N. 365 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 febbraio 1992
N. 365 Ordinanza emessa il 25 febbraio 1992 dal Tribunale di Firenze nel procedimento di volontaria giurisdizione proposto da Lessona Carlo nei confronti della regione Toscana ed altro Elezioni - Ineleggibilita' ed incompatibilita' - Ineleggibilita' dei consiglieri regionali a deputato o senatore - Ingiustificata diversa disciplina rispetto alla situazione del deputato che puo' candidarsi ed essere eletto al Parlamento europeo e quindi candidarsi anche per il consiglio regionale, con l'obbligo di optare, se eletto, per una delle due cariche - Incidenza sul diritto all'elettorato passivo - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 43/1987, 1020/1988, 510/1989 e 97/1991. (D.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, art. 7, primo comma, lett. a), secondo, terzo e quarto comma; legge 27 febbraio 1958, n. 64, art. 2). (Cost., artt. 3 e 51).(GU n.29 del 8-7-1992 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento di volontaria giurisdizione iscritta a ruolo con il n. 352/1992 del ruolo di volontaria giurisdizione promosso da: Lessona Carlo elettivamente domiciliato a Firenze, in via Gino Capponi n. 26, presso e nello stu- dio dell'avv. Stefano Grassi, che lo rappresenta e difende come da procura in calce al ricorso, ricorrente; contro: regione Toscana in persona del presidente pro-tempore della giunta regionale, elettivamente domiciliato a Firenze, in via Gino Capponi, n. 26, presso e nello studio dell'avv. Paolo Barile, che lo rappresenta e difende come da procura in calce al controricorso, resistente; e contro: Passigli Stefano elettivamente domiciliato a Firenze, in via Gino Capponi n. 26, presso e nello studio dell'avv. Vittorio Donato Gesmundo, che lo rappresenta e difende come da procura in calce al controricorso, resistente, avente ad oggetto: illegittimita' deliberazione del consiglio regionale della Toscana. RITENUTO IN FATTO Con ricorso depositato il 24 gennaio 1992, proposto ai sensi dell'art. 19 della legge 17 febbraio 1968, n. 108 e degli artt. 1, 2, 3, 4 e 5 della legge 23 dicembre 1966, n. 1147, Carlo Lessona esponeva che alle ultime elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale della Toscana era risultato primo dei candidati non eletti nella lista del P.R.I. e che invece nelle liste dello stesso partito era stato eletto Stefano Passigli; che quest'ultimo, avendo deciso di candidarsi nella lista del P.R.I. alle prossime elezioni per il parlamento nazionale, aveva presentato le proprie dimissioni dalla carica di consigliere regionale, cosi' come imposto dal secondo e dal terzo comma dell'art. 7, del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361; che il consiglio regionale della Toscana, con la deliberazione n. 202/2.102.5-2.109.3, del 13 gennaio 1992 aveva espresso dubbi sulla costituzionalita' della norma che imponeva le dimissioni al consigliere e, ritenuto che si doveva configurare una situazione di incompatibilita' piuttosto che di ineleggibilita', aveva sospeso la presa d'atto delle dimissioni. Sosteneva il Lessona che tale deliberazione aveva violato la disciplina risultante dai primi due commi dell'art. 7, del d.P.R. n. 361/1957, la cui ratio era quella di evitare che il consigliere regionale potesse abusare della sua carica e dei suoi poteri nel corso della campagna elettorale, e chiedeva quindi al tribunale di Firenze di dichiararne l'illegittimita', accertando l'obbligo del consiglio di prendere atto delle dimissioni del Passigli. Si sono costituiti ritualmente in giudizio sia la regione Toscana che il Passigli, che hanno preliminarmente e pregiudizionalmente eccepito l'illegittimita' costituzionale del citato art. 7, con riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, per disparita' di trattamento nella disciplina elettorale tra i parlamentari nazionali, i ministri, i sottosegretari, i parlamentari europei e i consiglieri regionali, chiedendo altresi', all'esito di tale superiore pronuncia, il rigetto del ricorso proposto dal Lessona. Il ricorso veniva discusso all'odierna udienza in camera di consiglio, con la partecipazione del p.m. e, all'esito della discussione, il tribunale ha pronunciato ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale per le ragioni che risultano dalle seguenti CONSIDERAZIONI IN DIRITTO La questione di legittimita' costituzionale sollevata dalla regione Toscana e dal Passigli e' sicuramente rilevante ai fini del decidere sulla domanda proposta dal Lessona. Se, infatti, l'art. 7 del d.P.R. n. 361/1957 fosse ritenuto conforme al dettato costituzionale, la deliberazione del consiglio regionale che e' stata impugnata sarebbe sicuramente illegittima perche' adottata nell'unico presupposto dell'illegittimita' costituzionale di quella normativa ed il ricorso non potrebbe non essere accolta. Nell'ipotesi in cui invece il citato art. 7 fosse ritenuto incostituzionale, nella parte in cui dichiara che i consiglieri regionali sono ineleggibili al parlamento nazionale, la deliberazione impugnata troverebbe il suo fondamento in tale pronuncia ed il ricorso del Lessona dovrebbe essere respinto. La questione sollevata dai resistenti e' percio' rilevante e, a parere di questo tribunale, anche non manifestamente infondata. La Corte costituzionale ha piu' volte affermato che la regola generale dettata dalla Costituzione in materia di elettorato passivo e' rappresentata dalla piu' ampia apertura a tutti i cittadini, senza discriminazioni, cosi' come sancito nell'art. 51, e le limitazioni poste dalla legge ordinaria, avendo carattere di aperta eccezione ad un principio costituzionale, non sono consentite se non trovano precisa giustificazione in criteri di rigorosa razionalita' (Corte costituzionale 30 novembre 1989, n. 510, giur. cost. 1989, I, 2367). Il legislatore pertanto e' legittimato ad introdurre eccezioni al diritto di elettorato passivo ma non puo' introdurre nel loro ambito ingiustificate discriminazioni (Corte costituzionale 17 febbraio 1987, n. 43, giur. cost. 1987, I, 221), per cui qualsiasi limitazione al diritto di elettorato passivo deve essere calibrata con estrema cautela e sempre in stretta aderenza ai principi costituzionali (Corte costituzionale 9 novembre 1988, n. 1020, Le regioni 1990, 231). E, nell'interpretazione delle norme elettorali non si puo' prescindere dal principio generale del cosiddetto favor dell'eletto, secondo il quale l'eleggibilita' e' la regola e l'ineleggibilita' e' l'eccezione, per cui le norme in materia di ineleggibilita' ed incompatibilita' devono essere interpretate restrittivamente in quanto individuano alcune situazioni inconciliabili con lo svolgimento del mandato elettorale e l'espletamento delle correlative funzioni (cfr.: Corte costituzionale 17 febbraio 1987, n. 43, giur. cost. 1987, 221; cass., sez. un., 13 marzo 1972, n. 1440, giur. it. 1972, I, 1, 1700). E' percio' sicuramente consentito alla Corte costituzionale di valutare lo scopo perseguito da una norma elettorale, tanto da trasformare in semplici incompatibilita' taluna delle situazioni qualificate dalla legge come cause di ineleggibilita' quando essere mirino piuttosto a prevenire un conflitto di interessi che non ad evitare una captatio benevolentiae degli elettori (Corte costituzionale 20 gennaio 1977, n. 45, foro it. 1977, I, 554; 28 maggio 1975, n. 129, giur. cost. 1975, I, 1311). Infatti, mentre le cause di ineleggibilita' sono correlate all'esercizio di funzioni che, in quanto idonee ad influire sul regolare svolgimento dei comizi elettorali e sulla volonta' degli elettori, incidono direttamente sulla capacita' di elettorato passivo, le cause di incompatibilita' sono invece correlate a situazioni che, confliggendo con il corretto esercizio delle funzioni connesse alla carica elettiva, vietano all'eletto di ricoprirla (cfr, tra le altre: cass., 22 aprile 1983, n. 2777). Del resto, a conferma di un trend legilsativo e giurisprudenziale piu' favorevole ad una restrizione dei limiti all'elettorato passivo, si deve rilevare che la stesa legge 23 aprile 1981, n. 154, intesa a disciplinare la materia per le elezioni amministrative, ha sostanzialmente recepito le indicazioni provenienti dalla dottrina per una riduzione le ipotesi di ineleggibilita' e le loro trasformazioni in casi di incompatiblita' perche' ha attenuato le differenze tra i due tipi di impedimenti mostrando di non attribuire eccessiva rilevanza alle indebite influenze sulla liberta' dell'elettorato quando ammette che la maggior parte delle cause di ineleggibilita' derivanti da cariche coperte possa cessare per una ragione temporanea come la collocazione in aspettativa (Corte costituzionale 2 marzo 1991, n. 97, Gazzetta Ufficiale prima serie speciale, 6 marzo 1991, n. 10). Tanto premesso, rileva il tribunale, sulla base di un'attento esame dei lavori preparatori del quarto comma dell'art. 7 del t.u. 30 marzo 1957, n. 361 e tenendo presente che il terzo comma dell'art. 51 della Costituzione sancisce il diritto di chi e' chiamato a funzioni pubbliche elettive di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro, che il legislatore, nel disporre la decadenza dalla carica dei consiglieri regionali che abbiano accettato la candidatura a deputato, non abbia dato valore tanto alla possibilita' di influire sull'elettorato quanto all'inconciliabilita' di queli importanti incarichi di natura politica, che normalmente assorbono l'intera attivita' di una persona, con il mandato parlamentare. Infatti, se lo scopo perseguito dal legislatore fosse stato quello di evitare la cosiddetta captatio benevolentiae e il non cumulo delle cariche il divieto non sarebbe stato esteso a tutto il territorio nazionale ma sarebbe stato limitato alla regione in cui il consigliere esercita le sue funzioni e, poi, avrebbe riguardato anche i sindaci dei comuni con meno di ventimila abitanti. D'altra parte, se la ratio delle ipotesi di ineleggibilita' consiste nel vietare che un candidato possa, grazie alla posizione o alla carica occupata, influire sulla libera espressione del voto (Corte costituzionale 17 febbraio 1987, n. 43, giur. cost. 1987, I, 221), nel caso del consigliere regionale il rischio della captatio benevolentiae e' praticamente inesistente in quanto questi partecipa all'esercizio dei poteri attribuiti al consiglio in forma collegiale senza alcun potere amministrativo proprio e non si ravvisa alcuna seria possibilita' di indurre un metus potestatis sulle scelte del corpo elettorale tale da giustificare la prevista ineleggibilita'. Peraltro, nel caso di specie l'art. 7 del d.P.R. n. 361/1957 determina una evidente ed ingiustificata disparita' di trattamento tra la posizione del consigliere regionale che, pur avendo poteri ridotti e limitatissime possibilita' di influenzare il corpo elettorale, non puo' candidarsi al parlamento nazionale e quella del deputato nazionale, del ministro o del sottosegretario, che invece esercitano ampi poteri di amministrazione attiva e possono senza dubbi utilizzare le proprie cariche per esercitare un notevole condizionamento sugli elettori, e ciononostante, in base alla previsione dell'art. 4 della legge 23 aprile 1981, n. 154, possono candidarsi alle elezioni regionali, dovendosi soltanto dimettere da una delle due cariche in caso di elezione. Del resto, la legge non prevede alcuna causa di ineleggibilita' neppure nei confronti dei parlamentari europei che intendano candidarsi al Parlamento nazionale e consente loro persino di cumulare le due cariche (art. 5 della legge 6 aprile 1977, n. 150). Per lo stesso consigliere regionale - ed anche per i membri della giunta e per il suo presidente - a differenza di quanto previsto per il parlamento nazionale, l'art. 18 della legge 24 gennaio 1979 non prevede alcuna causa di ineleggibilita' al parlamento europeo, benche' le circoscrizioni territoriali per le elezioni europee siano disegnate in modo tale che la supremazia che un candidato puo' ottenere in una regione con uno scorretto esercizio dei suoi poteri risulta sicuramente piu' rilevante ai fini dell'aggiudicazione del seggio. Cosi' che il deputato italiano puo' candidarsi ed essere eletto al parlamento europeo, il parlamentare europeo puo' essere eletto ed espletare il mandato anche al parlamento nazionale, il consigliere regionale puo' partecipare alla competizione elettorale per il parlamento europeo ma non puo' candidarsi al parlamento nazionale. La disposizione piu' rigorosa adottata nei confronti dei consiglieri regionali (cause di ineleggibilita') rispetto ai deputati nazionali (causa di incompatibilita') ed a quelli europei (possibilita' di cumulo delle cariche) non trova quindi una razionale giustificazione dato che non puo' certamente configurarsi una diversa e maggior possibilita' di condizionamento dei primi rispetto ai secondi e i terzi (cfr. anche, sull'illegittimita' del terzo comma dell'art. 2 del d.P.R. n. 154 del 23 aprile 1981: Corte costituzionale 17 ottobre 1991, n. 388, foro it. 1991, I, 2958). Vi e' inoltre una ingiustificata differenziazione tra le varie categorie previste dall'art. 7 del d.P.R. n. 361/1957 perche' i consiglieri regionali non devono soltanto astenersi dall'esercizio delle loro funzioni ma devono dimettersi definitivamente dalla carica molti mesi prima della presentazione della candidatura, senza avere alcuna certezza di essere poi effettivamente candidati. Conseguentemente, poiche' e' ravvisabile nella disciplina in parola una disparita' di trattamento tra i consiglieri regionali, i deputati nazionali ed europei, i ministri e i sottosegretari, oltre che tra i primi e le altre categorie previste dal citato art. 7, e la normativa non pare giustificarsi sotto il profilo della razionalita', deve sospendersi il giudizio e disporsi la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il giudizio di costituzionalita'.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 e seguenti della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata in relazione agli artt. 3 e 51 della Costituzione la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi primo, lett. a), secondo, terzo e quarto del d.P.R. 30 marzo 1957, n. 361, nonche' dell'art. 2 della legge 27 febbraio 1958, n. 64, nella parte in cui estende la disciplina dell'art. 7 del d.P.R. n. 361/1/957 alle elezioni per il Senato della Repubblica; Dispone la sospensione del presente giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Cosi' deciso il 25 febbraio 1992, nella camera di consiglio del tribunale di Firenze, su relazione del dott. Valentino Pezzuti. Il presidente: SECHI Depositato in cancelleria il 28 febbraio 1992. Il cancelliere: (firma illeggibile) 92C0789