N. 379 SENTENZA 9 - 27 luglio 1992

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.
 
 Ordinamento  giudiziario  -  Consiglio superiore della magistratura e
 Ministro di grazia e giustizia - Rifiuto del  Ministro  di  grazia  e
 giustizia  di dare corso, mediante proposta del relativo d.P.R., alla
 nomina del presidente della corte di appello di Palermo nella persona
 del dott. Pasquale  Giardina,  deliberata  dal  C.S.M.  nella  seduta
 dell'11  dicembre 1991 - Difetto di legittimazione del Presidente del
 Consiglio dei Ministri a resistere nel giudizio di  costituzionalita'
 -  Inammissibilita' del conflitto tra poteri dello Stato promossa dal
 C.S.M. nei confronti del Presidente del Consiglio dei Ministri -  Non
 spettanza   al   Ministro   della   giustizia  non  dare  corso  alle
 deliberazioni del C.S.M.  sul  conferimento  degli  uffici  direttivi
 quando,   nonostante   sia   stata   svolta   adeguata  attivita'  di
 concertazione, non si sia  convenuto  in  tempi  ragionevoli  tra  la
 Commissione ed il Ministro sulla proposta da formulare - Spettanza al
 Ministro della giustizia non dare corso alle deliberazioni del C.S.M.
 di  conferimento  degli  uffici  direttivi  quando,  da  parte  della
 Commissione  competente,  sia  mancata   un'adeguata   attivita'   di
 concertazione,  ispirata  al  principio di leale cooperazione ai fini
 della  formulazione  della  proposta  e,  conseguentemente,   essendo
 mancata  nella  specie  la  detta  attivita',  spetta al Ministro non
 proporre al Presidente della Repubblica il  decreto  di  conferimento
 dell'ufficio direttivo di presidente della corte d'appello di Palermo
 relativo  alla delibera del Consiglio superiore della magistratura in
 data 11 dicembre 1991
(GU n.32 del 29-7-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco Paolo
    CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  promosso  con  ricorso  del  Consiglio superiore della
 magistratura notificato  il  14  e  15  maggio  1992,  depositato  in
 Cancelleria  il  25  maggio successivo, per conflitto di attribuzioni
 tra poteri dello Stato  sorto  a  seguito  del  rifiuto  opposto  dal
 Ministro  di  grazia e giustizia di dare corso alla deliberazione del
 Consiglio superiore della  magistratura  in  data  11  dicembre  1991
 relativa  alla  nomina  del  Presidente  della  Corte  di  appello di
 Palermo, nella persona del dott. Pasquale Giardina ed iscritto al  n.
 21 del registro conflitti 1992;
    Visti  gli atti di costituzione del Ministro di grazia e giustizia
 nonche' del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1992 il Giudice relatore
 Antonio Baldassarre;
    Uditi gli avvocati Paolo Barile e Valerio Onida per  il  Consiglio
 superiore  della  magistratura  e  l'Avvocato  Generale  dello  Stato
 Giorgio Azzariti per il Ministro di  grazia  e  giustizia  e  per  il
 Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  Consiglio  superiore della magistratura, in persona del
 Vice-Presidente, a cio' delegato dal Presidente della Repubblica  con
 nota  28 gennaio 1992, ha sollevato, in data 20 marzo 1992, conflitto
 di attribuzioni nei confronti del Ministro di grazia  e  giustizia  e
 del  Presidente  del Consiglio dei ministri, in relazione al rifiuto,
 opposto dal predetto Ministro - e comunicato al  Consiglio  superiore
 dal  Presidente  della Repubblica con lettera del 17 dicembre 1991 -,
 di  dar  corso,  mediante  la  proposta  del  relativo  decreto   del
 Presidente  della  Repubblica, alla nomina del Presidente della Corte
 d'appello di Palermo, nella  persona  del  dott.  Pasquale  Giardina,
 deliberata  dal  Consiglio  superiore  nella  seduta dell'11 dicembre
 1991. Il ricorrente, nel lamentare la lesione delle  attribuzioni  ad
 esso  assicurate  dall'art. 105 della Costituzione, chiede che questa
 Corte dichiari che non spetta al Ministro della giustizia  il  potere
 di   rifiutare   di  dare  corso  alla  deliberazione  del  Consiglio
 superiore, con la quale e' stato conferito l'incarico direttivo sopra
 indicato, avendola egli stesso ritenuta illegittima.
    Nel ricostruire i fatti che hanno  dato  luogo  al  conflitto,  il
 ricorrente ricorda che, iniziato il procedimento per la copertura del
 posto  di Presidente della Corte d'appello di Palermo, la commissione
 per gli incarichi direttivi proponeva, in data  16  luglio  1991,  il
 conferimento  dell'ufficio  al dott.  Pasquale Giardina e, in base al
 testo allora in vigore dell'art. 22, secondo comma,  del  regolamento
 interno,   inviava  la  pratica  al  plenum  per  avere  l'avviso  di
 quest'ultimo prima di procedere al concerto  con  il  Ministro  della
 giustizia.  Dopo che tale avviso e' stato espresso favorevolmente, il
 Ministro, ricevuta la proposta  dalla  commissione  per  il  previsto
 concerto, rispondeva con nota senza data (ma del 30 luglio 1991) che,
 al  fine  di  "garantire  l'interesse pubblico, di cui il Ministro e'
 portatore,  a  che  alla  dirigenza  degli  uffici  giudiziari  siano
 proposti  magistrati idonei ad organizzare ed a dirigere quei servizi
 di  cui  il  Ministro  e'  responsabile  secondo  l'art.  110   della
 Costituzione,  ferma  restando  l'autonomia della decisione finale da
 parte del plenum del Consiglio superiore", era  indotto  a  osservare
 che l'art. 22 del regolamento, allora vigente (peraltro rispondente a
 una   lunga  prassi),  "alterava  in  radice"  il  concerto  previsto
 dall'art. 11, terzo comma, della legge 24 marzo  1958,  n.  195,  dal
 momento che tramutava "il dovere di concorrere alla proposta da parte
 del  Ministro  (  ..)  in  potere o diritto di assenso o di veto". Su
 questa base il  Ministro  concludeva  che  sarebbe  stato  necessario
 "modificare  questa  prassi  e ristabilire la procedura conforme alla
 lettera e allo spirito dell'art. 11 della legge  24  marzo  1958,  n.
 195".  Nello stesso giorno il Vice-Presidente del Consiglio superiore
 replicava al Ministro ricordando che l'art.   22 era  stato  ritenuto
 legittimo   dalla   giurisprudenza   amministrativa   e  annunciando,
 comunque, che  avrebbe  sottoposto  alle  commissioni  competenti  le
 questioni sollevate dal Ministro stesso.
    Con  nota del 5 agosto 1991, continua il ricorrente, il Presidente
 della Repubblica, riferendosi alla lettera del Ministro,  comunicava,
 in  qualita'  di  Presidente  del  Consiglio  superiore,  di ritenere
 necessario che non fossero posti all'ordine del giorno del  Consiglio
 provvedimenti  attinenti  al conferimento di uffici direttivi finche'
 non fossero adottate "procedure che non si prestino a critiche  sotto
 il  profilo del rispetto delle competenze degli organi partecipanti".
 Dopo che il Vice-Presidente del Consiglio superiore aveva comunicato,
 con  nota  del  9  agosto  1991,  di  aver  invitato  la  commissione
 regolamento  a  formulare  con sollecitudine la modifica dell'art. 22
 onde evitare la paralisi nel conferimento degli incarichi  direttivi,
 il  Ministro  della  giustizia,  in  data  18  settembre 1991, faceva
 pervenire  al  Consiglio  superiore  una  lettera,  con   la   quale,
 rendendosi  "interprete delle esigenze e dell'urgenza prospettata(mi)
 di ricoprire al piu' presto taluni importanti uffici direttivi", dava
 il proprio assenso alle proposte gia' formulate dal  Consiglio  sotto
 la  vigenza del vecchio testo dell'art. 22, salvo due (fra cui quella
 in questione), annunciando contemporaneamente che, sino a  quando  la
 relativa procedura non fosse stata "resa conforme alla lettera e allo
 spirito   della  legge  ed  ai  principi  costituzionali",  egli  non
 intendeva "prendere in considerazione  altri  provvedimenti  adottati
 secondo il vigente regolamento perche' in contrasto con la legge".
    Poiche'  tale  atteggiamento,  prosegue  il ricorrente, creava una
 singolare situazione di "blocco" e poiche', ad avviso  del  Consiglio
 superiore,  ogni  eventuale modifica regolamentare non avrebbe potuto
 incidere su procedure o fasi di procedure gia' svoltesi, il plenum si
 faceva carico della situazione  approvando,  dopo  alcune  sedute  di
 discussione,  una  risoluzione.  Con  quest'ultima,  approvata  il  3
 ottobre 1991, il Consiglio superiore,  dopo  aver  ricordato  che  le
 modifiche  regolamentari  non avrebbero potuto in alcun modo incidere
 sul concerto gia' richiesto e dopo aver valutato che la  problematica
 aperta  dal  Ministro  richiedeva  una rapida soluzione, segnalava al
 Ministro "l'esigenza di un sollecito perfezionamento delle  procedure
 gia'  avviate  di  conferimento  degli  uffici  direttivi  secondo il
 regolamento vigente".  Nella stessa data del 3 ottobre  il  Consiglio
 deliberava la modificazione dell'art. 22 del regolamento interno, con
 la quale si stabiliva, per il conferimento degli incarichi direttivi,
 che "la commissione competente, previa apposita deliberazione, indica
 al  Ministro  l'elenco  degli  aspiranti, le proprie valutazioni e le
 conseguenti  motivate  conclusioni, allegando quelle dei dissenzienti
 che lo richiedano e  procede  al  concerto.  All'esito  riferisce  al
 Consiglio che delibera".
    Solo  in data 11 novembre 1991, continua il ricorrente, il Capo di
 gabinetto del Ministro della giustizia comunicava le osservazioni del
 Ministro  stesso,  con  le  quali   quest'ultimo   dissentiva   dalla
 valutazione  del  Consiglio  superiore  sulla proposta di nominare il
 dott. Giardina affermando di preferire a questi il  dott.  Palmeri  e
 concludeva  negando  il concerto alla predetta proposta. Nella seduta
 del 18 novembre 1991, la commissione per il conferimento degli uffici
 direttivi deliberava di inviare la pratica al  plenum  invitandolo  a
 votare  sia sulla propria proposta, sia su quella del Ministro. Nella
 seduta dell'11 dicembre 1991, il Consiglio, dopo  aver  approvato  la
 proposta  di  procedere  alla deliberazione definitiva, votava poi, a
 maggioranza relativa, la proposta della commissione  di  conferimento
 dell'incarico al dott. Giardina.
    Il  17 dicembre 1991 perveniva al Consiglio superiore un messaggio
 del Presidente della Repubblica, al quale era  allegata  una  lettera
 del  14 dicembre 1991 a lui inviata dal Ministro della giustizia, con
 cui questi, affermando di non aver mai negato che la decisione finale
 sulle nomine  spetti  al  Consiglio,  annunciava  di  considerare  la
 delibera  votata dal plenum l'11 dicembre 1991 "irricevibile" perche'
 adottata  illegittimamente  e,  pertanto,  affermava  di  non   poter
 proporre  al  Presidente  della  Repubblica l'emanazione del relativo
 decreto, trattandosi di atto  ministeriale  la  cui  proposta  ricade
 sotto  la  responsabilita'  del Ministro stesso. Infatti, spiegava il
 mittente, il Consiglio superiore non poteva deliberare  su  proposte,
 come quella in questione, rispetto alle quali era mancato il concorso
 della  volonta'  del  Ministro attraverso l'espressione del concerto,
 previsto dall'art. 11 della legge n. 195 del 1958. Dopo attento esame
 della lettera, conclude il ricorrente, il Consiglio superiore,  nella
 seduta del 29 gennaio 1992, decideva di elevare il presente conflitto
 di attribuzioni.
    Venendo  alle  considerazioni  in diritto, il ricorrente, riguardo
 all'ammissibilita' del  conflitto,  osserva  che,  sotto  il  profilo
 oggettivo,  il  rifiuto  del Ministro di dar corso alle deliberazioni
 del Consiglio superiore tocca sicuramente le  attribuzioni  spettanti
 al  Consiglio stesso in base all'art. 105 della Costituzione, mentre,
 sotto  il  profilo  soggettivo,  tanto  il  Consiglio  superiore,  in
 relazione  alle  competenze  ad  esso  conferite  dall'art. 105 della
 Costituzione, quanto il Ministro della giustizia, in  relazione  alle
 competenze direttamente affidategli dall'art. 110 della Costituzione,
 sono gli organi competenti a dichiarare in via definitiva la volonta'
 dei poteri cui appartengono (v. art. 37 della legge n. 87 del 1953).
    Sul merito del conflitto, il ricorrente muove dalla considerazione
 che  l'art.  17  della  legge  n.  195  del  1958  stabilisce  che  i
 provvedimenti  deliberati  dal  Consiglio  superiore  concernenti   i
 magistrati, ivi compresi quelli di nomina agli uffici direttivi, sono
 emanati  con  decreto  del Presidente della Repubblica, controfirmato
 dal Ministro della giustizia, "in conformita' delle deliberazioni del
 Consiglio superiore". Anche se per prassi tale decreto e' emanato  su
 proposta  del  Ministro,  il  significato  di  tale proposta e' stato
 chiarito dalla sentenza n. 44 del 1968 di questa Corte, nel senso che
 va intesa come finalizzata alla mera dichiarazione all'esterno di una
 volonta'  interamente  ed  esclusivamente  formatasi  con la delibera
 consiliare,  vale  a  dire   finalizzata   alla   mera   integrazione
 dell'efficacia  dell'atto.  Pertanto,  come  ha  precisato  la stessa
 sentenza, una volta che il Consiglio superiore abbia  deliberato,  si
 determinano un dovere giuridico, a carico dell'esecutivo, di renderli
 concretamente  operanti mediante l'emanazione di appositi decreti che
 ne adottino integralmente il contenuto e,  nello  stesso  tempo,  una
 pretesa,  da  parte dell'organo deliberante, alla loro adozione. Cio'
 significa, precisa il ricorrente, che  non  si  tratta  di  un  "atto
 governativo",  in  quanto  la potesta' deliberativa e' in questo caso
 attribuita a un organo, il Consiglio superiore, estraneo al  Governo.
 Di  qui  discende,  ad  avviso  del ricorrente, la conseguenza che il
 Ministro non puo' vantare alcun potere di assenso o di partecipazione
 sostanziale al provvedimento, ne'  alcun  sindacato  di  legittimita'
 (spettante  alla Corte dei conti e al giudice amministrativo) o alcun
 controllo,   trattandosi    di    poteri    che    concretizzerebbero
 quell'ingerenza  dell'Esecutivo  che il Costituente ha voluto evitare
 proprio con la previsione del Consiglio superiore. Infatti,  a  parte
 la  richiesta  di  riesame  connessa  al  potere  di  emanazione  del
 Presidente della Repubblica, cio'  che,  tutt'al  piu',  si  potrebbe
 riconoscere al Ministro e' il potere di non dar corso a deliberazioni
 del  Consiglio  superiore  giuridicamente  "inesistenti",  in  quanto
 mancanti di elementi essenziali per  la  loro  formazione.  Ne',  nel
 caso,   sussiste,  ad  avviso  del  ricorrente,  una  menomazione  di
 competenze  costituzionali   del   Ministro,   poiche'   l'intervento
 ministeriale  nell'esercizio  del  potere di proposta non e' previsto
 dalla Costituzione, ma dalla legge ordinaria (art. 11 della legge  n.
 195  del  1958),  e,  se  anche fosse previsto dalla Costituzione, il
 Ministro non potrebbe farsi giustizia da se', ma  potrebbe,  se  mai,
 soltanto  sollevare  conflitto  di  attribuzione presso questa Corte,
 previa  sospensione  del  procedimento  in  corso.  Ne',   tantomeno,
 potrebbe  ammettersi  un sindacato del Ministro sulla conformita' del
 procedimento segui'to rispetto alle norme del regolamento interno del
 Consiglio superiore, poiche' un controllo del genere, se  non  spetta
 al  Consiglio stesso (come pure dovrebbe dirsi trattandosi di interna
 corporis    relativi    a    un    organo    dotato    d'indipendenza
 costituzionalmente    garantita),    deve    considerarsi   riservato
 all'autorita' giurisdizionale.
    Ove, tuttavia, l'art. 17 della  legge  n.  195  del  1958  dovesse
 essere  interpretato  come  diretto  ad  ammettere  un  sindacato  di
 legittimita' del Ministro, tale da autorizzarlo a  rifiutare  di  dar
 corso  alle  deliberazioni del Consiglio superiore che egli ritenesse
 illegittime, il ricorrente prospetta  allora  il  dubbio  che,  cosi'
 interpretato, l'art. 17 sia contrastante con gli artt. 104, 105 e 110
 della  Costituzione,  in  quanto violerebbe palesemente l'autonomia e
 l'indipendenza  che  quegli  articoli   garantiscono   al   Consiglio
 superiore e all'ordine giudiziario.
    2. - In via subordinata all'eventuale non accoglimento della prima
 domanda,  il ricorrente Consiglio superiore della magistratura chiede
 a questa Corte  di  dichiarare  che  non  spetta  al  Ministro  della
 giustizia  il  potere  di  impedire  al  Consiglio stesso, negando il
 proprio positivo concerto alla  proposta  di  nomina,  di  deliberare
 legittimamente  il  conferimento dell'ufficio direttivo di Presidente
 della Corte d'appello di Palermo al dott. Pasquale Giardina.
    Secondo  il ricorrente, la tesi del Ministro della giustizia - per
 la quale l'autonomia della decisione finale del  Consiglio  superiore
 consiste  soltanto  nel decidere positivamente o negativamente su una
 proposta concertata col Ministro stesso, e non gia' nel decidere  sul
 conferimento  dell'incarico  anche  a  un magistrato sul cui nome non
 fosse stato raccolto il positivo concerto del Ministro - si  pone  in
 contrasto   con   l'art.  105  della  Costituzione,  ancorche'  possa
 apparire, a prima vista, giustificata  dalla  formulazione  letterale
 dell'art.  11, terzo comma, della legge n. 195 del 1958. Posto che il
 conferimento  degli  uffici   direttivi   e'   indiscutibilmente   un
 provvedimento  di  status  rientrante  nell'esclusiva  competenza del
 Consiglio ai sensi dell'art. 105 della Costituzione - trattandosi  di
 un  atto  di  "assegnazione"  che comporta il "trasferimento" e assai
 spesso una "promozione" -, non e' possibile attrarlo nella competenza
 ministeriale, per quanto non restrittivamente intesa,  in  ordine  ai
 "servizi  relativi alla giustizia", pur se deve riconoscersi che ogni
 provvedimento    di    status    e'    suscettibile    di    incidere
 sull'organizzazione  degli uffici. Infatti, le funzioni organizzative
 dei capi degli  uffici,  oltre  a  non  essere  esclusive  e  neppure
 preminenti  rispetto  a  quella  giurisdizionale,  sono  in ogni caso
 strettamente connesse con quest'ultima, tanto che, non solo la  legge
 n.  195  prevedeva  originariamente una partecipazione piu' forte del
 Ministro rispetto agli altri provvedimenti di  status,  ma  anche  la
 prassi  applicativa dell'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 del
 1958,  convalidata  dalla  giurisprudenza   amministrativa,   si   e'
 conformata   sui  comportamenti,  poi  codificati  nell'art.  22  del
 regolamento interno contestato dal Ministro della giustizia, in  base
 ai  quali  il  concerto  non  puo'  configurarsi  come  un intervento
 suscettibile di limitare, ne' in positivo ne' in negativo,  la  piena
 autonomia  del Consiglio nel deliberare sul conferimento degli uffici
 direttivi.
    Ove, invece, si volesse intendere il  concerto  ministeriale  come
 condizionante,  se  pure soltanto in senso negativo, la deliberazione
 finale del Consiglio, allora, afferma il ricorrente, non possono  non
 condividersi  i  dubbi,  avanzati da piu' parti in dottrina, circa la
 conformita' a Costituzione dell'art. 11, terzo comma, della legge  n.
 195  del  1958,  sulla  base  delle  stesse ragioni che hanno indotto
 questa Corte a dichiarare l'incostituzionalita' del comma  primo  del
 medesimo   articolo.   Infatti,   nel  caso  che  si  accogliesse  la
 interpretazione  formulata  dal  Ministro,  il  Consiglio   superiore
 potrebbe  essere  impedito  dallo  scegliere  il  magistrato che egli
 stesso, ma non il Ministro, reputasse come il piu' adatto a ricoprire
 l'ufficio (come nella specie e' accaduto per il  dott.  Giardina)  e,
 nel  medesimo  tempo, si riconoscerebbe al Ministro un vero potere di
 assenso o di veto rispetto alla nomina medesima, se non, addirittura,
 un potere sostanziale di scelta. In tal modo appare palese la lesione
 della piena  spettanza  al  Consiglio  superiore  della  potesta'  di
 conferire  gli  uffici  direttivi, ad esso garantita dagli artt. 104,
 105 e 110 della Costituzione, di modo  che  sarebbe  inevitabile  che
 questa  Corte  sollevasse  di  fronte  a  se  stessa  la questione di
 costituzionalita' del citato art. 11, terzo comma, nella parte in cui
 condiziona la deliberazione consiliare di  conferimento  dell'ufficio
 direttivo  al previo positivo concerto del Ministro sul nome proposto
 e prescelto.
    3.  -  Il  ricorso  per  il  conflitto  di  attribuzioni in esame,
 depositato presso questa Corte il 20 marzo 1992, e' stato  dichiarato
 ammissibile,  in  via  meramente  delibatoria, con l'ordinanza del 15
 aprile 1992,  n.  184,  ed  e'  stato  poi  notificato,  nel  termine
 assegnato,  al  Ministro  di  grazia  e giustizia e al Presidente del
 Consiglio dei ministri.
    4. - Si sono  costituiti  in  giudizio,  con  un  unico  atto,  il
 Ministro    di   grazia   e   giustizia,   rappresentato   e   difeso
 dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  nonche'  il  Presidente  del
 Consiglio dei ministri, anch'esso rappresentato e difeso dalla stessa
 Avvocatura.  In  relazione  a  quest'ultimo,  l'Avvocatura afferma di
 costituirsi sulla base della delibera del Consiglio dei ministri  del
 26 maggio 1992.
    L'Avvocatura  dello  Stato,  senza contestare l'ammissibilita' del
 conflitto di attribuzione, chiede il rigetto  del  relativo  ricorso,
 adducendo, come argomento principale, che il Ministro della giustizia
 ha  il  dovere  giuridico di dare seguito alle delibere del Consiglio
 superiore della magistratura soltanto ove queste siano legittime.
    Tale controllo ministeriale di legittimita', secondo i resistenti,
 trova  la  sua  giustificazione  sia  nei  poteri  di  vigilanza  del
 Ministro,  che il Costituente ha voluto conservare all'Esecutivo, sia
 nella  configurazione  della  controfirma  ministeriale  al   decreto
 presidenziale    come    istituto   diretto   a   contrassegnare   la
 partecipazione  effettiva  e  primaria  del  Ministro  all'emanazione
 dell'atto.  Quest'ultimo, inoltre, pur se e' vincolato nel contenuto,
 e' in ogni caso manifestazione della volonta' di statuire  la  nomina
 di  funzionari  dello  Stato  (artt.  87,  settimo  comma, e 89 della
 Costituzione). In  altre  parole,  ad  avviso  dell'Avvocatura  dello
 Stato,  il  Ministro  di  grazia  e  giustizia  e il Presidente della
 Repubblica partecipano  alla  formazione  degli  atti  del  Consiglio
 superiore  del  tipo  di quello in esame, non come semplici portavoce
 dell'organo deliberativo,  ma,  entrambi,  come  organi  diversi  dal
 Consiglio    stesso,   investiti   di   un   loro   specifico   ruolo
 costituzionale. E, poiche' l'eventuale illegittimita' degli atti  del
 Consiglio  si  ripercuote  sull'atto  finale  (decreto del Presidente
 della Repubblica), per il quale  la  legge  richiede  la  controfirma
 ministeriale,  da  cio'  deriva,  per  l'Avvocatura  dello  Stato, il
 potere-dovere del Ministro di astenersi dall'emanare un atto ritenuto
 illegittimo. Tanto piu' cio' vale quando la  illegittimita'  rilevata
 consiste   nel  mancato  esercizio  di  un  dovere  ministeriale  non
 rinunciabile, come quello di partecipare con  il  suo  concerto  alla
 formazione della proposta di conferimento di un ufficio direttivo.
    Sulla  questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  17,
 proposta in via subordinata dal ricorrente, l'Avvocatura dello Stato,
 pur  riconoscendone  la  rilevanza,   la   considera   manifestamente
 infondata,  poiche',  a suo avviso, e' stata gia' proposta e respinta
 da questa Corte con  la  sentenza  n.  168  del  1963,  richiamata  e
 confermata sul punto anche dalla sentenza n. 44 del 1968.
    Con  riferimento  alla  legittimita'  della delibera del Consiglio
 superiore  di  conferimento  dell'ufficio  direttivo  in   questione,
 l'Avvocatura  dello  Stato  ritiene che l'art. 11, terzo comma, della
 legge n. 195 del 1958 possa essere interpretato solo nel senso che il
 conferimento degli uffici direttivi da  parte  del  Consiglio  stesso
 richiede   una  proposta  concertata  tra  Commissione  competente  e
 Ministro di grazia e giustizia, in mancanza della quale il plenum non
 puo'  conferire  uffici  direttivi.  La conseguente limitazione delle
 attribuzioni del Consiglio previste dall'art. 105 della  Costituzione
 trova  la  propria  giustificazione nell'art. 110 della Costituzione,
 dal momento che il conferimento di un  ufficio  direttivo,  anche  se
 contestuale   all'assegnazione   di   un   ufficio   con  conseguente
 trasferimento e possibile promozione, conterrebbe qualcosa  di  piu':
 la  preposizione ad un ufficio giudiziario la cui organizzazione e il
 cui  funzionamento  sono  affidati   dal   citato   art.   110   alla
 responsabilita'   esclusiva  del  Ministro  di  grazia  e  giustizia.
 Infatti,  secondo  i  resistenti,  nel  conferimento  di  un  ufficio
 direttivo   confluiscono   due  valutazioni  distinte:  quella  sulla
 idoneita' all'esercizio delle  funzioni  giurisdizionali,  valutabile
 esclusivamente  dal  Consiglio  superiore,  e quella sulle attitudini
 all'esercizio delle funzioni amministrative di direzione dell'ufficio
 giudiziario,  valutabile  solo  dal  Ministro.  Il   rispetto   delle
 competenze  a  ciascuno  attribuite  richiederebbe necessariamente un
 rapporto  di  collaborazione  fra  commissione  e  Ministro,  che  si
 esprimerebbe,  appunto, nel concerto, definito come forma limitata di
 partecipazione da parte del Ministro  alla  scelta  dei  responsabili
 degli uffici direttivi.
    Ne', secondo l'Avvocatura generale dello Stato, varrebbe obiettare
 che, cosi' interpretando la necessita' di una proposta concertata, si
 consentirebbe  al Ministro di far nominare il candidato a se' gradito
 attraverso il semplice rifiuto  di  ogni  diversa  proposta,  poiche'
 l'ipotesi   del  ripetuto  diniego  sarebbe  un'ipotesi  astratta  e,
 comunque, esercitabile anche in danno del Ministro. Da cio', continua
 l'Avvocatura  dello  Stato,  consegue  che  anche  la  questione   di
 legittimita' costituzionale dell'art. 11, terzo comma, della legge n.
 195  del  1958 sarebbe manifestamente infondata, giacche' il concerto
 appare giustificato dalla necessita' della "leale collaborazione" tra
 Consiglio superiore e Ministro della giustizia nell'esercizio di  una
 competenza,  il  conferimento degli uffici direttivi, incidente sulle
 sfere di attribuzione di entrambi.
    5. - In una breve memoria depositata in prossimita'  dell'udienza,
 il Consiglio superiore della magistratura ha replicato agli argomenti
 svolti dall'Avvocatura generale dello Stato.
    Sul  contestato  "potere di blocco" esercitato dal Ministro per la
 giustizia, il ricorrente osserva che la giustificazione offerta dalla
 controparte poggia su una  ricostruzione  del  procedimento  relativo
 agli  atti  di  nomina  degli uffici direttivi configurante l'atto di
 nomina come "atto governativo" (nomina di funzionari dello  Stato  in
 base   all'art.   87   della  Costituzione),  rispetto  al  quale  la
 deliberazione conforme del Consiglio superiore si  atteggerebbe  come
 mero  atto  presupposto,  sia  pure  vincolante nel contenuto. Questa
 ricostruzione, ad avviso del ricorrente, e' in puntuale contrasto con
 quanto affermato da questa Corte  nella  sentenza  n.  44  del  1968,
 secondo  la  quale  le  nomine  sono  un'esclusiva  attribuzione  del
 Consiglio superiore e rispetto ad esse la proposta e l'emanazione con
 decreto presidenziale sono soltanto attivita' dovute e vincolate. Del
 resto, se cosi' non fosse, continua il  ricorrente,  la  delibera  di
 nomina  del  Consiglio  superiore  sarebbe  nient'altro che un parere
 vincolante, e non gia' un esercizio del potere di provvedere.
    Quanto,  poi, alla pretesa assurdita' di un dovere del Ministro di
 dar corso ad un atto del Consiglio superiore da lui  ritenuto  lesivo
 di  proprie  competenze,  il  ricorrente  ribadisce  che  nel caso il
 Ministro  ha,  in  realta',  il  potere  di  sollevare  conflitto  di
 attribuzione,   accompagnato   dalla   sospensione   del   corso  del
 provvedimento in attesa della pronuncia della Corte.
    Con riferimento al concerto previsto dall'art.  11,  terzo  comma,
 della   legge   n.  195  del  1958,  il  ricorrente  osserva  che  la
 collaborazione fra Consiglio superiore e Ministro  per  la  giustizia
 nella  nomina  agli  uffici  direttivi puo' essere compatibile con la
 esclusiva attribuzione e con l'indipendenza  dello  stesso  Consiglio
 solo  in  quanto si esplichi attraverso forme che non condizionino in
 assoluto la potesta' deliberativa del Consiglio. Sarebbero, pertanto,
 legittimi i suggerimenti, le osservazioni, le richieste, i pareri non
 vincolanti, ma non la pretesa di un  "condominio"  nella  scelta  dei
 titolari degli uffici direttivi.
    Quanto,  infine,  alla  "leale cooperazione", mutuata dai rapporti
 fra Stato e regioni, il  ricorrente  osserva  che  le  relazioni  fra
 centro  e  periferia  non  sono  in  larga  parte  caratterizzate  da
 separazione  di  competenze,  come  e'  nel  caso  dei  rapporti  fra
 Consiglio  superiore  e Ministro per la giustizia, sicche' non appare
 giustificata un'estensione di quel principio alle relazioni in esame.
 In ogni caso, conclude il ricorrente, anche a proposito delle  intese
 fra  Stato  e  regioni  la Corte ha recentemente dato a tali atti una
 configurazione, nelle ipotesi di c.d. intesa debole, che  esclude  il
 potere di blocco di chi compartecipa agli stessi.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Con  il ricorso indicato in epigrafe il Consiglio superiore
 della magistratura ha elevato conflitto di attribuzioni nei confronti
 del Ministro di grazia e giustizia e del Presidente del Consiglio dei
 ministri in relazione al rifiuto opposto  dal  predetto  Ministro  di
 dare  corso, mediante la proposta del relativo decreto del Presidente
 della Repubblica, alla nomina del Presidente della Corte  di  appello
 di   Palermo   deliberata  dallo  stesso  Consiglio  superiore  della
 magistratura in data 11 dicembre 1991.
    Il ricorrente, nel lamentare la menomazione delle attribuzioni  ad
 esso  garantite  dagli  artt. 105, 106, 107 e 110 della Costituzione,
 domanda a questa Corte di dichiarare che non spetta  al  Ministro  di
 grazia  e  giustizia  il  potere  di  rifiutare  di  dare  corso alle
 deliberazioni che egli ritenga illegittime e, ove questa possibilita'
 dovesse essere ritenuta inerente al potere di  proposta  del  decreto
 presidenziale  disciplinato dall'art. 17, primo comma, della legge 24
 marzo 1958, n. 195, domanda che la Corte medesima sollevi di fronte a
 se stessa questione di legittimita' costituzionale del citato art. 17
 per violazione degli artt. 104, 105 e 110 della Costituzione.
    In via subordinata,  il  Consiglio  superiore  della  magistratura
 chiede che questa Corte dichiari che non spetta al Ministro di grazia
 e  giustizia  il potere di impedire allo stesso Consiglio, negando il
 proprio positivo concerto alla  proposta  di  nomina,  di  deliberare
 legittimamente  il  conferimento dell'ufficio direttivo di Presidente
 della Corte di  appello  di  Palermo.  Anche  in  tal  caso,  ove  la
 prestazione del positivo concerto da parte del Ministro rispetto alla
 proposta della Commissione per gli incarichi direttivi dovesse essere
 ritenuta  condizionante  la  formazione  della  proposta  stessa,  il
 ricorrente chiede che questa Corte sollevi  di  fronte  a  se  stessa
 questione  di  legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt.
 104, 105 e 110 della Costituzione, dell'art. 11, terzo  comma,  della
 legge n. 195 del 1958, nella parte in cui, prevedendo il concerto del
 Ministro  sulla  proposta  di  conferimento  dell'ufficio  direttivo,
 impedisce al Consiglio superiore  della  magistratura  di  deliberare
 tale conferimento a favore del candidato da esso ritenuto piu' idoneo
 anche  in assenza del positivo concerto del Ministro o in presenza di
 un diniego di concerto del  Ministro  sul  nominativo  del  candidato
 medesimo.
    2.   -   Occorre,   innanzitutto,  verificare  in  via  definitiva
 l'ammissibilita' del conflitto  di  attribuzione  in  questione,  che
 questa  Corte  ha  gia'  dichiarato,  in  linea  di  prima e sommaria
 delibazione, con l'ordinanza n. 184 del 1992.
    Sotto il  profilo  oggettivo  non  v'e'  dubbio  che  ricorrono  i
 requisiti  previsti  dall'art.  37  della  legge 11 marzo 1953, n. 87
 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte),  in  base
 al  quale  sono  risolti dalla Corte costituzionale i conflitti tra i
 poteri dello Stato insorti  "per  la  delimitazione  della  sfera  di
 attribuzioni  determinata per i vari poteri da norme costituzionali".
 Nel caso, infatti, vengono in questione competenze - come quelle rel-
 ative alla proposta ministeriale del decreto  presidenziale  che  da'
 forma  alle  deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura
 di conferimento degli incarichi  direttivi  e  quelle  relative  alla
 formulazione,  "di  concerto"  con il Ministro della giustizia, della
 proposta di  conferimento  dei  predetti  incarichi  da  parte  della
 commissione competente del Consiglio stesso - le quali si riferiscono
 alle  attribuzioni  del  Ministro  della  giustizia  (art.  110 della
 Costituzione) in relazione a quelle spettanti al Consiglio  superiore
 della magistratura (art. 105 della Costituzione).
    Eguale valutazione deve darsi sotto il profilo soggettivo, poiche'
 non  v'e'  dubbio  che  il  Consiglio superiore della magistratura e'
 l'organo direttamente investito delle funzioni previste dall'art. 105
 della  Costituzione  e  il  solo  competente  a  esercitarle  in  via
 definitiva  e  in  posizione  di  indipendenza  da altri poteri dello
 Stato, ai sensi dell'art. 37, primo comma,  della  legge  n.  87  del
 1953.  Allo  stesso  modo,  il  Ministro  della giustizia deve essere
 considerato legittimato a resistere nel presente conflitto, sempre in
 base  al  ricordato  art.  37,  essendo  il  diretto  titolare  delle
 competenze  determinate  dall'art.  110 della Costituzione, afferenti
 all'organizzazione e  al  funzionamento  dei  servizi  relativi  alla
 giustizia,  il cui esercizio e' assunto in questo giudizio come causa
 di menomazione delle competenze in ordine allo status dei  magistrati
 attribuite al ricorrente dall'art. 105 della Costituzione.
    Non  legittimato  a resistere nel presente giudizio e', invece, il
 Presidente del Consiglio dei ministri - il cui intervento pertanto va
 dichiarato  inammissibile  -  dal  momento  che  le  attribuzioni  in
 contestazione  sono  esclusivamente  affidate  dalla  Costituzione al
 Ministro della giustizia (art. 110 della Costituzione) sulla base  di
 una ripartizione di competenze che non puo' considerarsi alterata dal
 potere  di  sospensione  degli  atti ministeriali e di sottoposizione
 delle relative questioni al Consiglio dei ministri, che gli artt.  5,
 secondo  comma, lettera c), e 2, terzo comma, lettera q), della legge
 23 agosto 1988, n. 400, riconoscono al Presidente del  Consiglio  dei
 ministri.
    3.  -  Il  conflitto di attribuzione in esame e' insorto a seguito
 della comunicazione del  Presidente  della  Repubblica  al  Consiglio
 superiore  della  magistratura,  inviata  il 17 dicembre 1991, con la
 quale si riferiva che il Ministro di grazia e giustizia, con  lettera
 del 14 dicembre 1991, aveva portato a conoscenza del Capo dello Stato
 che   egli   non   intendeva   proporre   l'emanazione   del  decreto
 presidenziale relativo alla  deliberazione  del  predetto  Consiglio,
 adottata   nella   seduta   dell'11  dicembre  1991,  concernente  il
 conferimento dell'incarico direttivo di  Presidente  della  Corte  di
 appello  di  Palermo. Con la stessa comunicazione si precisava che la
 determinazione del Ministro dipendeva dal  fatto  che  egli  riteneva
 invalida  la  deliberazione  adottata  dal  Consiglio superiore della
 magistratura,  dal  momento  che  quest'ultimo  aveva  deliberato  in
 violazione dell'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 del 1958, il
 quale,  in  attuazione del precetto costituzionale che attribuisce al
 Ministro della giustizia la responsabilita' dell'organizzazione e del
 funzionamento dei servizi relativi alla  giustizia,  dispone  che  il
 conferimento  degli  uffici  direttivi venga deliberato dal Consiglio
 superiore su  proposta  della  competente  commissione  formulata  di
 concerto con il Ministro. E nel caso, aveva rilevato quest'ultimo, il
 Consiglio  aveva deliberato su una proposta sulla quale non era stato
 raggiunto il prescritto concerto tra la  commissione  e  il  Ministro
 stesso.
    Il  ricorrente  Consiglio superiore afferma che l'espresso rifiuto
 del Ministro della giustizia di dar corso  al  procedimento  previsto
 dall'art.  17  della  legge  n.  195  del 1958 in sede di proposta di
 emanazione con decreto presidenziale delle deliberazioni dello stesso
 Consiglio appare lesivo delle competenze  ad  esso  attribuite  dagli
 artt.  105,  106, 107 e 110 della Costituzione, i quali attribuiscono
 all'esclusiva competenza del Consiglio superiore  della  magistratura
 tutti  i provvedimenti di stato comunque riguardanti i magistrati. In
 base a tale attribuzione di competenza, prosegue il  ricorrente,  una
 volta  che  il  Consiglio abbia deliberato, sorge in capo al Ministro
 della giustizia un dovere giuridico di proporre  l'emanazione  di  un
 decreto  presidenziale  volto  ad adottare integralmente il contenuto
 della relativa deliberazione, dal momento  che,  non  trattandosi  di
 atti  sostanzialmente  governativi,  non  si  potrebbe riconoscere al
 Ministro ne' un potere di assenso o di compartecipazione  decisionale
 al  provvedimento,  ne'  un potere di controllo sulla conformita' del
 procedimento seguito rispetto alle norme di legge che lo regolano.
    4. - L'art. 17 della legge 24 marzo  1958,  n.  195  (Norme  sulla
 costituzione  e  sul  funzionamento  del  Consiglio  superiore  della
 magistratura), dispone  che  "tutti  i  provvedimenti  riguardanti  i
 magistrati  sono  adottati,  in  conformita'  delle deliberazioni del
 Consiglio superiore, con  decreto  del  Presidente  della  Repubblica
 controfirmato  dal  Ministro  ovvero, nei casi stabiliti dalla legge,
 con decreto del Ministro per la grazia e giustizia". Nel valutare  la
 legittimita'  costituzionale di tale disposizione - che, per la parte
 qui interessante, e'  stata  successivamente  confermata,  anche  con
 esplicito  riferimento  al  conferimento  degli  incarichi direttivi,
 dall'art. 1, primo comma, lettera f), della legge 12 gennaio 1991, n.
 13, - questa Corte, dopo aver  premesso  che  l'attribuzione  in  via
 esclusiva  al  Consiglio  superiore  di tutti i poteri in ordine allo
 status dei magistrati costituisce una  garanzia  dell'indipendenza  e
 dell'autonomia  della  magistratura,  pur  se  non comporta una forma
 piena di autogoverno sulla stessa (v. spec. sentt. nn. 168 del  1963,
 44  del  1968,  4  del  1986),  ha  affermato che non rappresenta una
 lesione  dell'art.  105  della  Costituzione  la  previsione  che  le
 deliberazioni  del  Consiglio  superiore  debbano  avere la forma del
 decreto presidenziale (o di quello  ministeriale),  dal  momento  che
 tale  veste, oltre ad essere conforme alla natura effettiva dell'atto
 da adottare e a permettere che su questo  si  svolgano  gli  ordinari
 controlli   finanziari  e  di  legittimita'  previsti  per  gli  atti
 amministrativi, non  implica  alcuna  limitazione  dell'autonomia  di
 determinazione  costituzionalmente  garantita  al Consiglio superiore
 (v. spec. sentt. nn. 168 del 1963 e 44 del 1968).
    Il ricordato art. 17, infatti, precisa espressamente che i decreti
 del Presidente  della  Repubblica  ivi  previsti  sono  adottati  "in
 conformita'  delle  deliberazioni  del Consiglio superiore", con cio'
 imponendo al Ministro della giustizia, in  sede  di  proposta,  e  al
 Presidente  della  Repubblica,  in  sede di emanazione, un vincolo di
 legittimita'  consistente  nel  dovere  di   conferire   al   decreto
 presidenziale  un  contenuto  decisionale  identico a quello adottato
 dalla correlativa deliberazione del Consiglio superiore.
    Dallo stesso art. 17, tuttavia, deriva un  vincolo  in  ordine  al
 potere del Ministro della giustizia di inoltrare la predetta proposta
 al  Presidente della Repubblica per l'emanazione del relativo decreto
 (sul quale v. gia' la sentenza n. 44 del 1968 di questa  Corte),  che
 corrisponde  ai principi sul procedimento, in base ai quali, quando a
 quest'ultimo partecipano piu' organi o piu' soggetti pubblici, questi
 hanno il  dovere  giuridico  di  cooperare  lealmente  in  vista  del
 raggiungimento   del   risultato  cui  il  procedimento  medesimo  e'
 costituzionalmente o legislativamente finalizzato.
    Quando l'organo o il soggetto che deve dar corso  al  procedimento
 non  e'  investito di particolari poteri di rinvio o di riesame, come
 nel caso del Ministro della giustizia in sede di  proposta  ai  sensi
 dell'art.  17 della legge n. 195 del 1958, ricade su di lui il dovere
 di adottare l'atto  di  propria  competenza,  cioe'  la  proposta  di
 decreto  presidenziale, a meno che il sub-procedimento costituente la
 fase dell'iniziativa  e  quella  della  deliberazione  manchi  di  un
 elemento   essenziale,   necessario   per  il  perfezionamento  della
 fattispecie procedimentale o del suo atto conclusivo.
    5. - Sulla base dell'art. 11, terzo comma, della legge n. 195  del
 1958,   che   contiene   la   disciplina   legislativa   della   fase
 dell'iniziativa   presso   il   Consiglio   superiore   riguardo   al
 conferimento  degli  incarichi  direttivi,  il  concerto del Ministro
 della giustizia  sulla  proposta  della  commissione  ivi  menzionata
 costituisce  un  elemento essenziale del procedimento. Tale articolo,
 infatti, dispone che "sul conferimento degli uffici direttivi  (  ..)
 il Consiglio delibera su proposta, formulata di concerto col Ministro
 per la grazia e giustizia, di una commissione formata da sei dei suoi
 componenti,  di  cui  quattro  eletti dai magistrati e due eletti dal
 Parlamento".
    Salvo a precisare nei punti  seguenti  che  cosa  si  intenda  per
 concerto  nella  disposizione  ora citata e salvo ad accertare se nel
 caso contestato il concerto si sia concretamente realizzato, al  fine
 di  verificare  se il Ministro della giustizia si trovava di fronte a
 un'ipotesi di mancanza di un elemento necessario  per  il  compimento
 del  procedimento  di  formazione  della  deliberazione del Consiglio
 superiore,  che  lo  legittimava  a  sospendere  direttamente  l'iter
 procedimentale,  occorre  sottolineare  che nel caso lo strumento del
 concerto  costituisce  la  modalita'  con  cui  il   legislatore   ha
 configurato  il  dovere  di  collaborazione,  che  questa  Corte  (v.
 sentenza  n.  168  del  1963)  ha  gia'  individuato  come  punto  di
 equilibrio  interpretativo  fra  la  disposizione  costituzionale che
 attribuisce  al  Consiglio  superiore  l'esclusiva   competenza   sui
 provvedimenti  concernenti  lo  status  dei  magistrati  (art. 105) e
 quella che affida al  Ministro  della  giustizia  la  responsabilita'
 dell'organizzazione  e  del  funzionamento  dei servizi relativi alla
 giustizia (art. 110).
    Le garanzie costituzionali predisposte per la tutela dello  status
 d'indipendenza dei magistrati e dell'ordine giudiziario ricomprendono
 nel  proprio ambito di applicazione - come e' stato gia' affermato da
 questa Corte (v. sentenza n. 72 del  1991)  -  anche  la  nomina  dei
 magistrati negli uffici direttivi. E, invero, il conferimento di tali
 uffici,  non  soltanto  incide  sullo  status dei magistrati, poiche'
 concorre a connotare la loro posizione  nell'ambito  dell'ordinamento
 giudiziario   attraverso   la   titolarita'   di   poteri   specifici
 concernenti, fra l'altro, le proposte di  formazione  delle  tabelle,
 l'assegnazione  degli  affari e, in genere, la "amministrazione della
 giurisdizione",   ma   comporta   altresi'   una   connessione    con
 l'assegnazione  delle funzioni e il trasferimento dei giudici, che, a
 norma dell'art. 105 della Costituzione, spettano in via esclusiva  al
 Consiglio superiore della magistratura.
    Cio' non toglie, tuttavia, che nell'attuale assetto ordinamentale,
 la     direzione    degli    uffici    giudiziari    attenga    anche
 all'amministrazione dei servizi giudiziari, amministrazione che, come
 questa Corte ha gia' precisato (v. sentt. nn. 168 del 1963 e 142  del
 1973),  non concerne semplicemente i mezzi (locali, arredi, personale
 ausiliario,  etc.)   necessari   per   l'esercizio   delle   funzioni
 giudiziarie,  ma riguarda altresi' "sia l'organizzazione degli uffici
 nella loro efficienza numerica, con l'assegnazione dei magistrati  in
 base  alle  piante  organiche,  sia  il funzionamento dei medesimi in
 relazione all'attivita' e al comportamento dei magistrati che vi sono
 addetti".  In  considerazione  di  questo  suo  oggetto  specifico  e
 dell'indubbia  incidenza  oggettivamente  esercitata sullo status dei
 magistrati, il conferimento  degli  uffici  direttivi  attraverso  la
 deliberazione  del  Consiglio superiore su proposta della commissione
 competente, formulata a seguito  della  partecipazione  del  Ministro
 della  giustizia,  rappresenta un bilanciamento non irragionevole dei
 valori  costituzionali  contenuti  negli  artt.  105  e   110   della
 Costituzione  e,  in  particolare,  del principio affermato da questa
 Corte (v. sent. n. 168 del 1963), secondo il  quale,  se  l'autonomia
 della  magistratura  esclude  ogni intervento determinante del potere
 esecutivo nelle deliberazioni concernenti lo status  dei  magistrati,
 non   impedisce,   tuttavia,   che   tra  Consiglio  superiore  della
 magistratura  e  Ministro  della  giustizia,   nel   rispetto   delle
 competenze   a   ciascuno   attribuite,   sussista   un  rapporto  di
 collaborazione.
    Tutto cio' comporta che il concerto previsto dall'art.  11,  terzo
 comma,  della  legge  n.  195  del  1958  non costituisce soltanto un
 elemento essenziale del procedimento,  legislativamente  determinato,
 circa  il  conferimento  degli uffici direttivi, ma rappresenta anche
 una  congrua  soluzione  procedimentale  prescelta dal legislatore in
 attuazione della funzione assegnata dall'art. 110 della  Costituzione
 al   Ministro   della  giustizia  relativa  all'organizzazione  e  al
 funzionamento dei servizi giudiziari.
    6. - Il conflitto di attribuzioni in esame  e'  dovuto,  in  larga
 misura, al diverso significato che le parti assegnano alla nozione di
 concerto contenuta nel ricordato art. 11, terzo comma, della legge n.
 195 del 1958.
    Sebbene   non   si  possa  dubitare  che  consista  in  un  modulo
 procedimentale volto al coordinamento di una pluralita' di interessi,
 spesso eterogenei e imputabili ad autorita' distinte, il concerto da'
 luogo nel diritto pubblico a una molteplicita' di figure  alla  quale
 e'  in  ogni  caso  estranea  la  connotazione del parere. Allo stato
 attuale della legislazione deve pertanto escludersi  che  l'art.  11,
 terzo  comma,  possa  essere  interpretato  nel  senso  di  riferirsi
 semplicemente a un  parere  non  vincolante  che  il  Ministro  della
 giustizia deve esprimere nei confronti della proposta formulata dalla
 commissione per il conferimento degli incarichi direttivi.
    D'altra  parte,  la nozione di concerto cui si riferisce l'art. 11
 non si identifica neppure con quella di accordo. A questa conclusione
 si perviene attraverso un'interpretazione adeguatrice  dell'art.  11,
 terzo comma, della legge n. 195 del 1958.
    Infatti, poiche' questa Corte ha piu' volte escluso la conformita'
 a  Costituzione  di interventi ministeriali di carattere determinante
 sulle decisioni di competenza del Consiglio superiore (v. sentt.  nn.
 168  del  1963, 44 del 1968 e 12 del 1971), occorre verificare, prima
 di dar  corpo  a  un  sospetto  d'illegittimita'  costituzionale  nei
 confronti  del  ricordato  terzo  comma dell'art. 11, se quest'ultimo
 possa  plausibilmente  avere  un  significato   diverso   da   quello
 dell'accordo,    che   non   sia   incompatibile   con   i   principi
 costituzionali.  E  non  v'e'  dubbio  che   tale   significato   sia
 identificabile  in quello che fa coincidere il concerto, non gia' con
 un atto sostanziale di assenso o di  veto,  ma  con  un'attivita'  di
 concertazione finalizzata alla formulazione di una proposta comune.
    Piu'  precisamente, sulla base di un'interpretazione dell'art. 11,
 terzo comma, adeguata ai principi costituzionali, la commissione  del
 Consiglio   superiore   competente   a   formulare   le  proposte  di
 conferimento degli incarichi direttivi non puo' inoltrare le  proprie
 designazioni al plenum del Consiglio medesimo se non dopo aver svolto
 una seria e approfondita opera di concertazione diretta al fine sopra
 indicato.  E,  poiche'  tale  attivita'  inerisce  a  un procedimento
 comportante il concorso di organi o soggetti distinti  nell'esercizio
 di  una  funzione  pubblica  di  rilievo  costituzionale  -  i  quali
 pertanto, come questa Corte ha gia' precisato (v.  sent.  n.  80  del
 1989), sono tenuti a comportarsi secondo i principi della correttezza
 nei  loro  rapporti  reciproci e nel rispetto sostanziale dell'altrui
 autonomo ruolo - e poiche', come s'e' prima ricordato, in  base  agli
 artt.  105  e  110  della  Costituzione,  tra  Consiglio  superiore e
 Ministro della  giustizia  sussiste,  pur  nella  salvaguardia  delle
 reciproche  competenze,  un  dovere  specifico  di collaborazione, il
 modulo procedimentale del concerto,  previsto  dal  citato  art.  11,
 comporta  che  la  relativa  attivita'  debba essere svolta nel pieno
 rispetto del principio costituzionale di leale cooperazione.
    7. - In definitiva, il concerto del Ministro della giustizia sulla
 proposta  della commissione per gli incarichi direttivi, disciplinato
 dall'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 del  1958,  implica  un
 vincolo   di   metodo,   non   gia'  di  risultato.  Cio'  significa,
 innanzitutto, che, anche  se  al  termine  della  loro  attivita'  di
 concertazione non perverranno in concreto a una proposta unitaria, la
 commissione  e  il  Ministro  sono  tenuti  a  porre  in  essere  una
 discussione e un confronto realmente orientati al superiore interesse
 pubblico di operare - a seguito di un esame effettivo  ed  obiettivo,
 dialetticamente svolto, di tutti gli elementi ai fini della copertura
 di quel determinato incarico direttivo - la scelta piu' idonea. Oltre
 a  dover  essere effettive e obiettivamente finalizzate all'interesse
 pubblico indicato, la discussione e il confronto tra la commissione e
 il Ministro devono metodologicamente svolgersi in base  al  principio
 di  leale cooperazione e, in particolare, in base ai paradigmi e alle
 regole della  correttezza  nei  rapporti  reciproci  e  del  rispetto
 dell'altrui autonomia.
    Sotto  il  primo  profilo,  occorre  osservare  che la commissione
 concertante e' tenuta a  formulare  una  valutazione  preliminare  da
 comunicare  al  Ministro,  la quale deve essere basata su motivazioni
 non rituali o stereotipe, ma dirette a  evidenziare  i  reali  motivi
 della  scelta  proposta  e  la  non incidenza sulla stessa di logiche
 estranee alla valutazione obiettiva e imparziale dei candidati.  Alla
 valutazione  preliminare,  ove  una  delle  parti  ne  ravvisasse  la
 necessita', deve esser allegata copia della documentazione utile  per
 la  formulazione della proposta e devono esser fornite, su richiesta,
 le eventuali integrazioni di dati e di informazioni. Analoghi vincoli
 ricadono sul Ministro, il quale,  in  particolare,  se  utilizza  una
 propria   documentazione,   ha   il  dovere  di  renderla  nota  alla
 commissione, in  modo  che  il  confronto  sugli  argomenti  e  sulle
 valutazioni risulti serio, approfondito, esauriente e costruttivo. In
 ogni  caso,  quando  la  valutazione  preliminare  della  commissione
 incontrasse iniziale ostacolo nelle valutazioni difformi del Ministro
 sulle capacita' organizzative e gestionali del candidato indicato, il
 dovere di discussione ricadente  sull'autorita'  procedente  comporta
 che  si  ponga  in  essere,  in tempi ragionevolmente brevi, un serio
 tentativo di superare le divergenze  attraverso  le  necessarie  fasi
 dialogiche,  quantomeno  articolate  nello  schema proposta-risposta,
 replica-controreplica.
    Sotto il profilo della leale cooperazione e, in particolare, sotto
 quello della  correttezza  nei  rapporti  reciproci,  l'attivita'  di
 concertazione  deve  svolgersi  secondo  comportamenti coerenti e non
 contraddittori,  tanto  in  relazione  alla  specifica  proposta   da
 formulare,  quanto  in  relazione a pregresse proposte riguardanti lo
 stesso magistrato o  lo  stesso  incarico.  Le  parti,  inoltre,  non
 possono  dar  luogo  ad atteggiamenti dilatori, pretestuosi, ambigui,
 incongrui o insufficientemente motivati, di  modo  che  il  confronto
 possa  avvenire  su  basi  di  correttezza  e di apertura alle altrui
 posizioni.
    Cosi' precisata in base all'interesse pubblico da perseguire e  al
 metodo  della  leale  cooperazione,  l'attivita' di concertazione tra
 commissione e Ministro, prevista  dal  ricordato  art.  11,  risponde
 all'esigenza  costituzionale,  per  la  quale,  quando  si  tratta di
 preposizione a uffici, come quelli relativi agli incarichi direttivi,
 dove  forte e' l'incidenza delle capacita' organizzative e gestionali
 nell'assegnazione  da  compiere,  l'esercizio  delle  competenze  del
 Consiglio  superiore  sui provvedimenti di stato dei magistrati (art.
 105 della  Costituzione)  deve  tenere  ragionevolmente  conto  degli
 interessi  relativi all'organizzazione e al funzionamento dei servizi
 giudiziari, imputati al Ministro  della  giustizia  (art.  110  della
 Costituzione).  Il  dovere  di  reciproca  collaborazione,  che  deve
 ispirare l'esercizio delle  predette  competenze,  comporta  che,  se
 l'attivita'   di   concertazione   deve   essere  soggettivamente  ed
 oggettivamente  orientata  a  ricercare,  per  quanto  possibile,  la
 convergenza  fra le parti, allo stesso modo il "rifiuto del concerto"
 da parte del Ministro  dev'essere  motivato,  non  gia'  da  semplici
 divergenze,  ma  da  gravi e insuperabili contrasti sulla proposta da
 formulare.  In  quest'ultima  evenienza  spettera'  al   plenum   del
 Consiglio  superiore  la  deliberazione sull'incarico da conferire in
 relazione alla proposta della commissione competente e alle eventuali
 diverse indicazioni del Ministro, con il dovere per il  Consiglio  di
 motivare  adeguatamente  la  propria scelta anche in riferimento alle
 valutazioni e alle argomentazioni formulate in sede di proposta.
    8. - Il conflitto di attribuzioni in esame e, piu' in particolare,
 la questione se tra la commissione per gli incarichi direttivi  e  il
 Ministro  della  giustizia  si  sia  realizzato  il concerto previsto
 dall'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 del 1958, in attuazione
 degli artt. 105 e 110 della Costituzione, vanno  risolti  sulla  base
 dei   criteri  ora  precisati.  Al  fine  di  verificare  se  si  sia
 effettivamente svolta ovvero sia  mancata  un'adeguata  attivita'  di
 concertazione,   ispirata  al  principio  della  leale  cooperazione,
 occorre procedere all'esame  dei  comportamenti  in  concreto  tenuti
 dalle parti in sede di concerto.
    Dopo  che,  in  ossequio  al  previgente  art.  22 del regolamento
 interno del Consiglio superiore della  magistratura,  la  commissione
 per gli incarichi direttivi, il 18 luglio 1991, aveva inviato al ple-
 num  l'elenco  degli  aspiranti  al  posto  di Presidente della Corte
 d'appello di Palermo, le proprie valutazioni e le  conseguenti  moti-
 vate  conclusioni  e dopo che, in osservanza dello stesso art. 22, il
 plenum aveva espresso il proprio avviso, il Ministro della giustizia,
 richiesto  del  concerto  dalla  predetta  commissione,  inviava  una
 lettera  al  Vice-  presidente  del  Consiglio superiore con la quale
 faceva presente che, in relazione all'interesse pubblico a che  siano
 conferiti  incarichi  direttivi  a  magistrati  idonei  a  dirigere i
 servizi - servizi di cui lo  stesso  Ministro  e'  costituzionalmente
 responsabile   -,  egli  era  indotto  a  chiedere  urgentemente  una
 sostanziale modifica del ricordato art. 22. A  parere  del  Ministro,
 infatti,  quest'ultimo articolo, nel prevedere in fase di proposta la
 valutazione della commissione e l'avviso del plenum anteriormente  al
 concerto  con il Ministro, riduceva la partecipazione di quest'ultimo
 a un atto formale di assenso o di rifiuto nei confronti di una scelta
 sostanzialmente gia' effettuata dal Consiglio superiore.  In  ragione
 di  cio'  il  Ministro  chiedeva  una  modifica dell'art. 22 che, per
 essere in armonia con la legge e con la Costituzione, avrebbe  dovuto
 promuovere  una  piu'  proficua  collaborazione tra il Consiglio e il
 Ministro stesso, ferma restando l'autonomia della decisione finale da
 parte del plenum.
    Con  lettera  del  30 luglio 1991, il Vicepresidente del Consiglio
 superiore rispondeva al Ministro che, pur ritenendo il  testo  allora
 in vigore dell'art. 22 pienamente legittimo, concordava sull'esigenza
 della  collaborazione  nel  rispetto  delle  reciproche competenze e,
 pertanto, non poteva non ravvisare un fondamento nella richiesta  del
 Ministro,  specialmente  con  riguardo  alla sottolineatura da questo
 compiuta sull'autonomia di decisione del Consiglio. Il 5 agosto dello
 stesso   anno,   il   Presidente   della   Repubblica   scriveva   al
 Vicepresidente del Consiglio superiore rilevando la delicatezza della
 questione  sollevata  dal Ministro e manifestando l'intenzione di non
 porre all'ordine del giorno dei  lavori  consiliari  il  conferimento
 degli  incarichi direttivi finche' le procedure interne si prestavano
 a critiche sotto il  profilo  del  rispetto  delle  competenze  degli
 organi  partecipanti.  Anche  a  questa lettera il Vicepresidente del
 Consiglio  superiore  rispondeva  il  9  agosto  1991   dichiarandosi
 d'accordo  e  comunicando  di aver gia' pregato la commissione per il
 regolamento di varare la modifica  dell'art.  22  con  sollecitudine,
 onde evitare la paralisi nel conferimento degli incarichi direttivi.
    Raccogliendo  la preoccupazione manifestata dal Vicepresidente del
 Consiglio superiore circa l'urgenza  del  provvedere  alla  copertura
 degli  incarichi,  il  Ministro,  in  data 18 settembre 1991, dava il
 proprio assenso al conferimento di tutti gli incarichi direttivi,  ad
 eccezione  di  due  (fra cui quello contestato), ribadendo, tuttavia,
 riguardo a questi ultimi, che, fino a quando non fosse  adottata  una
 nuova   norma   regolamentare   resa   conforme  alla  legge  e  alla
 Costituzione,  non  avrebbe   preso   in   considerazione   ulteriori
 provvedimenti  adottati secondo l'art. 22 allora in vigore, ritenendo
 che quest'ultimo fosse in contrasto con la legge.
    In conseguenza della nuova  lettera  del  Ministro,  il  Consiglio
 superiore  decideva  di  riunire il suo plenum per prendere posizione
 sulla  situazione.  Il  3  ottobre  1991  quest'ultimo  adottava  una
 risoluzione,  con la quale, dopo aver premesso che le nuove procedure
 per il concerto non potevano avere applicazione  ai  conferimenti  di
 incarichi  direttivi  in  corso  o, comunque, alle fasi pregresse del
 procedimento   in   atto,   chiedeva   al   Ministro   un   sollecito
 perfezionamento  delle  proposte gia' avviate sulla base dell'art. 22
 nel testo da lui  contestato.  Nel  corso  della  stessa  seduta,  il
 Consiglio  approvava poi il nuovo testo dell'art. 22, con il quale si
 stabilisce che in fase di proposta la Commissione per  gli  incarichi
 direttivi  indica  al  Ministro  l'elenco degli aspiranti, le proprie
 valutazioni,  le  conseguenti  motivate  conclusioni  e  quelle   dei
 dissenzienti al fine di procedere al concerto e, all'esito di questo,
 riferisce al Consiglio che delibera sull'incarico da assegnare.
    A seguito della richiesta del Consiglio superiore, il Ministro, in
 data  11  novembre  1991,  "rifiuta  il  concerto"  sulla proposta di
 conferimento dell'incarico di Presidente  della  Corte  d'appello  di
 Palermo   nella   persona  del  dott.  Pasquale  Giardina,  allegando
 motivazioni  relative  tanto  al  merito  della  scelta  quanto  alle
 capacita' organizzative dei candidati e affermando di preferire sotto
 entrambi i profili il dott. Antonino Palmeri, gia' indicato da alcuni
 commissari.
    Il 18 novembre 1991 la Commissione competente, invocando ancora il
 testo  dell'art. 22 contestato, riteneva di essere priva di qualsiasi
 ulteriore  potere  sulla  procedura  in  corso  e,  conseguentemente,
 investiva  per  la  decisione  il plenum comunicando tanto la propria
 proposta  quanto  quella  del  Ministro.  In  data  11  dicembre,  il
 Consiglio, dopo aver deciso che non occorreva tornare in  commissione
 per   la   riformulazione   della  proposta  o  per  la  prosecuzione
 dell'istruttoria e che occorreva procedere alla decisione definitiva,
 conferiva l'incarico in questione al dott. Giardina.
    Il 17 dicembre 1991 il Presidente  della  Repubblica  inviava  una
 lettera  al  Consiglio  superiore  con  la quale portava a conoscenza
 dello stesso che il Ministro della giustizia non  intendeva  proporre
 l'emanazione  del  decreto  presidenziale previsto dall'art. 17 della
 legge n. 195 del 1958 per il fatto che  considerava  irricevibile  la
 deliberazione  del Consiglio, essendo questa avvenuta su una proposta
 sulla quale non era  stato  effettuato  il  prescritto  concerto.  In
 particolare,  il  Ministro  affermava  di  non poter partecipare alla
 formazione di  un  atto  illegittimo,  perche'  privo  del  richiesto
 concorso della volonta' ministeriale alla proposta della commissione,
 e   lamentava  l'applicazione  nel  caso  del  vecchio  art.  22  del
 regolamento, il quale, a suo  giudizio,  costituiva  un  intralcio  a
 un'effettiva  collaborazione,  dal momento che limitava, ad un tempo,
 la discrezionalita' della commissione e la  liberta'  di  valutazione
 del Ministro.
    Su  questa decisione del Ministro della giustizia di non dar corso
 al predetto decreto, il Consiglio superiore, in data 29 gennaio 1992,
 deliberava di elevare il conflitto di attribuzioni ora in esame.
    9. - Dal complesso dei comportamenti osservati dalle due parti  in
 relazione  all'attivita'  di concertazione svolta per il conferimento
 dell'incarico direttivo di  Presidente  della  Corte  di  appello  di
 Palermo  risulta  che  il  contestuale  rifiuto  del  Ministro  della
 giustizia di "dare il  concerto"  e  di  applicare  il  testo  allora
 vigente  dell'art. 22 del regolamento interno esprimeva l'esigenza di
 procedere, specialmente con riguardo agli incarichi piu' delicati,  a
 una  piu'  intensa  e  fattiva  collaborazione  tra i partecipanti al
 concerto prescritto dall'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 del
 1958.  Questa  richiesta  e'  stata  sostanzialmente  condivisa   dal
 Consiglio  superiore,  tanto  che,  per  un  verso,  ha ripetutamente
 manifestato su di essa il consenso attraverso il  suo  Vicepresidente
 e,  per  altro  verso,  ha  posto  sollecitamente mano a una modifica
 dell'art. 22 del  regolamento  interno,  diretta  a  disciplinare  le
 modalita'  del  concerto  in  una  direzione  collimante  con  quella
 postulata dal Ministro della giustizia.
    Tuttavia, mentre esprimeva questa posizione  generale  concordante
 con quella del Ministro, il Consiglio superiore, in relazione al caso
 di  specie, teneva un comportamento contraddittorio rispetto a quella
 posizione. Infatti, nella seduta della Commissione per gli  incarichi
 direttivi  del  18  novembre  1991,  di fronte a un primo rifiuto del
 Ministro di "dare il concerto" e  di  fronte  alle  sue  osservazioni
 critiche,  la Commissione medesima negava la propria disponibilita' a
 proseguire il confronto in  relazione  a  un  incarico  direttivo  di
 estrema  delicatezza,  allegando  una  carenza  di  potere riguardo a
 ulteriori  confronti,  che,  a  ben  vedere,  avrebbe  potuto  essere
 affermata  soltanto  sull'erroneo  presupposto  che il concerto fosse
 equiparabile a un parere obbligatorio, ma non vincolante. In realta',
 cosi' facendo, la commissione per gli incarichi direttivi ha  mancato
 di  esplicare l'attivita' di concertazione, venendo meno al dovere di
 leale  cooperazione  cui  deve  ispirarsi  il  concerto, per il quale
 ricade sull'organo procedente il vincolo di fare quanto e'  possibile
 per  tentare di superare le eventuali divergenze insorte in vista del
 miglior perseguimento dell'interesse pubblico in discussione. E  cio'
 vale tanto piu' in relazione al conferimento di un incarico direttivo
 di  importanza  fondamentale qual era, nel caso, quello di Presidente
 della Corte d'appello di Palermo.
    In base alle considerazioni suesposte, che  portano  a  negare  la
 sussistenza  in  concreto  di un'adeguata attivita' di concertazione,
 questa Corte, in riferimento al conflitto di attribuzioni promosso in
 via principale, dichiara che spetta al Ministro della  giustizia  non
 dar   corso   alle   deliberazioni   del  Consiglio  superiore  della
 magistratura di conferimento degli uffici direttivi quando, da  parte
 della  commissione  competente,  sia mancata un'adeguata attivita' di
 concertazione, ispirata al  principio  della  leale  cooperazione  in
 vista  della formulazione della proposta. Conseguentemente, la stessa
 Corte dichiara che, essendo mancata, nel caso  di  specie,  la  detta
 attivita',  spetta  al  Ministro  non  proporre  al  Presidente della
 Repubblica il  decreto  di  conferimento  dell'ufficio  direttivo  di
 Presidente   della   Corte   d'appello   di  Palermo,  relativo  alla
 deliberazione adottata dal Consiglio superiore della magistratura  in
 data 11 dicembre 1991.
    10.   -   In   via   subordinata,  il  Consiglio  superiore  della
 magistratura chiede a questa Corte di dichiarare che  non  spetta  al
 Ministro della giustizia il potere di impedire allo stesso Consiglio,
 negando  il  proprio  positivo  concerto  alla proposta di nomina, di
 deliberare il conferimento dell'ufficio direttivo di Presidente della
 Corte d'appello di Palermo.
    Le argomentazioni svolte e  le  conclusioni  raggiunte  nei  punti
 precedenti   della   motivazione   contengono  gia'  i  motivi  e  la
 risoluzione da dare anche alla domanda subordinata. Se  alla  nozione
 di  concerto non puo' associarsi la figura del parere non vincolante,
 ancorche'  obbligatorio,  allo  stesso  modo  deve  negarsi  che,   a
 un'interpretazione  dell'art. 11, terzo comma, della legge n. 195 del
 1958  non  incompatibile  con  la  Costituzione,  il  concerto  possa
 coincidere  con  la  necessita' che tra commissione per gli incarichi
 direttivi e Ministro si raggiunga un accordo sul nome da proporre per
 la decisione del plenum.
    Il concerto, s'e' prima detto, comporta un vincolo di metodo,  non
 di   risultato:   un  vincolo  che  obbliga  le  parti  a  una  leale
 cooperazione, finalizzata alla  ricerca  della  maggiore  convergenza
 possibile   attraverso   una  discussione  effettiva  e  costruttiva.
 Pertanto,  posto  che  l'attivita'  di  concertazione   deve   essere
 effettuata  in  modo adeguato, nel senso sopra precisato, e posto che
 le parti non debbono tenere comportamenti ostruzionistici  e  sleali,
 ne'  usare  espedienti  dilatori  o  pretestuosi, i tempi ragionevoli
 della concertazione sono quelli  necessari  a  un'effettiva  e  leale
 discussione,  quantomeno  secondo  lo  schema  dialogico  indicato in
 precedenza: i tempi irragionevoli, infatti,  sono  quelli  utilizzati
 per  manovre dilatorie e per comportamenti non conferenti rispetto al
 miglior   soddisfacimento   dell'interesse   pubblico   connesso   al
 conferimento  dell'incarico  direttivo al candidato professionalmente
 piu' idoneo.
    In considerazione del fatto che, in caso di mancato raggiungimento
 di  un  accordo,  non puo', dunque, essere impedito l'ulteriore corso
 del procedimento (v., per l'applicazione  di  tale  modulo  in  altro
 ambito,  sentt. nn. 21 e 482 del 1991) e, in considerazione del fatto
 che,  come  pure  convengono  le   due   parti,   non   puo'   essere
 arbitrariamente  ostacolata la decisione finale di spettanza del ple-
 num  e  l'autonomia  del   Consiglio   superiore   relativamente   al
 conferimento  dell'incarico  direttivo,  questa Corte, in riferimento
 alla domanda subordinata del ricorrente, dichiara che non  spetta  al
 Ministro  della  giustizia  non  dar  corso  alle  deliberazioni  del
 Consiglio superiore della magistratura sul conferimento degli  uffici
 direttivi,  quando,  nonostante  che  sia  stata  svolta  un'adeguata
 attivita' di concertazione nel senso  sopra  precisato,  non  si  sia
 convenuto  in  tempi  ragionevoli,  tra  la commissione e il Ministro
 sulla proposta da formulare.
    11. - Le interpretazioni degli artt. 11, terzo comma, e 17,  primo
 comma,  della legge n. 195 del 1958 accolte ai fini della risoluzione
 del presente conflitto di attribuzioni precludono la possibilita' che
 ai suddetti articoli si conferiscano i significati  in  relazione  ai
 quali   il   ricorrente   ha  prospettato  i  dubbi  di  legittimita'
 costituzionale menzionati all'inizio della motivazione in diritto. Il
 che fa venir meno le condizioni perche' questa  Corte  sia  tenuta  a
 valutare   se   sollevare,   o  meno,  le  prospettate  questioni  di
 legittimita' costituzionale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile  il  conflitto  fra  poteri  dello   Stato,
 indicato   in   epigrafe,  promosso  dal  Consiglio  superiore  della
 magistratura nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri;
     Dichiara che spetta al Ministro della  giustizia  non  dar  corso
 alle  deliberazioni  del  Consiglio  superiore  della magistratura di
 conferimento  degli  uffici  direttivi   quando,   da   parte   della
 commissione   competente,   sia   mancata  un'adeguata  attivita'  di
 concertazione, ispirata al principio di leale  cooperazione  ai  fini
 della   formulazione  della  proposta  e,  conseguentemente,  essendo
 mancata nella specie la  detta  attivita',  spetta  al  Ministro  non
 proporre  al  Presidente  della Repubblica il decreto di conferimento
 dell'ufficio direttivo di Presidente della Corte d'appello di Palermo
 relativo alla delibera del Consiglio superiore della magistratura  in
 data 11 dicembre 1991;
    Dichiara  che non spetta al Ministro della giustizia non dar corso
 alle deliberazioni del Consiglio  superiore  della  magistratura  sul
 conferimento  degli uffici direttivi quando, nonostante che sia stata
 svolta un'adeguata attivita' di concertazione nei sensi indicati  nel
 capo  precedente,  non  si  sia convenuto in tempi ragionevoli tra la
 commissione e il Ministro sulla proposta da formulare.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, Il 9 luglio 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                       Il redattore: BALDASSARRE
                       Il cancelliere: DI PAOLA
 Depositata in cancelleria il 27 luglio 1992.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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