N. 384 SENTENZA 21 - 29 luglio 1992

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzione tra Stato e regione.
 
 Enti pubblici in genere - Regione Lombardia - Gestione del bilancio -
 Indirizzi - Direttive vincolanti poste dallo Stato  -  Ammissibilita'
 della   funzione   di   indirizzo   e   coordinamento  dell'attivita'
 amministrativa delle regioni con l'osservanza di precisi requisiti di
 forma e di sostanza - Preclusione della  disponibilita'  delle  somme
 occorrenti  alle  regioni  -  Non spettanza allo Stato - Annullamento
 parziale della direttiva del
 Presidente del Consiglio  dei  Ministri  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale del 20 gennaio 1992, n. 15
(GU n.33 del 5-8-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele  PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco Paolo
    CASAVOLA, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio promosso con ricorso della Regione Lombardia notificato
 il 20 marzo 1992, depositato in cancelleria  il  30  successivo,  per
 conflitto  di  attribuzione  sorto  a  seguito  della  direttiva  del
 Presidente del Consiglio dei ministri  sulla  gestione  del  bilancio
 dello  Stato e degli enti del settore pubblico allargato per il 1992,
 ai sensi dell'art. 5 della legge 23 agosto 1988, n. 400, ed  iscritto
 al n. 7 del registro conflitti 1992;
    Udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1992 il Giudice relatore
 Francesco Guizzi;
    Udito l'avvocato Valerio Onida per la Regione Lombardia.
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Con ricorso regolarmente notificato e depositato, la Regione
 Lombardia ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti  dello
 Stato,  in  relazione alla direttiva del Presidente del Consiglio dei
 ministri sulla gestione del bilancio dello Stato  e  degli  enti  del
 settore pubblico allargato per il 1992, adottata ai sensi dell'art. 5
 della  legge  23  agosto  1988,  n.  400, e pubblicata nella Gazzetta
 Ufficiale n. 15 del 20 gennaio 1992, nella parte concernente gli enti
 del settore pubblico allargato "dotati di particolare autonomia", con
 specifico riguardo alle regioni.
    Talune  prescrizioni  contenute  nell'atto  impugnato  riguardano,
 invero,  procedure di pertinenza di organi dello Stato. Altre possono
 invece influire  sulla  gestione  del  bilancio  regionale:  l'ultimo
 capoverso  della  direttiva  la  qualifica  come  "indirizzo volto al
 conseguimento di obiettivi di interesse nazionale", e fa carico  alle
 amministrazioni  interessate di adottare "atti coerenti" entro trenta
 giorni dalla data di pubblicazione della direttiva stessa.
    La direttiva invoca a suo fondamento l'art. 5 della legge  n.  400
 del 1988, che definisce i poteri e le attribuzioni del Presidente del
 Consiglio  dei ministri: nessuna di tali attribuzioni, pero', osserva
 la ricorrente, autorizza il  Presidente  del  Consiglio  ad  adottare
 indirizzi  vincolanti  nei confronti delle regioni per l'esercizio di
 loro  competenze.  Gli  atti  di   indirizzo   e   di   coordinamento
 dell'attivita' amministrativa regionale debbono essere deliberati dal
 Consiglio  dei ministri, sulla base di specifiche disposizioni legis-
 lative, secondo quanto espressamente previsto dall'art. 2,  comma  3,
 lett.  d)  della  legge  n.  400  del 1988. L'atto impugnato, d'altra
 parte, e' privo di fondamento legislativo ed e'  quindi  illegittimo,
 per violazione del principio di legalita' sostanziale.
    Sarebbero  comunque  lesive  dell'autonomia  regionale le seguenti
 prescrizioni, ove siano riferibili, come "indirizzi",  alle  regioni:
 la lettera a), che per il primo semestre dell'anno pone il limite del
 25  per cento all'assunzione degli impegni per le spese discrezionali
 finalizzate all'acquisto di beni e servizi, in  violazione  dell'art.
 6,  comma 1, del decreto-legge n. 65 del 1989, convertito nella legge
 n. 155 del 1989, che stabilisce una percentuale piu' elevata, pari al
 50  per  cento  (disposizione,  quest'ultima,  che   in   ogni   caso
 risulterebbe  incostituzionale  per  quanto riguarda le regioni, alle
 quali va assicurata  piena  autonomia  nell'impiego  delle  risorse);
 illegittime  sarebbero  altresi'  la  lettera b), che fissa un limite
 agli impegni sugli esercizi futuri per le spese  del  conto  capitale
 previste  da  leggi pluriennali, ai sensi dell'art. 2, comma 8, della
 legge finanziaria n. 415 del 1991; la lettera c), che limita le spese
 per trasferimento; la lettera e), che  richiede  l'utilizzazione  dei
 residui come condizione per l'assunzione degli impegni di competenza;
 la lettera h), che limita i prelievi dai conti di tesoreria nel primo
 semestre all'importo dello stesso periodo dell'anno precedente.
    La  Corte  costituzionale,  pur giudicando legittima la disciplina
 legislativa della tesoreria unica e dei trasferimenti  alle  regioni,
 ha  osservato  che  le  procedure contemplate non debbono tradursi in
 limiti alla "piena e immediata disponibilita'" da parte delle regioni
 delle  somme di loro pertinenza (sentenze n. 162 del 1982, n. 307 del
 1983, n. 243  e  244  del  1985):  le  prescrizioni  della  direttiva
 impugnata  -  conclude  la  ricorrente - limitano proprio la facolta'
 delle regioni di disporre, in conformita' alle  proprie  leggi  e  ai
 propri indirizzi, delle risorse stanziate in bilancio.
    2.  -  Non  si  e'  costituito  il  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri.
                        Considerato in diritto
    1. - La Regione Lombardia ha sollevato conflitto  di  attribuzione
 nei confronti dello Stato, in relazione alla direttiva del Presidente
 del  Consiglio dei ministri adottata ai sensi dell'art. 5 della legge
 23 agosto 1988, n. 400, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 15 del
 20 gennaio 1992, nella parte in cui pone indirizzi sulla gestione del
 bilancio delle regioni (e  degli  altri  enti  del  settore  pubblico
 allargato  dotati di autonomia), per il conseguimento di obiettivi di
 interesse nazionale.
    Osserva la ricorrente come l'art. 5 della legge n. 400  del  1988,
 che  definisce  le  attribuzioni  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri, non autorizza quest'ultimo a vincolare, con propri atti, le
 regioni nell'esercizio  di  loro  competenze:  piu'  volte  la  Corte
 costituzionale   ha   precisato  che  gli  atti  di  indirizzo  e  di
 coordinamento dell'attivita' amministrativa regionale debbono  essere
 deliberati  dal  Consiglio  dei  ministri  sulla  base  di specifiche
 disposizioni legislative, in osservanza del  principio  di  legalita'
 sostanziale. La direttiva impugnata non e' assistita da deliberazione
 del  Consiglio  dei  ministri, ne' da alcuna norma sostanziale che le
 dia il necessario fondamento legislativo.
    2. - E' utile  ricordare  che,  anteriormente  all'adozione  della
 direttiva impugnata, sono state emanati altri atti di indirizzo sulla
 gestione  del  bilancio  degli  enti  appartenenti  al  c.d.  settore
 pubblico allargato: la direttiva del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri  dell'11 gennaio 1990, non pubblicata in Gazzetta Ufficiale;
 la circolare del ministero del  tesoro  del  10  febbraio  1990,  che
 concerne   specificamente   il  sistema  della  tesoreria  unica;  la
 direttiva del Presidente  del  Consiglio  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale del 1› febbraio 1991.
    Nessuno di tali atti e' stato impugnato innanzi a questa Corte.
   Successivamente   alla   proposizione  del  ricorso  in  esame,  il
 Presidente del Consiglio ha emanato una nuova direttiva -  pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale del 29 maggio 1992 - che sospende fino al 30
 settembre  1992  la  facolta'  di  impegnare  le  spese  per tutte le
 amministrazioni dello Stato e le aziende autonome.  Per  gli  aspetti
 diversi  dell'assunzione degli impegni di spesa, tale nuova direttiva
 proroga fino al 30 settembre 1992 le disposizioni della direttiva del
 gennaio 1992.
    3. - Il ricorso e' fondato.
    L'esercizio  della   funzione   di   indirizzo   e   coordinamento
 dell'attivita'  amministrativa  delle  regioni  e' soggetto - secondo
 quanto piu' volte ribadito dalla giurisprudenza  di  questa  Corte  -
 all'osservanza di precisi requisiti di forma e di sostanza.
    Di  forma,  perche'  l'atto  di  indirizzo e di coordinamento deve
 essere approvato, con delibera, dal Consiglio  dei  ministri  (v.  le
 sentenze  nn. 338 e 242 del 1989 e, in termini espressi, anche l'art.
 2, comma 3, lett. d) della legge n. 400 del 1988).  Delibera  che  in
 questo caso non e' stata adottata, trattandosi, per l'appunto, di una
 direttiva emanata, come atto "proprio", dal Presidente del Consiglio.
    Di  sostanza,  perche'  occorre  una "idonea base legislativa" per
 salvaguardare il principio di legalita' sostanziale: occorre,  cioe',
 che  siano  preventivamente  emanate disposizioni legislative statali
 contenenti principi e criteri normativi idonei a vincolare e dirigere
 la scelta del Governo (v., da ultimo, le sentenze nn. 359, 204  e  37
 del  1991).  Base  legislativa  che,  nella fattispecie, non e' data.
 Perche' non puo', certo, ritenersi tale l'art. 5 della legge  n.  400
 del  1988  che  definisce i rapporti tra Presidente del Consiglio e i
 ministri e che,  oggettivamente,  non  tocca  i  rapporti  fra  Stato
 apparato ed enti ad autonomia costituzionalmente garantita.
    Questa  Corte,  con  riguardo ad altra disposizione della legge n.
 400 concernente il potere di indirizzo e di  coordinamento  (il  gia'
 citato art. 2, comma 3, lett. d), ha sottolineato che il legislatore,
 nel  1988,  non  ha  affatto  regolato ex novo la funzione statale di
 indirizzo e coordinamento. La legge n. 400  ha  lasciato  intatta  la
 disciplina  preesistente  e  non ha eliminato le previsioni normative
 vigenti  al  momento  della  sua  entrata  in  vigore  relative  alle
 modalita'   di  esercizio  della  funzione  (principio  di  legalita'
 sostanziale, possibilita' di delega, etc.: v. la sentenza n. 242  del
 1989, n. 5 del considerato in diritto).
    D'altra  parte,  non  si puo' sostenere che la direttiva impugnata
 abbia  carattere  tecnico,  tanto  da  sfuggire   alle   prescrizioni
 procedurali  poste  all'esercizio  della  funzione  di indirizzo e di
 coordinamento politico-amministrativo. Non  si  tratta,  infatti,  di
 introdurre  criteri volti a omogeneizzare metodologie (ad es. in tema
 di statistica, la sentenza  n.  139  del  1990),  ne'  di  coordinare
 servizi  tecnici  provinciali  (sentenza n. 85 del 1990), ne' di meri
 obblighi di informazione che rispondono ad esigenze di  raccordo  tra
 la sfera della programmazione nazionale e quella della programmazione
 regionale (sentenza n. 924 del 1988).
    Le prescrizioni introdotte dalla direttiva impugnata, ove riferite
 alle  regioni,  si  configurano,  invece, come strumento di controllo
 della gestione finanziaria regionale: esse finiscono per precludere o
 ostacolare la disponibilita' delle somme occorrenti alle regioni  per
 l'adempimento  dei  loro compiti istituzionali, compromettendo in tal
 modo  l'autonomia   finanziaria   garantita   alle   regioni   stesse
 dall'articolo 119 della Costituzione (v., in particolare, le sentenze
 n. 307 del 1983 e n. 155 del 1977).
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  che  non  spetta  allo  Stato porre vincoli all'attivita'
 amministrativa regionale di gestione del bilancio mediante  direttiva
 del Presidente del Consiglio dei ministri adottata ai sensi dell'art.
 5  della  legge  23 agosto 1988, n. 400; conseguentemente, annulla la
 direttiva del Presidente del Consiglio dei ministri pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale,  del  20 gennaio 1992, n. 15, nella parte in cui
 pone in tale materia un indirizzo alle regioni per  il  conseguimento
 di obiettivi di interesse nazionale.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 21 luglio 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                         Il redattore: GUIZZI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 29 luglio 1992.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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