N. 729 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 marzo 1991- 5 novembre 1992
N. 729 Ordinanza emessa il 21 marzo 1991 (pervenuta alla Corte costituzionale il 5 novembre 1992) dalla pretura di Bergamo, sezione distaccata di Clusone, nel procedimento sanzionatorio per interruzione del programma terapeutico previsto per i tossicodipendenti,nei confronti di Cristinelli Armando. Stupefacenti e sostanze psicotrope - Detenzione di stupefacenti in misura inferiore alla dose media giornaliera - Sottoposizione obbligatoria del soggetto ad un programma terapeutico socio- riabilitativo - Applicabilita', nel caso di ingiustificata interruzione del programma, di sanzioni amministrative implicanti limitazioni alla liberta' personale e percio' ritenute (dal giudice a quo) particolarmente afflittive ed equiparabili alla pena criminale - Conseguente violazione del principio della funzione rieducativa della pena - Irragionevole esclusione per i soli imputati di reati concernenti gli stupefacenti delle garanzie processuali ordinarie in contrasto con il diritto di difesa - Attribuzione al giudice di competenza speciale per l'erogazione di dette sanzioni - Conseguente creazione di un giudice speciale in contrasto con il dettato costituzionale. (Legge 26 febbraio 1990, n. 162, art. 16; d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, art. 76). (Cost., artt. 3, 13, 24, 27 e 102).(GU n.48 del 18-11-1992 )
IL PRETORE Nel procedimento n. 9877/1991 RPM n. 1/1991 reg esec pen a carico di Cristanelli Armando, nato a Lovere l'8 febbraio 1972, ivi residente via Papa Giovanni n. 40; Vista la richiesta in data 17 agosto 1991, colla quale il pubblico ministero presso la pretura di Bergamo trasmetteva a questo ufficio gli atti del procedimento suddetto, con contestuale richiesta, a norma degli artt. 75, dodicesimo comma e 76 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, e 666 del c.p.p. di adottare i provvedimenti di cui all'art. 76 del d.P.R. n. 309/1990; Vedute le norme richiamate dal pubblico ministero; O S S E R V A I provvedimenti di cui all'art. 76 del d.P.R. n. 309/1990, introdotti dall'art. 16 della legge 26 febbraio 1990, n. 162 (nel prosieguo, salvo diversa espressa indicazione, i riferimenti sono da intendersi a tale legge), comportano l'irrogazione, nei confronti del soggetto che per due volte abbia rifiutato o interrotto il programma terapeutico "consigliatogli" dal prefetto, di quelle che, con disinvolto e sereno quanto vago eufemismo, il legislatore definisce "misure". A ben vedere, tuttavia, tali misure, eccettuato appunto il criterio definitorio, nulla di diverso rappresentano in realta' se non sanzioni munite di afflittivita' penalmente rilevante. Ove sol si rammenti che, tra tali "misure" (irrogabili in modo cumulativo), sono ricompresi il divieto di allontanamento dal comune di residenza, l'obbligo di presentarsi quotidianamente alla polizia o ai carabinieri, l'obbligo di attivita' lavorativa, e via "misurando", non par invero disagevole pervenire necessariamente alla sussunzione di tali stesse "misure" fra i provvedimenti restrittivi della liberta' personale. Del resto, la durata di tali restrizioni, a seconda della tabella cui appartenga la sostanza illegale di cui ha fatto uso il "misurando", non e' certo di poco momento, dovendosi protrarre tra i tre e gli otto mesi o tra i due e i quattro. Sebbene non paiano necessari ulteriori approfondimenti per chiarire l'identita' fra tali "misure" ed i provvedimenti restrittivi della liberta' personale, non risulta tuttavia inopportuno sottolineare che lo stesso legislatore, tenendo presente evidentemente gli artt. 13 e 111 della Costituzione ha previsto che, per la loro irrogazione, sia competente il giudice ordinario (pretore o tribunale dei minorenni) con le forme dell'incidente di esecuzione penale (art. 666 del c.p.p. richiamato dall'art. 16); che il relativo provvedimento sia pronunciato in forma di decreto motivato (ibid.); e che quest'ultimo sia ricorribile per cassazione. Decisivo, comunque, e' il riferimento testuale operato nella lettera G del primo comma dell'art. 76 del d.P.R. n. 309/1990, il quale espressamente definisce come "autore del reato" il sanzionando ("sequestro dei veicoli, se di proprieta' dell'autore del reato, con i quali le sostanze siano state trasportate o custodite"), tradendo cosi', e sia pure solo in quell'inciso, la effettiva dimensione criminale che attribuisce al detentore di una quantita' di stupefacente inferiore alla d.m.g. (incidentalmente, si osserva che, attenendosi alla lettera della disposizione, la sintassi imporrebbe di descrivere come reato gia' la condotta-condizione iniziale (ossia quella del trasporto o della detenzione della sostanza) pur essendosi prevista, come "misura" per essa, unicamente un "invito" prefettizio ..). Affermatosi dunque che tali "misure" sono null'altro che pene propriamente dette, e che l'accertamento della responsabilita' penale, ex art. 27 della Costituzione, in uno stato di diritto presuppone sempre lo strumento processuale penale, non puo' che pervenirsi al non manifestamente infondato dubbio che le norme, in forza delle quali il giudice dovrebbe infliggere tali "misure" pene, contrastino con la vigente Costituzione. In particolare, il procedimento, stabilito dall'art. 16 della legge n. 162/1990 e 76 del d.P.R. n. 309/1990, e in esito al quale tali "misure" dovrebbero essere inflitte (da questo pretore nel caso di specie, da cui la rilevanza della questione ai fini del decidere), appare illegittimo poiche': viola il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione la scelta legislativa di sanzionare penalmente una condizione soggettiva, ossia quella dell'assuntore di talune sostanze con effetti psicotropi, e non anche la condizione (perfettamente analoga, se non deteriore, per ampio riconoscimento della scienza medica) di chi assuma invece altre sostanze con effetti analoghi (ed anzi piu' devastanti: l'alcool, ad esempio). Ora, e' nota al remittente la sentenza 11 luglio 1991, n. 333, colla quale codesta onorevole Corte (oltre a statuire che in realta' la legge Jervolino-Vassalli punisce la condotta, e non la condizione personale) ha stabilito pure che la compressione di taluni diritti costituzionalmente garantiti ben puo' giustificarsi alla luce dell'emergenza. Rileva tuttavia il pretore che, cosi' statuendo, la Corte ha anche argomentato (richiamando le proprie sentenze nn. 15/1982, 171 e 132 del 1986 ed altre) che solo la dimostrata efficacia di tale compressione rispetto alle finalita' del legislatore, e sempre che la compressione non si protragga ingiustificatamente e vanamente nel tempo ((Paragrafo)(Paragrafo) 8 e 16 della citata sentenza n. 333/1991), giustifica il diniego della declaratoria di illegittimita' costituzionale. Proprio (e, deve supporsi, unicamente) in forza di tali contingenze e premesse, codesta onorevole Corte ha potuto conludere che "rimane affidato alla sensibilita' del legislatore il compito essenziale di verificare sul concreto terreno applicativo, alla luce degli effetti provocati dal sistema normativo in questione, la bonta' delle scelte di merito". Ebbene, posto che quasi due anni di applicazione della legge sembrano aver dimostrato tutt'altro che l'efficacia, almeno parziale, della normativa denunciata (almeno con riferimento alle norme in esame: sono in grave aumento anzitutto le morti da stupefacenti - con assoluta esclusione dei cannabinoidi, per i quali non si e' mai registrato, ne' appare clinicamente possibile, alcun decesso - e' aumentata la circolazione di stupefacenti, sono in aumento - il trend e' di circa mille unita' al mese in aumento - i detenuti per tale titolo; e cosi' via), non pare fuor di luogo rimettere al vaglio del giudice delle leggi gli ulteriori profili qui enucleati in punto di stretto diritto. Incidentalmente si osserva che, pur costruendosi la fattispecie come sanzione riservata ad una condotta (quella del detentore di stupefacente in misura non superiore alla dmg), appare comunque arduo scindere tale condotta dalla mera condizione di assuntore di stupefacente (che evidentemente presuppone la materiale disponibilita' della sostanza da assumere), dal che discende l'ulteriore considerazione che la scelta del legislatore appare l'unica logicamente possibile per perseguire una condizione o stato personale altrimenti non suscettiva di assurgere a penale rilevanza (dacche' il principio di personalita' della responsabilita' penale, ex art. 27/1 della Costituzione, appare difficilmente conciliabile con la punizione di un modo di essere del soggetto). Viola il principio di eguaglianza suddetto la previsione, per una particolare categoria di fatto-reato (ammesso appunto che un fatto, e non una condizione o stato personale, sia il presupposto del trattamento sanzionatorio penale in questione), e solo per essa, di uno specialissimo procedimento penale, creato ad hoc, e irragionevolmente limitato nelle possibilita' di impugnazione (il decreto - quasi che fosse un procedimento monitorio, col quale peraltro sono irrogabili solo pene pecuniarie, e mai limitazioni della liberta' personale - pretorile e' solo ricorribile per cassazione, e non anche soggetto ad appello: cfr. sent. C Costituzione 23 luglio 1991, n. 363, con cui e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 443, secondo comma del c.p.p., nella parte in cui escludeva l'appellabilita' delle sentenze - emesse a seguito di giudizio abbreviato - di condanna a pena non eseguibile); violano, le norme denunziate, il principio di eguaglianza e quello di difesa ex art. 24 della Costituzione, poiche' escludono, per gli imputati di una ed una sola categoria di fatto-reato, tutte le garanzie processuali ordinarie (dall'avviso di garanzia, alla difesa tecnica - di fronte al regime di prova legale non si comprende quale mai ruolo concreto possa svolgere il difensore la cui presenza e' pur sempre necessaria ex art. 666 comma quattro del c.p.p. -, al diritto alla prova di cui all'art. 187 e seguenti del c.p.p., e cosi' via); violano, le norme denunziate, l'art. 27 della Costituzione nella parte in cui le "misure" comminate ed irrogabili appaiono del tutto incongruenti rispetto alla condotta sanzionanda e, percio', alla rieducazione del condannato (quale funzione rieducativa possa esplicare, in confronto dell'assuntore, la sospensione di una patente di guida che, sovente, ai giudicandi e' gia' stata sospesa o revocata in via amministrativa, sfugge completamente all'interprete, non ostante ogni suo piu' pervicace sforzo di comprensione; si omette di commentare la funzione rieducativa della sospensione del passaporto, ovvero del sequestro del veicolo usato per il trasporto di una dose media giornaliera, atteso che gia' la sproporzione fra la "misura" ed il fatto suscita sconcerto, ove sol si pensi che di fronte a fatti di ben maggiore e diffusa gravita' allocentrica - dagli inquinamenti, alle lesioni od omicidi colposi, alle criminose forme di smaltimento di rifiuti anche tossici e nocivi - nessuna comparabile severita' e' prevista dal legislatore). Deve inotre sospettarsi che, attribuendo al pretore e al tribunale per i monori la competenza ad esercitare la giurisdizione penale con forme del tutto speciali unicamente previste per questa fattispecie di reato, il legislatore abbia introdotto un giudice speciale, ponendosi cosi' in contrasto con l'art. 102, sacondo comma della Costituzione. Il giudicante non si nasconde, poi, che altra giurisprudenza, limitandosi ad infliggere le "misure" secondo l'ibrido procedimento modellato dalla legge qui denunziata, ha implicitamente mostrato di considerare le "misure" stesse alla stregua di sanzioni amministrative. Soltanto per completezza argomentativa, quindi, ci si permette di precisare che, anche nel caso in cui le sanzioni siano costruite come aventi natura amministrativa (il che appare decisamente poco plausibile, in forza delle considerazioni sopra svolte), il procedimento non manca di far sorgere dubbi di costituzionalita'. Ed infatti, osservato che l'attribuzione al pretore di competenze di irrogazione di tali sanzioni appare del tutto extra ordinem, tanto che ne scaturirebbero moltissimi problemi sistematici; e che tale attribuzione comporterebbe una reciproca invasione delle sfere e dei confini tra potere giudiziario e potere esecutivo, si rileva altresi' che: se e' pur vero quella di configurare i reati, con la relativa sanzione di pene principali ed accessorie, appartiene alla discrezionalita' del legislatore, non per questo puo' dirsi, pero', che il legislatore abbia puranco l'arbitrio irragionevole di non definire i reati come reati, e le pene come pene, per potersi sottrarre alla necessita' di allestire un procedimento penale per colpire determinate condotte, reputate meritevoli di sanzione limitativa della liberta' personale del loro autore, appunto con tali sanzioni. Ne risulta dunque violato il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, perche', per situazioni sostanzialmente identiche (basti pensare, ad esempio, all'art. 650 del c.p. nel quale la fattispecie del reiterato rifiuto dell'assuntore di sostanze psicotrope sembra perfettamente inquadrabile, anche per le finalita' - di igiene ed ordine pubblico e giustizia - conclamatamente perseguite dal prefetto), viene irragionevolmente prevista una diversa modalita' di inflizione della sanzione (pur essendo le sanzioni perfettamente assimilabili, specie pel caso in cui si dia luogo alla sostituzione della pena detentiva colla liberta' controllata, o addirittura con la sanzione pecuniaria, di cui agli art. 53 e seguenti della legge n. 689/1981). Insomma, pur connotandosi le "misure" per il loro tutt'altro che trascurabile potere afflittivo, esse (a differenza delle pene comminate per i reati) possono essere distribuite con procedimento sommario; sarebbero verosimilmente soggette ad un termine prescrizionale corrispondente a quello delle violazioni amministrative, ossia, piu' lungo di quello previsto per i reati contravvenzionali; non sarebbero soggette al principio di obbligatorieta' dell'azione penale; non avrebbero necessita' di divenire irrevocabili per poter essere eseguite (art. 76, quinto comma del d.P.R. n. 309/1990); e cosi' via. Ora, non e' difficile comprendere che la ragione, dalla quale e' scaturita' una tale straordinaria (rectius eccezionale) disciplina para-processuale, e' eminentemente pratica: se per irrogare le "misure" si dovesse allestire un vero processo, con le correlate garanzie, adempimenti e notifiche, intimazioni ai testimoni e quant'altro, si assisterebbero presto alla totale paralisi della giurisdizione penale, a causa della "non modica quantita'" di processi che ne scaturirebbe. Ma francamente non pare per ragioni pratiche di tale spessore possano giustificare un'incrinatura del sistema costituzionale (anche a prescindere dall'attuale grado di funzionamento della giurisdizione penale). Piu' grave ancora, reato e pena rischierebbero di andare incontro a prescrizione pressoche' certa (come accade alla assoluta maggioranza delle sostanze penali pronunciate dal pretore), e dunque di non svolgere alcuna funzione repressiva (con buona pace, per far solo un esempio, dei contravventori che si rendono invece responsabili di reati assai piu' dannosi ed allarmanti per la collettivita', ed in particolare per tutte le contravvenzioni in materia ambientale, il cui minor termine prescrizionale garantisce i loro responsabili circa l'effettivita' della sanzione virtualmente irrogata in primo grado). Ma pure l'art. 13 della Costituzione risulta sostanzialmente violato da tale disciplina: infatti, ove si assumesse che il procedimento di irrogazione delle "misure" abbia natura amministrativa, diverrebbe assolutamente irrilevante che ad irrogare le stesse sia il pretore, in quanto tale organo agirebbe, nelle spe- cie, non quale autorita' giudiziaria, bensi' quale autorita' amministrativa (come accade in vari altri casi della quotidiana attivita' pretorile: dalle verifiche dello stato civile, alla presidenza delle commissioni elettorali o censuarie, o alle inchieste per infortuni sul lavoro ..), col che verrebbe meno il sostanziale rispetto dell'invocata norma costituzionale, la quale, all'evidenza, esige che l'autorita' giudiziaria intervenga, per controllo della compressione della liberta' personale, col pieno rispetto delle regole procedurali ordinarie. Non puo', per altro verso, sottacersi che le stesse autorita' amministrative, a seguito di varie recenti pronunce di codesta onorevole Corte, sono chiamate al rispetto di varie garanzie difensive (e quindi di regole processual-penalistiche) prima ancora che il processo penale sia stato iscritto nel registro delle notizie di reato (cfr. ad es. sentenza n. 434 del 10 ottobre 1990), ed addirittura prima ancora che vi sia una notizia di reato. Appare insomma affatto irragionevole che, mentre talune categorie di imputati sono assistiti da garanzie difensive financo nella fase degli accertamenti preliminari espletati da organi amministrativi, per altri imputati, evidentemente reputati da serie inferiore, si preveda che neppure nella fase avanti al giudice essi possano disporre dei diritti elementari dell'imputato. Ed invero, nel procedimento di irrogazione delle "misure", non vi e' luogo per alcuna forma di istruzione probatoria; la sommarieta' del procedimento (il pretore provvede dopo aver assunto informazioni presso il servizio operativo della prefettura e presso il servizio pubblico per le tossicodipendenze) impone di concludere che nella materia vige il princi'pio della prova legale sulla sussistenza dei presupposti della fattispecie, e persino la scelta delle "misure" e la loro dosimetria per rapporto alla durata, non essendo disciplinata, forma oggetto di sostanziale arbitrio (ad eccezione dei limiti correlati alle tabelle); col che non puo' non apparire violato il diritto alla difesa di cui all'art. 24 della Costituzione. Da tale raffronto, poi, emerge come patente la violazione del principio di eguaglianza e di ragionevolezza, posto ad una condotta meramente autolesiva, quale ad esempio quella del fumatore di cannabinoidi (il quale non ponga in essere reati, come ad esempio quello p. e p. dall'art. 132 del c.d.s., pel quale sarebbe autonomamente punibile), possono applicarsi sanzioni ben piu' pesanti (e meno assistite da garanzie prodomiche) rispetto a quella di colui che distribuisce per il consumo alimenti pericolosi) o dannosi per la salute pubblica (cfr. sentenza n. 434/90 citata). In conclusione, attesa la rilevanza ai fini della decisione, e la non manifesta infondatezza della questione, va sospeso il procedimento in corso per l'inflizione delle sanzioni al Cristinelli, e gli atti rimessi alla Corte costituzionale, dopo le notificazioni e comunicazioni di cui al dispositivo.
P. Q. M. Letti ed applicati gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara non manifestamente infondata e rilevante ai fini del decidere la questione di legittimita' costituzionale degli art. 16 della legge 26 febbraio 1990 e n. 162 e n. 76 del d.P.R. n. 309/1990; nella parte in cui prevedono l'applicazione di sanzioni restrittive della liberta' personale, e dunque penali, per il reato di detenzione di stupefacenti in misura inferiore alla dose media giornaliera stabilita con decreto ministeriale; mediante un procedimento in cam- era di consiglio strutturato sul modello dell'incidente di esecuzione anziche' sul modello generale del processo penale; e nelle altre parti espressamente e diffusamente esposte nella parte motiva di questa ordinanza; e dunque in riferimento ai parametri costituzionali rappresentati dagli artt. 3, 13, 24, 27 e 102 della Costituzione, secondo quanto precisato in motivazione; Sospende il procedimento penale in corso a carico di Cristinelli Armando; Dispone che tutti gli atti del presente giudizio siano tempestivamente trasmessi alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia immediatamente notificata al pubblico ministero, all'imputato, al difensore, al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata al Presidente del Senato della Repubblica ed al Presidente della Camera dei Deputati della Repubblica. Clusone, addi' 21 marzo 1991 Il pretore: PERTILE Depositato in cancelleria oggi 21 marzo 1992. Il collaboratore di cancelleria: ROMANO 92C1248