N. 707 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 agosto 1992

                                N. 707
 Ordinanza emessa il 18  agosto  1992  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  la  pretura  di  Reggio  Emilia nel procedimento
 penale a carico di Spaggiari Antonella ed altro
 Ambiente - Inquinamento - Regione Emilia-Romagna - Scarichi fognari
    di  insediamenti  civili  -  Omessa  previsione  di  provvedimento
    autorizzativo  -  Limiti  di  tollerabilita'  inferiori  a  quelli
    stabiliti con legge statale - Prevista sanzione  amministrativa  -
    Esclusione  dall'ambito  delle  fattispecie penalmente rilevanti -
    Mancato adeguamento della normativa di attuazione  regionale  alle
    prescrizioni legislative statali - Travalicamento della competenza
    regionale  -  Violazione della riserva di legge statale in materia
    penale.
 (Legge regione Emilia-Romagna 28 novembre 1986, n. 42, artt. 9 e 11,
    lett. b), n. 2, primo alinea).
 (Cost., artt. 25 e 117).
(GU n.47 del 11-11-1992 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha pronunciato, in camera di consiglio, la seguente ordinanza  nel
 procedimento  penale iscritto al n. 5514/91 r.g.n.r. contro Spaggiari
 Antonella, nata a Reggio Emilia il 27 aprile 1957, ivi  residente  in
 via  Ronchi  n. 2/1 e Pierfederici Roberto, nato a Reggio Emilia il 4
 marzo 1954, ivi residente in via Martiti di  Soweto  n.  3,  indagati
 entrambi,  per  il reato di cui all'art. 21, terzo comma, della legge
 10 maggio 1976, n. 319, commesso in Reggio Emilia il 18 giugno 1991.
    1) Il fatto.
    A seguito di articolo apparso sul quotidiano locale  "La  Gazzetta
 di   Reggio"  del  14  maggio  1991,  il  pubblico  ministero  presso
 quest'ufficio disponeva  indagini  su  episodi  di  inquinamento  del
 torrente  Quaresimo,  denunciati  nel predetto articolo sulla base di
 telefonate ricevute da anonimi cittadini della zona.
    L'esito delle indagini affidate al Corpo forestale dello Stato, in
 collaborazione  con  il locale servizo di igiene pubblica, consentiva
 di appurare che i ripetuti  fenomeni  di  inquinamento  del  torrente
 erano  da ricollegarsi all'attivita' di scarico di reflui provenienti
 dal collettore di una fogna pubblica gestita  dal  comune  di  Reggio
 Emilia.
    In  particolare,  il risultato delle analisi sui prelievi eseguiti
 dal servizio di igiene pubblica evidenziava un superamento, da  parte
 delle  acque  di  scarico  del  collettore  fognario,  dei  limiti di
 accettabilita' previsti dalle tabelle A e C allegate  alla  legge  n.
 319/1976,  quanto al parametro dell'azoto ammoniacale (NH 4) e, nello
 stesso tempo, il rispetto dei  limiti  massimi  contemplati,  per  il
 medesimo  parametro,  nelle  tabelle  II  e  III  allegate alla legge
 regionale dell'Emilia-Romagna 29 gennaio 1983, n. 7.
    2)  La  questione  di  costituzionalita'  sollevata  dal  pubblico
 ministero.
    Sulla  scorta  di tali risultanze di fatto, il pubblico ministero,
 considerato che il fatto di  inquinamento  verificato  dalla  polizia
 giudiziaria   era   sussumibile  nella  previsione  di  due  distinte
 fattispecie sanzionatorie, una penale, prevista dall'art.  21,  terzo
 comma,  della  legge  n. 319/1976, e l'altra amministrativa, prevista
 dal combinato disposto degli artt. 9 e 11,  lett.  b),  n.  2,  prima
 alinea,  legge regione Emilia Romagna n. 42/1986, sollevava eccezione
 di  incostituzionalita'  di  queste  due  ultime  norme   legislative
 regionali,  deducendo,  quanto  al solo art. 9 della legge n. 41/1986
 cit., contrasto con  l'art.  117  della  Costituzione  e,  quanto  ad
 entrambe, contrasto con l'art. 25 cpv., della Costituzione.
    Sul  primo  punto,  osservava  il  p.m.  che  la  legge statale n.
 319/1976 poneva uno statuto generale degli scarichi di qualsiasi tipo
 ed origine, valevole sull'intero territorio nazionale, imperniato  su
 due   princi'pi   fondamentali:   il   principio   della   necessita'
 dell'autorizzazione per qualsiasi tipo di  scarico,  fatta  eccezione
 per  gli  scarichi  in pubblica fognatura degli insediamenti civili e
 per gli scarichi gia' in essere al  momento  dell'entrata  in  vigore
 della  legge  n.  319/1976  provenienti  da  insediamenti  civili non
 recapitanti in pubblica fognatura, soggetti  al  solo  obbligo  della
 denuncia;  il  principio,  inoltre,  della prescrizione per tutti gli
 scarichi dei limiti di accettabilita' previsti nelle tabelle  A  e  C
 allegate alla legge statale, nell'ambito di un'unica disciplina degli
 scarichi da stabilirsi sull'intero territorio nazionale.
   In   forza,   dunque,  di  siffatta  connotazione  della  normativa
 contenuta nella legge n. 319/1976, la potesta' legislativa regionale,
 delineata dal legislatore nell'art. 14, secondo comma, seconda parte,
 e nell'art. 4, primo comma, lett. a), della stessa legge statale,  in
 riferimento  alla disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature
 e degli insediamenti civili non recapitanti in  pubbliche  fognature,
 doveva  ritenersi  una potesta' integrativa e di attuazione, ai sensi
 dell'art.  117  cpv.,   della   Costituzione,   con   l'obbligo,   in
 particolare,  per  l'ente  regionale di attenersi al rispetto dei due
 fondamentali princi'pi sopra evidenziati e, dunque, con l'obbligo  di
 non  superare  i  limiti  di accettabilita' dei reflui indicati nelle
 tabelle allegate alla legge n. 319/1976,  suscettibili  soltanto,  di
 mero "abbassamento" da parte del legislatore regionale.
    Senonche', osservava il p.m., la regione Emilia-Romagna non si era
 attenuta  al  rispetto  di  siffatto  obbligo,  poiche', con la legge
 regionale n. 7/1983, aveva formulato  tabelle  contenenti  limiti  di
 accettabilita'  degli  scarichi provenienti dagli insediamenti civili
 in  netta  discordanza,  per  alcuni  parametri,  tra   cui   l'azoto
 ammoniacale,  con  quelli stabiliti dalle tabelle statali, in quanto,
 rispetto a quest'ultimi, piu' permissivi.
    La stessa regione poi, con  l'art.  9  della  legge  regionale  n.
 42/1986,  aveva  esteso  l'obbligo  del  rispetto  di  tali limiti di
 accettabilita',  gia'  previsti  per  gli  insediamenti  civili   non
 recapitanti  in  pubbliche fognature, anche agli scarichi provenienti
 dalle  stesse  pubbliche   fognature,   sanzionando   la   violazione
 dell'obbligo,  nel  successivo  art.  11,  n.  2,  prima  alinea, con
 sanzioni amministrative pecuniarie.
    Con il risultato, dunque, ad avviso del p.m., che per gli scarichi
 delle  pubbliche  fognature  si  era  introdotta,  ad   opera   della
 legislazione  regionale,  una  normativa  di  maggior  favore  - piu'
 permissiva - rispetto ai limiti sanciti dal legislatore statale e  si
 era  conseguentemente  esercitata  una potesta' legislativa autonoma,
 contrariamente a quanto previsto nei  richiamati  artt.  14,  secondo
 comma,  e  4  della  legge  n.  319/1976  e,  soprattutto,  in palese
 contrasto con il secondo comma dell'art. 117 della Costituzione.
    Sul secondo punto, la parte pubblica, muoveva dal presupposto che,
 in  forza  del  principio,  enunciato  dall'art.  9  della  legge  n.
 319/1976,   della  necessita'  del  provvedimento  autorizzativo  per
 qualsiasi tipo  di  scarico  in  uno  dei  corpi  ricettori  previsti
 dall'art. 1, le fattispecie contravvenzionali previste dagli artt. 21
 e   segg.   della  stessa  legge  dovevano  ritenersi  reati  comuni,
 suscettibili di essere commessi  sia  dai  titolari  di  insediamenti
 produttivi,  sia  dai  titolari  di insediamenti civili e anche dagli
 enti gestori di pubbliche fognature, equiparati sul  piano  normativo
 ai  secondi  in  virtu'  del richiamo congiunto contenuto nel secondo
 comma dell'art. 14.
    Ne derivava, in particolare, che le condotte di scarico  poste  in
 essere  da  titolari  di insediamenti civili o di pubbliche fognature
 recapitanti in uno degli anzidetti  corpi  ricettori  in  difetto  di
 preventiva autorizzazione - rectius, senza la preventiva richiesta di
 autorizzazione   -   e/o   in   violazione   dei  limiti  massimi  di
 accettabilita' stabiliti dalle tabelle statali A e C dovevano  essere
 sanzionate  penalmente dall'art. 21 della legge n. 319/1976, al primo
 comma, nel caso di mancanza di  autorizzazione  allo  scarico,  e  al
 terzo comma, nella ipotesi di superamento dei limiti tabellari.
    La   richiamata   legge  regionale  n.  42/1986,  tuttavia,  aveva
 introdotto un autonomo sistema sanzionatorio  amministrativo,  esteso
 anche  agli  enti  gestori delle pubbliche fognature, prevedente mere
 sanzioni pecuniarie sia per la effettuazione  di  scarichi  senza  la
 richiesta  di autorizzazione sia per il mancato adeguamento ai limiti
 di accettabilita' previsti non dalle tabelle statali, ma da quelle II
 e III allegate alla legge regionale n. 7/1983.
    Se ne doveva pertanto trarre la conclusione, secondo il p.m.,  che
 tanto  l'art.  9  della  legge  regionale  n.  42/1986, conentente la
 prescrizione per gli enti gestori di pubbliche fognature di adeguarsi
 alle tabelle regionali teste' indicate, quanto l'art. 11,  lett.  b),
 n.  2,  prima  alinea,  prevedente  sanzione  amministrativa  per  la
 inosservanza dei medesimi limiti, si ponevano in insanabile contrasto
 con l'art. 25 cpv., della Costituzione, "interferendo con la legge n.
 319/1976 in senso riduttivo dell'ambito di applicabilita' della norma
 statale che sanziona penalmente tutti gli scarichi eccedenti i limiti
 tabellari, nei rispettivi limiti e modi di  applicazione  (cfr.  art.
 21, terzo comma, della legge n. 319/1976)".
    3)   L'ammissibilita'   della  questione  sollevata  dal  pubblico
 ministero.
    La legge della regione  Emilia-Romagna  29  gennaio  1983,  n.  7,
 modificata ed integrata dalle leggi regionali
 nn.  13/1984 e 42/1986, e' stata emanata in applicazione dell'art. 14
 cpv., della legge n. 319/1976 e contiene la disciplina  in  dettaglio
 degli  scarichi  provenienti dagli insediamenti civili che recapitano
 in acque superficiali, sul suolo o nel sottosuolo  e  degli  scarichi
 delle pubbliche fognature.
    Per tali scarichi la legge ha imposto, prevedendo tempi successivi
 di  adeguamento,  il  rispetto  di  svariati  parametri analoghi, nel
 contenuto, a quelli indicati dalle tabelle statali, ma provvisti,  in
 alcuni  casi,  di limiti massimi di accettabilita' superiori a quelli
 contemplati da quest'ultime per i medesimi parametri.
   La differenza tra detti valori si riscontra, in particolare,  nella
 tabella  regionale  II  per  i parametri del cloruro, fosforo totale,
 azoto ammoniacale e tensioattivi, tutti indicati in limiti piu'  ampi
 di  quelli  fatti  propri  dalla corrispondente tabella statale C, e,
 nella tabella regionale III, per i parametri di BOD, fosforo  totale,
 azoto  ammoniacale e aldeidi, a loro volta tutti superiori nei limiti
 massimi a quanto previsto nella corrispondente tabella statale A.
    La legittimita' (costituzionale)  di  tale  discordanza,  e  delle
 norme  prescrittive  e sanzionatorie che vi si riconnettono (e tra di
 esse anche le norme legislative regionali denunciate dal p.m.),  deve
 ricollegarsi,  come  ben  osservato  dal  p.m.,  al  tipo di rapporto
 esistente, nella specie, tra legge regionale e legge statale e dunque
 alla natura  giuridica  da  riconoscersi  alla  potesta'  legislativa
 esercitata  dalla  regione Emilia-Romagna in tema di disciplina degli
 scarichi.
    E' noto come, nel  suo  insieme,  il  tipo  "legge  regionale"  si
 differenzia dalla legge dello Stato perche', mentre quest'ultima puo'
 disciplinare  qualsiasi  oggetto  che  non  le sia sottratto da norme
 costituzionali, la sfera  di  competenza  della  legge  regionale  e'
 delimitata  oltre  che per territorio anche per materia, potendo essa
 validamente disciplinare soltanto gli oggetti elencati nell'art.  117
 della  Costituzione,  per  le  regioni  ad autonomia ordinaria, e nei
 singoli statuti costituzionali, per le regioni ad autonomia speciale,
 sicche' si e' detto che la legge formale  dello  Stato  e'  "fonte  a
 competenza  potenzialmente  generale"  mentre  la  legge regionale e'
 sempre "fonte a competenza specializzata dal duplice punto di  vista,
 spaziale e materiale".
    Altrettanto  noto  e'  che  esistono  nell'ambito del genere legge
 regionale, unitario solo sotto l'aspetto  formale,  varie  specie  di
 leggi regionali che si ricollegano a potesta' normative diverse e per
 gli oggetti a ciascuna assegnati e per i limiti a ciascuna prescritti
 dalle norme costituzionali di competenza.
    Tralasciando  la figura della potesta' legislativa regionale detta
 "primaria" o  "piena",  spettante  alle  sole  regioni  ad  autonomia
 speciale,  devono  prendersi  in  considerazione,  nel caso in esame,
 stante l'appartenenza della regione Emilia-Romagna  alle  regioni  ad
 autonomia  ordinaria,  la  potesta'  legislativa c.d. "concorrente" o
 "ripartita"  e  la  potesta'  legislativa  "di  attuazione"   e   "di
 integrazione" delle leggi statali.
    La prima compete alle regioni ad autonomia ordinaria nelle materie
 elencate  dall'art.  117  della  Costituzione,  al  primo  comma,  ed
 incontra  il  limite  di   legittimita',   enunciato   dalla   stessa
 disposizione  costituzionale,  costituito  dai  principi fondamentali
 stabiliti dalle leggi dello  Stato  (oltre  al  limite  di  "merito",
 rappresentato  dal divieto di contrasto con gli interessi nazionali o
 con quelli di altre regioni).
    Dunque, i principi della  disciplina  di  ciascuna  delle  materie
 elencate  nell'art.  117,  primo  comma,  hanno  la  loro fonte nella
 legislazione dello Stato, mentre la ulteriore normazione di  sviluppo
 e   di  dettaglio  e'  posta  dalla  legislazione  regionale;  ed  e'
 indifferente al riguardo che i principi delle singole  materie  siano
 esplicitamente  contenuti  in  leggi  apposite, cc.dd. leggi-quadro o
 leggi-cornici, ovvero  siano  impliciti  nella  legislazione  statale
 concernente  le  materie  stesse  e  da  questa  desumibili in via di
 interpretazione.
    La seconda potesta' normativa,  invece,  e'  quella  prevista  dal
 secondo  comma  dell'art.  117  della  Costituzione  e puo' spettare,
 quanto alla sola attuazione, alle regioni ad autonomia ordinaria,  se
 ed in quanto di volta in volta conferita da singole leggi statali.
    Trattasi  di  competenza  normativa  che  si differenzia da quella
 esaminata in precedenza poiche' la  preesistente  disciplina  dettata
 dalle  leggi  dello  Stato  non viene sostituita da una disciplina di
 fonte regionale, ma  continua  ad  avere  applicazione  su  tutto  il
 territorio regionale, unitamente alle norme dettate dalla Regione per
 dare  a quelle attuazione differenziata, venendo cosi' a svolgere una
 funzione quasi regolamentare.
    Orbene,  che  la   legislazione   regionale   dell'Emilia-Romagna,
 rappresentata  dai  testi legislativi richiamati in precedenza, debba
 ricondursi a questo secondo tipo di potesta' normativa  regionale  e'
 considerazione ormai da tempo condivisa unanimemente in dottrina e in
 giurisprudenza ed e' da condividersi anche in questa sede.
    E'  certo,  infatti,  che  la tutela delle acque superficiali e in
 genere dei corpi  ricettori  indicati  dall'art.  1  della  legge  n.
 319/1976   non   rientra   tra  le  materie  oggetto  della  potesta'
 legislativa ripartita o  concorrente  ed  elencate  nel  primo  comma
 dell'art. 117 della Costituzione.
    Inoltre,  la  stessa  legge  n.  319/1976,  com'e' noto, non si e'
 limitata ad introdurre principi  generali  in  tema  di  inquinamento
 idrico,  si'  da  richiedere successiva normativa di dettaglio, ma ha
 posto una disciplina  articolata  degli  scarichi  provenienti  dagli
 insediamenti   produttivi,   immediatamente   precettiva   e   valida
 sull'intero  territorio  nazionale,  senza  distinzioni   nell'ambito
 regionale.
   Con  l'art.  14,  cpv.,  e  ancor  prima,  con  l'art. 4, lett. a),
 concernente la redazione dei piani di  risanamento  delle  acque,  la
 legge  n.  319/1976  ha  delegato  alle  regioni, sia pure in termini
 obiettivamente ampi ed equivoci, il potere di emanare  norme  per  la
 sua  attuazione,  fermo  restando l'obbligo delle regioni medesime di
 rispettare i principi fondamentali enunciati in materia dalla  stessa
 legge statale.
    Correttamente,  il  p.m.  ha  individuato tali principi in quelli,
 sopra illustrati, della necessita' di autorizzazione per tutti i tipi
 di  scarichi,  ad  eccezione  degli  scarichi  civili  in   pubbliche
 fognature   e   degli  scarichi  civili  gia'  esistenti  al  momento
 dell'entrata in vigore della legge, e del  rispetto  da  parte  degli
 scarichi medesimi dei limiti massimi di accettabilita' stabiliti, per
 i diversi parametri, nelle due tabelle allegate alla legge statale.
    E quest'ultimo principio trova testuale consacrazione, a parere di
 questo  Giudice,  sia  nell'art.  1 della legge n. 319/1976, che alla
 lett. a) indica  quale  oggetto  della  normativa  "gli  scarichi  di
 qualsiasi  tipo, pubblici e privati, diretti e indiretti, in tutte le
 acque superficiali e sotterranee, interne e marine, sia pubbliche che
 private, nonche' in fognature, sul suolo e nel sottosuolo",  rendendo
 cosi'  chiaro  l'intento  del  legislatore  di  dar vita ad un vero e
 proprio statuto generale degli scarichi di ogni genere (e  sempre  su
 tale  argomento non vanno dimenticate anche le lettere d) ed e) dello
 stesso art. 1,  che,  conformemente  all'obiettivo  dichiarato  dalla
 precedente  lett.  a),  affidano  allo  Stato  medesimo il compito di
 redigere  un  piano  generale  di  risanamento  delle  acque   e   di
 provvedere,   a   tal   fine,   al   rilevamento   sistematico  delle
 caratteristiche qualitative e quantitative dei corpi idrici,  compiti
 rispetto  ai  quali  alle  regioni  e'  affidata - in tale ambito, ex
 professo  -  la  normativa  integrativa  e  di  attuazione),  sia,  e
 soprattutto,  nell'art. 9, primo e secondo comma, il quale, collocato
 in apertura del titolo quarto dedicato  alla  regolamentazione  degli
 scarichi,  precisa,  in  termini  inequivocabili,  che  in  tutto  il
 territorio  nazionale  viene  stabilita  un'unica  disciplina   degli
 scarichi,  basata  sulla  prescrizione  per  gli stessi dei limiti di
 accettabilita' previsti nelle tabelle A e C allegate  alla  legge  ed
 aggiunge  che  "essi",  cioe'  i  limiti  di  accettabilita'  (cfr. i
 puntuali rilievi svolti in proposito in  Cass.  sez.  un.  31  maggio
 1991,  Valiante),  devono applicarsi "con le modalita' e i termini di
 cui ai successivi articoli del presente titolo".
    Secondo il sistema delineato dal legislatore statale, pertanto, la
 concreta disciplina  degli  scarichi  degli  insediamenti  produttivi
 viene  posta  direttamente  dalla  stessa legge n. 319/1976, la quale
 prevede anche i termini e le  modalita'  di  applicazione  delle  due
 tabelle  ad  essa allegate, mentre la disciplina degli scarichi degli
 insediamenti civili non recapitanti in pubbliche  fognature  e  delle
 pubbliche  fognature  medesime  viene rimessa alle Regioni, le quali,
 nel provvedervi con i rispettivi piani di risanamento,  devono  tener
 conto  anche  dei  limiti  massimi  di accettabilita' stabiliti dalle
 tabelle statali, con la facolta' di introdurvi  restrizioni,  ma  non
 anche di ampliarli e renderli piu' permissivi.
    Con  le  norme  legislative  in  esame  e  sopra richiamate, e, in
 particolare, con l'art. 9 della legge  regionale  n.  42/1986,  oltre
 che,  prima  ancora,  con  la legge regionale n. 7/1983, tuttavia, la
 regione Emilia-Romagna non ha ottemperato all'obbligo  di  rispettare
 il fondamentale principio posto dalla legge statale ed ha travalicato
 i limiti della delega conferitagli da quest'ultima.
    La  legge  regionale  n.  7/1983,  si e' detto, ha previsto, nelle
 tabelle II e III, per i parametri indicati in precedenza,  limiti  di
 ammissibilita'  superiori  rispetto  a quelli sanciti, per i medesimi
 parametri,  dalle   corrispondenti   tabelle   statali;   l'art.   9,
 concernente l'autorizzazione agli scarichi delle fognature esistenti,
 nel    subordinare   il   rilascio   dell'autorizzazione   definitiva
 all'avvenuto adeguamento, da parte  degli  scarichi  delle  fognature
 pubbliche esistenti, ai limiti di accettabilita' previsti dalla legge
 regionale  29  gennaio 1983, n. 7, e successive modifiche (cfr. comma
 terzo e quarto dell'art.  9),  e  non  anche  al  rispetto  dei  piu'
 restrittivi  limiti statali, ha esteso a siffatti tipi di scarichi la
 applicabilita'  delle  medesime  tabelle  regionali   e   l'ha   resa
 obbligatoria,  sanzionandola  con il successivo art. 11, lett. b), n.
 2, prima alinea.
    E' fuor di dubbio pertanto che il  combinato  disposto  delle  due
 norme,   contenenti   l'una   il  precetto  e  l'altra  la  sanzione,
 rappresenti  l'espressione  di  una  disciplina   legislativa   degli
 scarichi  delle  pubbliche  fognature  perfetta e posta in essere dal
 legislatore regionale  nell'esercizio  di  una  competenza  normativa
 autonoma,  anziche'  di  mera  attuazione della norma statale, la cui
 portata viene sostanzialmente ampliata e resa  meno  rigorosa,  e  di
 conseguenza  integri gli estremi di una potesta' legislativa che alla
 regione non compete e che e' stata esercitata in violazione dell'art.
 117 cpv., della Costituzione.
    Ma una valutazione positiva di ammissibilita' deve farsi anche per
 il secondo profilo di  incostituzionalita'  denunciato  dal  pubblico
 ministero.
    In   forza   del  gia'  menzionato  principio  di  necessita'  del
 provvedimento di autorizzazione per tutti gli scarichi, con  la  sola
 esclusione   degli   scarichi   civili   gia'  esistenti  al  momento
 dell'entrata in vigore della  legge  e  degli  scarichi  in  pubblica
 fognatura, il sistema sanzionatorio penale contenuto negli artt. 21 e
 segg.  della  legge  n.  319/1976  deve  ora  estendersi  a tutti gli
 insediamenti, siano essi produttivi o  civili,  ed  anche  agli  enti
 gestori  di  pubbliche  fognature, i quali sono equiparati, sul piano
 della disciplina (e dunque  anche  delle  conseguenze  sanzionatorie)
 agli insediamenti civili dall'art. 14 cpv., della legge n. 319/1976.
    La  questione  relativa  all'assoggettabilita'  degli insediamenti
 civili alle norme penali della legge  n.  319/1976  com'e'  noto,  e'
 stata  a  lungo  dibattuta  in  giurisprudenza, essendosi nel passato
 formati due contrapposti orientamenti.
    Un primo indirizzo giurisprudenziale giudicava  i  reati  previsti
 dagli  artt.  21  e  segg.  della  legge  cit. quali reati propri dei
 titolari di  insediamenti  produttivi,  ritenendo  che  l'obbligo  di
 richiedere  l'autorizzazione allo scarico fosse sancito solo a carico
 di  quest'ultimi;  per  i  titolari  di  insediamenti  civili,   gia'
 esistenti  o  di  nuova  costituzione,  si  riteneva che vigesse solo
 l'obbligo della denuncia dello scarico  all'autorita'  amministrativa
 oppure  che  l'istanza  di  autorizzazione  allo  scarico  fosse gia'
 inclusa in quella  generale  di  concessione  edilizia  rivolta  alla
 medesima autorita'.
    L'orientamento di segno opposto, invece, riteneva che l'obbligo di
 autorizzazione  valesse  per  gli insediamenti produttivi e anche per
 gli insediamenti civili, titolari di scarichi aperti  dopo  l'entrata
 in  vigore  della legge n. 319/1976, sicche' l'apparato sanzionatorio
 penale  da  quest'ultima predisposto doveva indifferentemente trovare
 applicazione per entrambe le tipologie di insediamenti.
    Il  contrasto  giurisdizionale,  peraltro,  e'  stato  di  recente
 risolto  dalla  C.S.,  con  la sentenza a sezioni unite del 31 maggio
 1991, imp. Valiante, cit., la quale, muovendo da  attenta  e  diffusa
 disamina  delle  norme  contenute  nella legge n. 319/1976, e facendo
 leva in particolare sulla -  in  realta',  inequivocabile  -  dizione
 dell'ultimo  capoverso  dell'art.  9, secondo cui "Tutti gli scarichi
 devono essere autorizzati" e sulla formulazione del testo degli artt.
 21 e segg., applicabili a "chiunque"  ponga  in  essere  le  condotte
 illecite  ivi  previste,  e' pervenuta alla conclusione che l'obbligo
 della preventiva autorizzazione allo scarico e l'obbligo del rispetto
 dei limiti tabellari indicati dalla legge n. 319/1976 fanno carico  a
 tutti  i  titolari di insediamenti produttivi e civili, ad esclusione
 delle categorie piu' volte menzionate in precedenza, i quali pertanto
 devono  essere  assoggettati  alle  sanzioni  penali  comminate   per
 l'inosservanza di siffatti obblighi.
    Sicche'   e'   attualmente   pacifico  che  anche  i  titolari  di
 insediamenti civili cc.dd. nuovi  e  di  enti  gestori  di  fognature
 pubbliche  -  la  cui equiparazione ai primi non va mai dimenticata e
 trova ragionevole giustificazione, al di la' del richiamo  normativo,
 nella considerazione che anche gli scarichi delle pubbliche fognature
 recapitano  i  propri reflui nei corpi ricettori oggetto della tutela
 legislativa statale - possono rendersi autori  della  contravvenzione
 di cui all'art. 21, primo comma, della legge n. 319/1976, per il caso
 della   effettuazione   di   uno   scarico   senza   avere  richiesto
 l'autorizzazione, e di quella prevista dal terzo comma  del  medesimo
 articolo,  qualora  lo  scarico, munito o meno di autorizzazione, non
 rispetti i limiti delle tabelle A e C.
    Ma proprio tale conclusione evidenzia la  fondatezza  del  dedotto
 profilo  di  incostituzionalita'  degli artt. 9 e 11, lett. b), n. 2,
 prima  alinea,  della  legge   regionale   dell'Emilia-Romagna,   per
 contrasto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione.
    E'  appena  il  caso  di ricordare che "la parola legge, quando e'
 adoperata nell'art. 25, secondo comma, deve essere intesa  nel  senso
 di  legge  dello  Stato. Cio' risulta dalla natura dei diritti che da
 esso vengono toccati, ed e' comprovato dalla  portata  inequivocabile
 che  ha  la  stessa  parola legge quando e' adoperata negli altri due
 commi dell'art. 25, che trattano di  materie  le  quali  attengono  a
 diritti  fondamentali di liberta' e che percio' sicuramente rientrano
 nella sfera di competenza dello Stato uno e indivisibile.
    Nel comma primo dell'art. 25 si prescrive che nessuno puo'  essere
 distolto  dal  giudice  naturale  precostituito per legge e nel terzo
 comma che nessuno puo' essere sottoposto a misure di sicurezza se non
 nei casi previsti dalla legge.
    E se si esaminano tutti gli altri articoli della Costituzione  nei
 quali  si  rinvia  puramente e semplicemente alla legge la disciplina
 dei diritti individuali e delle  funzioni  e  potesta'  degli  organi
 costituzionali  dello  Stato,  si vede che essi si riferiscono sempre
 alla legge statale.
    In  base,  adunque,   ai   principi   generali   contenuti   nelle
 disposizioni  degli  artt.  3  e  5 della Costituzione e al principio
 specifico dettato dall'art. 25, secondo comma, si puo' affermare  che
 la disciplina del potere punitivo resta riservata allo Stato e che e'
 del  tutto preclusa alle regioni, sia a quelle ad ordinamento comune,
 sia a quelle a statuto speciale". (Corte costituzionale, n. 21/1957).
    Tale riserva di legge statale in materia  penale,  tuttavia,  pare
 essere  stata apertamente violata dalla regione Emilia-Romagna con le
 norme dianzi ricordate.
    E' indubbio, infatti, che l'avere esteso ai titolari  di  scarichi
 di  pubbliche  fognature  l'obbligo,  il solo obbligo, di adeguarsi a
 limiti massimi superiori a quelli previsti dalle tabelle A e C  della
 legge  n.  319/1976  - cosi' come fa il menzionato art. 9 della legge
 regionale n. 42/1986 - e l'avere  munito  tale  obbligo  di  sanzione
 amministrativa  -  ai  sensi  dell'art.  11  cit. - ha comportato una
 restrizione,  da  parte  della  legge   regionale,   dell'ambito   di
 applicazione  della norma penale dello Stato e, in ispecie, dell'art.
 21, terzo comma, della legge n. 319/1976.
   In  difetto  dell'intervento  legislativo  regionale,  la  condotta
 dell'ente  gestore  di pubblica fognatura che avesse scaricato reflui
 in acque superficiali, o in  uno  degli  altri  corpi  ricettori,  in
 difetto  di  autorizzazione e/o con l'inosservanza dei limiti massimi
 stabiliti dalla tabella C o A, ad esempio,  per  l'azoto  ammoniacale
 (come  successo  nel  caso  oggetto del presente procedimento penale)
 avrebbe dovuto punirsi, nell'ambito territoriale dell'Emilia-Romagna,
 con la sanzione penale prevista  dall'art.  21,  terzo  comma,  della
 legge  n.  319/1976; l'emanazione degli artt. 9 e 11, lett. b), n. 2,
 cit. invece, ha determinato una vera e  propria  depenalizzazione  di
 siffatta  condotta  ad  opera del legislatore dell'Emilia-Romagna, in
 spregio  alla  riserva  di  legge  enunciata   nell'art.   25   della
 Costituzione.
    Ne'  puo',  a  parere  del giudicante, richiamarsi in contrario il
 disposto dell'art. 9 cpv., della legge  24  novembre  1981,  n.  689,
 secondo  cui  "quando  uno stesso fatto e' punito da una disposizione
 penale e da una disposizione regionale o delle province  autonome  di
 Trento  e  di  Bolzano  che  preveda  una sanzione amministrativa, si
 applica in ogni caso la sanzione penale, salvo che  quest'ultima  sia
 applicabile solo in mancanza di altre disposizioni penali".
    Nel  caso  in  esame,  infatti,  non ci si trova in presenza dello
 stesso fatto punito tanto dalla disposizione di legge regionale,  con
 una  sanzione amministrativa, quanto dalla norma penale statale, come
 sarebbe accaduto qualora  la  legge  regionale  avesse  espressamente
 previsto  l'inosservanza,  da  parte  dello  scarico  proveniente  da
 pubblica fognatura, di limiti tabellari analoghi a quelli contemplati
 dalle tabelle statali e lo avesse autonomamente  sanzionato  in  sede
 amministrativa.
    Si tratta, al contrario, della configurazione di un fatto diverso,
 per  l'adozione,  nelle tabelle regionali, di limiti piu' permissivi,
 idoneo  ad  incidere  sull'ambito  di  applicazione  della  normativa
 penale, riducendone l'estensione.
    Sicche', in seguito all'entrata in vigore della legge regionale n.
 42/1986,  limitatamente al territorio dell'Emilia-Romagna, i titolari
 degli scarichi di  pubbliche  fognature  sono  stati  autorizzati  ad
 immettere  in  acque  superficiali  -  o sul suolo o nel sottosuolo -
 reflui superiori, per i parametri dei cloruri, fosforo totale,  azoto
 ammoniacale,   tensioattivi   ed   aldeidi,   ai  limiti  massimi  di
 accettabilita' stabiliti dalle tabelle A e C allegate alla  legge  n.
 319/1976,  conseguendo  al riguardo l'immunita' dalle sanzioni penali
 previste, per la medesima condotta, dall'art.  21,  terzo  comma,  di
 quest'ultima legge.
    4) La rilevanza della medesima questione.
    Sulla  scorta  dei  suesposti  rilievi,  appare dunque evidente la
 rilevanza della prospettata questione di  costituzionalita'  rispetto
 alla decisione del caso in esame.
    Gia'  sulla base delle indagini eseguite dal Corpo forestale dello
 Stato,  invero,  e'  possibile  ritenere  provato  il   fatto   della
 immissione  nelle acque superficiali del torrente Quaresimo, da parte
 della fognatura gestita  dal  comune  di  Reggio  Emilia,  di  reflui
 superiori,  quanto  al  parametro  dell'azoto  ammoniacale, al limite
 massimo consentito dalla tabella A della legge n. 319/1976.
    In particolare, nessuna censura puo' essere mossa  alle  modalita'
 di  esecuzione dei prelievi sul corpo ricettore, attuati dal servizio
 di igiene pubblica con il metodo c.d. medio  composito  nell'arco  di
 tre  ore  e mezzo, e neppure a quelle di effettuazione delle analisi,
 per le quali e' stato dato rituale avviso al titolare dello  scarico,
 individuato  nell'attuale  indagato, Spaggiari Antonella, sindaco del
 comune di Reggio Emilia.
    La  notizia  di  reato,  inoltre,  e'  stata  iscritta  dal   p.m.
 correttamente   a  carico  della  stessa  Spaggiari,  nella  riferita
 qualita',  sia  dell'allora  assessore   all'ambiente,   Pierfederici
 Roberto,  essendo in tesi riferibile ad entrambi la titolarita' dello
 scarico de quo ed essendo, invece, riservato all'eventuale  prosieguo
 delle  indagini  l'accertamento  della  sussistenza  o  meno  di  una
 ripartizione di compiti e  responsabilita'  tra  i  due  indagati  in
 ordine alla effettiva gestione della pubblica fognatura.
    Accertata,  peraltro, in punto di fatto la esistenza degli estremi
 del reato contravvenzionale contemplato dall'art.  21,  terzo  comma,
 della  legge  n.  319/1976, la configurabilita' della fattispecie, in
 diritto, resta impedita dalla presenza  delle  gia'  esaminate  norme
 della  legge  regionale n. 42/1986, essendo pacifico che la quantita'
 di azoto ammoniacale riscontrata nei reflui della fognatura - pari  a
 32,9  mg/l  -  pur  superando  i  limiti delle tabella A e C (fissati
 rispettivamente in 30 e 15 mg/l) si mantiene nel  rispetto  del  piu'
 elevato  limite  ammesso  nella  tabella regionale II (50 mg/l), alla
 quale la  stessa  fognatura  risulta  sottoposta,  avendo  un  carico
 inferiore ai 10.000 abitanti.
    Siffatta  discordanza,  dunque, puo' essere superata solo ad opera
 di una pronuncia di illegittimita'  della  Corte  costituzionale  che
 comporti  caducazione  delle norme di legge regionale, non potendo di
 certo    l'autorita'    giudiziaria    addivenire    alla    semplice
 disapplicazione  delle  stesse (dfr. al riguardo Corte costituzionale
 n. 285/1990).
    Ne', del resto, potrebbe escludersi la rilevanza  della  questione
 in  esame, argomentando che, in ogni caso, una eventuale declaratoria
 di illegittimita' delle anzidette norme legislative non consentirebbe
 ugualmente il promuovimento dell'azione penale nei confronti dei  due
 inquisiti,  posto  che  non  potrebbe  ravvisarsi  a  loro  carico la
 sussistenza dell'elemento psicologico richiesto  per  la  fattispecie
 contravvenzionale ipotizzabile nella specie.
    A  tale  obiezione  puo' replicarsi ossevando, in conformita' alle
 argomentazioni del p.m., che un'archiviazione in tal  senso  richiede
 pur  sempre  la  necessita'  di adottare una formula presupponente la
 previsione come reato del fatto  in  esame,  altrimenti  esclusa  dal
 permanere in vigore della censurata normativa regionale.
    E'  parere  dello scrivente, infatti, che il giudizio di rilevanza
 previsto dall'art. 23 cpv., della legge 11 marzo 1957, n.  87  -  che
 postula,  letteralmente,  l'impossibilita'  di  definire  il giudizio
 indipendentemente dalla risoluzione della questione  di  legittimita'
 costituzionale   -   non   debba   svolgersi   in  termini  di  netta
 contrapposizione, in campo processuale penale, tra proscioglimento, o
 assoluzione, e condanna (dipendente,  quest'ultima,  dall'abrogazione
 della norma costituzionalmente illegittima), ma debba estendersi alle
 diverse  modalita' di definizione del procedimento, comprensive anche
 delle diverse formule assolutorie, che si  renderebbero  possibili  a
 seguito  della  risoluzione  della  stessa  questione di legittimita'
 costituzionale.
    Per  le  suesposte   ragioni,   si   ritiene   rilevante   e   non
 manifestamente  infondata la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 9 e 11, lett. b), n. 2, prima alinea, della  legge  della
 regione  Emilia-Romagna  28  novembre  1986,  n.  42,  sollevata  dal
 pubblico ministero presso quest'Ufficio in relazione agli artt.  117,
 secondo comma, e 25, secondo comma, della Costituzione.
                               P. Q. M.
    Visti  gli  artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo
 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante, nel procedimento in corso n. 5514/91 r.g.n.r.,
 e  non  manifestamente  infondata  la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  degli  artt.  9  e  11, lett. b), n. 1, prima alinea,
 della legge regionale dell'Emilia-Romagna 28 novembre 1986, n. 42, in
 relazione agli artt. 25 e 117 della Costituzione;
    Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
    Sospende il giudizio in corso;
    Ordina  che,  a  cura  della  cancelleria,  questa  ordinanza  sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  al  presidente
 della giunta regionale dell'Emilia-Romagna e comunicata ai presidenti
 delle  due  Camere  del  Parlamento  e  al  presidente  del consiglio
 regionale dell'Emilia-Romagna.
      Reggio Emilia, addi' 18 agosto 1992
           Il giudice per le indagini preliminari: PARISOLI
                                              Il cancelliere: FLORELLA
 92C1202