N. 316 SENTENZA 29 giugno - 8 luglio 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo penale - Contestazione in dibattimento di reato  concorrente
 - Imputato - Richiesta di giudizio abbreviato - Preclusione - Analoga
 questione  gia'  decisa  (sentenza  n.    593/1990)  -  Richiamo alla
 giurisprudenza della Corte (ordinanza n. 213/1992) - Non fondatezza.
 
 (C.P.P., art. 519, secondo comma).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.30 del 15-7-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giuseppe BORZELLINO;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI,   prof.   Francesco   Paolo   CASAVOLA,   prof.  Antonio
    BALDASSARRE, avv. Mauro FERRI, prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo
    CHELI,  Dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.
    Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  519,  secondo
 comma,  del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa
 il 23 ottobre 1991 dal Pretore di Macerata nel procedimento penale  a
 carico  di  Sagretti  Francesco,  iscritta  al  n.  92  del  registro
 ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 10, prima serie speciale, dell'anno 1992.
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  3 giugno 1992 il Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  A  seguito  della  contestazione  da  parte  del   pubblico
 ministero,  nel corso del dibattimento, di un reato concorrente (art.
 517 cod. proc. pen.), il Pretore di  Macerata,  non  potendo  aderire
 alla  richiesta  dell'imputato di trasmissione degli atti al pubblico
 ministero ai  fini  dell'emissione  di  altro  decreto  di  citazione
 contenente   la  contestazione  suppletiva  che  gli  consentisse  di
 chiedere il rito abbreviato nel  termine  di  quindici  giorni  dalla
 notifica  di  tale  decreto  (artt.  555  e  560 cod. proc. pen.), ha
 sollevato una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 519,
 secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui, di
 fronte a  contestazioni  suppletive  di  reati  effettuate  ai  sensi
 dell'art. 517 cod. proc. pen., non consente all'imputato di avvalersi
 del  rito  abbreviato e di beneficiare della correlativa riduzione di
 pena: cio' che sarebbe, a suo avviso, in contrasto con l'art. 3 della
 Costituzione.
    2. - Il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e
 difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,  ha  chiesto  che la
 questione  sia  dichiarata  infondata.  La  disciplina  delle   nuove
 contestazioni  (artt.  516-522  cod.  proc.  pen.) e' invero, secondo
 l'interveniente, razionalmente differenziata.  La  contestazione  del
 "fatto  nuovo"  (art.  518)  e'  possibile  in  dibattimento  solo se
 l'imputato vi consente, sicche'  in  caso  di  dissenso  il  pubblico
 ministero  dovra'  procedere  con  le forme ordinarie, rendendo cosi'
 possibile il  ricorso  al  rito  abbreviato.  Nei  casi,  invece,  di
 modifica  dell'imputazione  (art.  516)  e  di  reato  concorrente  o
 circostanza aggravante (art. 517), e' obbligatoria  la  contestazione
 nello  stesso  dibattimento  perche' si tratta di nuove contestazioni
 che non modificano o sono comunque in  stretto  rapporto  col  "fatto
 storico"  originariamente  contestato  e rappresentano un possibile e
 prevedibile sviluppo  dell'imputazione  originaria.  Il  fatto  resta
 cioe'  essenzialmente  identico,  e  quindi  si  giustifica  che alla
 conoscenza di esso sia riferita la possibilita' di scelta del rito.
                        Considerato in diritto
    1.  - Con l'ordinanza indicata in epigrafe, il Pretore di Macerata
 dubita  della  legittimita'  costituzionale  dell'art.  519,  secondo
 comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui, in caso di
 contestazione  in  dibattimento  di  un  reato  concorrente  ai sensi
 dell'art. 517 dello  stesso  codice,  non  consente  all'imputato  di
 chiedere il giudizio abbreviato: cio' che a suo avviso contrasterebbe
 col principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione).
    2. - La questione non e' fondata.
    Decidendo  una  questione  analoga  -  pur  se incentrata su altre
 disposizioni e riferita ad altri parametri -  questa  Corte  ha  gia'
 osservato  che  l'interesse  dell'imputato a beneficiare dei vantaggi
 conseguenti al giudizio abbreviato, in tanto rileva  in  quanto  egli
 rinunzi  al  dibattimento e venga percio' effettivamente adottata una
 sequenza procedimentale che  consenta  di  raggiungere  in  tal  modo
 l'obiettivo   di  rapida  definizione  del  processo  perseguito  dal
 legislatore con  l'introduzione  di  tale  rito  speciale.  "Percio',
 quando  ormai  per  l'inerzia  dell'imputato tale scopo non puo' piu'
 essere pienamente raggiunto - in  quanto  si  e'  gia'  pervenuti  al
 dibattimento   -   sarebbe  del  tutto  irrazionale  consentire  che,
 ciononostante, a quel giudizio si addivenga in base alle  contingenti
 valutazioni  dell'imputato  sull'andamento del processo" (sentenza n.
 593 del 1990).
    D'altra parte, come giustamente rileva l'Avvocatura, la disciplina
 delle nuove contestazioni e', nel sistema del  codice,  razionalmente
 differenziata,  dato  che,  ove  si  tratti  di fatto "nuovo", la sua
 contestazione  nello  stesso  dibattimento  e'  possibile   solo   se
 l'imputato  vi  consente:  si'  che, occorrendo altrimenti procedersi
 nelle forme ordinarie, la richiesta per esso del giudizio  abbreviato
 resta possibile.
    Nell'ipotesi,   invece,   di   reato  concorrente  -  ma  analoghe
 considerazioni valgono in quelle di modifica  dell'imputazione  (art.
 516)  e di circostanza aggravante - l'esclusione di tale possibilita'
 e' giustificata dal rilievo che la contestazione e' evenienza, per un
 verso, non infrequente in un  sistema  processuale  imperniato  sulla
 formazione  della  prova  in  dibattimento (cfr. ordinanza n. 213 del
 1992), e ben prevedibile, dato lo stretto rapporto intercorrente  tra
 l'imputazione  originaria  ed  il  reato  connesso; mentre, per altro
 verso, essa e'  preclusa  nel  giudizio  abbreviato  (art.  441).  Di
 conseguenza,  il relativo rischio rientra naturalmente nel calcolo in
 base al quale l'imputato si determina a chiedere o  meno  tale  rito,
 onde egli non ha che da addebitare a se medesimo le conseguenze della
 propria scelta.
    Nella  preclusione all'adozione del rito abbreviato a dibattimento
 gia' instaurato non e'  percio'  ravvisabile  alcuna  violazione  del
 principio di uguaglianza.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  519,  secondo  comma,  del  codice  di  procedura   penale
 sollevata,  in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore
 di Macerata con ordinanza del 23 ottobre 1991.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 29 giugno 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                        Il redattore: SPAGNOLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 8 luglio 1992.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 92C0823