N. 330 SENTENZA 2 - 15 luglio 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 Previdenza e assistenza - Dipendenti dello Stato ed enti pubblici, ex
 combattenti  e  assimilati  -  Cessazione  del rapporto di lavoro per
 soppressione del posto o riduzione di organico - Ipotesi non  inclusa
 tra    quelle   non   pregiudicanti   il   godimento   dei   benefici
 combattentistici - Intenzione  del  legislatore  di  includere  tutte
 quelle   cause   dell'estinzione   dal   servizio   degli   impiegati
 verificatesi  indipendentemente  dalla  volonta'   degli   stessi   -
 Illegittimita' costituzionale.
 
 (D.-L.  8  luglio  1974, n. 261, art. 1, come modificato dall'art. 1,
 sesto comma, della legge di conversione 14 agosto 1974, n. 355)
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.31 del 22-7-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco Paolo
    CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 1 del decreto
 legge 8 luglio 1974, n.  261,  come  modificato  dall'art.  1,  sesto
 comma,  della  legge  di conversione 14 agosto 1974, n. 355, promosso
 con ordinanza emessa il 3 maggio 1991 dalla Corte dei conti - sezione
 terza giurisdizionale - sul ricorso proposto da Beni Giulio, iscritta
 al n. 99 del registro ordinanze  1992  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  10, prima serie speciale, dell'anno
 1992;
    Visto l'atto di costituzione di Beni Giulio;
    Udito  nell'udienza pubblica del 2 giugno 1992 il Giudice relatore
 Francesco Guizzi;
    Udito l'avvocato Franco Agostini per Beni Giulio;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Beni Giulio, dipendente  dell'  ECA  di  Treviso,  nel  corso
 dell'anno  1974 chiedeva il collocamento a riposo anticipato ai sensi
 della legge 24 maggio 1970, n. 336, recante norme  di  favore  per  i
 dipendenti  civili, dello Stato e degli enti pubblici, ex combattenti
 ed assimilati. L'amministrazione di appartenenza, riconoscendogli  il
 beneficio   di   ex  combattente,  lo  assegnava  al  contingente  di
 pensionamento del 1› gennaio 1978 (non  essendovi  disponibilita'  in
 data  anteriore)  ma  lo  collocava  in pensione anteriormente a tale
 scadenza, in data 1› gennaio 1976, a causa dell'avvenuta soppressione
 del posto di impiego.
    L'amministrazione previdenziale provvedeva in senso opposto.
    Con decreto n. 86019 del 4 agosto 1980, il  Ministero  del  tesoro
 riconosceva al Beni la complessiva anzianita' di servizio di 28 anni,
 8  mesi  e  27 giorni e gli conferiva la pensione annua lorda di lire
 2.354.000, con decorrenza  1›  marzo  1976,  escludendo  dal  computo
 l'abbuono  settennale  previsto  dall'art.  3  della legge n. 336 del
 1970.
    L'impiegato ricorreva contro il decreto avanti la Corte dei conti,
 sezione giurisdizionale per le  pensioni  civili,  con  atto  del  12
 gennaio   1983,  sostenendo  che  la  cessazione  dal  servizio  "per
 soppressione  del  posto"  non  doveva  costituire  impedimento  alla
 fruizione  dei benefici per gli ex combattenti stabiliti dalla citata
 legge n. 336.
    A fronte delle opposte tesi confliggenti (richiesta  di  reiezione
 del   ricorso  da  parte  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato  e,
 viceversa,  di  suo  accoglimento  da  parte  del  ricorrente  e  del
 Procuratore  generale della Corte) i giudici hanno, con ordinanza del
 3 maggio 1991, sollevato la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'articolo  1  del  decreto  legge  8  luglio  1974,  n. 261, come
 modificato dall'articolo 1, sesto comma, della legge  di  conversione
 14 agosto 1974, n. 355.
    Premettono  i  remittenti  che, per ovviare al massiccio esodo dei
 pubblici dipendenti ex combattenti che, numerosi,  avevano  domandato
 di  avvalersi  dei  previsti benefici, il Governo aveva approntato il
 decreto legge 8 luglio 1974, n. 261, stabilendo  il  contingentamento
 annuale  dei  pensionamenti  in  scaglioni non superiori al venti per
 cento delle richieste pervenute a ciascuna amministrazione. La  legge
 di   conversione   aveva   abbassato  ulteriormente  l'entita'  degli
 scaglioni, portandola alla misura annua del dieci per cento.  Sia  il
 decreto  che la legge di conversione avevano statuito la salvezza dei
 benefici  per  coloro  che  fossero  cessati  dal  servizio  per   il
 raggiungimento  dei limiti di eta' o dei limiti massimi di anzianita'
 o di servizio o per motivi di salute (dispensa) o per  decesso  o  in
 applicazione  della  legge  n.  804 del 1973 (art. 1, legge 14 agosto
 1974, n. 355).
    Osserva la Corte dei conti che la norma contenuta in queste ultime
 disposizioni  legislative  tende  a  garantire   l'applicazione   dei
 benefici  riservati  agli ex combattenti anche agli impiegati cessati
 dal servizio per una delle "cause fatte salve", di cui alla  predetta
 elencazione.  Essa, tuttavia, verrebbe ad escludere il ricorrente dal
 beneficio invocato, essendo lo stesso cessato dal  servizio  per  una
 causa  diversa  da  quelle ivi analiticamente menzionate. Ne' il caso
 della   "soppressione   del   posto"   potrebbe   enuclearsi  in  via
 d'interpretazione analogica, avendo la norma  carattere  eccezionale,
 ed  essendo  previste in via tassativa le figure in essa indicate. Ma
 dall'esame della voluntas legis emergerebbe chiaramente  l'intenzione
 del  legislatore  d'includere  nelle ipotesi fatte salve tutte quelle
 cause  di  cessazione  dal  servizio  degli  impiegati   verificatesi
 indipendentemente dalla volonta' degli stessi. A tale comune sostrato
 potrebbero   richiamarsi   sia  la  previsione  della  morte  (evento
 naturale) che quella del raggiungimento dei limiti di eta'  (naturale
 fluire  del tempo) sia, infine, la previsione di decisioni soggettive
 (quali le dimissioni per motivi di salute) alla realizzazione del cui
 presupposto il dipendente non abbia volontariamente  dato  luogo.  Di
 contro,  la  legge  avrebbe  chiaramente  escluso  dal  godimento dei
 benefici tutti gli impiegati cessati dal servizio per una  di  quelle
 ipotesi  determinate dal volontario concorso del dipendente, come nel
 caso della dispensa per motivi diversi dalla  inabilita'  fisica  (ad
 esempio, per insufficiente rendimento) o nella decadenza dall'impiego
 (per  assenza  ingiustificata  o mancata riassunzione del servizio) o
 nella destituzione (a seguito di procedimento disciplinare).
    Il caso del ricorrente, escluso dai benefici  a  differenza  degli
 altri dipendenti la cui cessazione dall'impiego e' avvenuta per causa
 formalmente  diversa  ma sostanzialmente analoga, verrebbe a palesare
 il contrasto fra la norma (prevista dall'art. 1 del decreto  legge  8
 luglio  1974, n. 261, come modificato dall'art. 1, sesto comma, della
 legge di conversione 14 agosto 1974, n. 355)  e  l'articolo  3  della
 Costituzione, nella parte in cui la prima non prevede, tra le ipotesi
 di  cessazione dal servizio "fatte salve" (in ordine al godimento dei
 benefici), anche quella dell'estinzione del rapporto per soppressione
 del posto di lavoro.
    2. - E' intervenuto nel giudizio il Beni che ha  chiesto,  in  via
 principale,   il   rigetto   della   questione   con   una   sentenza
 interpretativa, sostenitrice dell'estensione analogica, anche al  suo
 caso,  della  disposizione  censurata;  in  subordine,  ha chiesto la
 declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma denunciata.
                        Considerato in diritto
    1. - La Corte dei conti, con  l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,
 dubita,   in   riferimento   all'art.  3  della  Costituzione,  della
 legittimita' costituzionale  dell'articolo  1  del  decreto  legge  8
 luglio 1974, n. 261 (Modificazioni alla legge 24 maggio 1970, n. 336,
 concernente  norme  a  favore  dei  dipendenti  dello  Stato  ed enti
 pubblici, ex combattenti e assimilati), come modificato dall'articolo
 1, sesto comma, della legge di conversione 14 agosto  1974,  n.  355,
 nella  parte  in  cui  non include - tra le ipotesi di cessazione dal
 servizio non pregiudicanti il godimento dei  benefici  stabiliti  per
 gli  ex  combattenti - anche quella della cessazione del rapporto per
 soppressione del posto di lavoro.
    2. - La questione e' fondata.
    La legge 24 maggio 1970, n. 336 (Norme  a  favore  dei  dipendenti
 civili  dello  stato  ed  enti publici, ex combattenti ed assimilati)
 concedeva a tutti i dipendenti civili dello  Stato,  compresi  quelli
 delle  amministrazioni  ed  aziende  con  ordinamento  autonomo,  che
 fossero ex combattenti, partigiani, mutilati ed invalidi  di  guerra,
 vittime  civili  di  guerra,  orfani, vedove di guerra o per causa di
 guerra o profughi per l'applicazione del trattato di pace e categorie
 equiparate, vari benefici inerenti il rapporto d'impiego. Fra questi,
 la  possibilita'  di  "chiedere il collocamento a riposo entro cinque
 anni dalla data di entrata in vigore" della legge previa  concessione
 d'un  aumento di servizio di sette anni (che arrivavano a dieci per i
 mutilati o invalidi di guerra e per le vittime civili).
    Alla iniziale sfera di  soggetti  ex  combattenti  elencati  dalla
 legge  n.  336  del  1970 si aggiunsero quelli "assimilati" a seguito
 della legge 8 luglio 1971, n. 541 (Norme di applicazione della  legge
 24  maggio  1970,  n.  336,  recante benefici a favore dei dipendenti
 pubblici ex combattenti ed assimilati):  gli  ex  deportati,  gli  ex
 perseguitati, sia politici che razziali.
    Per   ovviare  al  massiccio  esodo  dei  pubblici  dipendenti  ex
 combattenti che, numerosi,  avevano  chiesto  di  avvalersi  di  tali
 benefici,  il Governo aveva, successivamente, varato il decreto legge
 8 luglio 1974, n. 261, stabilendo  il  contingentamento  annuale  dei
 pensionamenti  in  scaglioni  non  superiori al venti per cento delle
 richieste  pervenute  a  ciascuna  amministrazione,  contingentamento
 ridotto  ulteriormente, nella misura del dieci per cento, dalla legge
 di conversione. Sia il decreto che la legge  di  conversione  avevano
 stabilito la salvezza dei benefici per coloro che fossero cessati dal
 servizio  "per raggiungimento dei limiti di eta' o dei limiti massimi
 di anzianita' di servizio  di  cui  all'articolo  2  della  legge  15
 febbraio  1958,  n. 46, o per dispensa dal servizio per motivi di sa-
 lute, per decesso dell'impiegato o in  applicazione  della  legge  10
 dicembre 1973, n. 477" (art. 1, comma sesto).
    Quest'ultima ipotesi, in particolare, nel quadro del riordinamento
 degli  organici  dei  corpi militari ed equiparati, concedeva ai soli
 ufficiali dell' Esercito, della Marina, dell' Aeronautica e dei Corpi
 di polizia dello Stato, la salvezza  dei  benefici  combattentistici,
 quand'anche  gli  stessi  ufficiali,  dopo essere stati collocati "in
 aspettativa per riduzione di quadri" e,  non  avendo  raggiunto  allo
 scadere  dei due anni previsti il limite di eta', venissero a cessare
 dal servizio permanente. In tal caso "  ai  fini  della  liquidazione
 della pensione e dell'indennita' di buonuscita" venivano computati in
 loro  favore  "tanti  anni quanti sono gli anni o la frazione di anno
 superiore ai sei mesi intercorrenti tra la  data  di  cessazione  dal
 servizio  permanente  e quella del raggiungimento del limite di eta',
 in aggiunta a  qualsiasi  altro  beneficio  spettante"  (articolo  7,
 quinto comma della legge 10 dicembre 1973, n. 477).
    3.   -   Risulta  dal  detto  quadro  normativo  l'intenzione  del
 legislatore d'includere nelle ipotesi fatte salve tutte quelle  cause
 dell'estinzione    dal    servizio   degli   impiegati   verificatesi
 indipendentemente dalla volonta' degli stessi.
    La  mancata   salvezza   dei   benefici   combattentistici   anche
 all'ipotesi  della  cessazione  anticipata  del  rapporto  d'impiego,
 rispetto  alla  data  dello  scaglionamento  prevista  dalle  singole
 amministrazioni,  per  fine  del periodo (biennale) di disponibilita'
 conseguente alla soppressione di un ufficio o alla  riduzione  di  un
 ruolo  organico, quando l'impiegato non possa essere utilizzato in un
 altro ramo dell'amministrazione, costituisce  una  evidente  anomalia
 per  l'irragionevole  disparita'  di  trattamento  tra  i  dipendenti
 cessati  anticipatamente  dall'impiego  per  le  cause   involontarie
 elencate  dalla  legge  e  quelli cessati per la non prevista ipotesi
 della soppressione del posto.
    A  tale  razionalizzazione  non puo' non pervenirsi che attraverso
 una pronuncia d'illegittimita' costituzionale, come il giudice a  quo
 ha  rettamente  affermato  escludendo  la  possibilita'  di  giungere
 attraverso  un   procedimento   d'interpretazione   analogica,   alla
 soluzione  positiva  del caso offerto dal ricorrente, poiche', quella
 norma avrebbe carattere eccezionale essendo le ipotesi di salvezza da
 essa previste in via tassativa.
    Conforta tale soluzione il fatto  che  il  legislatore  ha  esteso
 l'abbuono  settennale  a fini pensionistici, oltre che per coloro che
 fossero cessati dal servizio per il raggiungimento dei limiti di eta'
 o dei limiti massimi di anzianita' o di servizio o per motivi di  sa-
 lute  (dispensa) o per decesso, pure per il caso della cessazione del
 rapporto per fine  periodo  di  disponibilita',  anche  se  solo  con
 riferimento   ad   alcune   categorie   in   esubero  (gli  ufficiali
 dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica e dei corpi di  polizia
 dello Stato).
    Orbene,  se  l'abbuono  settennale  a  fini pensionistici e' stato
 concesso a tutto l'ampio settore dei lavoratori del comparto pubblico
 non puo' restringersi questa specifica ipotesi di salvezza soltanto a
 coloro i quali, in una particolare circostanza di  riassetto,  venuta
 pressappoco   a   coincidere   temporalmente   con   il  processo  di
 scaglionamento   dei   benefici   combattentistici,    hanno    visto
 disciplinare dal legislatore la fase transitoria tra il vecchio ed il
 nuovo  assetto  degli organici. Seppure prevista da un'apposita legge
 (la n. 477 del 1973), quella disposizione,  formalmente  chiamata  di
 "aspettativa   per   riduzione   di   quadri",   ma   sostanzialmente
 riconducibile  alle   normali   figure   della   disponibilita'   per
 soppressione  del  posto  o  per  riduzione  dell'organico, non e' da
 queste ultime diversa. L'abbuono settennale per gli ex combattenti ed
 assimilati deve, in conclusione, essere assicurato a tutti i pubblici
 dipendenti  anche   nell'ipotesi   di   salvezza   esaminata,   senza
 discriminare  fra  le varie categorie. Una tale distinzione, infatti,
 viene a determinare una ingiustificata disparita' di  trattamento  da
 eliminare  attraverso  la  declaratoria  d'incostituzionalita'  della
 norma  denunciata  nella  parte  in  cui  non  estende  la   salvezza
 dell'abbuono  pensionistico,  assicurata  alle  categorie di cui alla
 legge 10 dicembre 1973, n. 804, anche a tutti  gli  altri  dipendenti
 cui si applica la legge 24 maggio 1970, n. 336.
    In    tal    modo   viene   integralmente   accolta   la   censura
 d'incostituzionalita' sollevata dalla Corte rimettente.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la  illegittimita'  costituzionale  dell'articolo  1  del
 decreto  legge  8  luglio  1974,  n. 261 (Modificazioni alla legge 24
 maggio 1970, n. 336, concernente norme a favore dei dipendenti  dello
 Stato ed enti pubblici, ex combattenti e assimilati), come modificato
 dall'articolo  1,  sesto  comma, della legge di conversione 14 agosto
 1974, n. 355, nella parte in  cui  non  estende  a  tutti  gli  altri
 lavoratori  destinatari  di  quelle  provvidenze,  tra  le ipotesi di
 cessazione dal servizio non pregiudicanti il godimento  dei  benefici
 stabiliti  per  gli  ex  combattenti,  anche  quella della anticipata
 estinzione del rapporto  di  lavoro  per  soppressione  del  posto  o
 riduzione dell'organico.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 2 luglio 1992.
                        Il Presidente: CORASANITI
                         Il redattore: GUIZZI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 15 luglio 1992.
                Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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