N. 468 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 maggio 1992
N. 468 Ordinanza emessa il 28 maggio 1992 dal tribunale di sorveglianza di Ancona sulle istanze proposte da Capecci Domenico Ordinamento penitenziario - Beneficio della liberazione anticipata - Condannati per gravi delitti (nella specie: associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di stupefacenti) - Possibilita' di concedere il beneficio solo in assenza di attuali collegamenti con la criminalita' organizzata - Ritenuta ininflu- enza di tale condizione, peraltro difficilmente verificabile, ai fini della concessione del beneficio da ritenersi semplice premio per la buona condotta del condannato all'interno dell'istituto penitenziario - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ad altre categorie di condannati (per omicidio, rapina, estorsione, ecc.) per i quali la concessione del beneficio e' subordinata a condizioni dal punto di vista probatorio meno onerose - Prospettata violazione del principio della funzione rieducativa della pena. (Legge 26 luglio 1975, n. 354, art. 4-bis, primo comma, p.p., e successive modificazioni; d.-l. 13 maggio 1991, n. 152, art. 1, primo comma, convertito in legge 12 luglio 1991, n. 203). (Cost., artt. 3 e 27).(GU n.38 del 9-9-1992 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Ha pronunciato la seguente ordinanza di inammissibilita' di istanza di affidamento in prova al servizio sociale e di sospensione del procedimento e di rimessione degli atti alla Corte costituzionale in relazione ad istanze di semiliberta' e di riduzione di pena per liberazione anticipata il tribunale di sorveglianza riunito in camera di consiglio nelle personae dei sigg.: dott. Marcello Galassi - Presidente; dott. Vincenzo Semeraro - Magistrato di Sorveglianza relativore ed estensore; dott. Stefano Berti - Esperto; dott. Raffaele Landolfo - Esperto, per deliberare in merito alle istanze di affidamento in prova al servizio sociale, di semiliberta' e di riduzione di pena per liberazione anticipata, rispettivamente pervenute presso la cancelleria dell'intestato tribunale di Sorveglianza in date 8 aprile 1992 (le prime due) e 17 aprile 1992 (la terza), presentate dal condannato Capecci Domenico, nato il 14 gennaio 1939 a S. Benedetto del Tronto (AP), ivi domiciliato in via Case Nuove n. 16, attualmente ristretto presso la Casa Circondariale di Ascoli Piceno, sezione ordinaria, in espiazione della pena detentiva di anni 7 di reclusione, siccome inflitta, congiuntamente a quella pecuniaria di L. 45.000.000 di multa, dalla Corte di Appello di Ancona con sentenza n. 275/90 reg. gen. pronunziata in data 26 marzo 1991, la quale acclarava la penale responsabilita' del prevenuto in ordine ai reati di partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti ed altro (Organo dell'esecuzione: Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Ancona - Ordine di esecuzione n. 14/92 R. Es. emesso in data 27 marzo 1992) (F. P.: 10 giugno 1995); Lette le istanze con cui Capecci Domenico, meglio qualificato in epigrafe, chiedeva a questo Collegio l'ammissione alla misura alternativa dell'affidamento in prova al Servizio Sociale ovvero, in subordine, al regime della semiliberta' ed, inoltre, il riconoscimento del proprio diritto alla concessione di una riduzione di pena per liberazione anticipata, ai sensi e per gli effetti del disposto dell'art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354 e succ. mod., commisurata all'intiero perdiodo detentivo sofferto; Accertata la propria competenza territoriale, essendo il Capecci ristretto, in virtu' di assegnazione ministeriale, all'epoca della presentazione della domanda, presso la Casa Circondariale di Ascoli Piceno; In esito all'odierna udienza, svoltasi nel rispetto delle formalita' di rito, ed a scioglimento della riserva nel corso della stessa formulata; Ascoltati l'interessato, personalmente comparso in virtu' di regolare notificazione dell'avviso di procedimento di sorveglianza, il P. G. ed il difensore del condannato, che concludevano come da separato verbale CONSIDERA IN FATTO 1. - Tratto in arresto in data 11 ottobre 1988, Capecci Domenico, meglio qualificato in epigrafe, veniva condotto innanzi al giudizio del tribunale di Ascoli Piceno, il quale, in esito all'apprezzamento della penale responsabilita' del prevenuto in ordine ai reati di concorso in detenzione a fini di spaccio di quantita' ingente di sostanza stupefacente (eroina) e di partecipazione, in qualita' di promotore ed organizzatore, ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, lo condannava, con sentenza resa in esito alla celebrazione di rito abbreviato in data 4 aprile 1990, alla pena detentiva di anni 8 e mesi 6 di reclusione, unitamente inflitta a quella pecuniaria di L. 50.000.000 di multa (v. copia della sentenza pubblicata in data 26 marzo 1991 dalla Corte di Appello di Ancona, in atti); a seguito di interposizione di appello avverso la surrichiamata sentenza, veniva instaurata la fase di gravame, la quale veniva definita, in data 26 marzo 1991, dalla Corte di Appello di Ancona, che riformava il verdetto emesso dai giudici di prime cure, riducendo la pena detentiva inflitta al Capecci nella misura di anni 7 di reclusione e di L. 45.000.000 di multa. Divenuta irrevocabile in data 4 marzo 1992 la condanna summenzionata, veniva emesso in data 27 marzo 1992 dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Ancona ordine di esecuzione n. 14/92 R. Es. Il Capecci, gia' ammesso in data 10 luglio 1989 alla fruizione degli arresti domiciliari presso la propria abitazione, veniva assoggettato a revoca della predetta misura alternativa alla custodia cautelare in carcere in data 25 gennaio 1992, in virtu' dell'entrata in vigore del d.-l. 9 settembre 1991, n. 292, convertito con legge 8 novembre 1991, n. 356; associato alla Casa Circondariale di Ascoli Piceno, ivi rimaneva a seguito della notificazione dell'ordine di esecuzione sopra menzionato. Il condannato assumeva una condotta lineare, formalmente osservante della normativa disciplinaria intramuraria, dedita all'impegno nello svolgimento di mansioni lavorative in qualita' di addetto alle pulizie (v. relazione di sintesi redatta in data 12 maggio 1992 dall'e'quipe di osservazione e trattamento della Casa Circondariale di Ascoli Piceno, in atti) confermando le positive note compartimentali gia' manifestate tanto durante il periodo di custodia cautelare sofferta, in precedenza, presso altro istituto di pena (v. relazione comportamento redatta in data 22 maggio 1992 dall'e'quipe di osservazione e trattamento della Casa Circondariale di Ancona, in atti), quanto nel corso della fruizione della misura alternativa degli arresti domiciliari (v. nota n. 06647/112 - 1 redatta in data 26 maggio 1992 dal Comando della Stazione dei Carabinieri di S. Benedetto del Tronto, in atti). In data 8 aprile 1992 perveniva presso la Cancelleria dell'intestato tribunale di Sorveglianza istanza con cui il condannato presentava richiesta di ammissione alla misura alternativa dell'affidamento in prova al Servizio Sociale ovvero, al regime della semiliberta', onde poter riprendere la pregressa attivita' lavorativa ed essere piu' vicino ai propri familiari; successivamente, in data 17 aprile 1992, giungeva presso la Cancelleria dell'intestato tribunale di Sorveglianza ulteriore domanda del Capecci, con cui quest'ultimo chiedeva una riduzione di pena per liberazione anticipata commisurata al periodo detentivo intercorso dall'inizio dell'attuale carcerazione (11 ottobre 1988) alla data di scadenza dell'ultimo semestre utilmente valutabile. Veniva esperita l'istruttoria di rito, che si compendiava nell'acquisizione delle relazioni comportamentali e di quelle di sintesi redatte dalle e'quipes di osservazione e trattamento degli istituti di pena di assegnazione del Capecci, delle risultanze inerenti alla validita' della prospettiva occupazionale asserita dal condannato ed alla situazione socio-familiare dello stesso, nonche' delle informative del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in ordine al luogo di restrizione, il quale, dopo aver indicato la gia' accertata (all'epoca di effettuazione delle indagini di P. G. che condussero alla pronunzia della sentenza di condanna attualmente in fase esecutiva) connessione tra il Capecci ed alcuni malavitosi pugliesi, attestava circa l'impossibilita' di comprovare, per la parte di propria competenza, l'assenza di elementi di riscontro inerenti all'attualita' di collegamenti del condannato per la criminalita' organizzata; cio' fatto, il Presidente di questo Collegio provvedeva alla fissazione, per la discussione delle istanze summenzionate, dell'udienza odierna, nel corso della quale, verificata la regolarita' delle notificazioni degli avvisi di procedimento di sorveglianza, acquisita la designazione dell'avv. Franco Argentari, del Foro di Ancona, quale sostituto dell'avv. Francesco Petrelli, del Foro di Roma, difensore fiduciario dell'interessato, in esito alla relazione compiuta dal giudice delegato, il condannato, personalmente comparso, insisteva nelle richieste, producendo apposita impegnativa di assunzione sottoscritta in data 25 maggio 1992 dall'amministratore dell'impresa "Damar Pesca", corrente in S. Benedetto del Tronto (AP), mentre P. G. e difensore del condannato concludevano come da separato verbale. Il tribunale si riservava. OSSERVA IN DIRITTO 1. - Sciogliendo la surrichiamata riserva, opina questo Collegio che l'istanza intesa all'ammissione del condannato alla fruizione della misura alternativa dell'affidamento in prova al Servizio Sociale debba essere dichiarata inammissibile. Risulta, infatti, che il Capecci venne arrestato in data 11 ottobre 1988 e che, da allora, la carcerazione non abbia mai subito, pur nella diversita' dei regimi succedutisi nel tempo (custodia cautelare in carcere, arresti domiciliari, di nuovo custodia cautelare in carcere, espiazione di condanna irrevocabile), alcuna soluzione di continuita': pertanto, il condannato risulta aver espiato, alla data di presentazione della surrichiamata istanza (8 aprile 1992) anni 3, mesi 5 e giorni 26 di reclusione. La parte residua di pena detentiva, parametro al quale, alla stregua di ormai consolidata giurisprudenza di legittimita' (v. Cass., sez. 1a penale, 25 febbraio 1991, n. 960, Pres. Carnevale, Rel. Sibilia, Ric. Puoti; Cass., sez. 1a penale, 25 gennaio 1991, n. 331, Pres. Molinari, Rel. Savoi Colombis, Ric. Maifredi; Cass., sez. 1a penale, 28 gennaio 1991, n. 349, Pres. Carnevale, Rel. Sibilia, Ric. Bata'; Cass., sez. 1a penale, 1º marzo 1991, n. 1083, Pres. Sibilia, Rel. Tricomi, Ric. Proc. Gen. Rep. Ancona, Cond. Amadori), deve essere commisurata l'ammissibilita' della domanda di affidamento in prova al Servizio Sociale, risulta, nella fattispecie concreta sottoposta all'odierno vaglio di questo Collegio, superiore al limite di tre anni, indicato dal primo comma dell'art. 47 O. P.: in particolare, la parte residua di pena detentiva ammontava, al momento di presentazione dell'istanza, data alla quale deve essere vagliata la sussistenza del presupposto di ammissibilita', ad anni 3 (tre), mesi 2 (due) e giorni 4 (quattro) di reclusione, tenuto conto, altresi', della parte di pena (quattro mesi di reclusione) estinta in virtu' di applicazione di indulto. L'istanza di affidamento in prova al Servizio Sociale deve, pertanto, essere dichiarata inammissibile. 2. - Quanto alla disamina della domanda di riduzione di pena per liberazione anticipata, che deve essere affrontata con priorita' rispetto a quella dell'istanza di semiliberta', in ossequio ai principi di gerarchia logica e giuridica, ritiene questo Collegio che risulti pregiudiziale alla risoluzione della presente causa sollevare d'ufficio eccezione di illegittimita' costituzionale del disposto della prima parte del primo comma dell'art. 4- bis legge 26 luglio 1975, n. 354 e succ. mod., siccome interpolato originario corpus della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario dal primo comma dell'art. 1 del d.-l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito senza modifiche, relativamente alla normativa de qua agitur, con legge 12 luglio 1991 n. 203. La prefata normativa testualmente recita: "L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI possono essere concessi ai condannati per delitti commessi per finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416- bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonche' per i delitti di cui agli articoli 416- bis e 630 del codice penale e dell'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, solo se sono stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata o eversiva. Quando si tratta di condannati per i delitti di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, del codice penale e all'articolo 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'articolo 80, comma 2, del predetto testo unico, approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, i benefici suddetti possono essere concessi solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalita' organizzata o eversiva. 2. - Ai fini della concessione dei benefici di cui al comma 1 il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza decide acquisite dettagliate informazioni per il tramite del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in relazione al luogo di detenzione del condannato. in ogni caso il giudice decide trascorsi trenta giorni dalla richiesta delle informazioni. al suddetto comitato provinciale puo' essere chiamato a partecipare il direttore dell'istituto penitenziario in cui il condannato e' detenuto. 3. - Gia' in epoca immediatamente successiva all'entrata in vigore del d.-l. 12 gennaio 1991, n. 5, che, per la prima volta introduceva, in relazione alle istanze intese all'ottenimento dei benefici disciplinati nella legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, l'obbligo di adizione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, al fine di vagliare la sussistenza di elementi atti a comprovare la presenza ovvero l'assenza di collegamenti attuali del richiedente, condannato per le particolari fattispecie criminose sopra menzionate, con la criminalita' organizzata od eversiva, questo collegio si era espresso nel senso che l'espressione "misure alternative alla detenzione", contenuta nel primo comma dell'art. 4- bis o. p., interpolato dal primo comma dell'art. 1 del d.-l. n. 5/1991, non deve essere intesa quale comprensiva, ai fini de quibus agitur, della riduzione di pena per liberazione anticipata, si' che le istanze dei condannati per i particolari titoli delittuosi sopra ricordati, intese ad ottenere la concessione del prefato beneficio, dovevano essere istruite, pur nella vigenza del nuovo testo di legge, senza previamente acquisire le informative del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. Appare opportuno, giunti a tal punto della motivazione del presente provvedimento, chiarire le ragioni sottese all'orientamento esegetico adottato da questo collegio in relazione alla necessita' di procedere all'acquisizione delle informative del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica al fine di istruire le istanze intese all'ottenimento di riduzioni di pena per liberazione anticipata, presentate dai condannati per i particolari titoli delittuosi elencati dal primo comma dell'art. 4- bis o. p.; come gia' esposto, ancora nella fase di vigenza dei precedenti testi di legge (i quali prevedevano la competenza del c. p. o. s. p. del luogo di residenza del condannato, a differenza del testo attualmente in vigore, il quale, come ricordato, radica la competenza del c. p. o. s. p. del luogo di detenzione del richiedente) questo collegio si era espresso circa l'inopportunita' di ricondurre, sic et simpliciter, lo strumento trattamentale della liberazione anticipata (rectius: della riduzione di pena per liberazione anticipata) nell'ambito delle misure alternative alla detenzione, menzionate nel surrichiamato primo comma dell'art. 4- bis o. p., per far luogo alla concessione delle quali era richiesta l'adizione del competente comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, allo scopo sopra individuato (ordd. nn. 83/91 - Pres. Galassi, Est. Semeraro, Cond. Pecorari - e 464/90 l. a. - Pres. Galassi, Est. Semeraro, Cond. Gerace - rispettivamente pronunziate in date 14 febbraio 1991 e 9 maggio 1991): e' d'uopo premettere, in limite litis, una breve esposizione delle motivazioni sottese al convincimento di questo collegio (espresso nei surrichiamati provvedimenti) circa l'obbligatorieta', per la magistratura di sorveglianza, di adizione dell'istanza rappresentata dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica allorche' si debba decidere il merito di istanze di riduzione di pena per liberazione anticipata, presentate, ai sensi e per gli effetti del disposto dell'art. 54 o. p., da condannati che debbano espiare pene inflitte per alcune delle fattispecie criminose individuate dalla disciplina recentemente introdotta dal primo comma dell'art. 4- bis o. p.: il problema, a giudizio di questo tribunale di sorveglianza, si presentava coessenziale alla quaestio juris inerente alla sussumibilita' dell'istituto giuridico, di cui al prefato art. 54 o. p., tra le " .. misure alternative alla detenzione .." ai fini sopra indicati. si rammenti, a tal proposito, che i primi testi di decreto-legge (d.-l. 12 gennaio 1991 n. 5 e d.-l. 13 marzo 1991 n. 76, successivamente decaduti poiche' non tempestivamente convertiti in legge) operavano un generico riferimento, ai fini de quibus agitur, alle " .. misure alternative alla detenzione .." senza ulteriori specificazioni. l'opinione di questo tribunale, a tal proposito espressa nei summenzionati provvedimenti, era orientata nel senso che la riduzione di pena per liberazione anticipata, di cui al disposto dell'art. 54 legge 26 luglio 1975 n. 354 e succ. mod., non potesse essere sussunta nel novero delle " .. misure alternative alla detenzione ..", la cui concessione, allorche' richiesta dai condannati in espiazione di pena per i particolari titoli delittuosi di cui al primo comma dell'art. 1 dd.-ll. 12 gennaio 1991 n. 5 e 13 marzo 1991 n. 76, era subordinata, ai sensi del combinato dettato dei commi 1 e 2 dell'art. 4- bis legge 26 luglio 1975 n. 354 e succ. mod., all'accertamento che " .. non vi sono elementi tali da far ritenere attuali i collegamenti con la criminalita' organizzata o eversiva .." (accertamento esperendo mediante l'obbligatoria adizione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in ordine al luogo di abituale residenza - poi di detenzione, nel vigore del d.-l. n. 152/1991 - del condannato). orbene, tale normativa richiede alla magistratura di sorveglianza una particolare indagine, inerente alla pericolosita' sociale (rectius: alla sussistenza di attuali collegamenti con organizzazioni criminose comuni e/o politiche) dei detenuti condannati per qualificati titoli delittuosi al fine di procedere all'accoglimento di istanze rivolte all'ottenimento dei particolari "benefici" penitenziari, indicati nell'ambito della prefata normativa. la quaetio juris che, nell'ambito delle surrichiamate processure, appariva di preliminare rilevanza si incentrava sul quesito se la dizione generica del primo comma dell'art. 4- bis o. p., il quale operava (quanto meno nei primi testi di decreto-legge e, comunque, con variazioni lessicali, apportate dal testo normativo attualmente in vigore, tali da lasciare, nell'opinione di questo Collegio, inalterata la questione) un indistinto richiamo alle "misure alternative alla detenzione", potesse essere riferita, altresi', all'istituto della riduzione di pena per liberazione anticipata e, conseguentamente, se, nell'eventualita' di richieste avanzate da detenuti condannati per i titoli delittuosi di cui al ridetto primo comma dell'art. 4- bis o. p. ed intese all'ottenimento di tale beneficio, occorresse, comunque, acquisire le dettagliate informative del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. Riteneva questo Collegio di non poter condividere tale orientamento interpretativo: la formula, di cui al primo comma dell'art. 4- bis o. p., aveva inteso operare, secondo l'opinione di questo tribunale di Sorveglianza, un chiaro riferimento ad istituti caratterizzati da un minimo comun denominatore, costituito dalla natura giuridica di "misure alterna- tive alla detenzione", stricto sensu intese. A tal proposito, appariva significativo che la circostanza che l'obbligo di adizione dell'istanza rappresentata dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza fosse stato imposto, in relazione alle domande di liberazione condizionale, nell'ambito di separato articolo della medesima normativa (art. 2 d.-l. n. 5/1991): tale considerazione non poteva essere utilizzata, in chiave di ricostruzione esegetica, per inferirne la conclusione che il richiamo operato dall'art. 1 dello stesso decreto-legge avesse esclusivo riferimento a quelle misure, definite quali alternative dal legislatore del 1975, a prescindere dalla loro effettiva natura giuridica: secondo tale tesi l'espresso richiamo alla liberazione condizionale in diverso loco della medesima normativa si sarebbe reso necessario a cagione dell'esclusione, dal novero delle misure disciplinate nel 1975, del prefato istituto, mentre, laddove il legislatore del 1991 avesse inteso far riferimento alla natura giuridica degli istituti, il richiamo stesso avrebbe costituito un superfetazione, alla stregua dell'accertata natura di misura alternativa alla detenzione, propria della liberazione condizionale. Riteneva e, conseguentemente, esponeva, per converso, questo tribunale che l'opportunita' di disciplinare in senso analogo alle altre misure alternative alla detenzione anche la liberazione condizionale, sia pure nell'ambito di differente articolato, derivasse proprio dall'attenta considerazione della natura giuridica dell'istituto de quo: costituisce, infatti, argomento ormai noto la querelle, insorta tanto in ambito dottrinario, quanto in ambito giurisprudenziale, sulla natura giuridica della liberazione condizionale e della conseguente liberta' vigilata, sul quale neanche vale la pena di soffermarsi, se non per il tempo necessario a rammentarlo. Basti soltanto sottolineare, in questa sede ed agli scopi che ne occupano, che neanche la Corte costituzionale, nella piu' recente pronunzia in materia di effetti della revoca della liberazione condizionale (sent. 15-25 maggio 1989 n. 282, Pres. Saja, Rel. Dell'Andro, in Gazzetta Ufficiale 1989, 1a serie speciale, n. 22, pag. 13 e segg.), con decisione apprezzata per la sua ponderazione dall'unanime dottrina, ha ritenuto opportuno dirimere il contrasto tra coloro che sostengono la natura di modalita' di esecuzione alternativa alla pena detentiva, propria della liberazione condizionale, e coloro che, viceversa, ne predicano la natura di istituto di carattere sospensivo probatorio (v. sentenza predetta, pagg. 15, 16 e 17). L'irrisolto nodo interpretativo, senz'altro ben noto al legislatore, era sotteso, nella ricostruzione esegetica di questo collegio, alla necessita' di provvedere ad espressa menzione della liberazione condizionale nell'ambito di un differente articolo di legge, proprio in virtu' dell'impossibilita', allo stato attuale dell'interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale, di equiparare, sic et simpliciter, l'istituto di cui all'art. 176 c. p. alle misure alternative alla detenzione stricto sensu. Donde dovevasi desumere la piena controvertibilita' dell'argomentazione logica suddetta. Che, anzi, proprio la constatazione che il legislatore, allorche' aveva inteso estendere gli oneri procedurali previsti per le misure alternative alla detenzione anche ad un istituto, la cui natura giuridica appare ancora oggi di incerta definizione, aveva provveduto espressamente alla menzione dello stesso, addirittura in ambito testuale separato, induceva a concludere che la locuzione " .. misure alternative alla detenzione .." utilizzata nell'ambito del primo comma dell'art. 4- bis o. p., sopra mentovato, avesse una propria specificita' tecnica, nel senso che il legislatore avesse inteso operare un riferimento preciso solo e soltanto a quelle misure, inotrotte per la prima volta, nell'ambito dell'ordinamento giuridico italiano, dalla legge di riforma penitenziaria del 1975 (e, successivamente, integrate nel 1986), che rivestano natura di vera e propria alternativa alla pena detentiva ordinaria. 3.1. - Aggiungeva, a tal proposito, questo Collegio un excursus inerente alla genesi delle misure alternative alla detenzione: a tal riguardo, occorre sottolineare come sia, ormai, noto, dal dibattito dottrinario che ha travagliato la penalistica italiana ed internazionale, risalente, addirittura, al periodo terminale del diciannovesimo secolo, ad epoca, id est, in cui, attraverso la formulazione dell'ormai classico paradosso di Von Liszt, venne individuata la necessita' di definire e giuridicizzare misure alter- native alla pena detentiva breve ed ai suoi inevitabili correlati di stigmatizzazione e desocializzazione, che la misura alternativa alla detenzione costituisce una sorta di tertium genus tra la pena detentiva classica ed i cosiddetti sostitutivi penali: la misura alternativa alla detenzione, infatti, non implica una totale deprivazione della liberta' personale, ma una piu' o meno pregnante compressione della stessa, accompagnata da forme di assistenza risocializzazione; alla pena detentiva classica, viceversa, le misure alternative si avvicinano, alla stregua del loro carattere di afflittivita', positivamente sanzionato, a tutt'oggi, da autorevoli interventi giurisprudenziali (v. sent. Corte Cost. 15 ottobre 1987 n. 347, Pres. Andrioli, Rel. Spagnoli, in Gazzetta Ufficiale 1987, 1a serie speciale, n. 46, pag. 50 e segg.). Su tali conclusioni si e' attestata la dottrina unanime, anche in seguito agli interventi di autorevolissimi esponenti, sin dai tempi dell'introduzione della legge di riforma penitenziaria. Orbene, data tale premessa, secondo cui le misure alternative alla detenzione, strcto sensu intese, sono connotate da un coessenziale carico di afflittivita', si inferiva logicamente che l'istituto, di cui all'art. 54 legge 26 luglio 1975 n. 354 e succ. mod., non poteva rettamente essere annoverato tra le misure alternative alla detenzione: concorde alla conclusione che precede e', altresi', autorevole dotrrina, la quale, sin dall'epoca dell'entrata in vigore della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, sottolineo' l'improprieta' della collocazione sistemativa della normativa concernente le riduzioni di pena per liberazione anticipata nell'ambito del capo ove trovavansi disciplinate le misure alterna- tive alla detenzione: cio', stante la natura giuridica dell'istituto prefato, il quale consiste non nella sostituzione di un trattamento "penale" ad altro tipo di trattamento (quello detentivo tradizionale), bensi' nella mera remissione di parte della pena detentiva stessa alla stregua della verificazione giudiziale dei parametri comportamentali delineati dal legislatore (positiva rispondenza agli interventi trattamentali). La natura giuridica dell'istituto della riduzione di pena per liberazione anticipata consiste nell'abbreviazione della durata della pena detentiva quale riconoscimento (sanzione positiva) dell'adozione, da parte del condannato, di comportamenti normorientati: dalla lettera della legge emerge palesemente la pregnanza spiccatamente premiale dell'istituto, il quale consiste in un incentivo alla condivisione di metodiche trattamentali, orientate alla progressiva acquisizione di stadi rieducativi del soggetto. La ratio sottesa all'istituto de quo risulta chiaramente evincibile dal tenore testuale dell'art. 54 o. p., il quale delinea per la riduzione di pena una finalita' pedagogica, desumibile dall'indicazione del semestre quale unita' di valutazione della condotta del condannato, operata in virtu' della recezione delle conclusioni delle piu' avvedute dottrine psico-pedagogiche (siccome riconosciuto, oggigiorno, anche dalla Suprema Corte; v. Cass., sez. 1a, 15 marzo 1989, Pres. Molinari, Rel. Savoi Colombis, cond. Comune, in Cass. pen. 1989, p. 2267, m. 1854): d'altro canto, lo stesso Ministro Guardasigilli, nella relazione al disegno di legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, sottolineava le potenzialita' incentivanti dell'istituto nello stimolare il detenuto nello sforzo di adeguamento e di mantenimento di " .. una positiva tensione psicologica ..". 3.2. - La natura giuridica dell'istituto della riduzione di pena per liberazione anticipata, siccome poc'anzi delineata, fa si' che lo stesso non possa essere assimilato, sic et simpliciter, alle misure alternative alla detenzione, stricto sensu intese, dovendosi ravvisare nello stesso un istituto dalla spiccata valenza premiale, ispirato a parametri pedagogici di incentivazione all'adozione di comportamenti di retta progressione nell'acquisizione di mete di rieducazione: il riscontro rispetto al quale commisurare la valutazione giudiziale dovra' essere, pertanto, eminentemente fattuale, indipendentemente dal raggiungimento del fine dell'avventura rieducazione sociale del condannato; altrimenti opinando si perverrebbe al risultato di sovrapprezzo l'istituto in disamina a quello della liberazione condizionale, in ordine al quale, viceversa, il legislatore richiede espressamente l'intervenuta emenda del reo. Il reinserimento sociale e' prospettato dal legislatore, nell'ambito della disciplina dell'istituto di cui all'art. 54 o. p., quale finalita' al cui raggiungimento sono orientati gli incentivi premiali intesi a stimolare l'adozione di comportamenti (carcerari e sociali) normorientati; d'altro canto, la conclusione che precede si consolida alla luce del recenziore orientamento esegetico, adottato dalla Suprema Corte in materia di frazionabilita' del periodo detentivo soggetto alla valutazione giudiziale ai fini de quibus e di semestralizzazione della concessione delle riduzioni di pena (v. Cass. sez. 1a 15 marzo 1989, gia' citata; Cass., sez. 1a, 19 aprile 1989, Pres. Carnevale, Rel. Pirozzi, cond. Ferro, in Cass. pen. 1990, pag. 1800, m. 1473; Cass., sez. 1a, 29 maggio 1989, Ognibene in Mass. Uff. 1989, m. 181516; Cass., sez. 1a, 16 maggio 1989, Borsone, ivi 1989, m. 181914; Cass. sez. 1a, 27 dicembre 1989, n. 2914, Pres. Aiello, Rel. Buogo, cond. Bassi; Cass. sez. 1a, 18 gennaio 1990, n. 3192, Pres. Carnevale, Rel. Serianni, cond. Ierardi; Cass., sez. 1a, 13 aprile 1990, n. 758, Pres. Molinari, Rel. Pompa, cond. Carbone), il quale, secondo le considerazioni della piu' avveduta dottrina, implica una maggiore oggettivazione del giudizio proprio della Magistratura di Sorveglianza. Occorreva, nella ricostruzione esegetica fornita da questo Collegio, porre mentre alla considerazione che il parametro normativo, alla cui stregua valutare il comportamento del condannato ai fini de quibus, e' la partecipazione del detenuto all'attivita' rieducativa, sostanziantesi, secondo il testuale disposto dell'art. 94 d.P.R. 29 aprile 1976 n. 431 e succ. mod., nel particolare impegno dimostrato dal ristretto nel trarre profitto dalle opportunita' offertegli nel corso del trattamento, id est nell'atteggiamento manifestato nei confronti degli operatori penitenziari, nella qualita' dei rapporti intrattenuti con i condetenuti e con i familiari, oltre che, ovviamente, nella spontanea e proficua adizione degli elementi del trattamento rieducativo (lavoro, istruzione, religione, etc.). Rebus sic stantibus, non si poteva non condividere l'orientamento predicato da autorevole dottrina, nonche', in ultima analisi, sotteso alla stessa giurisprudenza del giudice di legittimita' delle leggi (v. Corte Cost. sent. 23-31 maggio 1990 n. 276, Pres. Saja, Rel. Gallo, Calore ed altro, in Cass. pen. 1991, m. 2, pag. 4 e segg.), secondo cui il presupposto per la concessione (rectius, per il riconoscimento giudiziale del diritto alla concessione) della riduzione di pena per liberazione anticipata consiste in un dato squisitamente fattuale, il cui primo ed, in sostanza, pieno riscontro deve logicamente essere demandato agli operatori che quotidianamente, con profusione di impegno e sacrificio personale, nonche' di esperienza cognitiva e scientifica, hanno la possibilita' di osservare e studiare la rispondenza eventuale del condannato agli interventi trattamentali, id est agli operatori penitenziari. Ne' poteva dirsi che siffattamente opinando ci si priva, volontariamente, di uno strumento cognitivo atto a vagliare, piu' oculatamente, il reale grado di rispondenza del detenuto all'opera di rieducazione: era ben consapevole questo Collegio che una regolare condotta intramuraria, la quale dissimuli, in realta', una permanenza del vincolo associativo con organizzazioni criminali od eversive, non potesse correttamente essere qualificata come partecipazione all'attivita' trattamentale, si' da integrare il presupposto per il riconoscimento giudiziale del diritto alla concessione della riduzione di pena per liberazione anticipata. Gli era, peraltro, che dati di riscontro realmente attendibili circa la sussistenza dei predetti legami ben difficilmente avrebbero potuto essere forniti, sol che alla circostanza si ponesse mente per un giudizio sereno e disincantato, da organismi statuali estranei al sistema penitenziario, i quali, per loro composizione e competenza specifica, non possiedono gli elementi di giudizio piu' significativi, ai fini che ne occupano, id est i dati inerenti alla condotta intramuraria del condannato; in realta', e' sempre l'Amministrazione penitenziaria, tramite i suoi organi periferici, deputati all'osservazione della condotta ed, in senso piu' lato, della personalita' del ristretto, a possedere un quadro d'insieme imprescindibile e di primaria rilevanza anche ai fini della valutazione della circostanza della sussistenza attuale di collegamenti con la criminalita' organizzata, siccome e', d'altro canto, dimostrato dalla particolare attenzione profusa dalla stessa Amministrazione nel rilevare e segnalare alla Magistratura di Sorveglianza tutti quegli elementi di riscontro che, ai fini predetti, potrebbero rivelarsi significativi (rimesse di denaro sospette, necessita' od opportunita' di sottoporre a visto di controllo la corrispondenza epistolare del detenuto, natura e frequenza dei colloqui, natura e contenuto di colloqui telefonici, soggetti all'ascolto di personale penitenziario, eccezion fatta per quelli con i difensori, natura e qualita' della restante popolazione detenuta frequentata, etc.). Viceversa, assegnare, come desumesi dal testo normativo dell'art. 4- bis o. p., primaria rilevanza, cui subordinare l'accertamento degli altri presupposti comportamentali, alle informazioni fornite da un organismo estraneo al sistema penitenziario, il quale, tra l'altro, il piu' delle volte, soprattutto nelle ipotesi di detenzioni protraentisi da lungo periodo, non potra' che fondare i propri giudizi sui comportamenti extramurari antecedenti all'instaurazionedella carcerazione, appariva decisamente incongruo in riferimento alla natura giuridica dell'istituto in disamina, laddove si fosse fatta mente locale agli orientamenti della stessa consolidata giurisprudenza di legittimita', secondo cui, ai fini della liberazione anticipata, occorre aver riguardo al comportamento tenuto dal condannato all'interno degli istituti penitenziari, mentre rilevanza del tutto secondaria ed accessoria assumono i precedenti penali e giudiziari, ed, ancora, laddove l'istituto della liberazione condizionale si correla al sicuro ravvedimento del condannato, desunto dal suo comportamento globale, senza limitare l'osservazione alla sola condotta carceraria, quello della liberazione anticipata, invece, esige semplicemente la partecipazione all'opera di rieducazione, cioe', l'adesione, ancorche' attiva, a tutte le opportunita' risocializzanti che l'espiazione della pena offre, senza che cio' comporti necessariamente una revisione critica del passato e l'abbandono delle spinte criminali manifestate con la commissione del reato (v. Cass., sez. 1a, 7 luglio 1989, Pres. Molinari, Rel. Lapenna, Cond. De Risi, in Cass. pen. 1990, pag. 1991, m. 1618; in senso sostanzialmente conforme, v. Cass., sez. 1a, 2 ottobre 1989, Pres. Carnevale, Rel. Del Vecchio, Cond. De Gregori, in Cass. pen. 1990, pag. 2196, m. 1769). La Corte Suprema sottolinea in maniera icastica la natura di premio per l'adozione di una condotta orientata verso una tensione di consentaneita' a parametri di adesione all'opera trattamentale ed al contempo di incentivazione verso il mantenimento di tale comportamento propria dell'istituto in disamina, la quale sarebbe stata inevitabilmente ridimensionata da un'interpretazione del disposto del primo comma del nuovo art. 4- bis o. p., che avesse indotto ad includere nel novero delle " .. misure alternative alla detenzione ..", alla stregua del rispetto del mero dato testuale (rectius, della mera classificazione operata dal legislatore nell'ambito dell'intitolazione di un capo della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, alla quale, certamente, non possono assegnarsi valore e dignita' superiori di quelle proprie di una semplice rubrica legis, la quale, secondo l'antico brocardo, non est lex), anche l'istituto della riduzione di pena per liberazione anticipata; viceversa, la ritenuta ambiguita' del dato testuale, che non menziona espressamente l'istituto prefato, operando un vago riferimento alle misure alternative alla detenzione, induceva a concludere che, nella necessita' di assegnare un significato concreto ed operativo al dato normativo in via esegetica, fosse da preferire l'orientamento che, oltre il pur doveroso ossequio al mero tenore testuale della legge, si spingesse sino ad indagare la reale natura giuridica degli istituti sottoposti a disamina, onde inferirne conseguenze relative alla disciplina ed agli effetti giuridici, secondo, d'altro canto, le piu' recenti indicazioni di metodo fornite dal giudice di legittimita' delle leggi (v. Corte Cost. sent. 23-31 marzo 1988, n. 369, Pres. Saja, Rel. Dell'Andro, in Gazzetta Ufficiale, 1a serie speciale, n. 15 del 13 aprile 1988, pagg. 11 e segg.; Corte Cost. sent. 17-25 maggio 1989, n. 282, in Gazzetta Ufficiale, 1a serie speciale, n. 22 del 31 maggio 1989, pagg. 13 e segg.): cio' detto, appariva conseguente concludere che l'accertata natura "premiale - incentivante" della riduzione di pena per liberazione anticipata, la quale non sostituisce al regime detentivo ordinario un regime allo stesso alternativo, bensi' consiste in una mera decurtazione di una parte della pena detentiva, alla stregua dell'accertamento giudiziale di dati parametri, non consentiva un inquadramento dommatico della stessa nell'ambito delle misure alter- native strcto sensu intese, alle quali si riteneva facesse riferimento il richiamo operato dal primo comma dell'art. 4- bis o. p. e che, pertanto, la concessione della stessa non potesse essere subordinata all'acquisizione di dati di riscontro provenienti da autorita' statuali estranee al sistema penitenziario (siccome, viceversa, opportuno in ordine alle altre misure ed agli altri benefici menzionati, che, tutti, comportano, a differenza della liberazione anticipata, quale effetto immediato e necessario, il ripristino, sia pure temporaneo, di uno status libertatis, piu' o meno compresso), pena lo snaturamento dell'istituto stesso. 3.3. - Dunque, la natura giuridica dell'istituto della riduzione di pena per liberazione anticipata differisce da quella propria delle misure alternative alla detenzione stricto sensu intese, siccome delineata nell'ambito del vasto e risalente dibattito dottrinario sviluppatosi intorno alla stessa e secondo quanto riconosciuto, peraltro, dalla stessa Consulta (v. ord. 18-26 gennaio 1990 n. 35, Pres. Saja, Rel. Dell'Andro, in Gazzetta Ufficiale 1990, 1a serie speciale, n. 6, pag. 12 e seg.): da cio' dovevasi desumere, secondo l'opinione di questo Collegio, che la dizione utilizzata dal legislatore nell'ambito del primo comma dell'art. 4- bis o. p. non potesse essere legittimamente estesa sino ad includere l'istituto di cui all'art. 54 o. p.: risultavano gia' acquisiti, infatti, i motivi secondo cui la formulazione "misure alternative alla detenzione", adoperata nel comma sopra richiamato, doveva intendersi utilizzata in senso proprio e non in senso atecnico: discendeva dagli stessi in maniera conseguenziale che la riduzione di pena per liberazione anticipata non poteva essere inclusa nel novero delle misure alterna- tive alla detenzione, neanche al limitato fine di osservare gli adempimenti istruttori imposti, per gli altri benefici, sicuramente sussumibili nel genus delle misure alternative stricto sensu, dal combinato disposto del primo e del secondo comma dell'art. 4- bis o. p. D'altro canto, si pensi alle conseguenze di carattere dommatico che l'accoglimento della tesi opposta a quella sostenuta nei richiamati provvedimenti avrebbe comportato sulla natura giuridica dell'istituto de quo: si e' gia' avuta occasione di evidenziare la natura di incentivo di carattere pedagogico della riduzione di pena, intesa quale sanzione positiva atta a suscitare una tensione psicologica orientata all'adozione di comportamenti normorientati. La subordinazione della concessione della riduzione di pena per liberazione anticipata non piu' soltanto al riscontro di una positiva rispondenza agli interventi trattamentali operati dalle e'quipes di osservazione e trattamento, bensi' anche, in relazione ai detenuti condannati per le fattispecie delittuose richiamate dal primo comma dell'art. 4- bis o. p., all'acquisizione di informative dettagliate per il tramite del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica circa la sussistenza attuale di collegamenti con la criminalita' organizzata avrebbe finito per privare l'istituto di cui si discute di qualsivoglia valenza incentivante e pedagogica, quanto meno in relazione alla categoria di condannati menzionata nella prima parte del primo comma dell'art. 4- bis o. p.: il legislatore del 1991, infatti, prefigura, in capo agli stessi una vera e propria presunzione di pericolosita' sociale (rectius: di persistenza di collegamenti con organizzazioni criminali politiche e/o comuni); tale presumptio legis appare rivestire un carattere di relativita' (presumptio juris tantum), essendo suscettibile di superamento attraverso la prova contraria. Cio' non toglie che il condannato, il quale abbia osservato un comportamento rispettoso della disciplina carceraria ed adesivo alle modalita' trattamentali e si veda respingere un'istanza di riduzione di pena per liberazione anticipata per la mera assenza di una prova positiva di mancanza dei collegamenti con organizzazioni malavitose (pur non sussistendo una prova di attualita' dei predetti collegamenti) non provera' alcuno stimolo a perseverare nel mantenimento dei comportamenti suddetti: occorre, a tal proposito, porre mente alla considerazione che la formulazione adoperata dal legislatore appare chiara nel richiedere, ai fini del superamento della presunzione di pericolosita' sociale, che potremmo definire "qualificata", una prova positiva di assenza di collegamenti attuali con la malavita organizzata, non essendo sufficiente, agli scopi de quibus, la mera mancanza di prova dell'attualita' di connessioni. La peculiare difficolta' di reperimento della prefata prova positiva (la quale definisce, per tal via, nel trasformarsi in una vera e propria probatio diabolica), desumibile dalla considerazione che, eccezion fatta per alcune tipologie di criminalita' organizzata di tipo politico-ideologico, l'esperienza criminologica attesta la non congenialita' alle organizzazioni malavitose di riscontri (documentali e non) di intervento recesso dalle stesse, indurrebbe a svalutare pesantemente, sin quasi ad obliterarla del tutto, la valenza di incentivo pedagogico proprio della riduzione di pena per liberazione anticipata. Il problema posto dall'interpretazione del dispsoto del richiamato primo comma dell'art. 4-bis o.p. si presentava, id est, strettamente ed ineludibilmente connesso a quello della natura giuridica dell'istituto della liberazione anticipata. Cio' opinando, si perveniva alla conseguenziale conclusione che la summenzionata difficolta' di reperimento della prova positiva dell'assenza di collegamenti con la malavita organizzata implicava un sostanziale svilimento del finalismo rieducativo della pena, proprio nel particolare momento (quello dell'esecuzione e del trattamento) in cui, per unanime e risalente riconoscimento (v. la copiosa giurisprudenza della Consulta in materia di finalita' della pena, sviluppatasi a partire dalla sentenza n. 12 del 1966 in poi), il predetto finalismo avrebbe dovuto trovare il massimo dispiegamento operativo. L'introduzione di elementi di giudizio, improntanti ad una tutela della finalita' di difesa sociale, sarebbe, invero, stata di per se' stessa, pienamente lecita, in virtu' della coessenzialita' di detto carattere al momento punitivo, se non fosse per la preminente considerazione che la formulazione della presunzione di pericolosita' sociale "qualificata" e della necessita' di prova positiva di assenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata, nei termini in cui risultano prospettati nell'ambito del primo comma dell'art. 4- bis o.p., avrebbero condotto all'inevitabile conseguenza, laddove applicati anche all'istituto della riduzione di pena per liberazione anticipata, di realizzare l'eventualita' di " ..privilegiare la soddisfazione di bisogni collettivi di stabilita' e sicurezza (difesa sociale), sacrificando il singolo attraverso l'esemplarita' della sanzione ..", gia' saggiamente deprecata dal giudice di costituzinalita' delle leggi (v. Corte Costituzionale sentenza 26 giugno-2 luglio 1990, n. 313, Presidente Saja, relatore Gallo, in Gazzetta Ufficiale 1990, 1a serie speciale, n. 27, pag. 15): il finalismo rieducativo, che la Consulta, nella predetta pronunzia, ha indicato come carattere ontologicamente proprio della pena, in tutte le sue manifestazini, dall'astratta comminatoria, all'irrogazione ed alla conseguente esecuzione, trova amplissimo ambito operativo nella fase del trattemnto, di cui la liberazione anticipata costituisce peculiare strumento, con carattere di sanzione positiva della partecipazine ad esso del condannato, e l'introduzione di elementi di valutazione non intranei allalogica ed alle finalita' del suddetto tratatmento (le informative del comitato proviciale per l'ordine e la sicurezza pubblica) avrebbe prodotto l'ineludibile conseguenza di alterare la natura giuridica di quel particolare strumento - la riduzione di penale per liberazione anticipata - che la stessa Consulta indica come coessenziale al trattamento penitenziario, alla sua logica ed alla sua finalita' (v. sentenza 26 giugno-2 luglio 1990, gia' citata, pag. 16). Per tale via si giungeva alla conclusione che l'obbligo istruttoria imposto alla Magistratura di Sorveglianza dal secondo comma dell'art. 4- bis o.p. fosse inteso a restringere l'ambito di operativita', nei confronti di soggetti condannati per fattispecie delittuosa tali da destare un rilevante allarme sociale, di benefici che hanno come conseguenza, diretta e necessaria, l'acquisizione immediata di un ambito, sia pur in vario modo compresso, di liberta' personale, mentre tale conseguenza non si pone con caratteri di necessita' in ordine all'istituto di cui all'art. 54 o.p. 3.4. - L'opinione espressa da questo Collegio nel vigore dei dd.-ll. 12 gennaio 1991 n. 5 e 13 marzo 1991 n. 76 non mutava neanche in seguito all'emanazione del d.-l. 13 maggio 1991 n. 152, poi convertito, senza modificazioni sul punto che interessa in questa sede, dall'articolo unico della legge 12 luglio 1991 n. 203; il testo normativo, introdotto dal primo comma dell'art. 1 d.-l. 13 maggio 1991 n. 152 apporta delle innovazioni rispetto alle precedenti dizioni: anzitutto, laddove il riferimento operato dal primo comma degli articoli 1 d.-l. 12 gennaio 1991 n. 5 ed 1 d.-l. 13 marzo 1991 n. 76 era operato, genericamente, alle "misure alternative alla detenzione", oggi, l'art. 1 d.-l. 13 maggio 1991 n. 152 richiama, testualmente, le "misure alternative alla detenzione previste dal capo VI" della legge 26 luglio 1975 n. 354 e succ. mod. Si rammenti, a tal proposito, che la deliberazione anticipata e' istituto espressamente disciplinato nell'ambito del prefato capo VI del titolo 1º della legge n. 354/1975. Tale innovazione legislativa ha indotto, in un primo momento, a dibutare della riproponibilita', nel vigore della nuova disciplina, dell'orientamentoesegetico sostenuto in epoca precedente da questo Collegio, siccome sopra ricordato: a tal riguardo, ha ritenuto opportuno questo Tribunale di dover confermare le conclusioni gia' adottate ed esposte. E' apparso, infatti, alquanto singolare che il legislatore abbia adottato la soluzione di tecnica redazionale prospettata proprio da questo Collegio nelle ordinanze surrichiamate, allorche' ha introdotto la nuova dizione compresa nel testo dell'art. 4- bis o.p., indicando, in maniera esplicita, le "misure alternative alla detenzione previste dal capo VI" della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, laddove il testo previgente si limitava a richiamare le "misure altenative alla detenzione", ciononostante, questo collegio ha ritenuto fondato giungere alla conclusione che la nuova formulazione letterale, adoperata dal legislatore del maggio 1991 non fosse di portata e significativita' tali da indurre ad un revirement radicale rispetto alle conclusioni gia' adottate. Infatti, la dizione testuale continuava a far riferimento alle misure alternative alla detenzione ed era da presumere che il richiamo normativa fosse rivolto alla nozione di "misure alternative" stricto sensu intese, siccome individuate dalla dottrina, ormai risalente, gia' menzionata nella parte motiva dei provvedimenti sopra mentovati. Come gia' esposto, la riduzione di pena per liberazione anticipata costituisce particolare metodica trattamentale, ispirata ad una logica di chiara premialita' incentivante, eccentrica rispetto alla natura giuridica delle cd. "misure alternative alla detenzione" stricto sensu, inquanto non sostituisce alla pena espiata nell'ordinaria forma carceraria un re- gime alternativo, connotato, al contempo, da afflittivita' minore rispetto alla detenzione ordinaria e dall'intervento degli organi di sostegno sociale, bensi' si limita a decurtare l'originaria sanzione, inflitta dal giudice della cognizione, in virtu' della rispondenza della condotta osservata dal condannato a parametri di partecipazione all'opera di rieducazione. Cio' dato, ricondurre l'istituto, di cui all'art. 54 o.p., nel novero delle misure alternative alla detenzione avrebbe costituito rilevante forzatura della natura giuridica dello stesso, oltre che, ovviamente, di quella delle misure alternative stricto sensu intese, siccome venutasi storicamente delineando, in virtu' di contributi dottrinari, legislativi e giurisprudenziali (a meno di non voler sostenere che l'unica alternativa alla detenzione e' .. l'assenza della stessa³). L'indicazione legislativa, pertanto, doveva intendersi riferita alle misure alternative alla detenzione, disciplinate nell'ambito del capo VI del titolo I della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, le quali rivestano natura giuridica di vere e proprie alternative alla pena detentiva tradizionale. A cio' si doveva, ancora, secondo questo Collegio, aggiungere che lo stesso testo del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 offriva spunti che rafforzavano le conclusioni poc'anzi esposte, tanto sul piano di criteri esegetici strettamente letterali, quanto alla stregua di parametri di interpretazione sistematica. Anzitutto, in relazione al primo ordine di strumenti ricostruttivi, doveva sottolinearsi che, allorquando il legislatore aveva inteso fare riferimento concreto alle singole misure alternative aveva adoperato, in altra parte del decreto-legge, una differente tecnica redazionale, procedendo ad una dettagliata elencazione, la quale prevedeva nominatim le singole misura interessate dalla medesima disciplina: occorreva por mente, a tal proposito, a quanto previsto dal primo comma dell'art. 58-quater o.p., siccome interpolato nel corpus dell'originaria legge di riforma dell'ordinamento penitenziario del sesto comma dell'art. 1 d.-l. 13 maggio 1991, n. 152, che introduce un divieto di concessione di alcuni particolari strumenti trattamentali (permessi premiali, assegnazione al lavoro extramurario) e di alcune misure alternative alla detenzione (affidamento in prova al servizio sociale esclusivamente nei casi previsti dall'art. 47 o.p., detenzione domiciliare e semiliberta') per i condannati in relazione ai particolari titoli delittuosi di cui al primo comma dell'art. 4- bis o.p., che abbiano posto in essere una condotta punibile ai sensi e per gli effetti del disposto dell'art. 385 c.p., orbene, tale norma provvede ad indicare nominatim i singoli "benefici" cui deve applicarsi la particolare regolamentazione dalla stessa introdotta, costituendo chiaro indice dell'intenzione del legislatore di operare riferimenti precisi alla natura giuridica degli istituti disciplinati. Il mero richiamo alle misure alternative alla detenzione, infatti, non sarebbe stato pertinente, poiche' avrebbe comportato la conseguenza di includere nel novero anche l'affidamento in casi particolari, previsto dall'art. 47- bis o.p., laddove l'intendimento del legislatore era chiaramente orientato nel senso di escludere dalla normativa, ispirata a criteri di draconiano rigore, soggetti particolarmente bisognosi di terapie atte a soddisfare le esigenze poste dalla tossicomania e da peculiari sociopatie, si' che si e' reso necessario ricorrere ad una tecnica redazionale che provvedesse all'elencazione delle singole misure interessate dalla nuova disciplina. Cio' induceva a ritenere che, laddove per qualsivoglia motivo, il legislatore avesse voluto equiparare la disciplina delle misure alternative stricto sensu intese e della riduzione di pena per liberazione anticipata avrebbe provveduto a contemplare espressamente l'istituto di cui all'art. 54 legge 26 luglio 1975, n. 354 e succ. mod. accanto alla dizione "misure alternative alla detenzione", la quale, come gia' detto, non puo' ritenersi, sic et simpliciter, comprensiva anche della liberazione anticipata. Quanto precede veniva ulteriormente corroborato da una considerazione di ordine sistematico, tale da assumere rilevanza assorbente rispetto a qualsiasi altro apprezzamento: in particolare, il quarto comma dell'art. 58-quater o.p., sopra richiamato, nella versione introdotta dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, testualmente recita: "I condannati per i delitti di cui agli articoli 289- bis e 630 del codice penale che abbiano cagionato la morte del sequestrato non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati nel comma 1 dell'art. 4- bis se non abbiano effettivamente espiato almeno i due terzi della pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei anni". Orbene, laddove il testo del prefato quarto comma dell'art. 58-quater, nella versione previgente, estendeva il divieto di fruizione, per i condannati in relazione ai particolari titoli delittuosi sopra richiamati, in maniera onnicomprensiva (" .. I condannati per i delitti ( ..) non sono ammessi ad alcuno dei benefici previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificata dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663 .."), la dizione normativa novellata si limita a richiamare i benefici di cui al precedente art. 4- bis o.p., con cio' introducendo elementi di maggiore armonia sistematica ed eliminando, al contempo, pericoli di distorsioni ap- plicative e di snaturamenti giuridici. Doveva, infatti, considerarsi, nella ricostruzione esegetica fornita da questo Collegio, che il richiamo operato nell'ambito del decreto-legge 13 marzo 1991, n. 76 (" .. non sono ammessi ad alcuno dei benefici ..") determinava l'esclusione dalla fruizione della riduzione di pena per liberazione anticipata, senza dubbio alcuno sussumibile nella formulazione all'epoca adoperata dal legislatore, dei condannati per le particolari fattispecie delittuose considerate dal quarto comma dell'art. 58-quater o.p. sino all'espizione effettiva dei due terzi della pena inflitta ovvero, trattandosi di ergastolani, di ventisei anni di pena detentiva. Tali tetti di ammissibilita' erano, singolarmente, coincidenti con quello stabilito dal secondo comma dell'art. 2 d.-l. n. 76/1991 in materia di concedibilita' della liberazione condizionale ai condannati per i delitti di cui al primo comma dell'art. 4- bis o.p.: orbene, il limite dei due terzi della pena detentiva temporanea, statuito, in materia di ammissione alla liberazione condizionale, dalla prefata normativa in relazione ai condannati per le particolari fattispecie contemplate dall'art. 4-bis, primo comma, o.p. risultava, senza alcun dubbio, applicabile anche ai soggetti condannati per i reati di cui al quarto comma dell'art. 58-quater o.p., costituendo questi un cerchio concentrico di minori dimensioni rispetto ai primi. Si doveva, pertanto, ritenere introdotto per tale via un elemento di confusione sistematica (davvero di non poco momento): la riduzione di pena per liberazione anticipata, infatti, veniva trasformata, per effetto della normativa prefata, in istituto il cui momento di fruibilita' veniva, per i condannati in ordine alle fattispecie criminose espressamente previste dal quarto comma dell'art. 58-quater o.p., astrattamente a coincidere con quello di ammissibilita' di un'eventuale istanza di liberazione condizionale, con conseguente annullamento della necessaria progressione trattamentale: si sarebbe, in teoria, potuta verificare l'eventualita' di ammissione di un condannato, in espiazione di pene detentive inflitte in relazione a fattispecie di rilevante disvalore sociale, al "beneficio" maggiore, senza la preventiva, propedeutica fruizione dei passaggi trattamentali intermedi, di portata ed efficacia necessariamente minore (permessi premiali, ammissione al lavoro extramurario, ma anche, necessariamente, riduzione di pena per liberazione anticipata). La distonia di tali conseguenze con un'interpretazione ed un'applicazione corrette del sistema della riforma penitenziaria, nella parte inerente ai principi del trattamento rieducativo, appare in tutta evidenza, sicome anche la paradossalita' delle stesse: l'istituto della liberazione anticipata sarebbe venuto, per tal via, ad essere appiattito, quanto meno in relazione ad una determinata fascia di condannati, su quello della liberazione condizionale, contrariamente a quanto sostenuto dalla stessa giurisprudenza di legittimita' (v. Cassazione, sez. I, 7 luglio 1989, Pres. Molinari, Rel. Lapenna, Cond. De Risi, in Cass. pen. 1990, pag. 1991, m. 1618; in senso sostanzialmente conforme, v. Cass., sez I, 2 ottobre 1989, Pres. Carnevale, Rel. Del Vecchio, Cond. De Gregori, in Cass. pen. 1990, pag. 2196, m. 1769). Oltretutto, l'impossibilita' di concedere riduzioni di pena per liberazione anticipata se non dopo l'espiazione effettiva di due terzi della pena detentiva temporanea ovvero di ventisei anni, per gli ergastolani, sarebbe risultato confliggente con i canoni pedagogici che hanno recentemente imposto, quale corretta metodica trattamentale, la frazionabilita' dei periodi detentivi valutandi ai fini de quibus: la fruibilita' di riduzioni di pena se non dopo l'espiazione effettiva di due terzi della pena detentiva temporanea inflitta ovvero di ventisei anni, in caso di irrogazione dell'ergastolo, allontanando nel tempo la prospettiva di un concreto riconoscimento degli sforzi adattivi del detenuto avrebbe costituito fonte di reale disincentivazione dello stesso al mantenimento di una condotta sostanzialmente adesiva ai parametri di condivisione delle metodiche e delle finalita' trattamentali, secondo quanto statuito, in epoca recenziore dalla stessa giurisprudenza di legittimita' (v. Cass. sez. I, 15 marzo 1989, gia' citata; Cass., sez. I, 19 aprile 1989, Pres. Carnevale, Rel. Pirozzi, cond. Ferro, in Cass. pen. 1990, pag. 1800, m. 1473; Cass., sez. I, 29 maggio 1989, Ognibene, in Mass. Uff. 1989, m. 181516; Cass., sez. I, 16 maggio 1989, Borsone, ivi 1989, m. 181914; Cass., sez. I, 27 dicembre 1989, n. 2914, Pres. Aiello, Rel. Buogo, cond. Bassi; Cass., sez. I, 18 gennaio 1990, n. 3192, Pres. Carnevale, Rel. Serianni, cond. Ierardi; Cass., sez. I, 13 aprile 1990, n. 758, Pres. Molinari, Rel. Pompa, cond. Carbone). Viceversa, il testo novellato del quarto comma dell'art. 58-quater o.p., operante un mero richiamo ai benefici menzionati nel primo comma dell'art. 4- bis o.p., anch'esso novellato, avrebbe eliminato le predette conseguenze, esclusivamente laddove il prefato primo comma dell'art. 4- bis o.p. fosse stato interpretato nel senso di escludere dalla sua sfera di operativita' l'istituto di cui all'art. 54 o.p., siccome sostenuto da questo Collegio. L'orientamento esegetico propugnato, infatti, ove intendeva il richiamo operato dal primo comma dell'art. 4- bis o.p. effettuato alle misure alternative alla detenzione stricto sensu, con conseguente eccezione della riduzione di pena per liberazione anticipata, consentiva di evitare la produzione di effetti confliggenti con i principi del trattamento rieducativo e della sua progressione, siccome poc'anzi delineati, i quali, peraltro, si sarebbero ineludibilmente riprodotti alla stregua di un'esegesi che avesse avuto il fine ultimo ed il risultato di includere anche la riduzione di pena per liberazione anticipata tra le "misure alterna- tive alla detenzione previste dal capo VI", menzionate dal primo comma dell'art. 4- bis o.p. La tesi interpretativa osteggiata, oltre tutto, avrebbe prodotto l'ulteriore conseguenza di precludere in maniera assai drastica, per un rilevantissimo periodo di tempo dell'esecuzione (due terzi della pena detentiva temporanea ovvero ventisei anni per gli ergastolani) la fruizione dei piu' qualificanti strumenti trattamentali (tra cui anche, e soprattutto, la riduzione di pena per liberazione anticipata) ad una fascia di condannati, che sarebbero stati ulteriormente scriminati rispetto agli altri: tale effetto appariva in contrasto tanto con il parametro fornito dal terzo comma dell'art. 27 della Costituzione, inerente alla tensione della pena verso il fine della rieducazione del condannato, che, per tale via, sarebbe stato compresso in maniera tale da restare quasi completamente conculcato, quanto con il parametro di cui al secondo comma dell'art. 3 della Costituzione, poiche' la disparita' di trattamento tra condannati sarebbe sembrata di tale portata da non poter essere giustificata, se non con estrema difficolta', alla stregua del disvalore sociale delle fattispecie criminose sanzionate. Il fondamentale criterio esegetico che impone all'interprete del diritto di salvaguardare, tra diversi possibili orientamenti ricostruttivi della valutans legis, quello maggiormente consentaneo ai valori costituzionalmente tutelati imponeva, pertanto, alla stregua della gia' piu' volte richiamata ricostruzione, di mantenere ferma, anche nella vigenza della legge 12 luglio 1991, n. 203, la tesi gia' precedentemente adottata da questo Collegio, siccome sopra esposta, secondo cui la riduzione di pena per liberazione anticipata non doveva essere annoverata tra le "misure alternative alla detenzione previste dal capo VI" della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, menzionate dal primo comma dell'art. 4- bis o.p., interpolato dal primo comma dell'art. 1 legge n. 203/1991, si' che, onde far luogo alla concessione della stessa, non appariva necessario adire il competente Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, al fine di acquisirne elementi di giudizio inerenti all'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata od eversiva. 4. - Sin qui questo Tribunale di sorveglianza in precedenti pronunzie sull'argomento. L'orientamento esegetico sopra doviziosamente esposto ha, peraltro, trovato smentita nella giurisprudenza di legittimita', la quale, in epoca ancora recente, seppure in maniera gia' tralatizia, ha statuito piu' volte che il disposto del primo comma dell'art. 4- bislegge 26 luglio 1975, n. 354 e succ. mod., siccome interpolato nel corpus originario della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario dal primo comma dell'art. 1 d.-l. 13 maggio 1991, n. 152, deve essere interpretato secondo parametri esclusivamente letterali, si' che l'espressione " .. misure alternative alla detenzione previste dal capo VI .." deve essere rettamente intesa, ai fini de quibus agitur, come comprensiva anche della riduzione di pena per liberazione anticipata (v. Cass. sez. I, 21 novembre 1991, n. 4409, Pres. Vitale, Rel. Gioggi, Tortora; Cass., sez. I, 27 novembre 1991, n. 4516, Pres. Vitale, Rel. Tricomi, Spenuso; Cass., sez. I, 12 dicembre 1991, n. 4845, Pres. Sibilia, Rel. Pirozzi, Topazio; Cass., sez. I, 12 dicembre 1991, n. 4848, Pres. Sibilia, Rel. Pirozzi, Del Vivo; Cass., sez. I, 18 dicembre 1991, n. 4971, Pres. Carnevale, rel. Tricomi, De Sanctis; Cass., sez. I, 13 gennaio 1992, n. 60, Pres. Carnevale, Rel. Pintus, Branciforte; tutte inedite). Secondo la Corte di cassazione il riferimento alle misure alternative previste nel capo VI del titolo I della legge n. 354/1975 appare chiaro nel richiamare tutti i benefici disciplinati nell'ambito della prefata partizione legislativa ed individuati come tali (misure alternative) dall'intitolazione del capo: poiche' lo stesso e', per l'appunto, intitolato alle misure alternative alla detenzione ed alla remissione del debito e poiche' tra le misure nell'ambito dello stesso prevedute e' inclusa anche la riduzione di pena per liberazione anticipata appare di tutta evidenza che tale beneficio debba essere ricompreso, ai fini de quibus agitur, nella dizione " .. misure alternative alla detenzione previste dal capo VI .." di cui al primo comma dell'art. 4- bis o.p.: tale normativa dovrebbe, secondo l'orientamento esegetico predicato dalla giurisprudenza di legittimita', essere interpretata secondo i canoni di un'esegesi strettamente ancorata al dato testuale, senza possibilita' alcuna per il ricorso ad altri parametri ermeneutici (quali quello logico-sistematico ovvero quello storico, utilizzati nell'ambito della ricostruzione fornita da questo Collegio, siccome sopra esposto), poiche' il ricorso agli stessi sarebbe stato impedito dall'assenza di qualsivoglia risvolto di ambiguita' del testo normativo interpretando (primo comma dell'art. 4- bis o.p.). Laddove alcune tra le sentenze sopra richiamate operano un esclusivo ed assorbente riferimento al criterio di interpretazione letterale, siccome poc'anzi esposto, ritenendo inconferente ogni considerazione inerente alla natura giuridica del beneficio in disamina (v. Cass., sez. I, 18 dicembre 1991, n. 4971, gia' citata), altri provvedimenti giungono sino ad assimilare la riduzione di pena per liberazione anticipata alle vere e proprie misure alternative alla stregua della riflessione che " .. per effetto della concessione del beneficio, puo' verificarsi l'immediata liberazione del condannato in tutti i casi in cui gli abbuoni di pena siano relativi agli ultimi periodi di pena che il soggetto avrebbe dovuto espiare, e, quindi, si avrebbe una immediata alternativita' alla detenzione."; a cio' si aggiunge la considerazione che " .. il richiamo esplicito, nella intestazione dell'art. 54 della legge n. 354/1975, al beneficio de quo, quale "liberazione anticipata" contiene in se' il riferimento ad una pena che, in parte, non viene espiata in stato di detenzione, ma in stato di liberta' .."; per tale via, ed alla stregua di ulteriori osservazioni concernenti gli aspetti di premiabilita' insiti nella regolamentazione dei rimanenti "benefici", la Cassazione giunge ad assimilare la riduzione di pena per liberazione anticipata alle rimanenti misure alternative alla detenzione disciplinate nel capo VI del titolo I della legge 26 luglio 1975, n. 354 e succ. mod., includendo tra le stesse anche le licenze premiali per i semiliberi (v. Cass., sez. I, 21 novembre 1991, n. 4409, gia' menzionata). La conclusione conseguenziale a siffatto ragionare comporta l'estensione dell'onere di acquisizione delle informative relative all'attualita' di contatti con la criminalita' organizzata od eversiva, per il tramite del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, anche alle istanze intese all'ottenimento del riconoscimento giudiziale del diritto a riduzioni di pena per liberazione anticipata. Cio' stante, anche in relazione alle istanze intese all'ottenimento di riduzioni di pena per liberazione anticipata, presentate dai condannati per le fattispecie delittuose individuate dal primo comma dell'art. 4- bis legge 26 luglio 1975, n. 354 e succ. mod., sussiste l'obbligo per la magistratura di sorveglianza di procedere all'acquisizione di informazioni sulla sussistenza di collegamenti attuali del richiedente con la criminalita' organizzata od eversiva, fornite per il tramite dei competenti comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica, ed alla conseguente valutazione delle stesse in ambito di definizione delle istanze predette. 5. - Orbene, i profili di illegittimita' costituzionale della normativa di disamina sono rilevabili proprio in relazione ai canoni di valutazione delle suddette informazioni che il legislatore ha prospettato nell'ambito della disciplina di cui al prefato art. 4- bis o.p. Si rammenti, infatti, che la norma richiamata individua due diverse categorie di detenuti: la prima e' costituita dai condannati per delitti commessi per finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416- bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonche' per i delitti di cui agli articoli 416- bis e 630 del codice penale e all'art. 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, la seconda dai condannati per i delitti di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, del codice penale e all'art. 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 80, comma 2, del predetto testo unico, approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990. Nei confronti dei condannati rientranti nel novero della prima delle suindicate categorie il legislatore statuisce che le particolari misure trattamentali individuate dallo stesso primo comma dell'art. 4- bis o.p. sono concedibili " .. solo se sono stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata o eversiva.". Viceversa, gli stessi "benefici" possono essere concessi ai condannati di cui alla seconda delle suenunziate categorie: " .. solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalita' organizzata o eversiva.". Orbene, dall'esposizione della materia e' dato arguire che in capo ai condannati della prima categoria, siccome sopra individuata, il legislatore ha posto una vera e propria presunzione di pericolosita' sociale qualificata (rectius: di attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata od eversiva), la quale puo' essere superata, ai fini dell'ammissione alla fruizione dei particolari strumenti trattamentali indicati dal primo comma dell'art. 4- bis o.p., soltanto mediante il reperimento di concreti elementi di giudizio che consentano di comprovare in termini positivi l'assenza dei prefati collegamenti. Diversa appare la situazione dei condannati rientranti nella seconda delle surrichiamate categorie, nei cui confronti il legislatore, al di la' della statuizione di qualsivoglia presunzione, sembra aver semplicemente indicato un ulteriore thema probandi alla magistratura di sorveglianza: quest'ultima, infatti, nel vagliare la partecipazione all'opera di rieducazione, i progressi intervenuti nel corso della stessa, la regolare condotta intramuraria del condannato dovra' attendere ad una valutazione intesa a verificare l'assenza di strumentalita' dei suddetti requisiti, siccome desumibile dalla presenza di dissimulati collegamenti con la criminalita' organizzata od eversiva. La disciplina prospettata dal legislatore opera un rilevante discrimine tra le due categorie sopra enunziate: la semplice mancanza di elementi di riscontro circa l'ipotesi di presenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata, infatti, potrebbe in teoria, in presenza, id est, degli altri presupposti e requisiti individuati dalla legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, essere sufficiente all'accoglimento delle istanze presentate dai condannati di cui alla seconda delle suddette categorie, mentre altrettanto non puo' dirsi per i condannati di cui alla prima categoria, nei cui confronti, si rammenti, sussiste l'obbligo di acquisizione di positivi elementi atti a comprovare l'assenza dei collegamenti sopra richiamati. La particolare difficolta' di acquisizione dei prefati elementi di riscontro (prova positiva dell'assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata), di cui si e' fatto cenno in altra parte del presente provvedimento, tale da configurare una vera e propria probatio diabolica, produce un effetto, a giudizio di questo collegio, di depotenziamento della sfera di operativita' delle opportunita' risocializzatrici offerte a tutti i condannati dalla legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, tale da indurre all'apprezzamento di un profilo di contrasto della normativa in disamina con il precetto posto dal terzo comma dell'art. 27 della Costituzione, secondo cui la pena deve tendere al reinserimento sociale del reo. Si ponga, infatti, mente alla considerazione che il primo comma dell'art. 4- bis o.p. preclude, nell'eventualita' di mancanza di elementi di riscontro atti a provare in termini positivi l'assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata, l'accesso a tutti i piu' pregnanti strumenti di trattamento penitenziario, i quali implichino contatti con l'ambito extrapenitenziario ovvero diminuzioni del quantum di pena da espiare (permessi premiali, lavoro all'esterno, misure alternative alla detenzione, liberazione condizionale, art. 2 d.-l. n. 152/1991), limitando, nei confronti dei soggetti individuati dalla prima parte del primo comma del prefato art. 4- bis o.p., il trattamento rieducativo alla sola offerta degli strumenti e delle opportunita' intramurarie, la cui reale efficacia a fini rieducativi (o, quanto meno, di contenimento degli effetti desocializzanti della pena detentiva) ha destato perplessita' nella dottrina penalistica e criminologica sin da tempi risalenti (quanto meno dall'epoca di insorgenza del problema dell'individuazione di sanzioni alternative alla pena detentiva tradizionale). Si rammenti che autorevolissima dottrina, in epoca coeva all'entrata in vigore della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, asseriva che " .. chi avesse pensato orginalmente ed essenzialmente la pena in funzione puramente rieducativa non avrebbe mai fatto assurgere a pena fondamentle dell'ordinamento la pena carceraria". L'esperienza quotidina dei tribunali di sorveglianza insegna che nella stragrande maggioranza dei casi la richiesta di informazioni circa l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata sortisce l'acquisizione di risposte attestanti l'impossibilita' di reperimento di elementi atti a consustanziare l'ipotesi di assenza di tali collegamenti (del tipo: "allo stato attuale non si hanno elementi per escludere che il condannato sia collegato con la criminalita' organizzata") ovvero, nella migliore delle ipotesi, asserenti in maniera apodittica, id est priva dell'indicazione di concreti riscontri, il collegamento con ben determinate organizzazioni criminali: ai fini che ne occupano, per vero, inform- ative del primo tipo risultano sufficienti ad indurre ad un rigetto delle istanze, proposte dai condannati individuati dalla prima parte del primo comma dell'art. 4- bis o.p., intese all'accesso agli strumenti trattamentali sopra richiamati. Appare in tutta evidenza l'effetto di disincentivazione alla cooperazione al semplice trattamento intramurario, la cui efficacia risocializzatrice viene, per tal via, ad essere compromessa in maniera pressoche' totale: si ponga, ancora, mente alla natura di stimolo incentivante alla condivisione di metodiche e tematiche trattamentali propria dell'istituto della riduzione di pena per liberazione anticipata, gia' menzionata in altra parte del presente provvedimento. Alle osservazioni che precedono potra' obiettarsi che il legislatore, nell'ambito della propria discrezionalita', e' libero di introdurre normative che abbiano lo scopo di rinsaldare la natura generalpreventiva della sanzione penale e la funzione di difesa sociale della pena detentiva: cio' appare di indubbia incontrovertibilita', ma si rivela, altresi', necessario spingere il vaglio della normativa ordinaria sino al punto di constatare l'eventualita' di obliterazione, da parte della stessa, della funzione rieducativa della pena, che' il completo sacrificio della stessa, a vantaggio delle altre funzioni sopra ricordate, appare in conflitto con il disposto dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione. Vero e' che, secondo le statuizioni della Consulta, la pena detentiva appare rivestire una natura polifunzionale (v. Corte costituzionale 2-4 aprile 1985, Pres. Elia, Rel. Saja, Marzucchi, Roberti, Cristelli, in Cass. pen. 1985, pag. 1322 e segg.; Corte costituzionale 8-25 maggio 1985, n. 169, Pres. Roherssen, Rel. Paladin, Branchesi, in Cass. pen. 1985, pag. 1779 e segg.), ma la corrente esegetica che, in ossequio alla finalita' plurisatisfattiva della sanzione penale, interpreta il precetto costituzionale in maniera tale da limitarne l'ambito di operativita' alla sola sfera del trattamento penitenziario appare smentita da recente pronunzia della Corte costituzionale (Corte costituzionale, sentenza 26 giugno-2 luglio 1990, n. 313, Pres. Saja, Rel. Gallo, Milano, Voraldo, Quartarone, in Gazzetta Ufficiale - prima serie speciale, 4 luglio 1990, n. 27, pag. 9 e segg.), secondo cui: " .. incidendo la pena sui diritti di chi vi e' sottoposto, non puo' negarsi che, indipendentemente da una considerazione retributiva, essa abbia necessariamente anche caratteri in qualche misura afflittivi. Cosi' come e' vero che alla sua natura ineriscano caratteri di difesa sociale, e anche di prevenzione generale per quella certa intimidazione che esercita sul calcolo utilitaristico di colui che delinque. Ma, per una parte (afflittivita', retributivita'), si tratta di profili che riflettono quelle condizioni minime, senza le quali la pena cesserebbe di essere tale. Per altra parte, poi (reintegrazione, intimidazione, difesa sociale), si tratta bensi' di valori che hanno un fondamento costituzionale, ma non tale da autorizzare il pregiudizio della finalita' rieducativa espressamente consacrata dalla costituzione nel contesto dell'istituto della pena. Se la finalizzazione ve nisse orientata verso quei diversi caratteri, anziche' al principio rieducativo, si correrebbe il rischio di strumentalizzare l'individuo per fini generali di politica criminale (prevenzione generale) o di privilegiare la soddisfazione di bisogni collettivi di stabilita' e sicurezza (difesa sociale), sacrificando il singolo attraverso l'esemplarita' della sezione. E' per questo che, in uno Stato evoluto, la finalita' rieducativa non puo' essere ritenuta estranea alla legittimazione e alla funzione stesse della pena. L'esperienza successiva ha, infatti, dimostrato che la necessita' costituzionale che la pena debba "tendere" a rieducare, lungi dal rappresentare una mera generica tendenza riferita al solo trattamento, indica invece proprio una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo suo contenuto ontologico, e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue. Cio' che il verbo "tendere" vuole significare e' soltanto la presa d'atto della divaricazione che nella prassi puo' verificarsi tra quella finalita' e l'adesione di fatto del destinatario al processo di rieducazione; com'e' dimostrato dall'istituto che fa corrispondere benefici di decurtazione della pena ogniqualvolta, e nei limiti temporali, in cui quell'adesione concretamente si manifesti (liberazione anticipata). Se la finalita' rieducativa venisse limitata alla sola fase esecutiva, rischierebbe grave compromissione ogniqualvolta specie e durata della sanzione non fossero state calibrate (ne' in sede normativa ne' in quella applicativa) alle necessita' rieducative del soggetto". La lunga citazione e' apparsa necessaria non quale sfoggio di pedanteria, bensi' onde operare un richiamo alla forte ed autorevolissima sottolineatura della funzione della sanzione penale, vieppiu' necessaria in un'epoca, come quella presente, caratterizzata da appannamento e da confusione circa la riflessione sugli scopi della pena detentiva e da prese di posizione dettate non da rigore scientifico, ma, apparentemente, dalla necessita' di operare scelte di politica criminale dettate dall'esigenza del momento. Orbene, quanto statuito dalla Consulta appare sufficiente a far dubitare della legittimita' della disciplina di cui alla prima parte del primo comma dell'art. 4- bis o.p. per contrasto con il precetto del terzo comma dell'art. 27 della Costituzione: la subordinazione della concessione di un istituto quale la riduzione di pena per liberazione anticipata all'acquisizione di prove positive dell'assenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata, la creazione in capo ai soggetti indicati dalla prima parte del primo comma dell'art. 4- bis o.p. di una presunzione di attualita' dei prefatti collegamenti si risolvono in una presunzione di impraticabilita', nei confronti dei predetti soggetti, di uno tra i piu' pregnanti tra gli strumenti del trattamento penitenziario, la cui concessione, peraltro, non appare piu', alla stregua della novella di cui all'art. 18 legge 10 ottobre 1986, n. 663, discrezionale, sibbene doverosa (fatta sempre salva la necessita' di accertare giudizialmente la sussistenza dei presupposti di legge) (v. Corte costituzionale 23-31 maggio 1990, n. 276, Pres. Saja, Rel. Gallo, Calore ed altro, in Cass. pen. 1991, m. 2, pag. 4 e segg.). Siffattamente operando si perviene ad una svalutazione della finalita' rieducativa della pena proprio nel momento rispetto al quale la stessa appare, anche secondo i sostenitori della teoria che si potrebbe definire "minimalista", maggiormente connaturata, id est quello dell'esecuzione e del trattamento penitenziario. Non si nasconde questo Collegio la trista realta' della sussistenza di condannati che, strumentalmente agendo al fine di conseguire alleggerimenti della posizione espiatoria, simulano una condotta osservante dei canoni di partecipazione all'attivita' trattamentale, dissimulando, viceversa, connessioni con pericolose organizzazioni criminali: allo scopo, peraltro, di evitare che siffatti soggetti beneficino dell'ammissione agli strumenti trattamentali ed alle misure alternative appare adeguata una disciplina tal quale quella predisposta dal legislatore del 1991 nei confronti della seconda delle due categorie di detenuti sopra richiamate ed individuata dalla seconda parte del primo comma dell'art. 4- bis o. p., della cui legittimita' costituzionale non si dubita: sembra, cioe', sufficiente indicare un particolare iter istruttorio alla magistratura di sorveglianza, svincolando il giudizio della stessa da rigidi automatismi e permettendo la ricerca e la valutazione di concreti elementi di riscontro atti a comprovare in positivo la presenza di legali con la criminalita' organizzata od eversiva. Viceversa, la statuizione di una presunzione qualificata di attualita' dei predetti collegamenti (quasi che per i condannati per alcuni particolari titoli delittuosi la permanenza del vincolo associativo fosse in re ipsa), superabile soltanto mediante la acquisizione, peraltro di quasi impossibile verificazione pratica, siccome sopra ricordato, di positivi elementi dell'assenza dei gia' piu' volte menzionati collegamenti con la criminalita' organizzata appare escogitazione legislativa tale da svilire il trattamento penitenziario dei soggetti sopra individuati sino al punto di obliterare la funzione rieducativa dello stesso, la cui massima esplicazione, secondo quanto asserito dalla stessa Consulta (v. Corte costituzionale, sent. 26 giugno-2 luglio 1990, n. 313, gia' citata), si manifesta nell'istituto disciplinato dall'art. 54 legge 26 luglio 1975 n. 354 e succ. mod. Appare opportuno ricordare, a tal proposito, che, nella vigenza dell'originaria legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, in epoca, cioe', antecedente alle modifiche apportate dalla legge 10 ottobre 1986 n. 663, la sussistenza di preclusioni alla fruibilita' di misure alternative quali l'affidamento in prova al servizio sociale e la semiliberta' (derivanti dalla presenza di dichiarazioni di recidiva ovvero dalla commissione di particolari delitti) venne giudicata non completamente confliggente con il precetto di cui al terzo comma dell'art. 27 della Costituzione proprio in virtu' della possibilita' di adizione di altri strumenti del trattamento penitenziario: si rammenti che la possibilita' di ammissione alla prestazione di mansioni lavorative all'esterno dell'istituto di pena non ha mai provveduto, sino al gennaio 1991, la sussistenza di titoli di reato ostativi alla stessa e che la previsione normativa che stabiliva che il detenuto condannato per de- terminate fattispecie delittuose non potesse adire l'istituto della riduzione di pena per liberazione anticipata venne abrogata mediante la legge 12 gennaio 1977 n. 1, la quale, peraltro, introdusse rilevanti restrizioni ad altri istituti dell'originaria legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, essendo stata promulgata in un momento storico caratterizzato da particolare disfavore nei confronti degli istituti del trattamento rieducativo. Orbene, la prima parte del primo comma dell'art. 4- bis legge 26 luglio 1975 n. 354 e succ. mod., mediante la prefigurazione in capo ai soggetti in essa individuati (condannati per delitti commessi per finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416- bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonche' per i delitti di cui agli articoli 416- bis e 630 del codice penale e all'articolo 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309) di una presunzione qualificata di attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata, superabile soltanto attraverso la prova positiva di assenza dei collegamenti stessi, peraltro di assai difficile (ove non impossibile) acquisizione, pone un ostacolo alla fruizione di uno tra i piu' pregnanti strumenti del trattamento penitenziario, quale la riduzione di pena per liberazione anticipata, si' da svilire la finalita' rieducativa della sanzione penale, sin quasi ad una totale obliterazione della stessa, in un momento particolarmente connesso alla finalita' suddetta, come quello dell'esecuzione e del trattamento: da cio' desumesi un vulnus del precetto statuito dal terzo comma dell'art. 27 della Costituzione, tale da indurre questo Collegio ad apprezzare la necessita' di procedere ad una rimessione degli atti alla Corte costituzionale. 6. - Ancora, aggiungasi che la disciplina predisposta dall'art. 4- bis legge 26 luglio 1976 n. 354 e succ. mod. appare confliggere anche con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione: invero, non si rinviene alcuna ragionevole giustificazione della disparita' trattamentale riservata ai soggetti indicati dalla prima parte del primo comma dell'art. 4- bis o. p. rispetto a quelli individuati dalla seconda parte del medesimo comma, i quali potrebbero risultare penalmente responsabili di delitti di non minore efferatezza e disvalore sociale (si pensi alla situazione dell'autore di un omicidio premeditato, magari plurimo, in comparazione a quella del correo di sequestro di persona a scopo di estorsione, che abbia svolto, nell'ambito dell'organizzazione criminosa, mansioni di secondaria importanza) e, comunque, fruire di un trattamento piu' favorevole, poiche' nei loro confronti si rende, allo stato, necessaria l'acquisizione della prova della presenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata, tramite il reperimento di elementi di riscontro dettagliati (v. art. 4- bis, 2a parte del 1º comma, o. p.), si' che la mera assenza degli stessi non varrebbe, come per i soggetti di cui alla prima parte del primo comma dell'art. 4- bis o. p., a consustanziare una pronunzia di reiezione delle istanze intese all'ottenimento dei "benefici" della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario. 7. - Cio' detto in relazione alla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, occorre sottolineare gli elementi sottesi al giudizio di rilevanza della stessa nella procedura presente: basti, a tale scopo, riflettere che le informazioni acquisite per il tramite del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Ascoli Piceno (v. nota n. 744/9 B-1 redatta in data 18 maggio 1992 dalla prefettura di Ascoli Piceno, in atti) asseriscono l'insussistenza di elementi idonei a comprovare l'assenza dell'attualita' di collegamenti del Capecci con la criminalita' organizzata (non la presenza, si badi, di positivi elementi di riscontro atti a comprovare l'assenza di collegamenti attuali ovvero l'intervenuta recisione di collegamenti passati), aggiungendo ulteriori emergenze (l'accertamento, nel corso delle indagini di p. g. da cui ebbe la propria scaturigine la vicenda processuale che si concluse con la pronunzia della sentenza di condanna, attualmente in fase esecutiva, di collegamenti tra l'odierno richiedente e pregiudicati pugliesi, quali Rosario Russo, gia' arrestato per associazione per delinquere di tipo mafioso, Tommaso Di Gioia e Gerardo Imprice), le quali, invero, non risultano particolarmente significative, ai fini che ne occupano, sol che si ponga mente alla considerazione che, dalla disamina della sentenza di condanna emessa a carico del Capecci (vedila in atti), risultano comprovati, e con riferimento all'epoca dell'arresto dell'odierno istante, id est, alla fine del 1988, soltanto i collegamenti con il prefato Di Gioia, non rinvenendosi, contrariamente a quanto asserito dalla prefettura di Ascoli Piceno, alcun riferimento, nell'ambito della surrichiamata vicenda processuale, al Russo ed all'Imprice. I richiami operati a pretese connessioni con tali soggetti appaiono, pertanto, sforniti di alcun riscontro probatorio e di conseguente natura apodittica; quanto al collegamento con il Di Gioia, invero, manca qualsivoglia elemento di riscontro atto a consustanziare l'ipotesi del permanere dello stesso sino all'epoca odierna, si' che, ai fini de quibus agitur, manca qualsiasi risultanza dettagliata che consenta di asserire in positivo l'attualita' di collegamenti del Capecci con la criminalita' organizzata, laddove il riferimento alla prefata attualita' sia correttamente inteso nel senso che la medesima debba rivestire i caratteri di riferibilita' cronologica al tempo dell'applicabilita' del "beneficio" (v. Cass., sez. 1a penale, 15 maggio 1989, Pres. Carnevale, Rel. Dell'Anno, Cond. Todice, in Cass. pen. 1990, pagg. 1990 e seg., m. 1617). Sfrondata degli ulteriori elementi di riscontro, inerenti ai precedenti giudiziari e penali dell'odierno richiedente, irrilevanti, invero, ai fini de quibus agitur, l'informativa della prefettura di Ascoli Piceno si sostanzia dell'asserzione dell'insussistenza di prove dell'assenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata od eversiva: in presenza di tale circostanza, stante la presunzione di attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata gravante in capo ai soggetti sopra individuati (quindi anche in capo al Capecci Domenico, condannato, si rammenti, per partecipazione ad associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti) l'informativa predetta appare sufficiente allo scopo di consustanziare una pronunzia di reiezione dell'istanza intesa all'ottenimento di una riduzione di pena per liberazione anticipata, senza, invero, rendere necessari ulteriori, piu' approfonditi accertamenti circa l'effettiva sussistenza dei denunziati collegamenti (la quale, va da se', escluderebbe l'apprezzamento di un'adesione alle tematiche trattamentali), siccome sarebbe, viceversa, opportuno laddove la disciplina legislativa fosse analoga a quella prevista per i soggetti individuati nella seconda parte del primo comma dell'art. 4- bis o. p. 8. - Quanto precede, vuoi in ordine alla non manifesta infondatezza della questione incidentale di legittimita' costituzionale, vuoi in relazione alla rilevanza della stessa nel presente giudizio, puo' pedissequamente essere ripetuto con riferimento all'istanza di semiliberta': la mancanza di elementi atti a consustanziare un giudizio di assenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata o eversiva rende insuperabile la presunzione gravante in capo all'odierno richiedente circa l'attualita' dei prefati collegamenti, si' che appare impossibile passare alla disamina del merito della domanda. Di tutta evidenza risulta il fumus di non manifesta infondatezza della questione, impedendo, di fatto, la surrichiamata presunzione il vaglio giudiziale della sussistenza delle condizioni per la modifica, in fase esecutiva, delle modalita' di espiazione della pena detentiva e del conseguente adattamento alle intervenute evoluzioni della personalita' del condannato. La violazione del principio di individualizzazione del trattamento penitenziario e, lato sensu, penale appare di tutta evidenza, si' da comportare un'ammissibile compressione del principio di rieducazione della sanzione penale, di cui al terzo comma dell'art. 27 Cost.; si ponga, a tal proposito, mente a quanto sancito, in reiterate occasioni, dalla stessa Corte costituzionale (v. Corte cost. 27 settembre 1983 n. 274, Pres. Elia, Rel. De Stefano, Di Girolamo ed altri, in Cass. pen. 1984, pag. 1051 e segg.; Corte Cost. 13 giugno 1985 n. 185, Pres. Paladin, Rel. Malagugini, Talluto ed altri, in Cass. pen. 1985, pag. 1958 e segg.; Corte Cost. 7 aprile 1987 n. 108, Pres. La Pergola, Rel. Spagnoli, Rabizzi ed altri, in Cass. pen. 1987, pag. 1292 e segg., m. 1039; Corte cost. 29 ottobre 1987 n. 343, Pres. Andrioli, Rel. Spagnoli, Giani, in Cass. pen. 1988, pag. 25 e segg., m. 5). Non puo' dunque che ripetersi quanto gia' asserito in relazione alla non manifesta infondatezza ed alla rilevanza della questione di legittimita' costituzionale della prima parte del primo comma dell'art. 4- bis legge 26 luglio 1975 n. 354 e succ. mod. in relazione ai medesimi parametri di costituzionalita' (art. 27, 3º comma, e 3 Cost.) citati in ordine alla misura trattamentale della riduzione di pena per liberazione anticipata: la motivazione del presente provvedimento relativa al prefato "beneficio" deve intendersi qui pienamente richiamata e recepita anche in riferimento alla semiliberta', disciplinata dagli artt. 48 e 50 legge 26 luglio 1975 n. 354 e succ. mod.
P. Q. M. Visti gli artt. 47 legge 26 luglio 1975 n. 354 e succ. mod. e 666, 677, 678 c.p.p.; Dichiara inammissibile l'istanza di affidamento in prova al servizio sociale presentata dal condannato Capecci Domenico, meglio qualificato in epigrafe, in relazione alla posizione giuridica sopra individuata; Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuta rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4- bis, primo comma, prima parte, legge 26 luglio 1975 n. 354 e succ. mod., siccome interpolato nel corpo originario della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario dal primo comma dell'art. 1 d.-l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito con legge 12 luglio 1991 n. 203, per violazione degli artt. 3, 27, terzo comma, della Costituzione, nei sensi di cui in motivazione; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la sospensione del giudizio in corso; Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata a Capecci Domenico, meglio qualificato in epigrafe, al suo difensore, al procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Ancona, al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata al Presidente della Camera dei Deputati ed al Presidente del Senato. Cosi' deciso in Ancona, il giorno 28 maggio 1992. Il presidente: GALASSI Il magistrato di sorveglianza est.: SEMERARO Depositato in cancelleria il 2 giugno 1992. Il cancelliere: MARCONI 92C0965