N. 738 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 dicembre 1991- 9 novembre 1992

                                N. 738
      Ordinanza emessa il 19 dicembre 1991 (pervenuta alla Corte
    costituzionale il 9 novembre 1992) dal tribunale amministrativo
  regionale della Calabria, Catanzaro, sul ricorso proposto da Marte
          Domenico Antonio contro il Ministero delle finanze.
 Pensioni - Dipendenti statali invalidi civili - Collocamento a riposo
    al compimento  del  sessantacinquesimo  anno  di  eta'  -  Mancata
    previsione  del  trattenimento  in servizio fino al compimento del
    settantesimo anno per incrementare il trattamento di quiescenza  -
    Conseguente  mancata  considerazione,  anche  a  questo proposito,
    della posizione di favore che l'ordinamento gia' riconosce a  tali
    categorie   protette,   per   le   quali   e'   infatti   previsto
    l'innalzamento dell'eta' (a cinquantacinque anni) per l'accesso al
    pubblico impiego - Irragionevolezza con incidenza sul  diritto  ad
    una retribuzione adeguata alle esigenze di vita.
 (D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, art. 4, primo comma).
 (Cost., artt. 3 e 38).
(GU n.49 del 25-11-1992 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul ricorso n. 1690/1991,
 proposto da Marte Domenico Antonio, rappresentato e difeso  dall'avv.
 Alberto  Panuccio  ed  elettivamente  domiciliato  in  Catanzaro, via
 Milelli n. 42, presso lo studio dell'avv. Mario  Garofalo  contro  il
 Ministero   delle  finanze,  in  persona  del  Ministro  pro-tempore,
 rappresentato e difeso dall'avvocatura distrettuale dello  Stato  per
 l'annullamento:
      del provvedimento del Ministero delle finanze, dir. generale del
 demanio,  del  6  novembre  1990, n. 15721, con il quale non e' stata
 accolta la domanda del ricorrente di trattenimento in  servizio  fino
 al  settantesimo  anno di eta', e della relativa nota dell'intendenza
 di  finanza  di  Reggio  Calabria  datata 13 novembre 1990, n. 11077,
 comunicata il 25 settembre 1991;
      del provvedimento del Ministero delle  finanze  di  collocamento
 del  ricorrente  in  quiescenza  a  decorrere dal 1º dicembre 1991, e
 della relativa nota dell'intendente di  finanza  di  Reggio  Calabria
 dell'8 ottobre 1991, n. 8573;
      del  provvedimento  di  collocamento  in  quiescenza in corso di
 registrazione, sempre  con  la  stessa  data  di  decorrenza  del  1º
 dicembre  1991,  e  della relativa nota dell'intendente di finanza di
 Reggio Calabria del 6 novembre 1991 prot. n. 9391/4;
      di ogni altro atto e provvedimento preordinato e conseguenziale;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
 resistente;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Designato alla  camera  di  consiglio  del  19  dicembre  1991  il
 rettore, dott. Roberto Politi ed uditi, altresi', l'avv. Garofalo, in
 sostituzione  dell'avv.  Panuccio  per  il  ricorrente e l'avv. dello
 Stato Scaramuzzino per l'amministrazione resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:
                               F A T T O
   Espone il ricorrente  di  essere  stato  assunto,  in  qualita'  di
 invalido  civile, alle dipendenze del Ministero delle finanze, con la
 qualifica di addetto ai servizi di portierato e di custodia.
    Proposta (in data 12 ottobre  1990)  istanza  di  mantenimento  in
 servizio  fino al compimento del settantesimo anno di eta', reiterava
 tale richiesta con nota del 25  settembre  1991;  ricevendo  peraltro
 negativo  riscontro in relazione all'asserita carenza di disposizioni
 idonee  a  consentire  il  trattenimento   in   servizio   oltre   il
 sessantacinquesimo anno di eta'.
    Nell'evidenziare  l'intervenuta  comunicazione  del collocamento a
 riposo a far tempo dal 1º dicembre 1991, deduce avverso gli impugnati
 provvedimenti i seguenti profili di doglianza:
      1) erronea  interpretazione  ed  applicazione  dell'art.  4  del
 d.P.R.  29  dicembre  1973, n. 1092; eccesso di potere per difetto di
 motivazione.
    L'epigrafata  norma,  lungi  dal  determinare  con  carattere   di
 fissita'  la  regola  del  colocamento  a  riposo  al  compimento del
 sessantacinquesimo anno di eta',  imporrebbe  all'amministrazione  la
 valutazione  di  un complesso di circostanze (anzianita' di servizio,
 raggiungimento del diritto a pensione, misura della stessa, idoneita'
 del soggetto al persistente espletamento delle mansioni, appartenenza
 ad una categoria protetta),  che  nella  fattispecie  risulta  essere
 stata omessa;
      2)  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  4  del  d.P.R. 29
 dicembre 1973, n.  1092,  in  relazione  agli  artt.  3  e  38  della
 Costituzione.
    Evidenzia in argomento il ricorrente come la materia dei limiti di
 eta'  per  il  pensionamento  sia  stata  recentemente oggetto di una
 rilevante evoluzione giurisprudenziale,  tra  l'altro  contrassegnata
 dalla  sentenza  n.  444  del  26 settembre-12 ottobre 1990 resa alla
 Corte    costituzionale   (con   la   quale   e'   stata   dichiarata
 l'illegittimita' dell'art. 15, terzo comma,  della  legge  30  luglio
 1973,  n.  477)  e  dalla successiva pronunzia n. 282 del 3-18 giugno
 1991.
    Tale ultima sentenza, che testimonia lo sviluppo di  una  tendenza
 volta    al    superamento   dell'intangibilita'   del   limite   del
 sessantacinquesimo anno, in un quadro di valorizzazione dei  principi
 di  tutela previdenziale costituzionalmente sanciti (e di correlativa
 compressione degli ambiti di discrezionale apprezzamento  rimessi  al
 legislatore),  ha  in  particolare  dichiarato l'illegittimita' della
 norma in epigrafe con riferimento alla situazione  dei  soggetti  nei
 confronti  dei  quali  sia  stata  per  legge disposta l'elevazione a
 cinquantacinque  anni  del  limite  massimo  di  eta'  per  l'accesso
 all'impiego.
    Nell'evidenziare,  a  conforto  della propugnata tesi, lo sviluppo
 normativo  recante  per  talune  categorie  di  pubblici   dipendenti
 l'elevazione  del  limite  per  il  collocamento  a  riposo (legge n.
 37/1990 per i dirigenti civili dello Stato; legge n.  50/1991  per  i
 primari  ospedalieri), viene affermato che il mantenimento del limite
 del  sessantacinquesimo  anno  di  eta'   integrerebbe   profili   di
 discriminazione   (per  disparita'  di  trattamento)  fra  classi  di
 soggetti; tale circostanza riceve, peraltro,  un  piu'  significativo
 rilievo   ove   si   abbia  riguardo  alla  situazione  di  soggetti,
 appartenenti alle c.d. "categorie protette",  che,  per  effetto  del
 ricordato   innalzamento   del   limite  di  eta'  per  l'assunzione,
 subirebbero  negative  conseguenze  sul  diritto  alla  pensione  per
 effetto  della  contestata  fissita'  al  sessantacinquesimo anno del
 limite per il collocamento a riposo.
    Nel rammentare come  il  contestato  principio  sia  stato,  negli
 ultimi  tempi,  oggetto di numerose ordinanze di rimessine alla Corte
 costituzionale,  conclude  il  ricorrente  per  l'accoglimento  della
 proposta  impugnativa;  in  subordine  invocando  la  sospensione del
 giudizio e la proposizione, dinanzi alla Corte,  della  questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 4 del d.P.R. n. 1092/1973 per
 contrasto con gli artt. 3 e 38 della Costituzione.
    Nel sottolineare come sia stata altresi' dal ricorrente chiesta la
 sospensione,  in  via  incidentale,  dell'efficacia  degli  impugnati
 provvedimenti,    si    evidenzia    altresi'   che   la   resistente
 amministrazione, costituitasi a  mezzo  dell'avvocatura  distrettuale
 dello Stato, ha invocato la reiezione del ricorso in esame.
    La deliberazione dell'istanza cautelare de qua e' intervenuta alla
 camera  di  consiglio  del  19  dicembre  1991,  nella quale e' stata
 sospesa l'efficacia degli atti impugnati.
                             D I R I T T O
    1. - L'infondatezza del primo  motivo  di  gravame  sottolinea  la
 rilevanza  integrata,  ai  fini  del  decidere, dalla valutazione del
 rimanente profilo di doglianza,  con  la  quale  e'  stata  sollevata
 l'esposta questione di legittimita' costituzionale.
    Si rileva infatti che l'invocata norma - rappresentata dall'art. 4
 del  d.P.R.  29 dicembre 1973, n. 1092 - non appare consentire quegli
 ampliati  margini  di  valutazione,  dal  ricorrente  postulati,  con
 riferimento  ad  un  complesso  di  circostanze  (tutte relative alla
 posizione di servizio del soggetto interessato)  diverse  dalla  mera
 considerazione del raggiungimento del previsto limite di eta'.
    Recita infatti il primo comma del citato art. 4 che "gli impiegati
 civili  di ruolo e non di ruolo sono collocati a riposo al compimento
 del sessantacinquesimo anno di eta'"; mentre al terzo  comma  leggesi
 che  "continuano  ad  applicarsi  le  norme  vigenti che stabiliscono
 limiti fissi di eta' per  il  collocamento  a  riposo  di  dipendenti
 civili dello Stato che appartengono a particolari categorie ..".
    La  lettura  di  tali  disposizioni  non  autorizza  ad  ammettere
 giuridico pregio alla prospettazione dalla parte  ricorrente  dedotta
 con  il sintetizzato primo motivo di ricorso, rilevato come l'ipotesi
 parzialmente derogatoria  delineata  al  terzo  comma  stabilisca  un
 peculiare e diverso trattamento per determinate categorie di soggetti
 (art. 5 del r.d. 31 maggio 1946, n. 511, per i magistrati; artt. 18 e
 24  del  d.P.R.  11 luglio 1980, n. 382, nonche' art. 6 della legge 9
 dicembre 1985, n. 705, per i  docenti  universitari;  art.  15  della
 legge  30  luglio  1973,  n.  477,  per  gli  insegnanti delle scuole
 elementari; art. 4-quinquies della legge 28 febbraio 1990, n. 37, per
 i dirigenti civili dello Stato; art. 1 della legge 19 febbraio  1991,
 n.   50,  per  i  primari)  e  non  individui,  invece,  percorsi  di
 discrezionale valutabilita' delle singole posizioni soggettive.
    Anzi, la  potesta'  in  subiecta  materia  rimessa  alla  pubblica
 amministrazione  pare involgere un ambito di vincolato apprezzamento,
 risultando precluso l'esercizio di poteri  determinativi  coincidente
 con  lo svolgimento di valutazioni discrezionali, la collocabilita' a
 riposo risultando  legittimamente  individuabile  al  solo  ricorrere
 degli  elementi identificativi, dalla pertinente normativa fissati in
 relazione all'esclusivo presupposto del  conseguimento  del  relativo
 limite di eta'.
    Discorso  diverso,  intuitivamente,  va  svolto  per gli ambiti di
 ampliata e diversificata valenza contenutistica ricongiungibili  alla
 portata  dell'art.  4  ove il dettato di tale norma venga ridisegnato
 dall'intervento della Corte costituzionale, come infra si avra'  modo
 di  sottolineare  compiutamente;  diversamente  dovendosi opinare per
 l'operativita' delle previsioni - derogatorie - di cui al terzo comma
 per tipologie di destinatari e non per singole posizioni  soggettive:
 per  l'effetto non rilevando come attributario di giuridico pregio il
 primo profilo di doglianza con il presente ricorso fatto valere.
    2. - E' invece non manifestamente infondata - e rilevante ai  fini
 del  decidere - la questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 4 del d.P.R. n. 1092/1973 con riferimento agli artt.  3  e  38  della
 Costituzione.
    2.1.  -  Per  quanto  concerne  l'indagine relativa alla rilevanza
 della questione - rimessa al giudice a quo,  ai  sensi  dell'art.  23
 della  legge 11 marzo 1953, n. 87 - si evidenzia che, alla stregua di
 quanto evidenziato sub 1), la definizione della pendente controversia
 non appare suscettibile di intervenire  indipendentemente  dall'esame
 della  conformita'  alla  disciplina costituzionale - appunto dettata
 agli artt. 3 e 38 - dell'art. 4 del d.P.R. n. 1092/1973.
    Se  infatti  una  applicazione  strettamente  letterale  di   tale
 disposizione   appare   precludere   -  allo  stato  -  la  giuridica
 percorribilita'  di  un  irinerario  logico-argomentativo  volto   ad
 ammettere  fondatezza  alla  pretesa  dal  ricorrente fatta valere in
 giudizio  (possibilita'   di   permanere   in   servizio   oltre   il
 sessantacinquesimo   anno   di   eta'   e   fino  al  compimento  del
 settantesimo),  diversamente  potrebbe  atteggiarsi  la  comprensione
 dell'applicabile disciplina ove di essa potesse fornirsi una  lettura
 idonea a conferire alla stessa un ampliato ambito di operativita', in
 un  quadro  di  piu'  aderente  conformita' alla evocata postulazione
 costituzionale riveniente dagli artt. 3 e 38 sopra richiamati.
    Dalle svolte considerazioni emerge  la  ritenuta  rilevanza  della
 questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 4 in discorso, i
 cui profili di non manifesta infondatezza saranno infra evidenziati.
    2.2. - Va in primo luogo richiamata la pronunzia con la  quale  la
 Corte  costituzionale  (27  luglio  1989,  n.  461)  ebbe  a ritenere
 l'inesistenza  di  una  regola  generale  idonea  a   consentire   il
 mantenimento  in  servizio del dipendente ultrasessantacinquenne fino
 alla   maturazione   dell'anzianita'   minima   necessaria   per   il
 conseguimento   della   pensione;   per   l'effetto  non  ritenendosi
 sussistere il contrasto fra l'art. 4 del d.P.R. n. 1092/1973 e l'art.
 3 della Costituzione, appunto nell'ambito dispositivo da  tale  norma
 recato  con  valenza  preclusiva  al  trattenimento  in  servizio  di
 dipendenti statali fino alla maturazione  dell'anzianita'  occorrente
 per conseguire la pensione.
    In tale ottica, ritenne anche la Corte che la situazione di coloro
 che  provengano  all'eta'  per  il  collocamento  a riposo senza aver
 maturato il diritto a pensione fosse  stata  dal  legislatore  tenuta
 presente  in  relazione alla previsione, per tale classe di soggetti,
 di un'indennita' una tantum (per tale profilo, valutandosi  l'assenza
 di contrasto con la previsione ex art. 38 della Costituzione).
    Nell'ottica  di  tale  pronunzia,  appare  con  ogni  evidenza  la
 profilabile - ed opponibile - inammissibilita' di una nuova ordinanza
 di  rimessione  recante,  nella  predetta   prospettazione,   censure
 all'art.  4 del d.P.R. n. 1092/1973 in relazione al dispositivo degli
 artt. 3 e 38 della Costituzione.
    2.3. - Peraltro, non puo' il  tribunale  rimettente  esimersi  dal
 valutare il rapido e profondo sviluppo evolutivo della giurisprudenza
 della   Corte  appalesato  alla  stregua  della  successiva,  recente
 pronunzia n. 282 del 3-18 giugno 1991.
    Sollevata   dal   t.a.r.   Toscana   questione   di   legittimita'
 costituzionale dell'art. 4, primo comma, del d.P.R. n. 1092/1973 (per
 la  parte  in cui non risultava previsto il diritto al trattamento in
 servizio del personale statale ultrasessantacinquenne che non  avesse
 ancora  maturato l'anzianita' di servizio minima per il conseguimento
 del diritto a pensione) si e' pervenuto ad un dictum  della  Consulta
 che ha profondamente inciso - in un quadro di generale rilevanza, non
 settorialmente   limitato   a   particolare   categorie  di  pubblici
 dipendenti - il generale  principio  del  collocamento  a  riposo  al
 compimento del sessantacinquesimo anno di eta'.
    Va   in   argomento  rilevato  come  il  collegio  toscano  avesse
 sottolineato   l'evoluzione   della   giurisprudenza   della    Corte
 testimoniata  dalla  sentenza  26  settembre-12  ottobre 1990, n. 444
 (peraltro significativamente inquadrata in un ambito  di  progressivo
 sviluppo  legislativo,  rappresentato  dal  d.-l. 6 novembre 1989, n.
 357, convertito in legge 27 dicembre 1989, n. 417 e  dalla  legge  28
 marzo  1990,  n.  37), che, nel dichiarare l'illegittimita' dell'art.
 15,  terzo  comma,  della  legge  30  luglio  1977,  n.   477,   ebbe
 espressamente  a  rinvenire, nell'estensione ad altre categorie delle
 norme  derogatorie   dettate   per   il   personale   della   scuola,
 un'"evoluzione legislativa tendente a quella piu' compiuta attuazione
 dell'art.  38, secondo comma, della Costituzione, auspicata da questa
 Corte".
    Il t.a.r. Toscana, alla  luce  di  tali  osservazioni,  ha  dunque
 nuovamente  rimesso  alla Corte costituzionale la questione circa "la
 irrazionalita' del cennato art. 4 rispetto alla legge 2 aprile  1968,
 n.  482,  atteso  che mentre quest'ultima consente .. l'assunzione ..
 degli invalidi, appartenenti alle categorie protette,  fino  all'eta'
 di  cinquantacinque  anni,  il  primo,  nel  negare il trattamento in
 servizio per  il  conseguimento  del  diritto  a  pensione,  viene  a
 neutralizzare  la  posizione  di favore di tali categorie, giusto nel
 momento in  cui,  con  l'abbandono  del  lavoro,  ne  hanno  maggiore
 bisogno".
    In  relazione  alla  predetta ordinanza di rimessione, la Corte ha
 dichiarato, con la  citata  sentenza  n.  282/1991,  l'illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  4,  primo  comma, del d.P.R. n. 1092/1973,
 "nella parte in cui non consente al personale ivi contemplato che  al
 raggiungimento  del  limite  d'esta' per il collocamento a riposo non
 abbia compiuto il numero di anni richiesto  per  ottenere  il  minimo
 della  pensione,  di  rimanere  in  servizio  su  richiesta  fino  al
 conseguimento di tale anzianita' minima,  e  comunque  non  oltre  il
 settantesimo anno di eta'".
    Da  tale  pronuncia rileva il collegio taluni spunti argomentativi
 di precipuo interesse per l'enunciazione di un ulteriore  profilo  di
 non  manifesta infondatezza circa la dubitata rispondenza ai principi
 ex artt. 3 e 38 della Costituzione della norma  di  cui  al  ripetuto
 art. 4.
    Si osserva infatti:
      che  la  Corte  ha  significativamente  ridimensionato  il ruolo
 svolto  dagli  ambiti  di  discrezionalita'  legislativa  (altrimenti
 preclusivi,   argomentandosi   cio'   dalla  richiamata  sentenza  n.
 461/1989)  nel  bilanciamento  dell'interesse   del   lavoratore   al
 conseguimento   del   diritto   a   pensione   con   altri  interessi
 costituzionalmente rilevanti: discrezionalita'  che  si  porrebbe  in
 un'ottica  di  constatata  insufficienza,  valutata  alla  stregua di
 un'osservata tendenza a rendere possibile il prolungamento  dell'eta'
 lavorativa,  in  coincidenza con l'innalzamento dell'eta' media della
 popolazione   (sia   pure   in   una   prospettazione   eminentemente
 circoscritta,   invero,  al  tempo  strettamente  necessario  per  il
 raggiungimento dell'eta' minima per il diritto a pensione);
      che, in ogni caso, la rigidita' del principio del collocamento a
 riposo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' e' idonea  a
 rivestire  un  "rincarato" rilievo di incostituzionalita' in presenza
 di una normativa - ex legge n.  482/1968  -  ponentesi  in  un'ottica
 "protezionistica"   di   talune   categorie   di  soggetti  (ritenute
 meritevoli di particolari benefici) per  le  quali  viene  consentita
 l'elevazione  (a cinquantacinque anni) del limite massimo di eta' per
 l'accesso all'impiego.
    2.4. - Ritiene questo tribunale che l'intrapresa linea di sviluppo
 ermeneutico   -   che    ha    condotto    alla    declaratoria    di
 incostituzionalita'  onde  trattasi  -  possa  essere suscettibile di
 ulteriori impulsi evolutivi, in un quadro di accentuata  sensibilita'
 verso  una  complessiva  sintonizzazione  della normativa de qua alle
 postulazioni   costituzionali   poste   a   presidio   dell'effettiva
 eguaglianza  dei  cittadini  relativamente  al diritto al trattamento
 previdenziale.
    Se infatti e' vero che le categorie di invalidi contemplate  dalla
 legge    n.    482/1968   godono   di   un   innalzamento   fino   al
 cinquantacinquesimo anno di eta' del limite massimo per l'inserimento
 lavorativo, ritiene questo tribunale che consentirne la permanenza in
 servizio fino al settantesimo  anno  di  eta'  per  il  conseguimento
 dell'anzianita'  minima per il diritto a pensione costituisca il solo
 movimento iniziale verso una compiuta parificazione con la  rimanente
 generalita' di soggetti lavorativi che, risultando assoggettati ad un
 piu'  basso  limite  di  eta'  per  l'accesso  ai  pubblici impieghi,
 necessariamente conseguono (o comunque, ben  possono  conseguire)  al
 compimento   del   sessantacinquesimo   anno  di  eta'  una  maggiore
 anzianita' di servizio, idonea a riverberare  effetti  economicamente
 piu' vantaggiosi sullo spettante trattamento pensionistico.
    Se  dunque  va  considerato  espunto  dall'ordinamento  il  limite
 addirittura   preclusivo   al   conseguimento   stesso   del   minimo
 pensionistico  (in relazione alla ripetuta pronunzia n. 282/1991), va
 favorevolmente considerata la possibilita' di un'approfondita lettura
 evolutiva  della  vigente  normativa  che  accentui  il  processo  di
 tendenziale  omogeneizzazione  fra  "categorie  protette" e rimanente
 personale pubblico, alle prime consentendo, anche in presenza di  una
 conseguita anzianita' minima per il diritto a pensione, una protratta
 permanenza  in  servizio  al  fine di incrementare l'anzianita' utile
 onde accrescere la base retributiva per il calcolo del trattamento di
 quiescenza,  in  relazione  alla  prevista  possibilita'  di  tardiva
 assunzione in servizio.
    Che   l'innalzamento  del  limite  di  eta',  a  questi  fini,  al
 cinquantacinquesimo  anno  di  eta'  non  costituisca  un   principio
 irragionevole,  ma  rappresenti  anzi la posizione di un'apprezzabile
 intento  a  "favore"  verso  quei   soggetti   il   cui   inserimento
 occupazionale  presenti,  in  ragione  di  constatate  condizioni  di
 menomazione psico-fisica, profili di problematica attuazione, non  e'
 certo  revocabile in dubbio; e quindi, in una lettura di tale disegno
 di  carattere  condivisibilmente  solidaristico,  appare   a   questo
 tribunale   non   sfornito  di  ragionevolezza  il  dubbio  circa  la
 costituzionalita' di disposizioni - quali ad  esempio  integrate  dal
 richiamato  art.  4  del  d.P.R.  n. 1092/1973 - che, in un quadro di
 omogeneizzazione parificatrice di diversificate classi  soggeti,  non
 tengano  in  adeguata considerazione l'esigenza di garantire a chi ha
 assunto la qualita' di  pubblico  dipendente  in  eta'  posteriore  a
 quella  consentita alla generalita' dei soggetti (per valutazioni dal
 legislatore assunte in un quadro di protezione di classi di individui
 invalidi o menomati), una protratta  presenza  in  servizio  utile  a
 garantire    un    accrescimento    della    base    retributiva   e,
 conseguentemente, un migliore trattamento pensionistico.
    Nell'ovvio  rilievo  che  un  siffatto  opinamento  trova  matrici
 contenutistiche  nel  principio di eguaglianza sostanziale propugnato
 dall'art. 3 della  Costituzione,  osserva  questo  tribunale  che  la
 propugnata  tesi  incontra  un  significativo riscontro proprio nella
 tendenza evolutiva che ha  contraddistinto  la  lettura  dalla  Corte
 costituzionale   fornita   al   secondo   comma  dell'art.  38  della
 Costituzione,   laddove   all'adeguatezza   dei   mezzi   idonei   al
 soddisfacimento  delle  esigenze vitali, integranti il trattamento di
 quiescenza, ha fatto riscontro una sempre piu' accentuata e sollecita
 attenzione  per l'effettivita' di tutela che, in subiecta materia, e'
 stata reiteratamente affermato non esere sufficientemente  presidiata
 da previsioni normative contemplanti una generalizzata fissazione del
 sessantacinquesimo anno di eta' per il collocamento a riposo.
    2.5. - Del resto, la meritevolezza di considerazione - dalla Corte
 affermata  nella  richiamata sentenza n. 461/1989 - verso l'interesse
 del  lavoratore  ad  essere  trattenuto  in  servizio  per  il  tempo
 necessario al conseguimento della pensione ha gia' ricevuto riscontro
 nella  valutazione  che  la presunzione secondo cui al compimento dei
 sessantacinque anni si pervenga ad una  diminuita  disponibilita'  di
 energie lavorative incompatibile con la prosecuzione del rapporto "e'
 destinata  ad  essere  vieppiu'  inficiata  dai riflessi positivi del
 generale miglioramento delle condizioni  di  vita  e  di  salute  dei
 lavoratori   nella   loro   capacita'  di  lavoro":  in  tale  quadro
 ravvisandosi l'irragionevolezza  della  perdurante  esistenza  di  un
 limite   -  posta  al  sessantacinquesimo  anno  di  eta'  -  per  il
 collocamento a riposo, ove permanga la ritenuta idoneita'  lavorativa
 e,   conseguentemente,  la  persistente  possibilita'  di  adibizione
 operativa in seno all'amministrazione pubblica.
    Alla  stregua  del  superamento  del  risvolto  "fisiologico"  che
 precluderebbe per gli ultrasessantacinquenni una protratta permanenza
 in servizio fino al compimento del settantesimo anno di eta', tornano
 ad  acquisire  preminente  rilievo  le  svolte considerazioni circa i
 profili di irragionevole discriminazione verso quelle  "categorie  di
 soggetti  meritevoli  di  particolari  benefici"  (che  la  Corte  ha
 ritenuto illegittimo sottoporre a deteriore trattamento, ove ad  essi
 non  fosse  consentito  il  conseguimento  del minimo della pensione)
 rivenienti da una fissazione omogenea del limite  dei  sessantacinque
 anni - di cui sopra - che in realta' consuma un'evidente collocazione
 in  peius  rispetto  alla  generalita'  dei  pubblici  dipendenti, in
 considerazione  della  rilevata   possibilita'   per   gli   invalidi
 appartenenti  alle  categorie protette di accedere ai pubblici uffici
 fino  al   compimento   dei   cinquantacinque   anni   di   eta'   e,
 conseguentemente, di maturare - a parita' di eta' per il collocamento
 a  riposo  -  un'inferiore  anzianita'  di  servizio  che espone tali
 soggetti, sia  pur  nella  consentita  (  ex  sentenza  n.  282/1991)
 opportunita'   di  conseguire  il  minimo,  alla  maturazione  di  un
 trattamento pensionistico economicamente inferiore.
                                P. Q. M.
    Visti  gli  artt.  134   della   Costituzione,   1   della   legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953,
 numero 87;
    Ritenuta  rilevante  e  non manifestamente infondata, in relazinoe
 agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, la questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 4, primo comma, del  d.P.R.  29
 dicembre  1973, n. 1092, nella parte in cui non prevede il diritto al
 trattenimento     in     servizio     del      personale      statale
 ultrasessantacinquenne   che  (in  quanto  beneficiario  del  diritto
 all'elevazione a cinquantacinque anni del limite massimo di eta'  per
 l'accesso  all'impiego,  di  cui  alla  legge  2 aprile 1968, n. 482)
 intenda protrarre la prestazione del servizio entro e  non  oltre  il
 settantesimo  anno  di  eta'  -  quantunque  gia' abbia conseguito il
 minimo pensionistico - al fine di incrementare  la  base  retributiva
 utile per la determinazione del trattamento di quiescenza;
    Sospende  il  giudizio  in  corso ed ordina l'immediata rimessione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone che a cura della  segreteria  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  al Presidente del Consiglio dei Ministri ed alle parti in
 causa,  nonche'  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere   del
 Parlamento.
    Cosi'  deciso  in  Catanzaro,  nella  camera  di  consiglio del 19
 dicembre 1991.
                      Il presidente: CASTIGLIONE

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