N. 539 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 luglio 1992

                                N. 539
  Ordinanza emessa il 3 luglio 1992 dal tribunale di sorveglianza di
                                Sassari
 nel procedimento di sorveglianza per la revoca della semiliberta' nei
                     confronti di Coinu Salvatore
 Ordinamento penitenziario - Divieto di concessione di benefici per
    gli appartenenti alla criminalita' organizzata o per condannati di
    taluni  delitti  -  Revoca degli stessi a seguito di comunicazione
    dell'autorita' di polizia in  assenza  delle  condizioni  previste
    dall'art.  58-ter  della  legge n. 354/1975 (collaborazione con le
    autorita'  dello  Stato)  -  Automaticita'  del  provvedimento   -
    Disparita'  di  trattamento  per  coloro  che  non possono offrire
    collaborazione  -  Violazione dei principi di retroattivita' della
    legge  penale,  di  rieducazione  della  pena  e  dell'obbligo  di
    motivazione   effettiva   dei   provvedimenti   giurisdizionali  -
    Compressione del diritto di difesa.
 (D.-L. 8 giugno 1992, n. 306, art. 15, secondo comma, convertito, con
    modificazioni, nella legge 7 agosto 1992, n. 356).
 (Cost., artt. 3, 24, 25, 27 e 111).
(GU n.41 del 30-9-1992 )
                     IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA
    A scioglimento della riserva espressa nell'udienza 3 luglio 1992;
    Visti gli atti della  procedura  di  sorveglianza  in  materia  di
 revoca  dell'ammissione  alla  semiliberta'  nei  confronti  di Coinu
 Salvatore, nato a Fanni il 10 agosto  1941;  non  comparso,  detenuto
 nella casa circondariale di Sassari;
    Sentiti il p.m. e difensore, concludenti come in atti;
                             O S S E R V A
    Coinu Salvatore, detenuto dall'8 novembre 1980 e' stato condannato
 con sentenza 26 gennaio 1985 dalla Corte d'assise d'appello alla pena
 di  anni  23  di  reclusione perche' ritenuto responsabile di diversi
 reati, fra i quali sequestro di persona a scopo di  estorsione  (art.
 630  del  c.p.),  ed  e'  stato ammesso al regime di semiliberta' con
 ordinanza del tribunale di  sorveglianza  di  Cagliari.  Nel  periodo
 intercorso  dall'ammissione  al  regime  anzidetto,  il comportamento
 serbato dal Coinu non consta avere dato  adito  a  rilievi  di  alcun
 genere.
    A  seguito della pubblicazione del d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, il
 Commissariato  di  p.s.  di  Alcamo  ha  rimesso  al  magistrato   di
 sorveglianza  una  nota  del  9  giugno  u.s.  concernente  il  Coinu
 Salvatore dalla quale si desume che il Coinu medesimo  non  si  trova
 nelle  condizioni  previste  dall'art.  58- ter della legge 26 luglio
 1975, n. 354.
    E poiche' l'art. 15, secondo comma, del  d.-l.  citato  impone  la
 revoca,  a  seguito  di  comunicazione dell'autorita' di polizia, dei
 benefici ivi indicati  nei  confronti  dei  soggetti  condannati  per
 taluni reati, fra i quali il sequestro di persona per estorsione, che
 pur  fruendo  di  uno  dei  detti  benefici,  non  si  trovino  nelle
 condizioni per l'applicazione dell'art. 58- ter sopra menzionato,  il
 magistrato di sorveglianza ha disposto, con decreto emesso ex art. 51
 dell'o.p.,  la  sospensione  cautelativa  del  regime di semiliberta'
 concernente il Coinu e la riconduzione del medesimo in istituto.
    Nella odierna udienza, richiesta dal p.m. la conferma del  decreto
 del  m.s.  e  la  revoca  definitiva  della ammissione del Coinu alla
 semiliberta',    la    difesa    ha    proposto    un'eccezione    di
 incostituzionalita'  che  investe l'art. 15, secondo comma, del d.-l.
 n. 306/1992.
    Il tribunale reputa non manifestamente infondata le censure  mosse
 dalla difesa del detenuto avverso il citato art. 15, secondo comma, e
 dispone pertanto la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale
 per i seguenti;
                              M O T I V I
    1.  -  Contrasto fra l'art. 3 della Costituzione e l'art. 15.2 del
 d.-l. 8 giugno 1992, n. 306.
    L'art. 15.2 del  d.-l.  n.  306/1992,  testualmente  recita:  "nei
 confronti  delle  persone detenute o internate per taluno dei delitti
 indicati nel primo periodo del primo comma che fruiscano,  alla  data
 di  entrata  in vigore del presente decreto, delle misure alternative
 alla  detenzione  o  di  permessi premio, o siano assegnate al lavoro
 all'esterno, l'autorita' di polizia,  ove  lo  ritenga,  comunica  al
 giudice  di  sorveglianza  competente  che le persone medesime non si
 trovano nella condizione per l'applicazione dell'art. 58-  ter  della
 legge  26  luglio  1975,  n.  354.  In  tal  caso  il  tribunale o il
 magistrato di sorveglianza dispone la revoca della misura alternativa
 alla detenzione o  del  permesso  premio.  Analogo  provvedimento  e'
 adottato  dalla  competente autorita' in riferimento all'assegnazione
 al lavoro all'esterno".
    Pertanto, l'autorita' di polizia puo'  decidere  di  segnalare  al
 giudice  di  sorveglianza  il  fatto  che  determinati  condannati (o
 internati) per uno dei delitti di cui  alla  prima  parte  del  primo
 comma  dello stesso art. 15 (e fra tali delitti e' compreso quello di
 cui all'art. 630 del c.p., per il quale il Coinu e' stato condannato)
 e fruenti  di  uno  dei  benefici  ivi  specificati  non  sono  nelle
 condizioni   di   cui   all'art.  58-  ter  o.p.  Alla  comunicazione
 dell'autorita' di polizia consegue la revoca del beneficio.
    Il  testo  sopra  riportato  non  consente   di   operare   alcuna
 distinzione  fra  le  situazioni,  anche  assai  diverse, dei singoli
 condannati,   cosi'   che,   previa   la    semplice    comunicazione
 dell'autorita' di polizia, si dovrebbero revocare i benefici concessi
 a  chi  mai abbia offerto ne' offra collaborazione, rilevante ex art.
 58- ter o.p., assumendo nei confronti degli  organi  dello  Stato  un
 atteggiamento  affatto  negativo  o  di perdurante solidarieta' con i
 correi eventualmente  ancora  liberi,  e  dovrebbe  assumersi  eguale
 decisione  nei  riguardi di chi, per aver commesso da solo il reato a
 lui ascritto o perche' ogni aspetto della vicenda  criminosa  che  lo
 riguardi  sia  stato  chiarito, nessuna collaborazione puo' piu' pre-
 stare (e' appena il caso  di  ricordare  come  l'art.  58-  ter  o.p.
 riguardi  solo  la collaborazione relativa alla particolare attivita'
 delittuosa per la quale sia intervenuta  condanna,  e  non  gia'  una
 generica collaborazione attinente a fatti delittuosi diversi).
    Per   Coinu   Salvatore  si  afferma  che  l'intervenuto  completo
 chiarimento dell'episodio delittuoso che lo ha portato in carcere  e'
 di   ostacolo   alla   prestazione   -   anche   in  futuro  -  della
 collaborazione, e d'altra parte il tribunale, stante  l'automaticita'
 della  decisione  imposta  dalla  norma  in questione, non puo' darsi
 carico della verifica  della  circostanza  allegata.  Si  deve  pero'
 ammettere  che la formulazione dell'art. 15, secondo comma, del d.-l.
 n. 306/1992 finisce  per  accomunare  nel  trattamento  penitenziario
 situazioni profondamente diverse, finendo pero', paradossalmente, per
 favorire  proprio quei condannati che, per avere agito nell'ambito di
 una struttura criminale piu' articolata e  segreta,  sono  di  solito
 piu'  pericolosi  ma  si  trovano  dipoi  nella  condizione di potere
 utilmente "spendere" la propria collaborazione.
    Di qui il denunciato non manifestamente infondato contrasto  della
 norma in argomento con l'art. 3 della Costituzione.
    2.  -  Contrasto  fra l'art. 15, secondo comma, del d.-l. 8 giugno
 1992, n. 306 e l'art. 25, secondo comma, della Costituzione.
    La  norma  in  discussione   confliggerebbe   con   il   principio
 costituzionale  della  non retroattivita' della legge penale: secondo
 l'interpretazione piu' logica, il concetto di legge in  virtu'  della
 quale  si  deve  irrogare  una  sanzione, cui si riferisce l'art. 25,
 secondo  comma  della Costituzione non puo' comprendere le sole norme
 che descrivano fattispecie penalmente illecite e stabiliscano le rel-
 ative sanzioni, ma si  estende  a  tutte  le  norme  che,  anche  nel
 precisare il contenuto della pena, descrivono il quadro sanzionatorio
 riguardante  chi  dovra'  espiare  le  pene  previste  per le singole
 ipotesi criminose. E se e' vero che e' stata autorevolmente criticata
 la costruzione teorica di  chi  voglia  "fissare"  al  momento  della
 commissione  del  reato  non  solo l'entita' della pena che da questo
 puo' conseguire ma anche il tipo  di  trattamento  penitenziario,  si
 dovra'  pure  ammettere,  con  la  migliore  dottrina, che almeno dal
 momento del passaggio in giudicato della sentenza, si stabilisca  fra
 lo  Stato  e  il  condannato  un "patto" che atterra' alla estensione
 della pretesa del primo e -  per  converso  -  alle  aspettative  del
 secondo. Patto che non sembra, durante lo svolgimento del trattamento
 da  esso disciplinato, possa essere modificato, neppure con legge che
 stabilisca per il condannato condizioni deteriori e, pertanto aggravi
 la punizione alla quale lo ha esposto la sua condotta.
    E poiche' la norma in discussione, nel far discendere - in maniera
 pressoche' decisiva - conseguenze favorevoli  per  il  condannato  da
 comportamenti  per  il passato non essenziali ai fini dell'ammissione
 ai benefici da essa indicati, opera un innegabile  peggioramento  del
 trattamento  sanzionatorio, si reputa non manifestamente infondato il
 denunciato  contrasto   con   l'art.   25,   secondo   comma,   della
 Costituzione.
    3.  -  Contrasto  fra l'art. 15, comma secondo, del d.-l. 8 giugno
 1992, n. 306 e l'art. 27, comma secondo, della Costituzione.
    Quanto esposto al punto precedente vale in parte a dar conto della
 non manifesta infondatezza del denunciato contrasto  fra  l'art.  15,
 secondo  comma,  del  d.-l. n. 306/1992 e la norma costituzionale che
 indica l'emenda del condannato quale  finalita'  della  pena:  appare
 evidente  l'effetto  deleterio  che sulla rieducazione del condannato
 puo' avere la frustrazione delle sue legittime aspettative  esistenti
 al  momento di inizio della espiazione della pena o sorte per effetto
 di successive disposizioni.
    L'art. 15,  secondo  comma,  in  discussione  stabilendo  -  nelle
 precisate  condizioni  -  la  revoca  di  benefici  gia'  in corso di
 fruizione,  rischia  di  rendere  vana  in  molti  casi  l'opera   di
 rieducazione  che, proprio nei casi di condannati per gravi reati, e'
 particolarmente impegnativa per operatori  penitenziari  e  detenuti.
 Non si vuole certo porre in dubbio il valore, in ipotesi apprezzabile
 anche  come  sintomo  di  emenda, di una collaborazione prestata agli
 organi dello Stato, soprattutto quando - come nel caso dei  sequestri
 di persona per estorsione - si impediscano gli sviluppi di un delitto
 in  corso di svolgimento; ma non sembra coerente con le finalita' del
 citato dettato costituzionale ancorare - nei casi di pena in corso di
 espiazione - la fruizione dei noti benefici  alla  prestazione  della
 collaborazione, poiche' la prestazione di questa puo' intervenire per
 le   ragioni   piu'   disparate  (anche  tali  da  poter  non  essere
 dimostrative, necessariamente, di emenda), mentre anche  una  mancata
 collaborazione,   accompagnata  (e'  chiaro)  da  una  dimostrata  ed
 effettiva rottura con la scala di valori gia' posta a base della vita
 pregressa del condannato, dovrebbe non costituire  elemento  ostativo
 alla prosecuzione del "convenuto" trattamento penitenziario.
    E' appena il caso di notare come non si intende certo censurare la
 legittimita'  ed  opportunita' della previsione di incentivi a favore
 dei collaboratori della  giustizia.  Ma  negare,  in  sostanza  e  in
 pratica,  che  possa  essere,  per  i  responsabili  di  certi reati,
 apprezzato positivamente il comportamento serbato pur in mancanza  di
 collaborazione, significa - quanto a tanto si giunga nei confronti di
 persone  delle  quali  sia in corso, anche con risultati positivi, il
 trattamento penitenziario - operare in  possibile  contrasto  con  la
 previsione costituzionale in discussione.
    4.  -  Contrasto  fra l'art. 15, secondo comma, del d.-l. 8 giugno
 1992, n. 306 e gli  artt.  24,  secondo  comma  e  111  alinea  della
 Costituzione.
    L'art.  111  della  Costituzione prevede che tutti i provvedimenti
 giurisdizionali devono essere motivati: e' stato piu' volte  chiarito
 che  la  motivazione  non  puo'  essere  puramente  formale  ne' puo'
 consistere in mere clausole di stile (c.d. motivazione apparente)  ma
 deve  dare  ragione  dell'apprezzamento  dei  fatti  e  dei motivi di
 applicazione della legge da parte del giudice.
    Si  e'  gia'  rilevata,  sotto  altro  profilo,   la   sostanziale
 automaticita'  della  pronuncia  che  il magistrato o il tribunale di
 sorveglianza e' chiamato a rendere quando gli pervenga dall'autorita'
 di polizia la comunicazione di cui all'art. 15,  secondo  comma,  del
 d.-l.  n.  306/1992:  si  nota  ora che il provvedimento di revoca da
 questa norma previsto deve essere, proprio perche'  dovuto,  adottato
 senza  che  il  giudice  possa esprimere alcun apprezzamento circa la
 sussistenza  del  presupposto  di  esso,  essendogli  in   definitiva
 sottratta  perfino  la  valutazione  circa  la riconducibilita' della
 situazione del singolo condannato alla fattispecie  di  cui  all'art.
 58-  ter  o.p.  E'  stato  osservato  che nell'ambito della revoca in
 argomento la  funzione  del  giudice  diviene  puramente  notarile  e
 dichiarativa  della  volonta'  altrui:  essa  pone capo pertanto alla
 adozione di un provvedimento che, per consistere in  una  mera  presa
 d'atto,  non puo' essere motivato. La norma che prevede la emanazione
 di tale provvedimento appare in  modo  non  manifestamente  infondato
 contrastante con l'art.  111 della Costituzione.
    Proprio   quanto  si  e'  notato  a  proposito  della  carenza  di
 motivazione normale al provvedimento di  revoca  in  argomento  rende
 palese  come  non  sia manifestamente infondata la questione relativa
 alla  denunciata  violazione  dell'art.  24,  secondo  comma,   della
 Costituzione: posto che l'attivita' del giudice si esaurirebbe in una
 presa d'atto non preceduta da momenti valutativi, la stessa attivita'
 del difensore sarebbe del tutto impossibile non potendo la difesa nei
 casi come quello in esame, svolgere alcuna utile funzione di critica,
 di   sollecitazione,  di  illustrazione  del  caso,  in  una  parola,
 difensiva in senso proprio.
    Sollevata  la  questione  di   legittimita'   costituzionale,   il
 procedimento in corso resta sospeso.
    In  questa  situazione  e'  certo - dati i tempi tecnici - che una
 decisione nel merito da parte dell'intestato  tribunale,  non  potra'
 intervenire  entro  trenta  giorni  dalla  data  (12  giugno 1992) di
 ricezione degli atti relativi alla revoca della semiliberta', secondo
 il disposto dell'art. 51- ter ord. pen.
    Di  conseguenza  non ha piu' alcun senso il decreto di sospensione
 adottato  dal  magistrato  di  sorveglianza  ai  sensi  del  predetto
 articolo;   attesa   infatti   la   natura   cautelare  del  medesimo
 provvedimento, appare imprescindibile - se non altro in via teorica -
 il suo collegamento con il provvedimento di  merito  del  quale  deve
 assicurare gli effetti.
    Poiche',  come  si  e'  notato,  detto  provvedimento  - stante la
 necessaria sospensione del procedimento instaurato in vista della sua
 adozione - non potra' intervenire nel termine massimo di legge, viene
 meno la strumentalita' della sospensione cautelativa, che non ha piu'
 alcuna ragione di essere e va  percio'  revocata.  Il  detenuto  deve
 conseguentemente essere riammesso a godere del regime di semiliberta'
 disposto   con   ordinanza   20   febbraio  1990,  del  tribunale  di
 sorveglianza di Cagliari secondo il  programma  di  trattamento  gia'
 stabilito  ed  in  corso  al  momento  del  decreto 9 giugno 1992 del
 magistrato di sorveglianza di Sassari.
                               P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara   non   manifestamente   infondate   le   questioni    di
 illegittimita'  costituzionale  proposte  e  illustrate  nella  parte
 motiva della presente ordinanza;
    Sospende la procedura  di  sorveglianza  in  corso  relativa  alla
 eventuale  revoca  della  misura  alternativa  della semiliberta' nei
 confronti di Coinu Salvatore;
    Dispone la trasmissione degli atti alla Corte  costituzionale  per
 la decisione in ordine alle questioni sollevate;
    Manda alla cancelleria per le comunicazioni, le notificazioni e le
 forme  di  pubblicita'  in  genere previste dall'art. 23 della citata
 legge;
    Revoca il decreto 9 giugno 1992 del magistrato di sorveglianza  di
 Sassari;
    Riammette  Coinu  Salvatore al regime di semiliberta' disposto con
 ordinanza 20 febbraio 1990 del tribunale di sorveglianza di  Cagliari
 secondo  il  programma  di  trattamento gia' stabilito ed in corso al
 momento dell'emissione del suindicato decreto.
      Sassari, addi' 3 luglio 1992
          Il presidente del tribunale di sorveglianza: DEIANA
                                Il magistrato di sorveglianza: TABASSO
   Gli esperti: SOGGIU - FENU
    Depositato nella cancelleria di Sassari il 4 luglio 1992.
              Il collaboratore di cancelleria: CORADDUZZA

 92C1067