N. 249 SENTENZA 20 maggio - 3 giugno 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Impiego pubblico - Dipendenti dello Stato - Trattamento di missione -
 Divieto   del   pagamento   dopo  i  primi  240  giorni  di  missione
 continuativa nella medesima localita' - Temporaneita' del trattamento
 - Ragionevolezza  -  Possibilita'  del  dipendente  di  opporsi  alle
 determinazioni illegittime dell'amministrazione - Non fondatezza.
 
 (Legge 26 luglio 1978, n. 417, art. 1, terzo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 36).
(GU n.25 del 10-6-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato  GRANATA,  prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma terzo,
 della legge 26 luglio  1978,  n.  417  (Adeguamento  del  trattamento
 economico  di  missione  e  di  trasferimento dei dipendenti statali)
 promosso con ordinanza emessa il 18  aprile  e  21  giugno  1991  dal
 Tribunale  amministrativo  regionale  per  la Basilicata, sul ricorso
 proposto da Esposito Salvatore contro il Presidente del Consiglio dei
 ministri ed altri, iscritta al n. 30 del registro  ordinanze  1992  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica n. 7, prima
 serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  6 maggio 1992 il giudice
 relatore Francesco Guizzi;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Esposito Salvatore, gia' dipendente distaccato del Comune  di
 Angri   e,   successivamente,  inquadrato  nel  ruolo  del  personale
 direttivo del Consiglio  di  Stato  e  dei  Tribunali  amministrativi
 regionali   alle   dipendenze  della  Presidenza  del  Consiglio  dei
 ministri, in servizio  a  Salerno,  presso  la  sede  distaccata  del
 Tribunale  amministrativo  regionale  della  Campania, il 1› dicembre
 1982 veniva chiamato ad espletare le stesse funzioni presso  la  sede
 napoletana  di  quel  tribunale.  Il  ricorrente  aveva  percepito il
 trattamento di missione sino al 30 aprile 1984, con il relativo onere
 a carico dell'amministrazione di provenienza (il  comune  di  Angri);
 ma,  una  volta  inquadrato  alle  dipendenze  della  Presidenza  del
 Consiglio dei ministri, con decreto del  2  maggio  1984,  non  aveva
 percepito   alcun   ulteriore,   similare,   trattamento   economico.
 Proponeva, pertanto, ricorso contro la Presidenza del  Consiglio  dei
 ministri,  il  Consiglio  di  Stato  e  il  Tribunale  amministrativo
 regionale della Campania nonche' del Consiglio  di  Presidenza  della
 Giustizia Amministrativa per la declaratoria del proprio diritto alla
 corresponsione  dell'indennita'  di  missione per tutto il periodo di
 lavoro   nella   diversa   sede    e    la    conseguente    condanna
 dell'amministrazione al pagamento dell'indennita', oltre svalutazione
 monetaria e interessi legali.
    Investito  della  questione  il Tribunale amministrativo regionale
 della Basilicata, con sentenza non  definitiva  (n.  347  del  1991),
 accoglieva   parzialmente   la  domanda  accertando  il  diritto  del
 ricorrente alla corresponsione del trattamento di  missione  per  240
 giorni  a  decorrere dal 2 maggio 1984 e condannava l'amministrazione
 resistente al pagamento del dovuto.
    Il  Tribunale,  inoltre,  sollevava  d'ufficio  la  questione   di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 1, terzo comma, della legge 26
 luglio 1978,  n.  417,  (Adeguamento  del  trattamento  economico  di
 missione e di trasferimento dei dipendenti statali) per contrasto con
 gli  artt.  36 e 3 della Costituzione, e sospendeva la restante parte
 del giudizio.
    2. - Osserva il tribunale che  la  norma  censurata,  vietando  il
 pagamento  dell'indennita'  "dopo  i  primi  240  giorni  di missione
 continuativa nella medesima localita'" si pone  in  contrasto  con  i
 detti     parametri     costituzionali,     perche'     consentirebbe
 all'amministrazione,legittimamente,  di  far  prestare  servizio   ai
 propri  dipendenti,  in  sedi diverse da quelle abituali, anche oltre
 quel termine temporale.
    Essendo il trattamento di missione diretto  a  tenere  indenne  il
 dipendente dalle maggiori spese che deve sopportare a causa della non
 volontaria  prestazione  del servizio in luogo diverso dalla abituale
 sede  di  servizio,  la  limitazione  temporale  posta  dalla   norma
 impugnata  lederebbe  il  principio della giusta retribuzione sancito
 dall'art. 36 della Costituzione, poiche' il maggior  onere  economico
 verrebbe  a  incidere  direttamente  sulla sua retribuzione, rendendo
 meno  remunerato  il  lavoro  svolto  rispetto   all'analogo   lavoro
 espletato  dagli  altri  dipendenti.  Sotto  tale  ultimo  aspetto si
 coglierebbe, del pari, la violazione del principio di uguaglianza.
    La rilevanza della questione consisterebbe nella  possibilita'  di
 riconoscere  il  diritto  all'indennita'  di  missione, oltre il 240›
 giorno, solo accogliendo la questione di legittimita'  costituzionale
 della norma censurata.
    3.  - Si e' costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, a
 mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, con atto d'intervento con
 il quale si chiede la  declaratoria  d'infondatezza  della  questione
 sollevata.
    Ha  osservato  l'Avvocatura  che il tribunale remittente ha omesso
 del tutto di considerare la natura, la ratio e i limiti dell'istituto
 della  missione.  Questa,  infatti,  si  caratterizzerebbe  solo  per
 soddisfare  un'esigenza  di carattere transitorio, spettando, in caso
 contrario,  una  somma  una  tantum  a  titolo   di   indennita'   di
 trasferimento  e  di prima sistemazione. Per questa ragione il limite
 massimo di permanenza nella medesima localita', al fine del godimento
 dell'indennita'  di  missione,  sarebbe  di  soli  240  giorni,   non
 prorogabili.
    Coerentemente  con  questa impostazione il Consiglio di Stato, con
 la pronuncia in data 9 dicembre 1989, n. 789,  ha  osservato  che  il
 pubblico  dipendente  inviato  in missione per un periodo superiore a
 quello di 240 giorni indennizzati, "senza la predeterminazione di  un
 termine  finale  pari  o inferiore ai 240 giorni, puo' legittimamente
 opporsi, nelle forme e con le modalita' consentite  dall'ordinamento,
 alla determinazione dell'amministrazione di appartenenza, richiamando
 quest'ultima  al  rispetto  del  divieto legislativo". E, percio', ha
 escluso  la   non   manifesta   infondatezza   della   questione   di
 costituzionalita'  della  norma  censurata  dai giudici del Tribunale
 amministrativo regionale della Basilicata.
    In via subordinata, l'Avvocatura ha osservato che l'indennita'  di
 missione   non   potrebbe   mai   farsi   rifluire  nel  concetto  di
 retribuzione, per il carattere temporaneo  ch'essa  deve  avere.  Del
 resto,  la  giurisprudenza  della  Corte  Costituzionale avrebbe piu'
 volte  affermato  che  la  tutela  apprestata  dall'art.   36   della
 Costituzione non si estenderebbe
 ad   ogni   compenso,   corrispettivo   d'una  qualsiasi  prestazione
 accessoria ovvero corrispettivo di particolari sacrifici previsti per
 talune categorie, dovendosi  avere  riguardo  alla  globalita'  della
 retribuzione  e non ai singoli emolumenti che la compongono (sentenze
 nn. 131 del 1982, 176 del 1980 e 141 del 1979).
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  della  Basilicata
 dubita,  in  relazione  agli  artt.  36  e 3 della Costituzione della
 legittimita' costituzionale dell'art. 1, terzo comma, della legge  26
 luglio  1978,  n.  417  (Adeguamento  del  trattamento  economico  di
 missione e di trasferimento dei dipendenti statali),  che  limita  ai
 primi  240  giorni  il  trattamento  di  missione  continuativa nella
 medesima localita', corrisposto  al  dipendente  in  servizio  presso
 altra sede.
    2. - La questione e' infondata.
    Com'e'  noto,  la  missione  consiste  in  un incarico di servizio
 temporaneo  che  l'impiegato  deve  svolgere  fuori  dalla  sua  sede
 ordinaria.  Esso  si caratterizza per la transitorieta' dell'esigenza
 organizzativa, in difetto della quale, dove l'impiego del  dipendente
 fuori  della  sede  di  servizio venga disposto in via definitiva, si
 deve ritenere trattarsi d'un vero e  proprio  trasferimento.  Con  la
 conseguenza  che allo stesso dipendente non competera' il trattamento
 economico  di  missione,  ma  una  vera  e  propria   indennita'   di
 trasferimento e di prima sistemazione.
    Il  carattere transitorio dell'esigenza organizzativa e' previsto,
 in via generale per tutti i  pubblici  dipendenti,  dall'articolo  1,
 terzo  comma, della legge 26 luglio 1978, n. 417, che limita ai primi
 240 giorni il trattamento di  missione  continuativa  nella  medesima
 localita', corrisposto al dipendente in servizio presso altra sede.
    Detta  temporaneita'  della missione, inoltre, e' stata piu' volte
 ribadita  dalla  giurisprudenza  amministrativa  che   ha   affermato
 l'inderogabilita' del limite dei 240 giorni.
    Attenendosi   a   questa   linea  giurisprudenziale,  il  collegio
 remittente ha prospettato la questione di legittimita' costituzionale
 di  tale  limite,  ma  dopo  che  essa  era   stata   ritenuta   gia'
 manifestamente infondata dallo stesso Consiglio di Stato, il quale ha
 osservato  che  il  pubblico dipendente "puo' legittimamente opporsi,
 nelle forme e con  le  modalita'  consentite  dall'ordinamento,  alla
 determinazione   dell'amministrazione  di  appartenenza,  richiamando
 quest'ultima al rispetto del divieto legislativo".
    3. - Osserva la Corte che la richiesta  di  tutela  da  parte  del
 pubblico  dipendente,  il quale lamenti una sua utilizzazione oltre i
 limiti massimi di legge in una sede  di  lavoro  posta  in  localita'
 diversa   da   quella  ordinaria,  deve  essere  soddisfatta  con  le
 prescritte   forme   e  nelle  competenti  sedi  della  giurisdizione
 amministrativa, non certo attraverso un uso improprio del giudizio di
 costituzionalita'  delle  leggi.  Atteso  che  sia  le  pronunce  dei
 tribunali amministrativi regionali, sia quelle del Consiglio di Stato
 indicano  forme  e  strumenti  per  la tutela del pubblico dipendente
 utilizzato oltre misura con un uso improprio  dello  strumento  della
 missione in luogo del trasferimento di sede.
    Deve,  pertanto,  concludersi  per  l'infondatezza  della proposta
 questione di costituzionalita'.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, la questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  1,  terzo  comma,  della  legge  26  luglio  1978,  n. 417
 (Adeguamento del trattamento economico di missione e di trasferimento
 dei dipendenti statali), sollevata, in riferimento agli artt. 36 e  3
 della  Costituzione,  dal  Tribunale  amministrativo  regionale della
 Basilicata con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 20 maggio 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                         Il redattore: GUIZZI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 3 giugno 1992.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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