N. 684 ORDINANZA (Atto di promovimento) 9 luglio 1992
N. 684 Ordinanza emessa il 9 luglio 1992 dal tribunale amministrativo regionale del Friuli-Venezia Giulia - Trieste, sulla istanza di sospensione della esecuzione, proposta da Rampino Antonio contro il Provveditorato agli studi di Udine ed altro Impiego pubblico - Decadenza automatica dal servizio dei pubblici dipendenti condannati con sentenza passata in giudicato per determinati reati - Irrazionalita' della norma impugnata e violazione del principio di eguaglianza sotto il profilo dell'eguale trattamento degli amministratori pubblici (solo per i quali originariamente era prevista la sanzione della decadenza) e dei pubblici dipendenti (ai quali la sanzione e' stata estesa mediante rinvio) nonostante la diversita' di rapporto con la p.a. (servizio onorario per i primi e rapporto di servizio per i secondi) - Incidenza sul diritto al lavoro, sul diritto alla difesa in giudizio compromesso dall'automaticita' della sanzione nonche' sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. - Reviviscenza sotto altro nome dell'istituto della destituzione automatica dichiarato costituzionalmente illegittimo (sentenza n. 971/1988). (Legge 19 marzo 1990, n. 55, art. 15, modificato dalla legge 18 gennaio 1992, n. 16, art. 1, comma 4-octies). (Cost., artt. 3, 4, 24, 35 e 97).(GU n.46 del 4-11-1992 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la presente ordinanza nella Camera di Consiglio del 9 luglio 1992 sul ricorso n. 486/1992, con unita istanza di sospensione dell'esecuzione, proposto da Rampino Antonio, rappresentato e difeso dall'avv. Franco Carrozzo ed elettivamente domiciliato, presso lo studio dell'avv. Enrico Guglielmucci, in Trieste, via Milano, 17; contro il Provveditorato agli studi di Udine in persona del provveditore pro-tempore, ed il Ministero della pubblica istruzione in persona del Ministro in carica, entrambi rappresentati e difesi dall''Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, domiciliataria per legge; per l'annullamento previa sospensione dell'esecuzione, del decreto provveditoriale prot. n. 11077/C1/92 dd. 27 maggio 1992, con cui viene disposta la decadenza dal servizio del ricorrente; Visti gli atti e documenti depositati col ricorso, ivi compresi i motivi aggiunti; Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dal ricorrente; Visti gli atti di costituzione in giudizio del Provveditorato e del Ministero convenuti; Vista la propria ordinanza n. 215/1992 dd. 9 luglio 1992; Udito il relatore consigliere Enzo Di Sciascio ed uditi altresi' l'avv. Carrozzo per il ricorrente e l'avv. dello Stato Scotti per le amministrazioni intimate; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue; F A T T O Con il ricorso in epigrafe l'istante, ausiliario presso la scuola media statale "Tiepolo" di Udine, espone di essere stato condannato, con sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 del c.p.p., per il reato di cui all'art. 73, primo e quinto comma del d.P.R. n. 309/1990, per la detenzione di una modica quantita' di sostanza stupefacente, accertata il 14 marzo 1992. Con l'impugnato provvedimento, il Provveditorato agli studi di Udine ha pronunziato la sua decadenza dal servizio, ai sensi dell'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, cosi' come modificato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992, n. 16. Il ricorrente ha sostenuto l'illegittimita' del decreto provveditoriale, per violazione di legge ed eccesso di potere, chiedendone la sospensione dell'efficacia a questo tribunale amministrativo. In particolare, come motivi di gravame ha dedotto, in primo luogo, la violazione degli artt. 7, 8 e 10 della legge n. 241/1990 non essendo stato reso edotto dell'avviso del procedimento amministrativo, poi conclusosi con l'atto impugnato. In tal modo non gli sarebbe stato consentito di conoscere l'oggetto del provvedimento promosso, ne' di prenderne visione, ne' di presentare osservazioni. In secondo luogo ha contestato la violazione dell'art. 15 della legge n. 55/1990, cosi' come modificato dall'art. 1 della legge n. 16/1992, nell'assunto che le norme indicate prevederebbero la decadenza solo per il responsabile di produzione o traffico di sostanze, stupefacenti e non per il semplice detentore delle stesse, aggiungendo quindi che, essendo stata la condanna pronunciata ai sensi dell'art. 444 del c.p.p., non ci si troverebbe di fronte a una sentenza di condanna, presupposto indispensabile, ai sensi delle disposizioni appena citate, del provvedimento di decadenza. Ha infine dedotto l'illegittimita' costituzionale dell'art. 15 della legge n. 55/1990, cosi' come modificato dall'art. 1, comma primo e quarto-quinquies, septies e octies della legge n. 16/1992, il cui combinato disposto configurerebbe una figura normativa, al di la' della mera differenza del nomen juris, di vera e propria destituzione di diritto, in seguito a condanna penale, del pubblico dipendente. Invero il decreto di decadenza costituirebbe atto dovuto per la p.a. in presenza di condanna irrevocabile (o di applicazione di una misura detentiva di prevezione) nelle ipotesi normativamente previste, senza alcuna discrezionialita', dal momento che, in presenza dei predetti presupposti, la competente autorita' e' tenuta ad emanare in via automatica la sanzione amministrativa piu' grave, quella cioe' di carattere espulsivo. In tal modo sarebbe violato l'art. 3 della Costituzione, essendo precluso all'autorita' procedente di apprezzare, ad esempio, la maggiore o minore gravita' del delitto, la capacita' a delinquere, la eventuale concessione della sospensione condizionale della pena, la estraneita' o meno del fatto al servizio ovvero la sussistenza o meno di un abuso dei poteri e della qualita' di pubblico dipendente. Non essendo consentita, pertanto, la valutazione di alcune circostanze inerenti la mancanza accertata, conducendo in ogni caso questa alla decadenza, verrebbero equiparate quoad effectum dalle norme sospettate di incostituzionalita' situazioni notevolmente differenti fra loro. L'art. 3 della Costituzione sarebbe, ulteriormente violato sia perche' esse prevedono, per i dipendenti statali, l'automatica perdita del posto di lavoro anche per condanne penali che, se rela- tive a fatti di lieve entita' e se condizionalmente sospese, non comporterebbero tale grave conseguenza per i dipendenti privati, sia perche' opererebbero una irragionevole purificazione, quanto alle conseguenze fra pubblici dipendenti e soggetti che ricoprono cariche pubbliche elettive. Se infatti si considerano e il particolare rapporto fiduciario che lega l'eletto a cariche pubbliche al cittadino elettore e la delicatezza delle funzioni che il titolare di uffici elettivi e' chiamato a svolgere, nonche' la necessita' di specchiate doti di onesta' e dirittura morale richieste all'amministratore pubblico, si dovra' riconoscere che si tratta di situazioni non assimilabili a quelle del dipendente di un pubblico ufficio e tali da non giustificare il medesimo regime sanzionatorio applicato. Sarebbero altresi' violati gli artt. 4 e 45 della Costituzione, in quanto la decadenza dal servizio in un caso, come quello de quo di lieve condanna, per di piu' condizionalmente sospesa, sarebbe incompatibile con la tutela del lavoro, che tali norme intendono assicurare. Sarebbe inoltre violato l'art. 24 della Costituzione, dal momento che le norme, della cui costituzionalita' si discute, prevedono la sanzione amministrativa piu' grave senza concedere all'incolpato di poter svolgere le sue difese in un procedimento disciplinare amministrativo. Le medesime disposizioni violerebbero infine l'art. 97 della Costituzione, in quanto la definitiva estromissione dalla pubblica amministrazione di un dipendente, che ha riportato una condanna penale non grave, non corrisponderebbe ai canoni di imparzialita' e buon andamento dell'azione amministrativa. Si e' costituita in giudizio, per gli organi dell'amministrazione della pubblica istruzione intimati, l'avvocatura dello Stato, riportandosi al rapporto del Provveditorato, da cui emerge la natura di atto dovuto del provvedimento Impugnato. Nella camera di consiglio del 9 luglio 1992 questo tribunale amministrativo, chiamato a pronunciarsi, con ordinanza n. 215/1992 ha ritenuto non sussistere il fumus boni juris nei motivi di gravame diversi dalla sollevata questione di costituzionalita', che ha al contrario considerata rilevante e non manifestamente infondata, nei limiti dei motivi esposti in separata, piu' ampiamente motivata, contestuale ordinanza, con cui si provvedera' ad investire della questione stessa la Corte costituzionale, ed ha quindi sospeso temporaneamente il provvedimento impugnato fino alla decisione e conseguente restituzione degli atti da parte del giudice delle leggi, cui seguira' la decisione definitiva sull'istanza cautelare. D I R I T T O 1.1. - Come si evince dalla normativa in fatto, le censure di incostituzionalita', proposte dal ricorrente, investono l'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, nel testo modificato dall'art. 1, comma primo e comma quarto quinquies, septies e octies della legge 18 gennaio 1992, n. 16. 1.2. - Dev'essere, peraltro, notato che le disposizioni di cui all'art. 1, comma primo e comma quarto quinquies e septies della legge n. 16/1992 non appaiono rilevanti per la risoluzione del presente giudizio, dal momento che, delle due ultime, la prima disciplina la decadenza dalla carica dei pubblici amministratori e la seconda la sospensione dei pubblici dipendenti, nelle fattispecie in- dicate dal primo comma predetto, che a sua volta concerne soltanto candidati a cariche elettive o pubblici amministratori. Il presente ricorso concerne invece la decadenza dal servizio di un pubblico dipendente, per essere stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per uno dei reati a cui la legge n. 55/1990, cosi' come modificata dalla legge n. 16/1992, ricollega la decadenza dalla carica dei pubblici amministratori. Tale estensione dell'istituto della decadenza, originariamente introdotto dall'art. 15 della legge n. 55/1990, soltanto per coloro che ricoprono cariche pubbliche, anche al personale dipendente dalle amministrazioni pubbliche, e' opera esclusivamente dell'art. 1, comma quarto-octies, della legge n. 16/1992 che, attraverso una serie di rinvii ricettizi ai precedenti commi quarto-septies, sexties, quinquies e, attraverso quest'utlimo, al comma primo, determina l'estensione predetta. 1.3. - La risoluzione pertanto della questione di costituzionalita', nei termini prospettati in ricorso, dell'art. 15 della legge n. 55/1990, sulla parte in cui e' stato modificato dall'art. 1, comma quarto-octies della legge n. 16/1992, appare indubbiamente rilevante, in quanto decisiva ai fini dell'accoglimento o del rigetto dell'istanza cautelare proposta dal ricorrente, dal momento che costituisce l'unico motivo dedotto, a sostegno della stessa, che non sia stato dichiarato privo di sufficiente fumus boni juris da questo tribunale amministrativo con la precedente ordinanza n. 215 dd. 9 luglio 1992 e dal momento che la sospensione temporanea del provvedimento impugnato, da essa disposta, verra' a cessare al momento della pronuncia e della restituzione degli atti da parte del giudice delle leggi. 2.1. - Fra le questioni sollevate e ritenute rilevanti sembra, peraltro, manifestamente infondata a questo Tribunale quella relativa alla assunta illegittimita' costituzionale del combinato disposto delle norme appena citate con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo dell'irragionevole deteriore trattamento, in seguito a condanna penale, dei dipendenti pubblici rispetto a quelli privati. Non appare invero ingiustificata tale diversita' di disciplina, sia perche' concerne categorie di lavoratori il cui stato giuridico appare tuttora profondamente differenziato, per le esigenze di interesse pubblico che connotano l'attivita' degli uni, a differenza di quella degli altri, sia perche' non sembra illogico che la necessita' di mantenere il prestigio dell'ufficio, propria della pubblica amministrazione, induca il legislatore ad atteggiarsi diversamente in ordine alle mancanze del pubblico dipendente rispetto a quelle del privato. 2.2. - La denunciata illegittimita' costituzionale, riferita all'art. 15 della legge n. 55/1990 cosi' come modificato dall'art. 1, comma quarto-octies della legge n. 16/1992, appare peraltro non manifestamente infondata al collegio sotto gli ulteriori profili sollevati. Invero con la disposizione menzionata e' stata sostanzialmente reintrodotta, sia pure con la diversa denominazione di decadenza, una fattispecie di destituzione di diritto del pubblico dipendente per condanna penale e cioe' una sanzione espulsiva automatica che, al verificarsi del presupposto, costituito dal passaggio in giudicato della relativa sentenza (o dalla definitivita' del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione) fa venir meno, attraverso l'attivita', vincolata in tal senso, dell'autorita' competente, il rapporto di pubblico impiego in atto sussistente. Una volta pertanto che, per uno dei reati indicati al primo comma dell'art. 1 della legge n. 16/1992, sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, all'autorita' amministrativa e' preclusa qualsiasi valutazione, anche nella sua sede naturale, costituita dal procedimento disciplinare, e qualsiasi gradualita' sanzionatoria, ma le e' imposto dalla disposizione, della cui costituzionalita' si fa questione, di pronunciare in ogni caso la decadenza del pubblico dipendente condannato. Ritiene il collegio che, in tal modo, considerato l'automatismo normativo cosi' predisposto, si sottopongono indiscriminatamente alla piu' grave misura sanzionatoria comportamenti di assai diversa gravita' (non potendosi apprezzare p.e. ne' la piu' o meno lieve entita' del reato, ne' la concessione o meno della sospensione condizionale della pena, ne' l'eventuale esistenza di recidiva, ne' la connessione del reato col servizio, ecc.). Appaiono pertanto violati i criteri di coerenza e ragionevolezza desumibili dall'art. 3 della Costituzione, cosi' come evidenziati dalla sentenza n. 971/1988 della Corte costituzionale. Ulteriore violazione dell'art. 3 della Costituzione deriva dal fatto di aver parificato, nelle condizioni che determinano la decadenza, i pubblici dipendenti a coloro che ricoprono cariche pubbliche. Ne e' derivata la duplice irrazionale conseguenza che a questi ultimi, nei confronti dei quali e' forse giustificato, per la natura fiduciaria del rapporto con il corpo elettorale o con quello politico da cui derivano le funzioni ricoperte, un particolare rigore in presenza di comportamenti delittuosi, sono assimilati soggetti per i quali, in analoghe ipotesi, la normativa previgente, emanata su impulso delle menzionate pronunzie del giudice delle leggi, ha ritenuto sufficiente la valutazione in sede disciplinare delle conseguenze amministrative dei reati commessi; che inoltre, nel mentre i primi decadono solo dalla carica ricoperta i secondi, subendo ben piu' grave conseguenza, decadono dal servizio. Tale automatica risoluzione del rapporto d'impiego, anche per reati di non rilevantissima entita', come nel caso de quo, appare inoltre incomputabile e con la tutela del lavoro, assicurato dagli artt. 4 e 35 della Costituzione e con i criteri di imparzialita' e buon andamento, cui, ai sensi del successivo art. 97, deve essere ispirata l'attivita' delle pubbliche amministrazioni, per la sproporzione che puo' determinarsi tra fatto commesso ed estrema gravita' della sanzione, concretandosi nella perdita dei mezzi di sussistenza. In tal modo viene inoltre tolto al pubblico dipendente colpito dalla decadenza il diritto di esporre le sue ragioni e difese all'amministrazione in sede di procedimento disciplinare prima che gli venga comminata la sanzione, con conseguente violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione. 3. - Essendo state ritenute, nei limiti e per i motivi sopra esposti, rilevanti ai fini della decisione dell'istanza di sospensione in esame e non manifestamente infondate le dedotte questioni di illegittimita' costituzionale il collegio ritiene di disporre la sospensione del giudizio e rimettere gli atti alla Corte costituzionale, affinche' si pronunci in proposito.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87; Sospende il giudizio e rimette gli atti alla Corte costituzionale per l'esame della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, cosi' come modificato dall'art. 1, comma quarto-octies della legge 18 gennaio 1992, n. 16, nella parte in cui, nel caso di condanna passata in giudicato per uno di questi reati di cui al precedente primo comma, prevede la decadenza dal servizio dei pubblici dipendenti di cui al precedente comma quarto-septies. Cosi' deciso in Trieste, nella camera di consiglio del 9 luglio 1992. Il presidente: PELLINGRA L'estensore: DI SCIASCIO Depositato nella segreteria del tribunale il giorno 6 agosto 1992. Il segretario generale: OVADIA 92C1161