N. 29 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 10 agosto 1992

                                 N. 29
  Ricorso per conflitto per attribuzione depositato in cancelleria il
                            10 agosto 1992
                        (della regione Umbria)
 Finanza regionale - Trasferimento mediante emissione di vaglia del
    Tesoro alla regione Umbria di somme d'importo inferiore  a  quello
    richiesto  in sede di prelevamento dal conto corrente infruttifero
    ad  essa  intestato  per  far  fronte  al  reintegro  della  cassa
    regionale  -  Asserita indebita invasione della sfera di autonomia
    finanziaria della regione - Riferimento alle sentenze della  Corte
    costituzionale nn. 155/1977, 94/1981, 162/1982, 307/1983, 242, 243
    e 244 del 1985 e 742/1988.
 (Nota del Ministero del tesoro, Dir. gen. del Tesoro, div. VI, prot.
    n.  973145  del  15  giugno  1992  e prot. n. 973576 del 22 giugno
    1992).
 (Cost., artt. 97, 117, 118 e 119).
(GU n.41 del 30-9-1992 )
   Ricorso per la regione Umbria,  in  persona  del  presidente  della
 giunta  regionale  pro-tempore,  rappresentato e difeso per mandato a
 margine del presente atto dagli avv.ti Alberto  Predieri  e  Maurizio
 Pedetta presso lo studio del primo dei quali in Roma, via G. Carducci
 n. 4, e' elettivamente domiciliata contro il Presidente del Consiglio
 dei  Ministri  pro-tempore per conflitto di attribuzioni in relazione
 alle note del Ministero del tesoro, direzione  generale  del  tesoro;
 div.  VI, prot. n. 973145 del 15 giugno 1992 e prot. n. 973576 del 22
 giugno 1992, ricevute dalla regione il 19 giugno e il 1º luglio  1992
 con  le quali, a fronte di richieste della regione di reintegro della
 cassa  regionale  rispettivamente  per   L.   57.144.000.000   e   L.
 31.279.000.000  e'  stata comunicata l'emissione di vaglia del tesoro
 n. 1780 e 2024, limitati a L. 40.000.000.000 e L. 20.000.000.000.
    1. - Con note del 10 e 15 giugno 1992,  prot.  10209  e  11244  la
 regione Umbria, come previsto a seguito dell'introduzione del sistema
 della tesoreria unica, richiedeva al Ministero del tesoro, al fine di
 integrare  le  disponibilita' liquide determinabili presso il proprio
 tesoriere attualmente commisurate, ex art. 16  del  d.-l.  13  maggio
 1991  n.  151  (conv. nella legge 12 luglio 1991, n. 202) al 3% delle
 entrate previste in bilancio, il  prelievo,  dal  conto  corrente  n.
 22707  ad  essa  intestato  intrattenuto presso la tesoreria centrale
 dello Stato, delle somma di L. 57.144.000.000 e di L. 31.279.000.000.
    Cio' a fronte di giacenze di cassa  per  L.  4.086.097.605  al  1º
 giugno 1992 e per L. 21.779.019.323 all'11 giugno 1991 e di un limite
 di giacenza calcolato a norma del citato art. 16 del decreto legge n.
 151 del 1991 di L. 53.058.704.030.
    2.  - A tale richiesta la tesoreria centrale, in luogo di emettere
 il relativo mandato di pagamento (atto dovuto  dal  momento  che,  ai
 sensi  dell'art. 1, comma 4 della legge 29 ottobre 1984, n. 720, alle
 regioni e' assicurata la "piena ed immediata disponibilita'  in  ogni
 momento  delle  somme  di  loro spettanza giacenti in tesoreria nelle
 contabilita' speciali fruttifere e infruttifere", mentre il Ministero
 del tesoro, ai sensi delle  norme  che  disciplinano  il  sistema  di
 tesoreria  unica,  non  ha  alcun potere di sindacare la fondatezza o
 congruita' della richiesta della regione) rispondeva con le note  del
 15  e  del  22  giugno 1992, comunicando l'emissione di vaglia per L.
 40.000.000.000 (n. 1780) e per L. 20.000.000.000 (n. 2024)  inferiori
 di L. 17.144.000.000 e 11.279.000.000 alle richieste della regione.
    3. - Le note in questione costituiscono l'ultimo e non accettabile
 elemento di una sequenza ininterrotta con cui la regione ha dovuto da
 tempo,  suo malgrado, fare i conti subendone gravissimi danni: invero
 tramite le disponibilita' depositate  presso  il  proprio  tesoriere,
 nella  misura, pur esigua, garantita dalla legge, la regione effettua
 la gran parte dei pagamenti nei confronti  dei  fornitori  e  per  le
 spese  di  investimento. La tattica seguita dal tesoro nel trasferire
 alla   tesoreria   regionale   le   somme   spettanti    in    misura
 sistematicamente  e  notevolmente  inferiore  a  quanto  dovuto - con
 conseguente sostanziale e surrettizio abbassamento della  percentuale
 di  disponibilita'  prevista  dalla  legge  - determina intollerabili
 ritardi nelle erogazioni nei confronti di creditori e,  comunque,  di
 aventi  diritto, esponendo cosi' la regione ad azioni giurisdizionali
 e  alle  conseguenti   responsabilita'   civili,   amministrative   e
 contabili. Inoltre, la pronta e puntuale disponibilita' delle risorse
 e'  condizione  essenziale  per  l'attuazione  dei programmi definiti
 dalla regione in ambito comunitario (quali, ad es. i P.I.M.) si'  che
 la pratica del Ministero del tesoro che qui si denuncia si traduce in
 un  ostacolo  allo  sviluppo  e rischia di far perdere alla regione i
 finanziamenti   della   CEE   pregiudicando   l'effettuazione   degli
 investimenti  programmati  e  le possibilita' di crescita che vi sono
 riconnesse.  In  tale  drammatica  situazione  la  regione  e'  stata
 finalmente  costretta  a chiedere, con delibera n. 4994 dell'8 luglio
 1992 (all. 21) al proprio tesoriere un'anticipazione di cassa per  L.
 26.000.000.000 con conseguente accollo di gravosi interessi.
    Come  dimostrano  gli  atti  che  si  depositano,  altre  volte in
 passato, e con assoluta continuita' dal novembre dello  scorso  anno,
 il  tesoriere  unico ha rifiutato di evadere le richieste di prelievo
 della regione con la necessaria precisione e  corrispondenza  tra  il
 richiesto  e  l'erogato.  Cosi',  a  fronte  della  richiesta  del 14
 novembre 1992 per  L.  21.496.000.000,  e'  stato  emesso  vaglia  di
 pagamento  per L. 20.000.000.000 (all. 1-2); a fronte della richiesta
 del 29 novembre 1991 per L. 39.854.000.000 sono stati  emessi  vaglia
 del  tesoro  per  L.  30.000.000  (all.  3-4-  bis);  a  fronte della
 richiesta del 2 gennaio 1992, per L. 57.272.000.000, e' stato  emesso
 vaglia per L. 50.000.000.000 (all. 5-6); a fronte della richiesta del
 13  gennaio  1992  per  L.  30.722.000.000, ne sono stati accreditati
 25.000.000.000 (all. 7-8); a fronte della richiesta del 2 marzo  1992
 per L. 50.492.000.000, ne sono stati accreditati 26.000.000.000 (all.
 9-10);   a   fronte   della   richiesta  del  9  marzo  1992  per  L.
 33.128.000.000 e' stato emesso vaglia  per  L.  22.000.000.000  (all.
 11-12);   a   fronte  della  richiesta  del  31  marzo  1992  per  L.
 57.740.000.000,  ne  sono  stati  accreditati  40.000.000.000   (all.
 13-14);   a   fronte  della  richiesta  del  4  maggio  1992  per  L.
 56.407.000.000, e' stato emesso vaglia  di  L.  15.000.000.000  (all.
 15-16).
    4.  -  I fatti ora ricordati e, da ultimo, le note del 15 e del 22
 giugno 1992 con le  quali,  a  fronte  delle  somme  richieste  dalla
 regione  il  Ministero  del  tesoro ha comunicato di aver autorizzato
 l'emissione di vaglia per somme ancora una volta nettamente inferiori
 al dovuto, configurano  la  piu'  classica  delle  invasioni  di  una
 competenza  che  e'  legislativamente  e costituzionalmente garantita
 alla regione: quella di disporre prontamente  delle  proprie  risorse
 finanziarie quando esistono necessita' di cassa.
    Tali  note, pertanto, sia per il loro contenuto, che testimonia la
 non corrispondenza tra il richiesto e  l'effettivamente  erogato  sia
 come  atti che si inseriscono nella sequenza arbitraria e illegittima
 che abbiamo ricordato e  documentato,  non  e'  conforme  al  sistema
 costituzionale  di  riparto  delle  attribuzioni inerenti la potesta'
 finanziaria e di coordinamento della finanza statale e regionale,  ed
 e'  dunque costituzionalmente illegittima, oltre che produttiva di un
 evidente e grave  danno  alla  regione,  tanto  dal  punto  di  vista
 economico  finanziario,  quanto  da  quello  politico costituzionale,
 avendo  causato  inefficienze  nell'attivita'  ed  inadempimenti   di
 obbligazioni precedentemente assunto e riconosciute.
    5.  - Appare opportuno, per evidenziare il carattere illegittimo e
 lesivo degli atti in relazione ai quali viene  proposto  il  presente
 conflitto di attribuzione, ricordare per sommi capi i principi che la
 Corte  ha  evidenziato  con  riferimento  al  sistema della tesoreria
 unica.
    La prima occasione di contrasto  fra  Stato  e  regione  e'  stata
 originata  da  un  invito,  formulato  dal  Ministro del tesoro e dal
 Ministro del bilancio, a richiedere l'apertura di un  conto  corrente
 fruttifero  presso  la  tesoreria  centrale,  in  cui  far affluire i
 versamenti effettuati dallo Stato a favore della regione  stessa.  Il
 conflitto   di   attribuzioni   allora   prospettato   e   dichiarato
 inammissibile per il carattere non  lesivo  dell'atto  impugnato,  ha
 consentito  alla  Corte  di  fissare  alcune importanti coordinate di
 quello che sarebbe stato quindi il sistema normativamente dato  dalla
 "tesoreria  unica". Infatti, nella sentenza 22 dicembre 1977, n. 155,
 se si esclude, da un lato, che  i  "vistosi  ritardi  nei  versamenti
 dovuti  all'amministrazione  regionale  siano ascrivibili all'atto di
 invito suddetto", si precisa, d'altro lato, che "non e' pensabile che
 i conti correnti fruttiferi presso la tesoreria centrale  ..  possano
 legittimamente  trasformarsi  in anomalo strumento di controllo sulla
 gestione finanziaria regionale che si presti a  venire  manovrato  in
 modo  da  precludere  od  ostacolare  la  disponibilita'  delle somme
 occorrenti alle regioni stesse per  l'adempimento  dei  loro  compiti
 istituzionali,  nelle  forme,  nelle  misure  e  nei tempi variamente
 indicati dalla  legislazione  statale  sulla  finanza  regionale,  in
 attuazine  dell'art.  119 della Costituzione". Si noti - e' questione
 senz'altro di rilievo - che nelle proprie difese  l'avvocatura  dello
 Stato aveva chiesto fra l'altro la dichiarazione di "infondatezza del
 ricorso,   adducendo  che  da  parte  statale  non  vi  sarebe  stata
 l'intenzione di esercitare un controllo contabile sulle somme versate
 alla regione, ne' di ritardare i relativi versamenti".
    6. - Con la successiva sentenza 8 giugno 1981, n. 94, la Corte  ha
 stabilito  che  l'art.  119  della  Costituzione  "pur  se non impone
 affatto che le somme spettanti alle regioni e defluenti dal  bilancio
 dello   Stato   debbano   essere   integralmente   ed  immediatamente
 accreditate  alle  competenti  tesorerie  regionali,  pur  quando  le
 regioni  stesse  non  dimostrino di doversene servire per l'esercizio
 delle loro attribuzioni" implica certamente, cosi'  come  aveva  gia'
 chiarito  la  sentenza  n.  155/1977  sopra  ricordata,  che "i conti
 correnti istituiti presso la tesoreria centrale non si trasformino in
 un  anomalo  strumento  di  controllo  sulla   gestione   finanziaria
 regionale"  e impone senz'altro che i meccanismi suddetti non abbiano
 "di mira le singole misure regionali di spesa, limitandosi a regolare
 i ritmi di accreditamento dei fondi  innanzi  detti  dalla  tesoreria
 dello  Stato  alla  tesoreria  delle regioni" e a condizione che cio'
 avvenga "sulla base ed in conformita' alle previste esigenze ed  alle
 accertate  disponibilita'  di  cassa  delle  regioni"  (la massima e'
 implicitamente ribadita nella sentenza 8 giugno 1991, n. 95).
    7. - A breve distanza di  tempo  e'  stata  resa  dalla  Corte  la
 pronuncia  riguardante,  fra  l'altro, la legittimita' costituzionale
 dell'art. 35 della legge 30 marzo 1981, n. 119, contenente una  serie
 di  prescrizioni  con le quali si disciplinano i modi con cui vengono
 finanziate le unita' sanitarie locali,  le  modalita'  attraverso  le
 quali  esse  possono  usufruire  dal  finanziamento  loro accordato e
 l'organizzazione del relativo servizio di tesoreria; si  allude  alla
 sentenza 22 ottobre 1982, n. 162.
    Con  notazioni  che  riprendono la precedente sentenza n. 155/1977
 (in coerenza con le eccezioni prospettate dalle regioni  ricorrenti),
 la   Corte   puntualizza  innanzitutto,  sul  piano  delle  relazioni
 costituzionali, il fondamento del modello  organizzativo  prefigurato
 dalla  legge,  che  risiede  nel "coordinare la finanza regionale con
 quella  statale"  in  funzione  di  evidenti  quanto   indispensabili
 economie  di  spesa. Del resto, "l'aver il legislatore creato un piu'
 stretto coordinamento temporale fra il  momento  del  prelievo  dalla
 tesoreria  centrale  e il momento della spesa effettuata dagli organi
 erogatri del servizio sanitario  risponde  alla  esigenza  obiettiva,
 nell'interesse  dell'intera  comunita'  nazionale,  di  un  opportuno
 coordinamento del flusso  della  spesa  sanitaria  con  quello  delle
 entrate  destinate  a  fronteggiarla.  Tale coordinamento, infatti si
 risolve in definitiva in un minor costo per la finanza statale  senza
 per  altro  apportare  alcun  danno  al  funzionamento  del  servizio
 sanitario nazionale". Quanto alle regioni, la "potesta'  di  gestione
 ..  e' pienamente rispettata quando ne viene assicurata la loro piena
 disponibilita'   nel   senso   di   poterne   effettuare   l'autonoma
 utilizzazione quali che siano le modalita' del relativo deposito".
    8.  -  Orbene,  non  vi  e' dubbio che gia' a questo punto sarebbe
 possibile formulare alcune considerazioni di principio,  dal  momento
 che  la  Corte  non  ha  mai  dubitato del fatto che - ferma restando
 l'esigenza di coordinare la spesa dei differenti livelli  di  governo
 ex  art.  119,  primo  comma,  della  Costituzione  - in ogni caso la
 regione non puo' subire aggravi nell'esercizio delle proprie funzioni
 attraverso l'utilizzo di strumenti di condizionamento  che  incidono,
 ledendola,  sull'autonomia finanziaria e, di riflesso, pure su quella
 legislativa ed amministrativa. Senonche' il punto e' stato  posto  in
 rilievo  in  modo  definitivo  dalla  stessa  Corte nella sentenza 11
 ottobre 1983, n. 307, nella  quale  -  nell'esordio  della  parte  in
 diritto  - ha richiamato le precedenti menzionate pronunce e, in spe-
 cie, la sentenza n. 162/1982  la'  dove  questa  -  giudicando  della
 legittimita' dell'art. 40, primo comma, della legge 30 marzo 1981, n.
 119,  secondo  cui  e' fatto divieto alla regione di mantenere presso
 aziende di credito disponibilita' depositate a qualunque titolo  "per
 un importo superiore al 12% dell'ammontare delle entrate previste dal
 bilancio  di  competenza" - ha sottolineato la circostanza che simile
 "tetto" "non preclude alle regioni  la  facolta'  di  disporre  delle
 proprie   risorse,   nel  senso  di  valutarne  discrezionalmente  la
 congruita' rispetto alle necessita' concrete e di indirizzarle  verso
 gli  obiettivi rispondenti alle finalita' istituzionali, ma si limita
 a consentire il controllo del flusso delle disponibilita' di cassa".
    Con la  sentenza  n.  307/1983  sono  state  affrontate  ulteriori
 questioni  -  poste,  in  particolare,  dall'art.  26  del d.-l.   n.
 786/1981 (convertito con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982,
 n. 51) e dall'art. 4, quinto e sesto comma,  della  legge  26  aprile
 1983,  n.  130,  rispettivamente  per  gli  esercizi 1982 e 1983 - di
 indubbio rilievo  perche'  riguardanti  non  gia'  il  "tetto"  delle
 disponibilita' suscettibili di essere conservate presso le aziende di
 credito, bensi' il "tetto" annuale per il complesso dei prelevamenti,
 stabilito  con  riguardo  ai fondi regionali propri indipendentemente
 dalle effettive esigenze di cassa.
    Ebbene, per la fattispecie differente (rispetto  a  quella  decisa
 con   la  sentenza  n.  162/1982)  la  Corte  ha  ritenuto  che  cio'
 configurasse una "sicura lesione degli artt. 117,  118  e  119  della
 Costituzione",  oltretutto perche' il "tetto" imposto ai prelevamenti
 "fa riferimento a parametri .. che prescindono da qualsiasi  concreto
 rapporto con la struttura e con la gestione del bilancio regionale di
 competenza  per  l'anno  in  corso, con la dimensione delle entrate e
 delle  spese  ivi  previste,  con  l'entita'  dei  residui  attivi  e
 passivi".   Ne'   -  ha  obiettato  il  giudice  -  e'  legittima  la
 configurazione di un potere ministeriale di "variare le scelte legis-
 lative, senza prestabilire alcun limite e alcun criterio"  (lo  aveva
 gia'  precisato  nella sentenza n. 162/1982), ne' lo e' l'esigenza di
 ridurre le  spese,  visto  che  "il  richiamo  ad  una  finalita'  di
 interesse  generale,  pur di cosi' precipuo e stringente rilievo, non
 puo'  di  per  se'  legittimare  il  ricorso, per il conseguimento, a
 misure di contenimento della spesa pubblica che incidano e  vulnerino
 competenze ed interessi costituzionalmente garantiti" (mentre nessuna
 lesione  dell'autonomia  finanziaria regionale discende dal carattere
 infruttifero dei conti correnti, liberi o vincolati).
    9. - Con le successive sentenze 29 ottobre 1985, nn.  242,  243  e
 244 si e' ribadito quanto segue:
       a)  la  Corte ha innanzitutto confermato le massime di cui alle
 sentenze n. 95/1981 e n. 162/1982 (cosi' nella sentenza n. 242/1985);
       b) in sede di impugnazione di talune previsioni della legge  29
 ottobre  1984,  n. 720 (recante "Istituzione del sistema di tesoreria
 unica per enti ed organismi pubblici") la Corte ha  rigettato  ancora
 una  volta  le eccezioni presentate nei confronti di altro ma analogo
 dettato normativo nel presuspposto comunque  -  qui  pure  dichiarato
 esplicitamente  -  che sia escluso a danno delle regioni "il pericolo
 di  improvvisi  vuoti  di  cassa,  che  pregiudicherebbero  il   buon
 andamento  dell'amministrazione e paradossalmente per fronteggiare le
 spese indilazionabili". Ma, rigettata l'illegittimita' della legge n.
 720/1984 nel presupposto che "non si puo' affermare che il cosiddetto
 sistema di tesoreria unica  sia  di  per  se'  stesso  produttivo  di
 conseguenze   siffatte,  compromettendo  l'indispensabile  speditezza
 delle erogazioni", si e' precisato che le regioni potranno  sollevare
 nei  confronti  della  prassi applicativa "conflitti di attribuzione"
 (cosi'  nella  sentenza  n.  243/1985):  conflitti  che  tendono   ad
 evidenziare,  quindi, il contrasto fra atti e comportamenti statali e
 "il principale fondamento giustificativo della legge n. 720", che "e'
 rappresentato  dal  coordinamento  finanziario"   (ivi   sentenza   n
 243/1985);
       c)  in  sede  di  risoluzione  dei  conflitti  di  attribuzione
 proposti nei riguardi delle disposizioni attuative  della  "tesoreria
 unica",  la Corte ha ribadito (sentenza n. 244/1985) che "spetta alle
 regioni .. la piena ed immediata  disponibilita',  in  ogni  momento,
 delle  somme  di loro spettanza giacenti presso le rispettive sezioni
 di tesoreria provinciale dello Stato", cio' in quanto  il  differente
 meccanismo  contemplato  dalla  normativa  ministeriale  "e'  tale da
 potersi ripercuotere in danno dell'autonomia regionale di spesa".
    Infatti - ha rilevato la Corte - "per  non  intralciare  il  ritmo
 delle  spese  regionali, compromettendo l'indispensabile velocita' di
 erogazione  e  costringendo  le  regioni  a  far  ricorso  -  in  via
 alternativa  -  ad  indebitamente  sia pure di breve periodo, occorre
 pero' che  la  reintegrazione  delle  quote  dei  proventi  regionali
 depositabili  presso  le  aziende  di  credito  sia  resa  possi bile
 continuamente e nei modi  piu'  solleciti,  affinche'  si  possa  far
 fronte ai pagamenti imprevisti senza intaccare gravemente od esaurire
 del  tutto  le  disponibilita'  in  questione.  Viceversa,  le citate
 prescrizioni  ministeriali  non  tengono  adeguato  conto  di  simili
 necessita', ne' offrono rimedi sufficienti pur quando permettono, nel
 corso  del  mese,  un  ulteriore  prelevamento;  tanto  piu' che tale
 operazione veniva consentita nel solo caso di esaurimento di tutte le
 disponibilita' comunque detenute .. e non e' ammessa  tuttora  al  di
 fuori  del  caso in cui ricorrano indifferibili esigenze di spesa ..,
 giudici delle quali finiscono per  essere  lo  stesso  Ministero  del
 tesoro  oppure  la  Banca d'Italia. Le disposizioni impugnate violano
 pertanto,  nel  medesimo  tempo,  l'autonomia  finanziaria  regionale
 considerata  sul  versante  delle  uscite ed il principio informatore
 dell'intera legge n. 720 gia' messo in evidenza  dalla  decisione  n.
 243  del presente anno - per cui la piena ed immediata disponibilita'
 delle somme di loro spettanza, giacenti nelle  relative  contabilita'
 speciali,  deve essere garantita anche agli enti ed organismi inclusi
 nell'annessa tabella B  quali  sono  appunto  le  regioni  a  statuto
 ordinario e speciale".
    Affermazioni  di  tal genere non sono state finora smentite: anzi,
 sono state confermate implicitamente dalla sentenza 2 marzo 1987, nn.
 61 e 62 (che hanno  sottratto  al  regime  di  "tesoreria  unica"  le
 entrate  regionali  proprie  rispettivamente  della regione Sicilia e
 della regione Trentino-Alto Adige) ed esplicitamente  dalla  sentenza
 30  giugno  1988,  n.  742  la  quale  ha  ulteriormente affermato il
 principio per  cui  vanno  assicurate  "le  esigenze  e  le  garanzie
 inderogabili   dell'autonomia"   escludendo  "anomalie  strumenti  di
 controllo sulla gestione finanziaria  regionale"  ed  eliminando  gli
 "ostacoli  alla  effettiva  e  pronta  utilizzazione  delle risorse a
 disposizione della regione" (in tal senso,  di  riflesso,  vedi  pure
 ordinanza 30 giugno 1988, n. 759).
    10.  -  Pare  indubitabile  che  la  Corte  abbia  considerato  le
 differenti fattispecie  sottoposte  al  suo  giudizio  (fra  l'altro,
 l'obbligo  per  le  regioni  di tenere le somme loro trasferite dallo
 Stato sui conti correnti presso il Tesoro; l'imposizione di un limite
 quantitativo alle disponibilita' che le regioni possono tenere presso
 i propri tesorieri; l'imposizione di vincoli alla entita' delle somme
 prelevabili dalle regioni da conti correnti, in assoluto e  non  piu'
 in  correlazione  col  fabbisogno  ne'  con  l'entita' delle giacenze
 presso il sistema bancario) ricercando un bilanciamento  fra  istanze
 statali e regionali, definito nei termini seguenti:
       a)  "il  sistema  di  tesoreria  unica"  e'  espressione  della
 potesta' di coordinamento finanziario riservata dall'art.  119  primo
 comma della Costituzione allo Stato; in specie, esso mira ad impedire
 un ristagno di liquidita' presso le regioni, causa di oneri ulteriori
 per  la  finanza  pubblica, disciplinando i "ritmi di accreditamento"
 delle risorse regionali (vedi fra l'altro, sentenze n. 94/1981  e  n.
 162/1982);
       b) il "sistema di tesoreria unica" non deve "trasformarsi in un
 anomalo  strumento di controllo sulla gestione finanziaria regionale"
 (sentenza n. 155/1977, sistematicamente ripresa dalla  giurisprudenza
 successiva);
       c) in ogni caso, alla regione deve essere assicurata la "pronta
 disponibilita'"  delle  proprie risorse collocate presso la tesoreria
 dello Stato (sentenze nn. 162/1982, 243 e  244/1985)  allo  scopo  di
 evitare (proprio quel che e' accaduto nel caso in esame) "il pericolo
 di   improvvisi  vuoti  di  cassa,  che  pregiudicherebbero  il  buon
 andamento dell'amministrazione e paradossalmente  frustrerebbero  gli
 intenti cui mira la legge n. 720, imponendo alle regioni di ricorrere
 ad  onerose  anticipazioni per fronteggiare le spese indilazionabili"
 (sentenza n. 243/1985);
       d) un simile esito non lo si puo' giustificare neppure con  "il
 richiamo  ad una finalita' di interesse generale", anche di "precipuo
 e stringente rilievo", quando si "incidano e vulnerino competenze  ed
 interessi costituzionalmente garantiti" (sentenza n. 307/1983);
       e)  se  cio'  accade,  si ha una "sicura lesione degli articoli
 117, 118 e 119 della Costituzione" (sentenza n. 307/1983).
    11. - L'orientamento assunto dalla Corte in materia  dimostra  con
 tutta   chiarezza   la   sussistenza   dell'invasione  di  competenza
 realizzata dal Ministro del tesoro quando  ha  accreditato  somme  in
 misura  ridotta  rispetto  alle  richieste, determinando con cio' una
 violazione, oltre che delle disposizioni regolatrici del "sistema  di
 tesoreria  unica"  (della  legge 29 ottobre 1984, n. 720 e successive
 modificazioni e integrazioni e  delle  leggi  da  questa  richiamate,
 esplicitamente  o  implicitamente)  dell'art. 119 della Costituzione,
 che ne e' il fondamento e di riflesso, degli articoli 117 e 118 della
 Costituzione, dal momento che le menomazioni finanziarie reagiscono -
 data la loro strumentalita' - sull'esercizio delle funzioni  legisla-
 tive e amministrative, condizionandone gli esiti: il che ha importato
 altresi' la lesione dell'art. 97 della Costituzione.
    12. - Tutto cio' e' gia' noto alla Corte, ed e' stato recentemente
 ribadito  nel  ricorso  per  conflitto di attribuzioni che la regione
 Veneto ha proposto in relazione alla nota  del  Ministro  del  tesoro
 dell'8  febbraio  1992, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 20 del
 13 maggio 1992, 1a serie speciale e in quello proposto dalla  regione
 Toscana  in  relazione  alla  nota  del  detto  Ministero del tesoro,
 Direzione generale del tesoro, Div. VI, prot. n. 972463 dell'8 giugno
 1992.
    Il caso adesso sottoposto alla Corte dalla regione Umbria  e'  del
 tutto  analogo:  cosicche'  anche  per  esso  valgono le osservazioni
 svolte nei predetti ricorsi.
    13. - L'art. 1, quarto comma della legge 720/1984 prevede che  "il
 decreto  ministeriale  che,  a  norma  del  precedente secondo comma,
 stabilisce le condizioni, i criteri  e  le  modalita'  di  attuazione
 delle  discipline  previste  dalla presente legge deve garantire agli
 enti ed organismi interessati la piena ed immediata disponibilita' in
 ogni momento delle somme di  loro  spettanza  giacenti  in  tesoreria
 nelle contabilita' speciali fruttifere e infruttifere".
    In  relazione  a  tale  norma  va  sottolineato  che rispetto alla
 possibile obiezione secondo la quale, nel confronto tra la situazione
 degli enti sottoposti al regime  dell'accentramento  nel  sistema  di
 tesoreria  unica  (quelli  della  tabella  A)  e  quella  degli  enti
 sottoposti al regime del coordinamento (quelli della tabella B),  tra
 cui le regioni a statuto ordinario) sembrava emergere paradossalmente
 un  trattamento  piu' favorevole per i primi, almeno sotto il profilo
 dell'immediata  spendibilita'  delle  somme  accreditate  sulle  loro
 contabilita'  speciali  presso  le  tesorerie  dello Stato, la Corte,
 nella sentenza n. 243/1985, ha escluso esplicitamente un pericolo  di
 improvvisi vuoti di cassa, chiarendo che "nessuno puo' affermarsi che
 il  sistema  di  tesoreria unica sia di per se stesso suscettibile di
 determinare improvvisi vuoti di cassa della regione,  imponendole  di
 ricorrere   ad   onerose  anticipazioni  per  fronteggiare  le  spese
 indilazionabili, giacche', sebbene contenuta solo  nel  quarto  comma
 dell'art.  4,  con riferimento agli enti inclusi nella tabella A), la
 norma che garantisce la piena ed immediata disponibilita' delle somme
 giacenti  nelle  rispettive  contabilita'  speciali,  deve  ritenersi
 espressione  di  un  principio  generale applicabile a qualunque ente
 contemplato dalla legge n. 270 e  quindi  anche  alle  regioni,  come
 precisato fin dalla sentenza n. 94 del 1981".
    Analogo  principio  la  Corte  ha  ribadito anche di recente nella
 sentenza  n.  24/1991,  affermando  che   "gli   organismi   pubblici
 contemplati   dalla   tabella   B)   sono  autorizzati  a  trattenere
 determinati importi in numerario con un flusso di  reintegro  che  ne
 consenta la disponibilita' piena ed immediata in ogni momento" (punto
 1.1  del  diritto).  E  nella  sentenza 244/1985 (con riferimento, e'
 vero, al piu' specifico caso dei limiti  illegittimamente  posti  con
 decreto   ministeriale   al   diritto  delle  regioni  di  effettuare
 prelevamenti dalle contabilita' speciali aperte presso le sezioni  di
 tesoreria provinciale dello Stato a reintegro dei limiti del 4% delle
 disponibilita'  ivi  giacenti, calcolato sull'ammontare delle entrate
 del bilancio di competenza, ma cio' che conta e' il principio che  la
 Corte  formula,  e  che  vale  anche  nel  caso  oggetto del presente
 giudizio) la Corte ha affermato, con argomentazioni  di  carattere  e
 portata  generale, che "dato il regime introdotto dall'art. 40, primo
 comma, legge n. 119/1981 e mantenuto in  vigore  dall'art.  2,  primo
 comma,  legge n. 720/1984, le operazioni di pagamento interessanti le
 regioni  non  possono  effettuarsi  direttamente  sulle  contabilita'
 speciali  aperte  presso  le  sezioni  di tesoreria provinciale dello
 Stato (come e' invece previsto dall'art. 1, primo comma, legge n. 720
 quanto agli enti ed organismi inseriti  nell'annessa  tabella  A)  ma
 debbono  gravare  sulle disponibilita' regionali depositate presso le
 aziende di credito tesorieri o cassieri delle  regioni  medesime.  In
 questi termini statuiva gia' l'art. 4, decreto ministeriale 11 aprile
 1981, che non consentiva - di regola - agli enti pubblici di cui agli
 articoli  25 e 31, legge n. 468/1978, se non prelevamenti mensili dai
 conti  aperti  presso  la  tesoreria  centrale  dello  Stato  per  il
 reintegro  delle  disponibilita'  comunque  contenute entro il limite
 massimo  del  12%  dell'ammontare  delle  entrate  del  bilancio   di
 competenza. E nello stesso senso dispone attualmente l'impugnato art.
 5  dei  decreti  predetti,  salvo  che  i provvedimenti sono divenuti
 quindicinali, mentre la quota da reintegrare e'  stata  indubbiamente
 ridotta - malgrado le contrarie deduzioni dell'avvocatura dello Stato
 - dal 12 al 4%.
    Per non intralciare il ritmo delle spese regionali, compromettendo
 l'indispensabile  velocita' di erogazione e costringendo le regioni a
 far ricorso - in via alternativa - ad indebitamenti sia pure di breve
 periodo, occorre pero' che la reintegrazione delle quote dei proventi
 regionali  depositabili  presso  le  aziende  di  credito  sia   resa
 possibile continuamente e nei modi piu' solleciti, affinche' si possa
 fare  fronte  ai  pagamenti  imprevisti senza intaccare gravemente od
 esaurire del tutto le  disponibilita'  in  questione.  Viceversa,  le
 citate prescrizioni ministeriali non tengono adeguato conto di simili
 necessita', ne' offrono rimedi sufficienti pur quando permettono, nel
 corso  del  mese,  un  ulteriore  prelevamento,  tanto  piu' che tale
 operazione veniva consentita nel solo caso di esaurimento di tutte le
 disponibilita' comunque detenute (cfr.  l'art.  5,  terzo  comma  dei
 decreti  ministeriali  24  aprile  e  2 giugno 1984) e non e' ammessa
 tuttora al di fuori del caso in cui ricorrano indifferibili  esigenze
 di  spesa  (cfr.  l'art.  5,  terzo  comma del decreto ministeriale 5
 novembre 1984) giudici delle quali finiscono  per  essere  lo  stesso
 Ministro del tesoro oppure la Banca d'Italia.
    Le  disposizioni  impugnate  violano pertanto, nel medesimo tempo,
 l'autonomia finanziaria regionale,  considerata  sul  versante  delle
 uscite,  ed  il principio informatore dell'intera legge n. 720 - gia'
 messo in evidenza dalla decisione n. 243 del presente anno - per  cui
 la  piena  ed immediata disponibilita' delle somme di loro spettanza,
 giadenti nelle relative contabilita' speciali, deve essere  garantita
 anche  agli  enti ed organismi inclusi nell'annessa tabella B), quali
 sono appunto le regioni a statuto  ordinario  e  speciale"  (punto  2
 diritto).
    14.  -  Risulta  ulteriormente  confermata da tali pronunzie della
 Corte, l'inesistenza di un potere amministrativo statale -  quale  e'
 quello  esercitato  con  gli  atti  in  relazione  ai  quali e' stato
 soggevato  il  presente  conflitto  -  di  sindacare   e   rifiutare,
 totalmente  o parzialmente o di ritardare, le richieste della regione
 di provvedere all'emissione dei vaglia  necessari  a  garantire  alla
 regione  stessa  la  piena ed immediata disponibilita' delle somme di
 sua spettanza giacimenti nella  relativa  contabilita'  speciale.  La
 contrazione  delle  erogazioni  disposte dal Ministero a fronte delle
 richieste regionali comporta il venir meno ad  un  atto  dovuto,  che
 determina   grave  violazione  dell'autonomia  finanziaria  regionale
 considerata sul versante della uscite, in contrasto con gli artt. 97,
 117, 118 e 119 della Costituzione.
    15. - Ne' potrebbe essere obiettato che gli atti in  relazione  ai
 quali  viene proposto il presente conflitto in realta' non sussistono
 con conseguente inammissibilita' del ricorso -  dal  momento  che  il
 contenuto  positivo  degli  atti  e'  solo  quello  di garantire alla
 regione  l'emissione  di  vaglia  di  L.  40.000.000.000  e   di   L.
 20.000.000.000   rispetto   al   quale   nessuna   possibile  lesione
 dell'autonomia costituzionale garantita puo' essere lamentata.
    In primo luogo infatti, gli  atti  esistono  e  vanno  valutati  -
 trattandosi  di  una  risposta  ad  una  richiesta  -  in relazione a
 quest'ultima.   Le   richieste   erano   state   formulate   per   L.
 57.144.000.000   e   per   L.   31.279.000.000;   la  risposta  viene
 esplicitamente fornita "in  relazione  alla  richiesta  inviata  alla
 scrivente";  per  conseguenza, il significato - lesivo o meno - della
 determinazione finale va colto con  riferimento  al  contenuto  della
 richiesta: e se questa era (com'era) formulata per un dato ammontare,
 la risposta che si limita a disporre l'erogazione per un ammontare di
 gran  lunga  inferiore  e'  una  risposta  negativa per la differenza
 dovuta e sottratta, significativa, pertanto, di una  autoaffermazione
 di   un   potere  discrezionale  del  Ministero  di  riduzione  della
 richiesta, in relazione al quale precisamente si configura la lesione
 che viene fatta valere con il presente ricorso.
    Il combinato della domanda e della risposta costituisce -  con  un
 congegno  ben  noto  al  diritto  (basti  pensare alla formazione del
 titolo ingiunzionale) - l'autoaffermazione del  potere  discrezionale
 che  invade  la  sfera  regionale pretendendo di sindacare la domanda
 regionale. Cio' che non  e'  consentito  neppure  se,  invece  di  un
 rifiuto immotivato o lesivo, fosse addotta una giustificazione per un
 preteso  coordinamento  che non trova nessuna copertura legale, tanto
 piu' quando si consideri la riserva di legge su  cui  piu'  volte  la
 Corte si e' espressa.
    In  secondo  luogo,  quand'anche si potesse disconoscere (e non si
 puo') l'esistenza di un atto formale di rifiuto o di riduzione  della
 richiesta  e  affermare semplicemente l'esistenza di un comportamento
 ministeriale  in  tal  senso  non  per  questo   verrebbe   meno   la
 possibilita'  e  l'oggetto  del conflitto. Come la Corte ha ricordato
 nella  sentenza  n. 40/1977, atti idonei a provocare l'insorgenza del
 conflitto  "sono  stati   ritenuti   cosi'   concreti   provvedimenti
 amministrativi,  come  regolamenti ed altri atti generali; cosi' atti
 di controllo, come pronunce  giurisdizionali  od  atti  connessi  con
 l'esercizio  della  funzione  giurisdizionale  (e poi ancora, tra gli
 atti amministrativi:  sia atti definitivi, sia atti preparatori;  sia
 atti formali ed esterni, sia atti interni, purche' esplicanti effetti
 per  i  terzi, ed anche comportamenti concludenti non estrinsecantisi
 in atti formali)" (punto 2) del diritto).
    Analogamente, nella sentenza n. 187/1984 la  Corte  ha  detto  che
 "l'attitudine  a  produrre  un  conflitto attuale di attribuzione fra
 Stato  e  regioni   va   riconosciuta   a   qualsiasi   comportamento
 effettivamente  significante  dello Stato o di una regione, che possa
 configurare invasione dell'altrui sfera di competenza e sia  tale  da
 menomare  la  possibilita'  di  esercizio  di  altrui potesta'"; e in
 dottrina  si  e'  sottolineato  che  "merita  particolare  attenzione
 l'affermazione  contenuta  nella  sentenza  n. 40/1977 la quale, dopo
 aver  elencato  i  tipi  di  atti  suscettibili  di  determinare   il
 conflitto,   riconosce   altresi'  la  sufficienza  di  comportamenti
 concludenti, non estrinsecantisi in atti formali"  (Zagrebelsky,  "La
 giustizia  costituzionale", Bologna, 1988 p. 344) e che "nella prassi
 instaurata non tanto si richiede che il conflitto sia originato da un
 atto giuridico vero  e  proprio  (meno  ancora  da  un  atto  esterno
 definitivo)    quanto,   piu'   largamente,   da   un   comportamento
 significante, posto in  essere  da  organi  statali  e  inversamente,
 regionali"   (Crisafulli,   "Lezioni   di   diritto   costituzionale.
 L'ordinamento costituzionale italiano. Le fonti normative.  La  Corte
 costituzionale", V ed. Padova, 1984, p. 406).
    16.  -  Sussistono  pertanto,  nel  caso di specie, le ragioni per
 chiedere alla Corte di sanzionare l'atto con il  quale  il  Ministero
 del  tesoro  ha  preteso  di  adottare  comportamenti  (che  non  gli
 spettano) di riduzione o rifiuto delle  richieste  regionali  di  far
 fronte   alle  necessita'  di  pagamento  della  regione,  gravemente
 violando l'autonomia regionale sul versante delle uscite e la  stessa
 possibilita'  per  la regione di esercitare in modo corretto tutte le
 funzioni costituzionalmente garantitele.
                               P. Q. M.
    Si chiede che la Corte costituzionale dichiari che non spetta allo
 Stato (per esso al Ministero del tesoro) negare l'emissione di vaglia
 del tesoro rifiutandosi implicitamente o esplicitamente di  emetterli
 nella  misura richiesta dalla regione Umbria; che spetta alla regione
 Umbria la piena ed immediata disponibilita'  in  ogni  momento  delle
 somme  proprie  giacenti  presso  la  tesoreria  dello Stato; che non
 spetta allo Stato determinare l'entita' delle rimesse  periodicamente
 richieste  dalla  regione  Umbria  per  fronteggiare il fabbisogno di
 cassa; e, conseguentemente, annulli le note del Ministero del  tesoro
 del  15  e 22 giugno 1992 indicate in epigrafe, nella parte in cui il
 Ministero stesso non ha  ottemperato  alle  richieste  della  regione
 Umbria  del  1º  e  15  giugno  1992,  prot.  nn.  10209 e 11844, per
 violazione degli artt. 97, 117, 118 e 119 della Costituzione.
      Roma, addi' 20 luglio 1992
             Avv. Alberto PREDIERI - Avv. Maurizio PEDETTA

 92C0943