N. 418 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 giugno 1992

                                N. 418
      Ordinanza emessa il 12 giugno 1992 dal pretore di Lanciano
   nel procedimento civile vertente tra Iarlori Concetta e I.N.P.S.
 Previdenza e assistenza sociale - Pensioni - Pensioni I.N.P.S. -
    Integrazione  al  minimo  -  Perdita,  dal primo ottobre 1983, del
    diritto all'integrazione al minimo per una delle pensioni nel caso
    di cumulo di  due  pensioni  entrambe  integrate  al  minimo  (con
    conseguente  riduzione  di  tale pensione) - Affermata sussistenza
    (secondo  la  giurisprudenza  della  Cassazione  e  con   sentenza
    interpretativa  di rigetto della Corte costituzionale) del diritto
    alla c.d. cristallizzazione del trattamento non piu' integrabile -
    Esclusione di tale diritto con successiva norma di interpretazione
    autentica   -   Irragionevolezza   con   incidenza   sul   diritto
    all'assicurazione di mezzi adeguati alle esigenze di vita.
 (D.-L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, settimo comma, convertito,
    con  modificazioni,  in  legge  11 novembre 1983, n. 638; d.-l. 20
    maggio 1992, n. 293, art. 4, primo comma).
 (Cost., artt. 3 e 38).
(GU n.36 del 26-8-1992 )
                              IL PRETORE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa  per  controversia
 in  materia  di  previdenza  e  assistenza  obbligatorie promossa con
 domanda depositata  in  data  21  marzo  1991  da  Iarlori  Concetta,
 residente in Pollutri ed elettivamente domiciliata in Lanciano presso
 lo  studio  dell'avv. Sandro Rinaldi che la rappresenta e difende per
 mandato in calce al ricorso,  attrice,  contro  l'Istituto  nazionale
 della  previdenza  sociale (I.N.P.S.), in persona del presidente pro-
 tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Bruno Grappone, Giuliano
 Teti e Gennaro D'Avanzo per procure generali  alle  liti  7  novembre
 1986  e  17  novembre  1987  notar  Franco Lupo di Roma elettivamente
 domiciliato in Chieti presso la sede dell'istituto convenuto.
    Oggetto: integrazione al minimo di pensione di riversibilita'.
                               F A T T O
    Con ricorso depositato  il  21  marzo  1991,  Iarlori  Concetta  -
 premesso  che  l'istante,  titolare  di pensione cat. IR n. 82025721,
 godeva altresi' di pensione cat. SR n. 32010635 dal 1º  aprile  1983;
 che  una  domanda  20 luglio 1988 dell'istante per riconoscimento del
 diritto al trattamento minimo sulla pensione di  riversibilita',  era
 stata  disattesa  dall'I.N.P.S.  di  Chieti;  che eguale esito avveva
 avuto un  successivo  ricorso  che  il  diritto  dell'istante  andava
 affermato tenuto conto della sentenza 29 dicembre 1988, n. 1144 della
 Corte  costituzionale;  - chiedeva al Pretore di Lanciano in funzione
 di  giudice  della  lavoro  che   L'I.N.P.S.   fosse   condannato   a
 corrisponderle   la   pensione  cat.  SR  n.  32010635  integrata  al
 trattamento minimo ai sensi di  legge,  oltre  i  ratei  scaduti,  la
 rivalutazione o gli interessi legali, e le spese di lite di distrarsi
 in favore del procuratore antistatario.
    Il  pretore, con decreto 21 marzo 1991, fissava per la discussione
 l'udienza del 24 maggio 1991.
    Ritualmente instauratosi il contraddittorio, il convenuto deduceva
 che: al caso di specie non  era  applicabile  alcuna  sentenza  della
 Corte costituzionale giacche' la pensione SR, come gia' quella IR del
 coniuge,  era  stata  sempre in pagamento secondo il calcolo del pro-
 rata (cumulo della contribuzione italiana  e  tedesca);  inoltre,  se
 dovuta,  l'integrazione  al  minimo  poteva spettare all'attrice solo
 sino  al  30  settembre  1983,  eccepita  comunque  la   prescrizione
 decennale   dei   ratei   maturati;  non  spettava  la  rivalutazione
 monetaria, attesa  l'incolpevolezza  dell'Istituto  a  fronte  di  un
 diritto escluso da norma successivamente dichiarata illegittima dalla
 Corte  costituzionale;  per  tale  ragione gli interessi erano dovuti
 solo dalla data del ricorso giudiziale (in ogni caso andava  eccepita
 la prescrizione quinquennale).
    Il tutto, con conpensazione delle spese.
    In  prosieguo,  dalle  parti  prodotti  documenti  vari,  si aveva
 discussione orale: all'esito della quale, udite le conclusioni  delle
 parti  medesime,  in  relazione  all'eccezione di incostituzionalita'
 della normativa vigente in punto di cristalilizzazione  pensionistica
 il Pretore ha pronunciato ordinanza.
                             D I R I T T O
    Con   il  ricorso  introduttivo  del  giudizio  Iarlori  Concetta,
 titolare di pensione diretta di vecchiaia a  carico  dell'I.N.P.S.  -
 fondo  speciale  per i coltivatori diretti, mezzadri e coloni, con il
 ricorso  introduttivo  ha  chiesto  riconoscersi   il   suo   diritto
 all'integrazione  al  minimo  di  altra  pensione di cui nel contempo
 fruisce, di riversibilita' a carico dell'I.N.P.S. -  stessa  gestione
 speciale.
    Tale pretesa, al di la' delle implicazioni recate dalle sentenze 5
 maggio  1988,  n.  503,  e  29  dicembre  1988,  n. 1144, della Corte
 costituzionale in riferimento al lasso temporale compreso tra  il  1º
 aprile  1983  ed  il  30 settembre 1983, e' resistita in relazione al
 periodo successivo dal disposto dell'art. 4, primo comma,  del  d.-l.
 20  maggio 1992, n. 293, che cosi' recita: "L'art. 6, quinto, sesto e
 settimo comma, del d.-l. 12 settembre 1983, n.  463,  convertito  con
 modificazioni,  dalla  legge  11 novembre 1983, n. 638, si interpreta
 nel senso che in caso di concorso di due o piu' pensioni integrate al
 trattamento minimo liquidate con decorrenza anteriore  alla  data  di
 entrata  in  vigore  del  predetto decreto, l'importo del trattamento
 minimo vigente a tale data e' conservato se una sola  delle  pensioni
 come individuata con i criteri previsti dal terzo comma, dello stesso
 articolo".
    Occorre  premettere  al  riguardo  che  la  Corte  costituzionale,
 investita con ordinanza 18 marzo 1991 del tribunale di Firenze  circa
 la  questione di legittimita' costituzionale (in relazione agli artt.
 3 e 38 della Costituzione) dell'art. 6, settimo comma, del  d.-l.  n.
 463/1983, convertito con modificazioni in legge n. 638/1983, "laddove
 non  contempla  la  conservazione  dell'importo  erogato alla data di
 cessazione del diritto all'integrazione anche per il caso  di  doppia
 integrazione  al  minimo",  con sentenza 19 novembre 1991, n. 418, ha
 dichiarato non fondata la questione  nei  termini  letterali  di  cui
 appresso.
    "Il  quesito  posto  alla  Corte  e':  se  la norma impugnata, nel
 disporre la cosiddetta "cristallizzazione" della pensione  integrata,
 a seguito della perdita del diritto all'integrazione, per superamento
 del  limite di reddito, regoli anche l'ipotesi del cumulo di pensioni
 integrate e, in caso affermativo, consenta  la  possibilita'  di  una
 cristallizzazione  del  trattamento  non  piu' integrabile dopo il 1º
 ottobre 1983.
    Va innanzi tutto premesso che l'ipotesi del concorso di due o piu'
 pensioni appare nel terzo comma dell'art. 6 legge n. 638/1983, uscito
 indenne dalla verifica di costituzionalita', operata da questa  Corte
 con  sentenza  n.  184/1988.  Anche  allora la disciplina legislativa
 veniva sospettata di vulnerare gli artt. 3 e 38 della Costituzione ma
 la Corte  statui'  che  la  norma  denunciata,  sancendo  una  regola
 generale  in ordine alla scelta della pensione da integrare al minimo
 e  consentendo  la  perequazione  automatica  del   trattamento   non
 integrato,  non  era  da considerarsi illegittima in quanto collocata
 nel divenire di un processo tendente, dal 1º ottobre 1983, a  rendere
 uniforme  l'istituto del trattamento minimo in presenza del cumulo di
 piu' pensioni.
    La osservazione di un graduale processo di razionalizzazione della
 materia, decisiva per il giudizio di  costituzionalita',  impone  una
 lettura  storica  della  norma  oggi  impugnata.  A tal fine acquista
 rilievo dirimente il dies a quo del 1º ottobre 1983 non solo per  gli
 effetti  temporali  della disciplina dettata, ma ai fini della esatta
 individuazione delle fattispecie normate.
    Alla  data  della  legge  n.  638/1983  vigeva  il  divieto  della
 integrazione  al  minimo  di piu' pensioni, cosi' come disposto dagli
 art. 2, secondo comma, della legge n. 1338/1962 e 23 della  legge  n.
 153/1969.
    Successivamente,   con   sentenza   n.   314/1985,   questa  Corte
 dichiarava,  per  incompatibilita'  con  il  principio  generale   di
 eguaglianza,   la   illegittimita'   costituzionale  del  divieto  di
 integrare al minimo le pensioni di riversibilita' concorrenti con  le
 pensioni    dirette,    qualora    fossero    entrambe    a    carico
 dell'assicurazione generale obbligatoria  "limitatamente  al  periodo
 non  considerato dal d.-l. n. 463/1983, come conv. dalla legge n. 638
 del medesimo anno".
    La decisione fu eseguita da una serie  di  statuizioni,  volte  ad
 applicare  alle  svariate  combinazioni  di  trattamenti  la generale
 regola delle illegittimita'  della  preclusione  all'integrazione  di
 piu' pensioni ma sempre entro l'indicato limite temporale.
    E' evidente dunque che non si puo' rintracciare nelle disposizioni
 letterali  dell'art.  6  della  legge  n.  638/1983 la fattispecie, a
 quella data vietata, del cumulo di due pensioni integrate al minimo e
 di conseguenza nel settimo comma l'ipotesi  di  cristallizzazione  di
 una di esse.
    Per  effetto della sopravvenuta sentenza n. 314/1985, il principio
 dell'unica pensione integrata al minimo,  affermato  dal  legislatore
 del  1983, deve intendersi validamente operante solo a partire dal 1º
 ottobre 1983 ma non per il periodo antecedente.
    Ne  consegue  che, successivamente alla data indicata, il titolare
 di due pensioni integrate al minimo conserva su un  solo  trattamento
 il   diritto   all'integrazione,   mentre   per   l'altro  la  misura
 dell'integrazione stessa resta ferma all'importo percepito alla  data
 del  30  settembre  1983  ed  e'  destinata  ad  essere  gradatamente
 sostituita  per  riassorbimento,  in  virtu'  degli  aumenti  che  la
 pensione-base   viene   a   subire  per  effetto  della  perequazione
 automatica.
    Puo'  pertanto  darsi  risposta  affermativa  al   quesito   della
 utilizzabilita'  dell'art.  6, settimo comma, della legge n. 638/1983
 ai fini del decidere il giudizio a  quo,  non  ricorrendo  una  ratio
 decidendi  dissimile  da  quella che gia' condusse questa Corte a non
 riscontrare illegittimita' costituzionale nell'art. 6,  terzo  comma,
 della  stessa  legge con la richiamata sentenza n.  184/1988 e con la
 successiva sentenza n. 503/1988".
    A  seguito  del  pronunciato  della   Corte   costituzionale,   il
 Parlamento,   nell'approvare  la  legge  30  dicembre  1991,  n.  412
 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), ha formulato l'art. 13
 (Norme  di  interpretazione  autentica)   privo   del   primo   comma
 dell'originario  art.  11  del disegno di legge, recante una norma in
 termini letterali identici  a  quelli  della  disposizione  impugnata
 dall'attrice.
    Ad  onta di cio', il Governo della Repubbllica riprodusse la norma
 non introdotta nella legge finanziaria 1991 nell'art. 4, primo comma,
 del d.-l. 21 gennaio 1992, n. 14, quindi  (non  convertito  in  legge
 tale  decreto)  nell'art. 4, primo comma, del d.-l. 20 marzo 1992, n.
 237, ed infine (non convertito neppure il secondo decreto)  nell'art.
 4, primo comma, del d.-l. n. 293/1992.
    Siffatta    disposizione   non   appare   conforme   ai   precetti
 costituzionali posti dagli artt. 3 e 38, secondo comma.
    Per costante giurisprudenza della Corte costituzionale,  onde  una
 norma di legge possa essere qualificata come interpretativa (di altra
 precedente  norma) non hanno valore decisivo ne' la sua intitolazione
 (in quel senso) ne' l'enunciazione letterale della norma stessa: deve
 invece farsi riferimento all'effettivo contenuto della norma.
    Di guisa che una disposizione di legge  non  puo'  definirsi  come
 interpretativa  ove  non  si  limiti  a  meglio  specificare  uno dei
 significati  gia'  (ragionevolmente)  compresi   nella   disposizione
 interpretativa,   ma   introduca  previsioni  chiaramente  innovative
 dell'ordinamento anteriore.
    Meglio, la qualificazione  di  interpretativa  compete  solo  alla
 norma di legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata
 di  quest'ultima  chiarisca  il contenuto ovvero venga a privilegiare
 una sola tra le varie interpretazioni possibili, con  la  conseguenza
 che  la  disciplina  finale di una determinata materia e' il prodotto
 delle due norme successive, le quali rimangono entrambe in  vigore  e
 sono anche idonee ad essere separatamente modificate.
    Allora   che   il   legislatore,   oltrepassando   i   limiti   di
 ragionevolezza,   definisce   (o   comunque   mostra   di   ritenere)
 interpretativa  una  disciplina  che,  invece,  ha natura innovativa,
 viola l'art. 3 della Costituzione.
    Puo' aggiungersi che, al di la' della  materia  penale  (art.  25,
 secondo  comma  della  Costituzione),  la  Carta  fondamentale non fa
 divieto di leggi retroattive,  ma  queste  sono  sempre  soggette  al
 generale  sindacato  di  ragionevolezza,  anche  per  quanto  attiene
 all'effetto retroattivo.
    In   altri   termini,   l'irretroattivita'  costituisce  principio
 generale del nostro ordinamento (art. 11 delle pre-leggi) e, se  pure
 non  elevato,  fuori della materia penale, a dignita' costituzionale,
 rappresenta sempre una regola generale del sistema: a questa  regola,
 salva   un'effettiva   causa  giustificatrice,  il  legislatore  deve
 "ragionevolmente"  attenersi,  giacche'  la  certezza  dei   rapporti
 preteriti  costituisce  un indubbio cardine della civile convivenza e
 della tranquillita'  dei  cittadini  (Corte  costituzionale  3  marzo
 1988),  n.  233;  Corte  costituzionale 25 maggio 1988, n. 283; Corte
 costituzionale 4 aprile 1990, n. 155; Corte costituzionale 31  luglio
 1990, n. 380).
    Ora,  se e' vero, come e' vero (e di cio' ne ha dato atto la Corte
 costituzionale nella ricordata sentenza n. 418/1991),  che  l'art.  6
 della   legge  n.  638/1983  non  contiene,  e  non  puo'  contenere,
 previsione della fattispecie del cumulo di due o piu' pensioni  inte-
 grate  al trattamento minimo (fattispecie vietata per legge alla data
 del 30 settembre 1983, di entrata in vigore del d.-l. n.    438/1983,
 tanto  da  indurre  il  giudice  delle  leggi  a tutta una sequela di
 statuizioni  per   affermare   l'illegittimita'   della   preclusione
 all'integrazione  di  piu'  pensioni sino a quella data), non si vede
 come la normativa successiva (che  qui  ne  occupa)  possa  definirsi
 "interpretativa"   di   alcunche'   letteralmente   sconosciuto  alla
 disposizione "interpretata".
    Il principio di un'unica pensione  da  integrarsi  al  trattamento
 minimo,  affermato  dal  legislatore  del  1983,  e'  operante dal 1º
 ottobre 1983, non pure per il periodo precedente (attesa  la  portata
 delle  sentenze  demolitorie  della  Corte costituzionale in punto di
 integrazione al trattamento minimo e di cumulo pensionistico):  e  lo
 stesso  legislatore  del  1983,  per  materiale difetto dei necessari
 presupposti, non ha posto alcuna norma in tema di concorso di  due  o
 piu'  pensioni  integrate  al minimo alla data del 30 settembre 1983,
 norma   suscettibile   di    possibili,    diverse    significazioni,
 eventualmente   poi   da  risolversi  con  legge  di  interpretazione
 autentica.
    In buona sostanza, il legislatore del 1992 non puo' pretendere  di
 interpretare  (autenticamente)  una  norma  il  cui  tenore  testuale
 prescinde totalmente  da  presupposti  di  fatto  che  si  e'  inteso
 (autenticamente) regolare.
    Dunque,  con  l'art.  4,  primo  comma  del  d.-l.  n. 293/1992 il
 legislatore sotto la (dichiarata) veste di interpretazione  autentica
 di   un  dato  normativo  letterale  ha  in  realta'  introdotto  una
 disciplina nuova: il che  non  e'  "ragionevole"  e  collide  con  il
 precetto di cui all'art. 3 della Costituzione.
    Del  resto,  non  si  vede come possa dirsi sostenuta a criteri di
 rigorosa "ragionevolezza" una disciplina di legge che,  combinata  la
 norma  cosiddetta  di  interpretazione  autentica  (con  tutta la sua
 valenza retroattiva) con quella cosidetta  interpretata,  neppure  si
 pone  questioni  di  diritto  transitorio,  e  quindi comprime sic et
 simpliciter posizioni soggettive del pensionato, sia  pure  acquisite
 sulla  base di sentenze della Corte costituzionale dichiarative della
 parziale  illegittimita'  di   disposizioni   di   legge   escludenti
 l'integrabilita' al minimo di trattamenti pensionistici in situazioni
 di  cumulo  (indiscussa  portata retroattiva di tali pronunciati, con
 operativita' sino al 30 settembre 1983): il giudice  delle  leggi  da
 anni,  reiteratamente,  statuisce  l'immodificabilita' peggiorativa a
 posteriori (salve ipotesi eccezionali) di  trattamenti  pensionistici
 gia'  goduti  od in procinto di esserlo (del che il legislatore e' da
 tempo pienamente conscio, se e' vero che pone norme quali  l'art.  6,
 settimo comma della legge n. 638/1983 in tema di cristallizzazione).
    Il  che  introduce  al disposto dell'art. 38, secondo comma, della
 Costituzione ed alla circostanza che,  secondo  l'insegnamento  della
 Corte  costituzionale,  nel  regime  previgente  al d.-l. n. 463/1983
 l'osservanza di quella norma era assicurata solo  dalla  integrazione
 al  trattamento  minimo  delle  due  o  piu'  pensioni  in  godimento
 dell'avente diritto: la negazione della  "cristallizzazione"  di  cui
 all'art. 6, settimo comma, della legge n. 638/1983, a far data dal 1º
 ottobre  1983,  determinerebbe  il  calo della situazione complessiva
 pensionistica dell'avente diritto al di sotto della soglia minima  di
 sufficienza    garantita   dall'art.   38,   secondo   comma,   della
 Costituzione.
    In  definitiva,  come  del  resto  autorevolmente  asserito  dalla
 giurisprudenza  di  legittimita' (ordinanza 11 febbraio 1992, n. 127,
 in Gazzetta Ufficiale prima serie speciale n. 11 dell'11 marzo  1992,
 pag.  100)  la  Corte  costituzionale  ha  negato  nella  sentenza n.
 418/1991 che vi sia contrasto della disposizione dettata dall'art. 6,
 settimo  comma,  della  legge  n.  638/1983  con   i   parametri   di
 costituzionalita' dati dagli artt. 3 e 38 della Costituzione, solo se
 essa  sia  interpretata  nel  senso  ora  disatteso  dalla  norma  di
 "interpretazione autentica" in discussione.
    La questione di costituzionalita' sin qui enunciata, oltre che non
 manifestamente infondata, e' senz'altro rilevante perche' il presente
 giudizio non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione
 della questione stessa  (la  normativa  censurata  di  illegittimita'
 costituzionale  importerebbe,  con  la  sua  applicazione, il rigetto
 della domanda dell'attrice.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in  riferimento
 agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, la questione di
 illegittimita'  costituzionale,  del  combinato disposto dell'art. 6,
 settimo comma, del d.-l. 12 settembre 1983, n.  463,  convertito  con
 modificazioni in legge 11 novembre 1983, n. 638, e dell'art. 4, primo
 comma, del d.-l. 20 maggio 1992, n. 293;
    Sospende il giudizio in corso;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Dispone che, a cura della cancelleria, la presente  ordinanza  sia
 notificata  al  Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai
 Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Lanciano, addi' 12 giugno 1992
                     Il pretore dirigente: CARABBA
                                             Il segretario: COTELLESSA
 92C0903