N. 416 SENTENZA 22 ottobre - 9 novembre 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Separazione  dei  coniugi-  Figli  minori-  Provvedimenti  giudiziari
 relativi-  Modificazione-  Richiamo  alla  sentenza n. 176/1992 della
 Corte- Analogie e complementarita' funzionale  dei  provvedimenti  di
 separazione  e  di  divorzio  -  Esigenze  di assicurare identita' di
 tutela   ad   identici   interessi-   Illegittimita'   costituzionale
 sopravvenuta dal 12 marzo 1987.
 
 (C.P.C., art. 710, nel testo precedente a quello sostituito dall'art.
 1  della  legge  29  luglio  1988, n. 331, c.p.c. art. 710, nel testo
 sostituito dall'art. 1 della legge 29 luglio 1988, n. 331)
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.47 del 11-11-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita'  costituzionale  dell'articolo  710  del
 codice  di procedura civile, anche nel testo novellato dalla legge 29
 luglio 1988, n. 331,  richiamato  dall'articolo  711,  ultimo  comma,
 dello stesso codice promosso con ordinanza emessa il 29 novembre 1991
 dalla  Corte  di  Appello di Bologna nel procedimento civile vertente
 tra Rubin Marck Stephen e Ferrari Tiziana  iscritta  al  n.  205  del
 registro  ordinanze  1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 7 ottobre 1992 il Giudice
 relatore Renato Granata;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel giudizio di impugnazione della sentenza del Tribunale  di
 Modena,  che,  adito  ai  sensi degli artt. 710 e 711 cod. proc. civ.
 (con citazione notificata il 25 maggio 1987),  aveva  pronunciato  in
 ordine    alla   revisione   delle   condizioni   della   separazione
 (consensuale) tra i coniugi Mark Stephen Rubin e Ferrari Tiziana,  la
 Corte   d'appello  di  Bologna  -  procedendo  al  preliminare  esame
 dell'eccezione di nullita'  della  sentenza  sotto  il  profilo  che,
 riguardando  la controversia (anche) l'affidamento ed il mantenimento
 del  figlio  minore,  alla  stessa  avrebbe  dovuto   necessariamente
 partecipare  il  pubblico ministero che invece non era stato posto in
 condizione di intervenire essendo mancata la trasmissione degli  atti
 al  suo  ufficio  - ha sollevato (con ordinanza del 23 dicembre 1991)
 questione incidentale di legittimita' costituzionale, in  riferimento
 all'art.  3  della Costituzione, dell'art. 710 cod. proc. civ. (anche
 nel testo novellato dalla legge 29 luglio 1988  n.  331),  richiamato
 dall'art.  711, ultimo comma, cod. proc. civ., nella parte in cui non
 prevede  l'intervento  obbligatorio  del   pubblico   ministero   nei
 procedimenti  di  modificazione dei provvedimenti riguardanti i figli
 minori di coniugi separati.
    La Corte rimettente - rilevato che, secondo  l'orientamento  della
 Corte  di cassazione, l'intervento del pubblico ministero nei giudizi
 di modificazione delle condizioni  della  separazione  personale  dei
 coniugi non e' obbligatorio anche se la controversia abbia ad oggetto
 l'affidamento  di  minori  attesa  la  tassativita'  dell'elencazione
 contenuta nell'art. 70  cod.  proc.  civ.  -  osserva  che  viceversa
 l'obbligatorieta'   dell'intervento   del   pubblico   ministero  nei
 procedimenti di  revisione  dei  provvedimenti  sull'affidamento  dei
 minori  in caso di divorzio risulta prevista dall'art. 13 della legge
 6 marzo 1987 n. 74, che ha cosi' sostituito l'art. 9 della  legge  1›
 dicembre  1970  n.  898,  come  modificato dall'art. 2 della legge 1›
 agosto 1978 n. 436. Tale modifica - entrata in  vigore  il  12  marzo
 1987  e pertanto prima dell'inizio del giudizio de quo - evidenzia il
 ruolo attivo  a  garanzia  degli  interessi  dei  minori  svolto  dal
 pubblico  ministero  nelle cause in cui e' previsto il suo intervento
 obbligatorio. Quindi - secondo la Corte rimettente - risulta illogico
 ed irrazionale (ex art. 3 della Costituzione)  che  la  presenza  del
 pubblico  ministero  non  sia  invece  necessaria nei procedimenti di
 modificazione delle disposizioni concernenti  i  minori  in  caso  di
 separazione  personale  dei coniugi, quando spesso la conflittualita'
 in relazione ai figli e' maggiore.
    Tale disparita' di trattamento nella  tutela  dei  minori  risulta
 ancor  piu' marcata - ritiene la Corte rimettente - se si tiene conto
 che il legislatore, negli ultimi interventi (v. art. 23 legge  n.  74
 del 1987 e legge n. 331 del 1988), ha mostrato una decisa propensione
 a parificare la disciplina processuale dei procedimenti in materia di
 separazione e di divorzio.
    2.  -  E'  intervenuto  il  Presidente del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 chiedendo  che  la  questione  sollevata sia dichiarata inammissibile
 (per il carattere  manipolativo  della  pronuncia  additiva  invocata
 dalla   Corte   rimettente)  od  infondata.  Osserva  in  particolare
 l'Avvocatura che l'intervento del Pubblico Ministero non  costituisce
 un'inderogabile  esigenza la cui mancata soddisfazione risulti lesiva
 di alcun  canone  costituzionale.  D'altra  parte  la  struttura  del
 procedimento  e'  rimessa alle opzioni di merito del legislatore, che
 nella  fattispecie  non  sono  censurabili  per  irragionevolezza  in
 considerazione   dell'ampiezza  dei  mezzi  istruttori  di  cui  puo'
 disporre il giudice adito ex art. 710 cod. proc. civ. (anche) al fine
 di individuare la soluzione di maggior tutela per i minori.
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata  sollevata  questione  incidentale  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  710  cod.  proc.  civ.  (anche  nel  testo
 novellato dalla legge 29 luglio 1988 n. 331),  in  quanto  richiamato
 dall'art.  711,  ultimo comma, cod. proc. civ. nella parte in cui non
 prevede  l'intervento  obbligatorio  del   Pubblico   Ministero   nei
 procedimenti  di  modificazione dei provvedimenti riguardanti i figli
 minori in caso di separazione  personale  tra  coniugi  per  sospetta
 violazione  del  principio  di  ragionevolezza  e  di  disparita'  di
 trattamento  (art.  3  della  Costituzione),  essendo   invece   tale
 intervento   prescritto   nei   procedimenti   di  modificazione  dei
 provvedimenti riguardanti i figli minori in caso di divorzio.
    2. - Va premesso  che  l'art.  710  cod.  proc.  civ.,  nel  testo
 originario,  prevedeva al primo comma la possibilita' per le parti di
 chiedere, con le forme del processo ordinario, la  modificazione  dei
 provvedimenti  riguardanti  i  coniugi  e  la  prole  contenuti nella
 sentenza di separazione.
    Tale disposizione e' stata riformulata dall'art. 1 della legge  29
 luglio  1988  n.  331  che ha introdotto il procedimento in camera di
 consiglio in luogo del giudizio ordinario.
    Ne' nel testo originario, ne' in quello  novellato  e'  prescritto
 l'intervento  del  pubblico ministero; e in mancanza di tale testuale
 indicazione la giurisprudenza conforme della Corte  di  cassazione  -
 che  sul  punto  costituisce  diritto  vivente  - ha ritenuto che per
 l'adozione  dei  provvedimenti   modificativi   suddetti,   ancorche'
 riguardanti  la  prole,  non sia necessario l'intervento del pubblico
 ministero.
    Questo principio e'  condiviso  anche  dal  giudice  rimettente  e
 quindi   costituisce  la  premessa  interpretativa  dell'esame  della
 censura di costituzionalita'.
    3. - Diversa disposizione processuale vige invece per la  modifica
 dei provvedimenti riguardanti la prole nel caso di divorzio.
    Infatti  l'art. 9 legge 1› dicembre 1970 n. 898 - nel prevedere la
 possibilita'   di   revisione    delle    disposizioni    concernenti
 l'affidamento  dei  figli  per  giustificati motivi sopravvenuti alla
 sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli  effetti
 civili del matrimonio - prescrive, oltre al procedimento in camera di
 consiglio,   che   debba   essere   sentito  il  pubblico  ministero;
 prescrizione, questa, eliminata dalla  successiva  novella  del  1978
 (art.  2  legge 1› agosto 1978 n. 436) ma poi, in parte, ripristinata
 dalla riforma del 1987 (art. 13 legge 6 marzo 1987 n. 74). Tale norma
 infatti,  nel  confermare  il  rito   camerale,   ha   specificamente
 prescritto   la   partecipazione   del   pubblico   ministero  per  i
 provvedimenti modificativi della sentenza di divorzio  riguardanti  i
 figli, sicche' risultano in tal modo valorizzate le speciali esigenze
 di tutela della prole.
    4.   -  Questa  separatezza  di  discipline  (rispettivamente  del
 procedimento di modificazione delle condizioni di  separazione  e  di
 quello   di   revisione   delle  condizioni  di  divorzio)  trova  un
 significativo arresto nell'art. 23 che estende ai (nuovi) giudizi  di
 separazione   personale   dei  coniugi  le  prescrizioni  (di  natura
 processuale) del (solo) art. 4 legge n. 898 del 1970 (come modificato
 dall'art. 8 legge n. 74 del 1987).
    Un'ulteriore assimilazione di disciplina si ha con  la  successiva
 cit.  legge  n. 331 del 1988 che ha introdotto il rito camerale anche
 per il procedimento di modificazione delle condizioni di separazione.
 Dagli atti parlamentari emerge chiaramente l'intento del  legislatore
 di  "parificare,  nel  nuovo  spirito  della  riforma  del diritto di
 famiglia, le norme procedurali di modifica sia delle condizioni della
 separazione che di quelle del  divorzio"  (Relazione  al  disegno  di
 legge  n.  378,  comunicato  alla  Presidenza  del Senato il 5 agosto
 1987).
    5.  -  Pur  dopo tali innovazioni, e' rimasta ancora la disciplina
 differenziata     dell'intervento     del     pubblico     ministero;
 differenziazione   questa   che  pero'  -  se  pur  ascrivibile  alla
 discrezionalita' del legislatore fin quando innestata nel contesto di
 due procedimenti (di separazione e di  divorzio)  ancora  sotto  vari
 aspetti  disomogeni  - si appalesa invece ingiustificata allorche' lo
 stesso  legislatore,  nel  por  mano  nel  1987  alla  riforma  della
 normativa  sul  divorzio,  ha optato per l'assimilazione delle disci-
 pline (v. art. 23 cit.). In questo sopravvenuto quadro  normativo  la
 pur ampia discrezionalita' del legislatore in materia processuale non
 impedisce  di  verificare se il permanere di un residuale trattamento
 differenziato  nell'art.  710  cod.  proc.  civ.   trovi,   o   meno,
 giustificazione.  La  quale  nella  specie  e' carente atteso che, se
 l'intervento  del  pubblico  ministero  nel  caso  di  modifica   dei
 provvedimenti   relativi  ai  figli  minori  di  genitori  divorziati
 risponde alla particolare esigenza di tutela di questi  ultimi  (come
 gia'  rimarcato  da  questa  Corte nella sentenza n. 185 del 1986 con
 riguardo  piu'  in  generale  ai  giudizi  per  lo  scioglimento  del
 matrimonio  e  per la separazione fra coniugi), analogo (se non ancor
 piu'  pressante)  interesse  sussiste  nel  caso  dei   provvedimenti
 modificativi delle condizioni della separazione riguardanti la prole,
 come   rende  evidente  l'art.  155  cod.  civ.,  che  nel  prevedere
 (all'ultimo comma) la facolta' dei coniugi di chiedere in ogni  tempo
 la  revisione delle disposizioni concernenti l'affidamento dei figli,
 prescrive in via  generale  (al  primo  comma)  che  i  provvedimenti
 relativi   alla   prole  siano  adottati  con  esclusivo  riferimento
 all'interesse morale e materiale di essa.
    Tale prevalente "esigenza di tutelare l'interesse  dei  figli"  e'
 gia'  stata  da  questa Corte (sent. 144 del 1983) posta a fondamento
 della dichiarazione di illegittimita' costituzionale  dell'art.  156,
 sesto  comma,  cod.  civ. nella parte in cui la garanzia patrimoniale
 ivi prevista  per  l'ipotesi  della  separazione  giudiziale  non  si
 estendeva anche all'ipotesi della separazione consensuale.
    6. - Questo processo di graduale assimilazione trova d'altra parte
 ulteriore riscontro nella giurisprudenza della Corte.
    Ed  infatti,  proprio  valutando  comparativamente  i  giudizi  di
 separazione e quelli di divorzio con riferimento allo specifico  tema
 della  assegnazione  della casa coniugale al genitore affidatario dei
 figli minori,  questa  Corte  nella  sentenza  n.  454  del  1989  ha
 riscontrato  che  in  entrambe  le ipotesi la ratio ispiratrice della
 assegnazione stessa e' "l'esclusivo riferimento all'interesse  morale
 e  materiale  della  prole"  ed  ha  ritenuto  "del  tutto  priva  di
 ragionevole    giustificazione",    e    quindi    costituzionalmente
 illegittima,  la  mancata  estensione al caso della separazione della
 opponibilita' ai terzi, prevista invece  nel  caso  di  divorzio,  la
 stessa  risolvendosi  in una "diversita' di trattamento rispetto alla
 prole".
    Piu' recentemente la Corte, nella sentenza n. 176  del  1992,  con
 riguardo  al  piu'  favorevole  trattamento tributario delle ipoteche
 iscritte  a  garanzia  delle   obbligazioni   assunte   dal   coniuge
 divorziato,  ha sottolineato "il parallelismo, le profonde analogie e
 la complementarita' funzionale" dei procedimenti di separazione e  di
 divorzio,  pervenendo  a  dichiarare  l'illegittimita' costituzionale
 dell'art. 19 della legge n. 74  del  1987  nella  parte  in  cui  non
 estende  il  beneficio  fiscale  suddetto  anche  alle  iscrizioni di
 ipoteca in favore del coniuge separato.
    7.  -  Identiche  ragioni  di  parallelismo,  di  omologia  e   di
 complementarita'  sussistono  ora  anche con riguardo ai procedimenti
 relativi  alla  modificazione  e  revisione   delle   condizioni   di
 separazione e di divorzio concernenti l'affidamento della prole.
    Una  volta  prevista  la partecipazione del pubblico ministero nei
 giudizi di modificazione delle condizioni  di  divorzio,  la  mancata
 estensione  anche  ai  giudizi  di  modificazione delle condizioni di
 separazione  di  siffatta  prescrizione,  volta   alla   salvaguardia
 dell'interesse   dei   minori,   si   rivela   priva   di   razionale
 giustificazione di fronte alla esigenza di  assicurare  identita'  di
 tutela ad identici interessi.
    Consegue  che  -  con riferimento ai giudizi per la modifica delle
 condizioni di separazione instaurati  dopo  la  data  di  entrata  in
 vigore   della   citata   legge  n.  74  del  1987  -  va  dichiarata
 l'illegittimita'costituzionale, sopravvenuta dalla data suddetta  (12
 marzo  1987),  dell'art. 710 cod. proc. civ. (testo originario) nella
 parte in cui, per i  provvedimenti  relativi  ai  figli  minori,  non
 prevede l'intervento del pubblico ministero.
    Analogo  vizio - ancor piu' evidente se si considera che l'art. 38
 disp. att. cod. civ., nel fissare la demarcazione tra competenza  del
 tribunale  per  i  minorenni  e  competenza  del tribunale ordinario,
 prescrive che il tribunale provvede in camera di consiglio sentito il
 pubblico ministero - presenta la medesima norma nel  testo  novellato
 dall'art.  1 della citata legge n. 331 del 1988, che - modificando il
 rito ed introducendo il procedimento in camera di consiglio -  si  e'
 limitata   a   prevedere,   anche  in  riferimento  ai  provvedimenti
 riguardanti la prole che  le  parti  (e  quindi  soltanto  le  parti)
 debbano essere sentite prima che il Tribunale provveda.
    La  medesima  dichiarazione  di  incostituzionalita'  va  pertanto
 estesa in via conseguenziale (ex art. 27 legge 11 marzo 1953  n.  87)
 all'art.  710  cod. proc. civ. nel testo sostituito dall'art. 1 della
 legge  n.  331  del  1988  nella  parte  in  cui   non   prevede   la
 partecipazione   del   pubblico   ministero   per   la  modifica  dei
 provvedimenti riguardanti la prole.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
    1) Dichiara l'illegittimita' costituzionale, sopravvenuta  dal  12
 marzo   1987,  dell'art.  710  codice  procedura  civile,  nel  testo
 precedente a quello sostituito dall'art. 1 legge 29  luglio  1988  n.
 331,  nella  parte  in  cui  non  prevede  l'intervento  del pubblico
 ministero per la modifica dei provvedimenti riguardanti la prole;
     2) Dichiara, ai sensi dell'art. 27 legge 11  marzo  1953  n.  87,
 l'illegittimita'   costituzionale   dell'art.  710  codice  procedura
 civile, nel testo sostituito dall'art. 1 legge 29 luglio 1988 n. 331,
 nella parte  in  cui  non  prevede  la  partecipazione  del  pubblico
 ministero per la modifica dei provvedimenti riguardanti la prole.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 22 ottobre 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 9 novembre 1992.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 92C1226