  6:  questa  norma  ha  precisato  gli  effetti   in
 praeteritum  dell'interpretazione  autentica  data  dal  primo comma,
 escludendola  con   riguardo   alle   domande   giudiziali   per   il
 conseguimento  dei  ratei,  gia'  proposte  alla data dell'entrata in
 vigore della norma stessa.
    I giudici  remittenti  hanno  dedotto  il  contrasto  di  siffatta
 diversificazione  con  gli  artt.  3  e  38  Cost., in quanto sarebbe
 irrazionale la  disciplina  del  trattamento,  fondata  sull'elemento
 della proposizione della domanda.
    Al riguardo alcune ordinanze chiedono l'estensione del trattamento
 piu'  favorevole  anche  a  chi non aveva ancora esperito il giudizio
 (cosi' le ordinanze del Pretore di Verona e del Pretore di  Voghera),
 mentre  un'ordinanza  (del  Pretore  di  Sanremo) chiede l'estensione
 decadenziale anche alle domande giudiziali gia' proposte.
    La questione deve essere dichiarata non fondata, in  relazione  ad
 entrambi i profili su riferiti.
    Il  carattere retroattivo, del quale si e' detto, e' da connettere
 alla circostanza che la  legge  interpretata  costituisce  il  nucleo
 centrale  della  fattispecie  che  essa realizza insieme con la legge
 interpretativa, ponendosi come elemento costitutivo della  struttura,
 cui  si  collegano  gli  effetti  del  processo  interpretativo,  con
 decorrenza, quindi, dal momento  del  suo  venire  in  essere.  Nella
 disciplina  di  tale  retroattivita'  il  legislatore  - salvo che si
 tratti di norme penali incriminatrici o introduttive  di  nuove  pene
 ovvero incrementive delle pene stesse - ha un'ampia discrezionalita',
 purche'  non  violi  il  principio di ragionevolezza o altri principi
 costituzionalmente garantiti (cfr. da ultimo le sentenze n.  155  del
 1990 e n. 822 del 1988). Appartiene quindi al potere del legislatore,
 sia emanare norme retroattive, sia limitare tale retroattivita' anche
 rispetto  a  norme  che, per essere interpretative, hanno connaturale
 efficacia retroattiva.
    A questa stregua va valutato il secondo comma dell'art. 6 del d.l.
 n. 103 del 1991, con riferimento alla ragionevolezza del limite  alla
 retroattivita'  della  interpretazione dell'art. 47 del d.P.R. n. 639
 del 1970. Tale retroattivita' non appare irragionevole,  trovando  la
 sua  ratio  nell'esigenza  di  garantire  le  posizioni di coloro che
 avevano proposto domanda in giudizio, fondandola sull'interpretazione
 data alla norma dalle Sezioni unite della Cassazione.  Tale  elemento
 concretatosi nell'atto formale di promozione del giudizio, poteva ben
 essere  apprezzato  dal legislatore come base del diverso trattamento
 riservato dalla norma alla pretesa per  il  conseguimento  dei  ratei
 pregressi delle prestazioni previdenziali.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Riuniti   i   giudizi,   dichiara   non  fondate  le  questioni  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 6, commi primo e  secondo,  del
 decreto-legge  29 marzo 1991, n. 103 (Disposizioni urgenti in materia
 previdenziale),  convertito  nella  legge  1  giugno  1991,  n.   166
 (Conversione  in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 marzo
 1991, n. 103, recante disposizioni urgenti in materia previdenziale),
 sollevate con le ordinanze indicate in epigrafe, in riferimento  agli
 artt. 3 e 38 della Costituzione.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, 20 maggio 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                        Il redattore: PESCATORE
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 3 giugno 1992.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 92C0673