N. 317 SENTENZA 29 giugno - 8 luglio 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Sciopero  -  Diritto  di  sciopero  e  salvaguardia dei diritti della
 persona costituzionalmente tutelati - Esclusione  della  possibilita'
 del  risarcimento  del  danno  in caso di esercizio illegittimo dello
 sciopero - Genericita' della prospettazione - Difetto di rilevanza  -
 Inammissibilita'.
 
 (Legge 12 giugno 1990, n. 146, artt. 4, 9 e 11)
 
 (Cost., artt. 2 e 40).
(GU n.30 del 15-7-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale degli artt. 4, 9 e 11
 della legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del  diritto
 di  sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei
 diritti della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione  della
 Commissione  di  garanzia  dell'attuazione della legge), promosso con
 ordinanza emessa il  16  dicembre  1991  dal  Pretore  di  Fermo  nel
 procedimento  civile  vertente tra la S.T.E.A.T. - Societa' Trasporti
 Ete  Aso  Tenna  e  le  Organizzazioni  Sindacali  F.I.L.T.-C.G.I.L.,
 F.I.T.-C.I.S.L.,  U.I.L.-Trasporti e C.I.S.N.A.L.-Trasporti, iscritta
 al n. 146 del registro ordinanze 1992  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  13, prima serie speciale, dell'anno
 1992;
    Visti l'atto di  costituzione  della  F.I.L.T.-  C.G.I.L.  nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 16 giugno 1992 il Giudice relatore
 Ugo Spagnoli;
    Uditi   l'avv.  Massimo  D'Antona  per  la  F.I.L.T.-  C.G.I.L.  e
 l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del  Consiglio
 dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
   1.  - Con ordinanza del 16 dicembre 1991 (r.o. n. 146/1992) il Pre-
 tore di Fermo, quale giudice del lavoro - premesso che la  S.T.E.A.T.
 -  Societa'  Trasporti  Ete Aso Tenna aveva chiesto la condanna delle
 organizzazioni    sindacali    F.I.L.T.-C.G.I.L.,    F.I.T.-C.I.S.L.,
 U.I.L.-trasporti  e C.I.S.N.A.L.-trasporti, al risarcimento dei danni
 che essa assumeva di aver subi'to a causa di uno  sciopero  che  tali
 organizzazioni  sindacali avevano proclamato illegittimamente e cioe'
 in violazione della legge 12 giugno 1990, n.  146 - ha  rilevato  che
 tale   legge,  avendo  previsto,  per  la  violazione  delle  proprie
 prescrizioni, soltanto sanzioni di carattere amministrativo (artt.  4
 e  9)  ed  avendo  abrogato,  con l'art. 11, gli artt. 330 e 333 cod.
 pen., ha escluso  l'irrogabilita'  di  qualsiasi  sanzione  penale  o
 civile  per  l'illegittimo  esercizio  del  diritto di sciopero. Cio'
 premesso, il Pretore dubita della legittimita' costituzionale di tale
 disciplina ed al riguardo osserva che la legge n. 146 del  1990,  pur
 rivolta    alla    salvaguardia    dei    diritti    della    persona
 costituzionalmente tutelati, come recita il suo titolo, introduce  in
 realta'  una  tutela  assolutamente  labile  e inconsistente, perche'
 demanda l'irrogazione  delle  sanzioni  al  datore  di  lavoro  o  ad
 autorita'  amministrative,  senza  consentire  il diretto accesso del
 danneggiato alla tutela giudiziaria,  ed  escludendo  addirittura  la
 tutela  fondamentale,  costituita  dalla  possibilita' di ottenere il
 risarcimento  del  danno.  Il  giudice  a  quo  ritiene  che,   cosi'
 disponendo,   la   legge   impugnata   abbia   vanificato  la  tutela
 precedentemente offerta dalla  normativa  penale  (con  gli  abrogati
 artt.  330  e  333  cod. pen.) e dalla normativa civile relativa alla
 responsabilita' per  fatto  illecito,  tutela  che  invece  la  Corte
 costituzionale aveva ritenuto compatibile con la liberta' di sciopero
 (sentenze  nn.  31  del  1969,  1 e 54 del 1974, 4 del 1977 e 165 del
 1983). Di conseguenza, la legge n. 146 - nel suo complesso (e il Pre-
 tore di Fermo, a sostegno della censurabilita'  di  un  intero  testo
 normativo, richiama le sentenze di questa Corte nn. 53 del 1962 e 152
 del  1982),  o,  quanto meno, negli articoli che regolano le sanzioni
 per la violazione  delle  sue  prescrizioni  (artt.  4,  9  e  11)  -
 contrasti  con  gli artt. 40 e 2 della Costituzione, "non assicurando
 la tutela dei diritti inviolabili dell'uomo, sia  come  singolo,  sia
 nelle  formazioni sociali, poiche' non consente che l'esercizio dello
 sciopero,  qualora  leda   tali   diritti   inviolabili,   di   rango
 costituzionale,  sia  adeguatamente  represso  e  che sia idoneamente
 tutelato chi subisca il danno derivante da un esercizio illecito  del
 diritto  di  sciopero,  riconoscendo  al  danneggiato  il  diritto al
 risarcimento, e attribuendogli azione per far valere tale diritto".
    2.  -  Nel  giudizio  davanti  alla  Corte  si  e'  costituita  la
 F.I.L.T.-C.G.I.L.di  Fermo,  deducendo  che  la  questione sottoposta
 all'esame della Corte, per la parte in cui si risolve in una  censura
 di  globale  inadeguatezza  della legge n. 146 del 1990 e del sistema
 sanzionatorio da  essa  apprestato,  e'  inammissibile,  non  essendo
 possibile  individuare  con  precisione  i  termini  della censura di
 incostituzionalita'  con  riferimento  a   specifiche   norme   della
 Costituzione.
    La  F.I.L.T.-C.G.I.L.  ha poi sostenuto che la questione sollevata
 dal Pretore di Fermo e' inammissibile anche sotto il diverso  profilo
 che le norme costituzionali in riferimento alle quali e' richiesto lo
 scrutinio  di  legittimita'  della  legge  (gli  artt.  2  e 40 della
 Costituzione) non riguardano, neppure indirettamente, il  diritto  al
 risarcimento  dei danni patrimoniali, diritto che secondo l'ordinanza
 verrebbe ad essere pregiudicato dalla legge  a  danno  delle  imprese
 erogatrici di servizi pubblici essenziali.
    La  questione  stessa, per la parte in cui si riferisce agli artt.
 11 (abrogazione degli artt. 330 e  333),  4  (sanzioni  a  carico  di
 lavoratori,   organizzazioni   sindacali   e   dirigenti  di  imprese
 erogatrici)  e  9  (sanzioni  per   l'inosservanza   dell'ordine   di
 precettazione), sarebbe del tutto irrilevante ai fini della decisione
 del giudizio a quo, poiche' nessuna delle norme richiamate - la prima
 concernente  la repressione penale delle azioni sindacali, la seconda
 le sanzioni operanti sul piano del rapporto di  lavoro  o  su  quello
 delle  relazioni  sindacali  e  la terza addirittura l'inottemperanza
 all'ordine di precettazione dell'autorita'  amministrativa  -  incide
 direttamente  o  indirettamente  sulla  tutela risarcitoria richiesta
 dalla societa' ricorrente, nel senso preciso che nessuna di esse puo'
 essere richiamata per affermare o negare la predetta tutela.
    Nel  merito  la  F.I.L.T.-C.G.I.L.  ha  sostenuto   la   manifesta
 infondatezza della questione, osservando che la legge n. 146 del 1990
 appresta  un  complesso  di misure, e introduce correlative sanzioni,
 per realizzare il "contemperamento" tra diritto di sciopero e diritti
 della persona costituzionalmente tutelati (si tratta  quindi  di  una
 forma   di   tutela   diversa   e  logicamente  precedente  a  quella
 risarcitoria) e riconosce alle aziende o  amministrazioni  erogatrici
 del  servizio pubblico sia ampi margini di autotutela, sia specifiche
 azioni di tutela preventiva,  che  escludono  qualsiasi  sospetto  di
 eccessivo  e  irragionevole  aggravamento per effetto della legge: le
 aziende erogatrici del servizio pubblico hanno  infatti  facolta'  di
 adottare,  anche  con  ordini di servizio, tutte le misure necessarie
 all'erogazione  delle  prestazioni  indispensabili,   di   infliggere
 adeguate   sanzioni  nei  confronti  dei  lavoratori,  di  richiedere
 sanzioni non meno adeguate a carico dei sindacati inadempienti; e  in
 ogni  caso,  al fine di evitare un pregiudizio grave ai diritti della
 persona, e' previsto uno specifico  procedimento  amministrativo  per
 l'emanazione  di una ordinanza che imponga il rispetto delle misure e
 prestazioni essenziali.
    Concludendo, la difesa dell'organizzazione  sindacale  ha  chiesto
 che  la  Corte  costituzionale  dichiari:  la  inammissibilita' della
 questione per inesatta e insufficiente determinazione dei termini del
 giudizio di costituzionalita' richiesto; la irrilevanza ai fini della
 decisione del giudizio a quo; e comunque  la  manifesta  infondatezza
 della questione di legittimita' costituzionale della legge n. 146 del
 1990 nel suo complesso.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello  Stato,  ed  ha
 chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o, quanto meno,
 infondata.
    Con riferimento all'eccezione di inammissibilita', l'Avvocatura ha
 osservato  che  l'ordinanza  di  remissione  nulla  riferiva circa la
 natura e l'oggetto del giudizio a quo e  neppure  specificava  se  lo
 sciopero in oggetto avesse riguardato servizi pubblici essenziali. In
 tale  situazione  non era possibile valutare la rilevanza ed i limiti
 della  questione  di  costituzionalita',  la  quale  era  quindi   da
 dichiararsi inammissibile.
    L'inammissibilita'  della  questione derivava anche dalla mancanza
 di una precisa  individuazione  delle  norme  sottoposte  a  censura.
 Quest'ultima,  infatti,  era  rivolta  all'intero  testo legislativo,
 mentre era improbabile che, in effetti, essa riguardasse piu' di  una
 o   due  disposizioni.  In  particolare,  l'art.  9,  pur  menzionato
 nell'ordinanza, pareva del tutto estraneo alla materia controversa.
    Nel merito e con riferimento all'art. 11 della legge, l'Avvocatura
 ha  osservato  che  l'abrogazione  degli  artt.  330 e 333 cod. pen.,
 disposta  da  tale  norma,  non  puo'  essere  demolita  dalla  Corte
 costituzionale - come invece il giudice a quo pareva richiedere - non
 potendosi  aver  ripristino  di  una  norma  sanzionatoria penale per
 effetto di una pronunzia della Corte. E comunque la  norma  impugnata
 non  contrastava  con  i parametri costituzionali richiamati dal Pre-
 tore, posto che ne' dall'art. 40, ne' dall'art. 2 della  Costituzione
 e'  consentito  desumere  un  dovere  del  legislatore  ordinario  di
 criminalizzare lo sciopero illegale.
    Con riferimento all'art.  4,  apparivano  dover  essere  presi  in
 considerazione  i  soli  commi  secondo  e  terzo,  che contengono la
 disciplina  sanzionatoria   da   applicarsi   nei   confronti   delle
 organizzazioni  dei lavoratori che proclamano uno sciopero illegale o
 vi aderiscono. Ma l'eventuale scarsa incisivita' o efficacia di  tali
 sanzioni  non  sarebbe  comunque idonea a dar luogo ad un giudizio di
 illegittimita' costituzionale.
    Concludendo, l'Avvocatura osserva che l'ordinanza  di  remissione,
 ritenuta  la  sussistenza  di  lacune o inadeguatezze nella normativa
 denunziata, appare richiedere alla Corte  una  pronunzia  additiva  -
 ovvero  una pronunzia interpretativa nel senso dell'addizione - volta
 a  superare  le  lacune  suddette  o   ad   ovviare   alle   ritenute
 inadeguatezze  della  disciplina  legislativa.  Sennonche'  -  rileva
 l'Avvocatura -  colmare  opinate  lacune  in  via  interpretativa  e'
 compito  del  giudice  ordinario,  e  non  della  Corte; ne' spetta a
 quest'ultima costruire autonomi precetti legislativi ad  integrazione
 di quelli reputati insufficienti.
    4.  -  Con  memoria  integrativa  depositata  il  1›  giugno 1992,
 l'Avvocatura ha rettificato la precedente impostazione e,  anche  con
 riferimento  alle  difese  svolte dalla F.I.L.T.-C.G.I.L., ha dedotto
 che  la  questione  prospettata  dall'ordinanza  di  rimessione   era
 rilevante  ai  fini  della  decisione  del  giudizio a quo, mentre la
 incidenza o meno  delle  disposizioni  impugnate  sulla  c.d.  tutela
 risarcitoria  rappresentava  semmai  un  posterius logico rispetto al
 giudizio richiesto a questa Corte. Ne' vi e' - osserva l'Avvocatura -
 alcuna precedenza logica tra le sanzioni previste dall'art. 4,  commi
 secondo   e   terzo,   rispetto   all'eventuale  sorgere  di  crediti
 risarcitori,  sicche'  la  questione  non  potrebbe  essere  dichiara
 infondata  in  ragione di tale ipotizzata precedenza. L'Avvocatura ha
 espresso quindi l'avviso che la questione prospettata  nell'ordinanza
 di  rimessione debba essere risolta mediante una sentenza cosi' detta
 interpretativa di rigetto, posto che le disposizioni sub  judice  non
 escludono   affatto,   e   neppure  posticipano  o  condizionano,  il
 risarcimento dei danni cagionati da sciopero illecito, e  quindi  non
 contrastano  con  parametri  costituzionali (oltre ai due considerati
 dal remittente, occorrerebbe tener conto anche dell'art. 3, dell'art.
 24, commi primo e secondo e dell'art. 41 della Costituzione,  nonche'
 - per il settore dei trasporti - dell'art. 16 della Costituzione).
    E'  pertanto  da  auspicare  - secondo l'Avvocatura - che, rimosso
 ogni dubbio circa l'ammissibilita' della questione,  sia  reso  dalla
 Corte un insegnamento nel senso che il principio generale del neminem
 laedere  non  subisce,  ne'  (a  livello di normativa costituzionale)
 potrebbe subire, alcuna  compressione  o  deroga  dalle  disposizioni
 contenute nel citato art. 4, commi secondo e terzo.
    Era, infatti, da rammentare che i limiti del "diritto di sciopero"
 sono   previsti   in   attuazione  dell'art.  40  della  Costituzione
 ("nell'ambito delle leggi che lo regolano"), e  percio'  sono  limiti
 che il legislatore ordinario e' costituzionalmente obbligato a porre.
 D'altro canto, detti limiti costituiscono il risvolto negativo di una
 pluralita'   di  precetti  costituzionali  posti  a  salvaguardia  di
 interessi costituzionalmente riconosciuti (sanita', igiene  pubblica,
 "liberta' di circolazione" delle persone, istruzione pubblica, etc.);
 e non e' pensabile che la salvaguardia di interessi di tanto spessore
 sia  affidata  a norme minus quam perfectae, e, contraddittoriamente,
 sia negata nel momento stesso  in  cui,  in  attuazione  di  precetti
 costituzionali, la si riconosce e proclama.
    Occorre anche considerare - aggiunge l'Avvocatura - che l'area dei
 soggetti  eventualmente  danneggiati  e' ben piu' ampia di quella dei
 soggetti partecipanti ai rapporti  latu  sensu  contrattuali  e/o  ai
 rapporti  sindacali; la previsione di sanzioni specifiche (e modeste)
 riguardanti questi rapporti e soggetti non puo' tradursi in  "licenza
 di  illiceita'"  ed in "irresponsabilita'" nei confronti di tutti gli
 altri  soggetti  "terzi"  eventualmente   danneggiati.   Proprio   lo
 strumento  della  responsabilita'  aquiliana  consente di adeguare la
 reazione all'illecito alle  molteplici  e  differenziate  conseguenze
 concrete  di  esso;  sarebbe quindi sommamente irrazionale, oltre che
 contrastante con precetti costituzionali, esentare da responsabilita'
 aquiliana gli autori ed in genere i responsabili dell'illecito, ossia
 concedere a costoro una "licenza di danneggiare" e di sacrificare gli
 interessi altrui della cui rilevanza anche costituzionale si e' detto
 (si pensi al caso  del  paziente  che  muore,  perche'  illecitamente
 abbandonato  da chi dovrebbe curarlo). Tra lecito ed illecito e' bene
 che non si formino "zone grigie" di ambiguita' e  di  incertezza  del
 diritto:  chi tiene un comportamento contra legem - sia esso anche un
 lavoratore,  un  datore  di  lavoro,  o   un'associazione   sindacale
 datoriale o dei lavoratori - deve subire tutte le normali conseguenze
 del  suo  illecito,  senza  esoneri  o "sconti", a presidio anzitutto
 della legalita'.
    Per quanto precede - conclude l'Avvocatura - la legge n.  146  del
 1990  non  puo'  essere  reputata  -  in parte qua - ne' lacunosa ne'
 inadeguata. Essa traccia il  confine  tra  lecito  ed  illecito,  per
 quanto   riguarda   lo   sciopero,   e   si   inserisce  nel  tessuto
 dell'ordinamento normativo, dal quale discende l'obbligo di risarcire
 le conseguenze dannose dell'illecito.
                        Considerato in diritto
    1. - Il Pretore di Fermo ritiene che la legge 12 giugno  1990,  n.
 146  (Norme  sull'esercizio  del  diritto  di  sciopero  nei  servizi
 pubblici essenziali e sulla salvaguardia dei  diritti  della  persona
 costituzionalmente   tutelati.   Istituzione   della  Commissione  di
 garanzia  dell'attuazione  della  legge),  considerata  sia  nel  suo
 complesso  sia  con  specifico  riferimento  agli  artt.  4,  9 e 11,
 contrasti con gli artt. 2 e 40 della Costituzione. Tale  normativa  -
 sostiene  infatti  il  giudice  a  quo  -  pur  essendo  diretta alla
 salvaguardia dei diritti della persona  costituzionalmente  tutelati,
 non  assicura  ad  essi  una  tutela  adeguata,  avendo  eliminato la
 sanzione penale per la violazione di tali  diritti  attuata  mediante
 l'esercizio illegittimo dello sciopero ed avendo invece previsto, per
 tali  ipotesi,  soltanto  sanzioni disciplinari o amministrative, con
 conseguente esclusione della possibilita',  per  chi  ha  subi'to  la
 lesione,  di  adire  egli  stesso  il giudice al fine di ottenere, in
 particolare, il risarcimento del danno subito.
    2. - La questione di costituzionalita' formulata  con  riferimento
 all'intero  testo  della  legge  12  giugno 1990, n. 146, deve essere
 dichiarata inammissibile per  genericita'  della  prospettazione.  E'
 giurisprudenza  costante  di  questa  Corte  che  ogni  questione  di
 legittimita' costituzionale deve, a pena di inammissibilita',  essere
 definita  nei  suoi  termini  precisi,  al  fine di rendere possibile
 l'inequivoca determinazione dell'oggetto del giudizio e  la  verifica
 del  requisito della rilevanza della questione proposta rispetto alla
 definizione del giudizio a quo. Perche' sia ammissibile una questione
 di costituzionalita' rivolta ad un intero testo  legislativo  occorre
 quindi  che  le  specifiche censure formulate siano tali da investire
 tutte le norme contenute nel provvedimento denunciato e cosi'  invece
 palesemente non e' nel caso in esame.
    3.  -  La  questione  di costituzionalita' formulata con specifico
 riferimento agli artt. 4, 9 e 11 della medesima legge e', sotto  ogni
 profilo,  priva  di  rilevanza  e  deve  pertanto  essere  dichiarata
 inammissibile.
    Nell'ordinanza di  remissione,  infatti,  non  e'  in  alcun  modo
 specificato se l'azione risarcitoria che formava oggetto del giudizio
 a quo fosse effettivamente collegata alla lesione di un diritto della
 persona  costituzionalmente  garantito. Risulta, al contrario, che il
 danno di cui si chiedeva il risarcimento derivava  dalla  lesione  di
 interessi  meramente patrimoniali (minori incassi, esborsi, riduzione
 di capacita'  concorrenziale),  in  nessun  modo  inquadrabili  nella
 garanzia dell'invocato art. 2 della Costituzione.
    In  secondo  luogo  deve essere rilevato che l'azione risarcitoria
 che forma oggetto del giudizio a quo e' stata proposta dalla societa'
 datrice di lavoro. Ora, le norme della legge 12 giugno 1990,  n.  146
 si riferiscono esclusivamente ai rapporti tra l'esercizio del diritto
 di  sciopero  nei  servizi pubblici ed i diritti della persona propri
 degli utenti di tali servizi  o  dei  cittadini  in  generale.  Esula
 invece dagli scopi e dal contenuto della legge in esame la disciplina
 dei  rapporti tra l'esercizio del diritto di sciopero e gli interessi
 dell'impresa in quanto tale, pur se  costituzionalmente  tutelati.  I
 c.d.   limiti   esterni   al  diritto  di  sciopero  riferibili  alla
 salvaguardia di tali interessi  e  le  relative  tecniche  di  tutela
 restano   pertanto   affidati  ai  principi  e  alle  regole  che  la
 giurisprudenza ha elaborato al riguardo, desumendoli direttamente dal
 dettato costituzionale con particolare riferimento alla  cosi'  detta
 "produttivita'"  dell'azienda,  intesa,  sia pure con interpretazioni
 non  sempre  coincidenti,  come  salvaguardia  dell'integrita'  degli
 elementi materiali e strutturali dell'organizzazione aziendale (cfr.,
 da  ultimo,  Cass.,  28  ottobre  1991, n. 11477). La legge 12 giugno
 1990, n. 146 non ha in alcun modo inciso su tale materia, sicche'  le
 norme  investite  dalla  censura di illegittimita' costituzionale non
 hanno alcun rilievo per la definizione della controversia che il Pre-
 tore di Fermo deve giudicare.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara inammissibile la questione di legittimita'  costituzionale
 della  legge 12 giugno 1990, n. 146 (Norme sull'esercizio del diritto
 di sciopero nei servizi pubblici essenziali e sulla salvaguardia  dei
 diritti  della persona costituzionalmente tutelati. Istituzione della
 Commissione  di  garanzia dell'attuazione della legge), sollevata dal
 Pretore di Fermo con ordinanza del 16 dicembre 1991  con  riferimento
 sia  alla legge nel suo complesso sia, in particolare agli artt. 4, 9
 e 11.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 29 giugno 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                        Il redattore: SPAGNOLI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria l'8 luglio 1992.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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