N. 708 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 giugno 1992

                                N. 708
 Ordinanza emessa il 29 aprile 1992 e 3 giugno 1992 dalla  Corte
 d'appello di  Milano,  sezione procedimenti speciali, nel
 procedimento penale a carico di Dolazza Riccardo ed altro
 Processo penale - Sentenza di non luogo a procedere perche' il fatto
    non costituisce reato - Mancata previsione di tale  ipotesi  nella
    direttiva  n.  52  della  legge  n. 81/1987 - Lamentato eccesso di
    delega.
 Processo penale - Reati di ingiuria e diffamazione - Sentenze
    dibattimentali  -  Facolta' di appello della parte lesa costituita
    parte civile pure  a  fini  penali  -  Disparita'  di  trattamento
    rispetto  alle  parti  lese  di reati piu' gravi - Sovversione del
    principio di titolarita' dell'azione penale.
 (C.P.P. 1988, artt. 425 e 577).
 (Cost., artt. 3, 76, 77 e 112; legge 16 febbraio 1987, n. 81, art. 2,
    direttiva n. 52).
(GU n.47 del 11-11-1992 )
                          LA CORTE D'APPELLO
    ha pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  penale
 contro  Dolazza  Riccardo,  nato a Milano il 22 marzo 1959, residente
 ivi Foro  Buonaparte  n.  59,  elettivamente  domiciliato  presso  il
 difensore di fiducia avv. Giuseppe Prisco in Milano via Podgora n. 15
 e  Kamenetzki Michele nato a Mosca il 3 dicembre 1919, domiciliato in
 Milano c/o la direzione del quotidiano  "Corriere  della  Sera",  via
 Solferino n. 28 difeso di fiducia dall'avv. Corso Bovio con studio in
 Milano, via Podgora n. 13, imputati;
 Dolazza:  A)  del  delitto  di  cui  agli  articoli  595 del c.p., 13
 (aggravante di aver attribuito fatti determinati) e 21 della legge  8
 febbraio  1948,  n.  47 perche' quale autore della lettera che qui si
 intende  interamente  riportata  dal  titolo  "In   Foro   Buonaparte
 l'ambiente  non  e' rispettato" apparsa sul periodico "Corriere della
 Sera" pubblicato in Milano l'8 aprile 1990, offendeva la  reputazione
 di Vimercati Gianni Piero in proprio e quale rappresentante della "De
 Sanctis  Self Services" affermando tra l'altro che la "Birreria Uno",
 gestita dalla De Sanctis, avrebbe ottenuto l'autorizzazione  comunale
 per occupare una vasta area, solo per dare un esempio di indecenza al
 servizio  di interessi economici personali, creando una situazione di
 degrado e dando luogo ad una sorta di immondezzaio nel centro storico
 di  Milano,  a  causa  della  "scarsa  o  quasi  totale  assenza   di
 manutenzione",  lettera  nella quale l'autore asseriva inoltre che la
 struttura costituiva il  "ricettacolo  per  rifiuti  di  ogni  genere
 (dalle  siringhe  ai cocci di bottiglia a indumenti smessi da barboni
 di passaggio)"; e nella quale insinuava che  tale  situazione  veniva
 ignorata  dalle  autorita' comunali "per un particolare interesse che
 sfugge all'ingenuo cittadino"; Kamenetzki:  B)  del  delitto  di  cui
 all'art.  57  del  c.p., in relazione agli artt. 595 del c.p. 13 e 21
 della  legge  3  febbraio  1948,  n.  47,  perche',  quale  direttore
 responsabile del periodico "Corriere della Sera" pubblicato in Milano
 l'8  aprile  1990, ometteva di esercitare sul contenuto della lettera
 intitolata "In Foro  Buonaparte  l'ambiente  non  e'  rispettato"  il
 controllo  necessario  ad  impedire  che  con  essa venisse offesa la
 reputazione  di  Vimercati  Gianni   Piero   in   proprio   e   quale
 rappresentante   della   "De  Santis  Self  Services",  cui  venivano
 attribuiti i fatti di cui al precedente capo A)
                            FATTO E DIRITTO
    Con atto presentato in data 5 luglio 1990 Vimercati Gianni propose
 querela nei confronti dell'autore dell'articolo "In  Foro  Buonaparte
 l'ambiente  non e' rispettato" apparso sul quotidiano "Corriere della
 Sera" pubblicato in Milano  l'8  aprile  1990  e  del  direttore  del
 medesimo   giornale   ritenendosi  leso  nella  sua  reputazione  dal
 contenuto dello scritto.
    Le   diffuse   ragioni   allegate    dal    querelante    potevano
 riassuntivamente  compendiarsi  nel  fatto che l'autore dello scritto
 incriminato, avvalendosi oltretutto dell'ampia risonanza legata  alla
 diffusione del quotidiano, aveva gettato ampio discredito sulla ditta
 che  gestiva  il  locale "Birreria uno" e su lui stesso che ne era il
 legale  rappresentante,  falsamente  affermando  che  la  presenza di
 tavole e panche sul marciapiede  antistante  Foro  Buonaparte  e  via
 Ricasoli   ad   uso  della  locale  "Birreria  Uno",  dava  adito  ad
 intrattenimenti  notturni  piu'  volte  sfociati  in  veri  e  propri
 schiamazzi, che lo stato di abbandono nel quale veniva lasciato detto
 spazio dalla chiusura del locale (ore 2,30) sino alla sera successiva
 era  causa dell'accumularsi di rifiuti di vario genere lasciati tanto
 dagli avventori del locale che da drogati  e  dai  vagabondi  che  vi
 trovavano  rifugio  nelle  ore  di  chiusura  dell'esercizio e che le
 istanze, gli esposti e le denunce all'autorita' comunale erano cadute
 nel vuoto o per un totale disinteresse del  problema  oppure  per  un
 particolare interesse che sfuggiva all'ingenuo cittadino.
    Espletate   le   indagini  volte  all'accertamento  dell'identita'
 dell'autore della lettera pubblicata e del direttore  responsabilita'
 del  quotidiano,  il  p.m.  presso  il  tribunale di Milano, con atto
 depositato in data 8 giugno 1991,  formulo'  richiesta  di  rinvio  a
 giudizio  del tribunale di Milano nei confronti di Dolazza Riccardo e
 Kamenetzky Michele per i reati in epigrafe.
    All'esito dell'udienza fissata ai sensi dell'art. 418 del c.p.p. e
 nel corso della quale la parte lesa chiese  di  essere  ammessa  alla
 prova  per  testi  sui  tempi  e  le  modalita'  di  esecuzione delle
 operazioni di pulizia, pronuncio' sentenza nei confronti di  entrambi
 gli imputati ravvisando per il Dolazza la ricorrenza dell'esinente di
 cui  all'art.  51  del  c.p.  e per il Kamenetzky l'insussistenza del
 fatto allo stesso ascritto.
    Avverso tale pronuncia proposero appello il p.m.,  il  p.g.  e  la
 parte lesa ciascuno ritenendola viziata sotto uno specifico profilo.
    Se, infatti, le censure del p.m. e della parte lesa si appuntarono
 sull'inidoneita'  per vari motivi della documentazione fotografica ad
 attestare   la    veridicita'    della    situazione    rappresentata
 nell'articolo, e sul rilievo che il primo giudice aveva acriticamente
 accettato  la tesi difensiva sostenuta dagli imputati immotivatamente
 rifiutando  sia  l'analisi  della  particolare  prova  raccolta   che
 l'esperimento   degli   atti   istruttori   proposti  al  fine  della
 dimostrazione  della  tendenzionsita'  dei  criteri  di  acquisizione
 utilizzati,  quelle  del p.g. si soffermarono sulla constatazione che
 il tenore della norma di cui all'art. 425 del c.p.p., salvo  a  voler
 seguire  un'interpretazione che avrebbe dovuto condurre alla denuncia
 di incostituzionalita' dell'articolo sotto il profilo di  un  eccesso
 di  delega,  induce ad escludere che al requisito dell'evidenza possa
 essere  attribuito  un  contenuo  diverso  da  quello   perfettamente
 aderente al significato letterale del termine.
    All'odierna  udienza  camerale le parti hanno non solo ribadito le
 opinioni precedentemente espresse  ma  anche  sollevato  dubbi  sulla
 legittimita'  costituzionale  delle  norme  di  rito applicabili alla
 fattispecie opinando il p.g. che  la  previsione  della  possibilita'
 della  pronuncia  da  parte del g.u.p. di sentenze di proscioglimento
 diverse da quelle di merito  sarebbe  riferibile  ad  un  eccesso  di
 delega,  non  essendo  contenuta  nella  direttiva  n. 52 della legge
 delega, la parte lesa che l'interpretazione letterale della norma  di
 cui  all'art.  577 del c.p.p. sarebbe in contrasto con il disposto di
 cui all'art. 24 della Costituzione e gli imputati che la norma di cui
 all'art. 577 del c.p.p. sarebbe in contrasto con i  principi  di  cui
 agli  artt.  3  e 112 della legge fondamentale dello Stato in ragione
 dell'evidente  ed  ingiustificata disparita' di trattamento riservata
 alle parti lese dei reati di ingiuria e  diffamazione  rispetto  alle
 parti  lese  di  altri  reati  anche  piu'  gravi  e  dell'innegabile
 sovversione del principio della titolarita' dell'azione penale.
    Tutte e tre  le  questioni  di  illegittimita'  proposte  appaiono
 rilevanti al fine della formazione della decisione ma solo per due di
 esse   appare  ricorrente  anche  l'ulteriore  presupposto  cui  deve
 ritenersi condizionato l'obbligo di rimessione degli atti alla  Corte
 costituzionale.
    Venendo  ad  esaminare  partitamente  i  profili di illegittimita'
 sollevati si rileva che la parte lesa  ha  contrastato  le  eccezioni
 formulate   dagli  imputati  quanto  all'ammissibilita'  del  gravame
 autonomamente  proposto  assumendo  che   ove   dovesse   accogliersi
 l'interpretazione  letterale  sulla  quale riposa la difesa sul punto
 dispiegata  dagli  imputati  e  la  conseguente   convinzione   della
 limitazione  del  suo  potere  di  impugnativa  alle sole sentenze di
 assoluzione rese nella fase dibattimentale, dovrebbe  necessariamente
 disporsi  la  sospensione del procedimento e la rimessione degli atti
 alla Corte costituzionale  per  il  giudizio  di  legittimita'  della
 predetta norma con riferimento ai precetti costituzionali di cui agli
 artt.  3  e  24  della legge fondamentale della Repubblica in ragione
 dell'ingiustificata disparita' di trattamento  riservata  alla  parte
 lesa  nelle varie fasi del procedimento e, soprattutto, a causa della
 violazione del diritto di difesa sancito dall'art. 24, secondo comma.
    Siffatte argomentazioni non appaiono convincenti  soprattutto  ove
 si  tenga  nel debito conto che la diversita' di regolamentazione del
 potere di intervento della  parte  lesa  nel  processo  ha  carattere
 sistematico   e   trova   sostanziale  corrispondenza  nella  diversa
 posizione che la stessa  occupa  nell'ambito  delle  varie  fasi  del
 processo  e  che  in  ogni  caso  la  dedotta  limitazione  non  lede
 l'essenziale diritto tutelato dal secondo comma  dell'art.  24  della
 Costituzione.
    Dall'esame del combinato disposto di cui agli artt. 568 del c.p.p.
 che   generalmente   sancisce   che  il  diritto  di  impugnativa  e'
 riconosciuto a coloro ai quali la legge espressamente conferisce tale
 potere e di quelle di cui agli artt. 428 e 469 del c.p.p., si  evince
 che  alla  persona  offesa del reato, cui pure e' riservata dall'art.
 576 del c.p.p. la facolta' di appello contro i  capi  della  sentenza
 dibattimentale  di  assoluzione  che  riguardano  l'azione civile, e'
 riservata, nella fase predibattimentale, la sola facolta' del ricorso
 per Cassazione limitata ai casi di nullita' ex art. 419 del c.p.p. ed
 addirittura   negata   alcuna   partecipazione   per   il   caso   di
 proscioglimento prima del dibattimento.
    Le  ragioni  di  siffatta  diversita', del resto, sono ben note ed
 infatti a differenza di  quel  che  accade  per  le  sentenze  penali
 irrevocabili  di  condanna  o di assoluzione pronunciate a seguito di
 dibattimento e che hanno efficacia di giudicato nei giudizi civili  o
 amministrativi  per  le  restituzioni  e  il  risarcimento  del danno
 promossi nei confronti del condannato e del responsabile  civile  che
 sia  stato  citato  ovvero  che  sia  intervenuto  nel processo e nei
 confronti dei danneggati dal reato che si siano costituiti  in  parte
 civile  o siano stati posti in condizione di costituirsi parte civile
 nel processo penale  le  sentenze  pronunciate  dal  giudice  per  le
 indagini  preliminari  a  norma  dell'art. 425 del c.p.p. non sono di
 ostacolo  all'esercizio  dell'azione in sede civile ed il danneggiato
 dal reato puo' sempre esercitare l'azione in sede civile ancorche' si
 sia costituito in parte civile nel  procedimento  conclusosi  con  la
 pronuncia di proscioglimento ai sensi dell'art. 425 del c.p.p..
    Appare  quindi  immediatamente  evidente  che il problema non puo'
 sorgere con riferimento alla pretesa disparita'  di  trattamento  ma,
 semmai  solo  in relazione al fatto che la particolarita' della norma
 di cui all'art. 577 del c.p.p. e cioe' il fatto che alla parte offesa
 sia riconosciuta la  facolta'  di  proporre  appello  anche  ai  fini
 penali,   possa   far  dubitare  della  idoneita'  della  limitazione
 dell'esperibilita' dell'appello nei  soli  confronti  delle  sentenze
 dibattimentali  ad  operare  la  denunciata violazione del diritto di
 difesa.
    La soluzione del problema, ad avviso  della  Corte  non  puo'  che
 passare  per  l'individuazione di quello che deve ritenersi essere il
 contenuto del diritto di difesa.
    Tale diritto, ad avviso della stessa  Corte  costituzionale,  deve
 essere  inteso  come  la  potesta' di tutelare in giudizio le proprie
 ragioni onde e' evidente che anche  nella  fattispecie  in  esame  la
 facolta'  di  autonomo  appello  anche  agli effetti penali ha natura
 meramente strumentale rispetto all'esercizio del diritto della  parte
 offesa all'esercizio del proprio diritto.
    E'  fuor  di  ogni  dubbio,  infatti,  che  la  persona offesa sia
 titolare solo del diritto alla restituzione  e  al  risarcimento  del
 danno  ma  non anche di quello volto alla punizione del reo spettando
 la pretesa punitiva unicamente allo Stato.
    Ne consegue che il  diritto  alla  difesa  della  parte  lesa  dei
 delitti  di ingiuria e diffamazione costituita in parte civile non e'
 in alcun modo violato dalla norma di cui all'art. 577 del  c.p.p.  la
 dove  tale  norma  non attribuisce alla medesima parte la facolta' di
 impugnare la sentenza del g.u.p. perche' il diritto sostanziale  puo'
 essere tutelato senza alcun pregiudizio in sede civile.
    Ne'  puo'  da  ultimo  trascurarsi  il rilievo, piu' volte operato
 dalla stessa Corte costituzionale, che  il  diritto  di  difesa  puo'
 essere  diversamente  regolamentato  dal legislatore ed adattato alle
 varie esigenze purche' non  ne  siano  pregiudicati  lo  scopo  e  le
 funzioni.
    Soluzione  positiva  deve  invece  darsi  al  problema  della  non
 manifesta infondatezza dell'eccezione  di  incostituzionalita'  degli
 artt. 425 e 577 del c.p.p. prospettato dal p.g. e dagli imputati.
    Questa stessa Corte si e' gia' pronunciata in tal senso disponendo
 la rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la risoluzione
 della questione della legittimita' costituzionale degli artt. 425 del
 c.p.p.   e  577  del  c.p.p.,  rispettivamente  in  riferimento  alla
 direttiva n. 52 dell'art. 2 della legge delega e 3, 77  e  112  della
 Costituzione.
    La  ricorrenza  di  tale circostanza, la mancata prospettazione di
 considerazioni ed argomenti che possano far modificare il giudizio al
 proposito  in  precedenza  espresso  e  l'intuitiva  rilevanza  della
 soluzione  di  tali  questioni  al  fine  della decisione del gravame
 all'esame della Corte, impongono la  sospensione  del  giudizio  sino
 alla   pronuncia   della   Corte   costituzionale  ma  non  anche  la
 trasmissione degli atti che appare  ultronea  attesa  la  sostanziale
 identita' tra le questioni all'attuale esame della Corte e quelle che
 hanno  fondato  oggetto  dei  provvedimenti di trasmissione dei quali
 s'e' appena detto.
                               P. Q. M.
    Sospende il giudizio di appello in corso fino alla pronuncia della
 Corte costituzionale sulle questioni di costituzionalita' degli artt.
 425 e 577 del c.p.p. con riferimento rispettivamente  alla  direttiva
 n. 52 dell'art. 2 della legge delega n. 81/1987 in relazione all'art.
 76  della  Costituzione e 3, 77 e 112 della Costituzione sollevate da
 questa stessa Corte con ordinanza 11 marzo 1992  nel  procedimento  a
 carico  di Ruzzante Reno Marco e del 24 gennaio 1992 nel procedimento
 penale a carico di Colonnelli Lauretta ed altri.
      Milano, addi' 29 aprile 1992
                         Il presidente: FIENGA
                                  Il consigliere relatore: GARBELLOTTO
                                -------
                          LA CORTE D'APPELLO
    Ha pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  penale
 contro Dolazza Riccardo + l;
    Letta la memoria presentata in data 29 maggio 1992 dalla difesa di
 Kamenetzki Michele, ed il parere del p.g.;
    Vista  l'ordinanza  pronunciata da questa Corte il 29 aprile 1992,
 che disponeva la sospensione del giudizio fino alla  pronuncia  della
 Corte costituzionale sulle questioni di costituzionalita' degli artt.
 425  e 577 del c.p.p., con riferimento rispettivamente alla direttiva
 n. 52 dell'art. 2 della legge delega n. 81/1987 in relazione all'art.
 76 della Costituzione  e  3,  77  e  112  della  Costituzione,  senza
 disporre la trasmissione degli atti;
    Ritenuto  che la predetta ordinanza va parzialmente modificata nel
 senso che deve essere disposta anche la trasmissione degli atti  alla
 Corte costituzionale;
                               P. Q. M.
    La  parziale  modifica  della  ordinanza  29 aprile 1992 di questa
 Corte, dispone che vengano inviati alla  Corte  costituzionale  anche
 tutti  gli  atti  processuali  del  procedimento  a carico di Dolazza
 Riccardo e Kamenetzki Michele.
      Milano, addi' 3 giugno 1992
                         Il presidente: FIENGA

 92C1203