N. 471 SENTENZA 10 - 24 novembre 1992

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo civile - Procura speciale - Conferimento con atto separato -
 Deposito  a  pena  d'improcedibilita'  -  Possibilita' di sanatorie -
 Preclusione -  Richiesta  di  sentenza  additiva  -  Discrezionalita'
 legislativa - Inammissibilita'.
 
 (C.P.C., art. 369, secondo comma, n. 3)
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.50 del 2-12-1992 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: dott. Aldo CORASANITI;
 Giudici: prof. Giuseppe BORZELLINO, dott. Francesco GRECO, prof.
    Gabriele PESCATORE,  avv.  Ugo  SPAGNOLI,  prof.  Francesco  Paolo
    CASAVOLA,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato  GRANATA,  prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  369,  secondo
 comma, n. 3, c.p.c., promosso con ordinanza emessa il
 30 gennaio 1992 dalla Corte di Cassazione - Sezione prima civile, sul
 ricorso  proposto dall'Istituto Mobiliare Italiano - I.M.I. contro la
 S.r.l. FIND ed altri, iscritta al n. 263 del registro ordinanze  1992
 e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, prima
 serie speciale, dell'anno 1992;
    Visti gli atti di costituzione dell'Istituto Mobiliare Italiano  -
 I.M.I. e della S.r.l. FIND ed altri, nonche' l'atto di intervento del
 Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nell'udienza pubblica del 30 giugno 1992 il Giudice relatore
 Antonio Baldassarre;
    Uditi  gli  Avvocati  Paolo Barile, Giuseppe De Vergottini, Nicola
 Picardi e Carmine Punzi per l'Istituto Mobiliare Italiano  -  I.M.I.,
 Michele  Giorgianni,  Carlo Mezzanotte e Mario Are per la S.r.l. FIND
 ed altri e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta  per  il  Presidente
 del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel corso di un giudizio instaurato a seguito di un ricorso
 dell'Istituto Mobiliare Italiano (I.M.I.) avverso la sentenza con  la
 quale la Corte d'Appello di Roma ha confermato, in sede di rinvio, la
 condanna della stessa I.M.I. quantificandone il debito a favore della
 S.r.l. FIND e degli eredi dell'ing. Nino Rovelli in circa cinquecento
 miliardi, la Corte di cassazione, Sezione Prima Civile, in esito alla
 discussione  orale e in riserva di decisione, ha emesso un'ordinanza,
 con la quale ha sollevato questione di  legittimita'  costituzionale,
 in  riferimento  agli  artt. 3 e 24 della Costituzione, nei confronti
 dell'art. 369, secondo comma,  n.  3,  c.p.c.,  nella  parte  in  cui
 dispone  la  sanzione  dell'improcedibilita'  per  il  caso in cui la
 procura speciale, ove conferita con  atto  separato,  non  sia  stata
 depositata nei termini di legge.
    In  ordine  alla  rilevanza della questione, il giudice a quo, pur
 ricordando che gli avvocati dell'I.M.I.  presenti  in  udienza  hanno
 depositato  note  dirette  ad  affermare  che  la  procura  e'  stata
 regolarmente rilasciata e depositata insieme al ricorso, osserva,  in
 linea  di  fatto,  che  la  detta  procura  speciale e' materialmente
 assente negli atti di causa e che  manca  l'espressa  menzione  della
 stessa  sia nell'elenco dei documenti apposto in calce al ricorso sia
 nella nota di deposito o in qualsiasi altro atto. Inoltre,  soggiunge
 lo  stesso giudice a quo, tanto in calce alla copertina del fascicolo
 d'ufficio quanto nel "ruolo generale degli affari civili" e' evidente
 l'annotazione "manca la procura ad hoc".
    Posto che l'asserito deposito della procura potrebbe  essere  solo
 una  produzione  tardiva  o  irrituale  (allo  stato irrilevante), ma
 suscettibile di essere regolarizzata, anche ad iniziativa delle parti
 (ai   sensi   dell'art.   372   c.p.c.),   ove   la   questione    di
 costituzionalita' qui sollevata fosse accolta, non puo' non ritenersi
 integrata  allo  stato  degli  atti la situazione descritta dall'art.
 369, secondo comma, n. 3, c.p.c., che, indipendentemente dal  momento
 della  discussione  in  cui e' segnalata dalle parti, dovrebbe essere
 rilevata d'ufficio in sede di decisione e non potrebbe  non  sfociare
 in  una pronunzia di improcedibilita' del ricorso, preclusiva di ogni
 altra questione ad essa non pregiudiziale.
    Pur  se  la  ricorrente   nel   giudizio   a   quo   ha   eccepito
 l'incostituzionalita'  della  disposizione impugnata sotto il profilo
 della  lesione  del  diritto  di  difesa  per  il  solo  fatto  della
 irreperibilita'    nel   fascicolo   della   procura   assertivamente
 depositata,   la   Corte    di    cassazione,    in    considerazione
 dell'irrilevanza  di  tale  questione a causa della mancata prova del
 deposito  della  procura  speciale,  ritiene,  invece,  di  sollevare
 d'ufficio dubbi sulla costituzionalita' dell'art. 369, secondo comma,
 n.  3,  c.p.c.,  sotto  il diverso profilo del carattere meramente, o
 prevalentemente,  sanzionatorio  di  una   norma   che,   precludendo
 l'espletamento  del  giudizio  di  legittimita'  in  presenza  di  un
 inadempimento essenzialmente formale, priva la parte e il giudice  di
 qualsiasi possibilita' di regolarizzazione.
    Passando  alla  delibazione della non manifesta infondatezza della
 questione cosi' posta, il giudice a quo ricorda  preliminarmente  che
 la  stessa Corte di cassazione, in relazione ad altre ipotesi deline-
 ate dall'art. 369 c.p.c., anch'esse sanzionate  di  improcedibilita',
 ha  rilevato  in  alcune sue pronunzie la distonia sussistente tra la
 drastica  sanzione  dell'improcedibilita'  e   le   inadempienze   di
 carattere  formale  che ne costituiscono il presupposto. In tali casi
 la Corte di cassazione ha  proceduto  a  un'interpretazione  volta  a
 privilegiare  la  funzionalita'  sostanziale  del  mezzo processuale,
 rispetto  al  profilo rituale e sanzionatorio.  Tanto che ha ritenuto
 di non dichiarare l'improcedibilita' per il  mancato  deposito  della
 copia della sentenza impugnata (art. 369, secondo comma, n. 2) quando
 la  copia  stessa fosse stata prodotta dalle altre parti o risultasse
 comunque nel fascicolo d'ufficio;  ha,  inoltre,  attribuito  effetto
 preclusivo  alla  omessa  allegazione  degli atti e dei documenti sui
 quali si fonda il ricorso (art. 369, secondo comma, n. 4) soltanto in
 relazione agli atti relativi  a  precedenti  gradi  di  giudizio  che
 fossero  funzionalmente influenti in rapporto alle situazioni dedotte
 nella controversia di fronte alla  cassazione;  ha,  infine,  escluso
 l'improcedibilita'  del ricorso in caso di tardivo od omesso deposito
 dell'istanza di trasmissione del fascicolo d'ufficio (art. 369, terzo
 comma) quando quest'ultimo fosse comunque  pervenuto  alla  Corte  di
 cassazione  prima  dell'emananda pronunzia ovvero quando gli atti del
 fascicolo d'ufficio non fossero necessari,  potendo  essere  ricavati
 gli  elementi indispensabili per la decisione dagli atti inseriti nei
 fascicoli di parte. La Corte di cassazione ha,  dunque,  interpretato
 la  norma  processuale  cercando  di  superare  le previsioni rituali
 meramente o prevalentemente sanzionatorie attraverso  il  ricorso  al
 principio  generale  relativo  al  diritto delle parti a un "giudizio
 equo", espresso dall'art. 6 della  Convenzione  europea  dei  diritti
 dell'uomo (resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848).
    Sulla  base di tali criteri la Corte di cassazione ha interpretato
 anche l'art. 348, secondo comma, c.p.c. -  il  quale  svolge  per  il
 giudizio  di  appello  una  funzione  analoga a quella che l'art. 369
 c.p.c. ha nel  giudizio  di  cassazione  -  nel  senso  di  ammettere
 sostitutivi  al  mancato  inserimento, al momento della costituzione,
 della copia autentica della sentenza di  primo  grado  nel  fascicolo
 dell'appellante.  E,  soprattutto,  sempre  sulla  base  dei medesimi
 criteri, ha esteso l'applicabilita' dell'art. 182 c.p.c. al grado  di
 appello  sia  nel  caso  in  cui  nel  fascicolo depositato non fosse
 compreso l'atto di citazione di  primo  grado  contenente  la  delega
 anche  per il grado successivo, sia nel piu' specifico caso di omesso
 deposito della procura generale alle  liti,  la'  dove  i  poteri  di
 collaborazione  del  giudice  istruttore,  espressamente  previsti in
 funzione di sanatoria della  costituzione  della  parte,  sono  stati
 estesi  per  via  interpretativa,  oltreche'  al collegio (quando non
 abbia provveduto l'istruttore), al giudice di appello (anche in  sede
 collegiale).
    In   definitiva,   conclude   sul   punto   il   giudice   a  quo,
 dall'orientamento  giurisprudenziale  formatosi  su  norme   analoghe
 all'art.  369  c.p.c.  si  deduce  il  principio  consolidato  che le
 declaratorie  di  improcedibilita'  non   possono   avere   carattere
 meramente  sanzionatorio. E, tuttavia, e' parimenti "diritto vivente"
 che, nel caso specifico del mancato deposito della procura  speciale,
 non   e'   possibile   superare   in  via  interpretativa  la  rigida
 letteralita' della disposizione che sanziona  quell'inadempienza  con
 l'improcedibilita'.  Non  puo',  infatti,  farsi  ricorso al criterio
 delle  situazioni  sostitutive,  poiche'  cio'  e'   impedito   dalla
 unilateralita'  (rispetto  alla posizione delle parti nel processo) e
 dalla unicita' della procura  ai  difensori.  Inoltre,  non  si  puo'
 applicare il criterio della utilita' degli atti ai fini del decidere,
 posto che l'esistenza della procura, l'anteriorita' della stessa alla
 notificazione  del  ricorso  e  la  produzione  in  causa  al fine di
 dimostrare  i  poteri  dei  soggetti  muniti dello ius postulandi, e'
 funzione necessaria in causa, soprattutto in un procedimento  civile,
 come  il nostro, improntato essenzialmente all'attivita' di mandatari
 professionali. Ne', infine, e'  consentita  l'applicazione  analogica
 dell'art.  182,  secondo  comma,  c.p.c.,  quantomeno  perche' non e'
 permessa l'attivita' di collaborazione del giudice in presenza di una
 decadenza, che  nella  specie  e'  connessa  alla  perentorieta'  del
 termine   di  deposito  della  procura  speciale  concessa  con  atto
 separato. Per tali motivi la Corte di cassazione ha riconosciuto come
 inderogabile l'adempimento di  depositare  la  procura  speciale  nel
 termine  di venti giorni dalla notificazione del ricorso, finanche in
 giudizi, come quelli elettorali, in cui la parte  potrebbe  stare  in
 giudizio di persona.
    Tuttavia,  osserva  il  giudice a quo, nella fattispecie dell'art.
 369, secondo comma, n. 3, c.p.c., puo' individuarsi  una  discrepanza
 rilevante e, sotto certi aspetti, arbitraria tra le situazioni che si
 intende  tutelare  con la formalita' del deposito della procura entro
 un termine perentorio e il diritto al giudizio il cui esercizio viene
 di fatto precluso con la sanzione dell'improcedibilita',  discrepanza
 che   sembra   incidere   sui   principi   costituzionali   attinenti
 all'esercizio della giurisdizione e alla  tutela  processuale  di  un
 diritto   sostanziale,  riconosciuti  dagli  artt.  24  e  111  della
 Costituzione. Nel  caso  di  specie,  poi,  l'indicata  discrasia  e'
 esaltata dalla notevolissima entita' finanziaria e patrimoniale degli
 interessi  in  gioco,  la  quale  enfatizza  l'arbitrarieta' connessa
 all'incomparabilita' fra la conseguenza della negazione del  giudizio
 di  legittimita',  specificamente  garantito dalla Costituzione, e la
 premessa, rappresentata da un'inadempienza  meramente  formale,  che,
 sul  piano dei valori, cui deve ispirarsi la giurisdizione, non trova
 un riscontro equivalente nella tutela delle parti e  nella  rapidita'
 processuale.
    Secondo   il  giudice  a  quo,  dall'art.  24  della  Costituzione
 (oltreche' dall'art. 111  della  stessa  Carta,  che  rappresenta  un
 rafforzamento   della  garanzia  sancita  dal  primo)  si  deduce  il
 principio che il processo deve concedere le stesse  utilita'  che  si
 sarebbero  potute conseguire attraverso la norma sostanziale. Da tale
 principio deriva sia il corollario che la  garanzia  del  diritto  di
 difesa,  lungi dall'esaurirsi al momento dell'accesso, va configurato
 anche come diritto a ottenere una pronunzia di  merito  nel  rispetto
 della  regola  del  contraddittorio,  sia  il corollario per il quale
 debbono considerarsi eccezionali le ipotesi di violazione delle norme
 rituali  che  precludano  la  conoscenza  del   diritto   sostanziale
 controverso. Attestata su queste posizioni sarebbe, sempre secondo il
 giudice  a  quo,  la  giurisprudenza  della  Corte costituzionale, la
 quale, pur affermando la liberta' del  legislatore  di  atteggiare  i
 mezzi  di tutela del diritto alla difesa in relazione alla protezione
 di altri interessi  costituzionalmente  garantiti,  ha  nello  stesso
 tempo  asserito che non si possono vanificare in sede giurisdizionale
 situazioni riconosciute in sede sostanziale e non si possono  apporre
 ostacoli  all'esercizio dell'azione che si rivelino, per incongruita'
 o non pertinenza, irragionevoli.
    Esposti i principi, il giudice a quo,  nel  valutare  la  funzione
 attribuita al deposito della procura speciale, osserva che questo, al
 pari  del  deposito del ricorso e degli altri atti indicati nell'art.
 369 c.p.c., svolge  una  funzione  sostanzialmente  equivalente  alla
 costituzione  dell'attore  nel  giudizio  di  primo  grado  (art. 165
 c.p.c.) o dell'appellante (art. 347 c.p.c.). Ma, prosegue il  giudice
 a  quo,  la  sanabilita',  se  pure  attraverso  la concessione di un
 termine perentorio da parte del giudice, della  manchevolezza  o  del
 ritardo  del  deposito nei gradi di giudizio da ultimo menzionati (v.
 rispettivamente artt. 182 e 348 c.p.c.), sembra  dimostrare  che  nel
 procedimento  civile  il  termine  normativo per l'espletamento delle
 modalita' di costituzione, ed in  ispecie  per  la  produzione  della
 procura   prima  dell'inizio  dell'attivita'  di  giurisdizione,  pur
 corrispondendo ad un'esigenza di ordine logico sequenziale degli atti
 negli adempimenti di parte e nello svolgimento del processo, non  co-
 incide con la tutela di valori essenziali delle parti.
    Se,  dunque,  la  tutela  inerente  al  termine  di deposito della
 procura non  ha  una  funzione  dissimile  da  quella  relativa  alla
 costituzione   dell'attore  nel  giudizio  di  merito  e  se  non  si
 evidenziano ragioni essenziali a fondamento della  diversa  normativa
 dell'art.  369,  secondo  comma,  n.  3,  c.p.c., allora, conclude il
 giudice  a  quo,  la   distonia   tra   causa   ed   effetto   denota
 l'irragionevolezza della norma impugnata sotto un duplice profilo: a)
 in  riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,  poiche'  crea una
 diversita' di trattamento essenziale e  non  giustificabile,  tra  la
 parte  che adisca il giudice di merito e quella che agisca nella sede
 ultima di legittimita',  che  della  prima  costituisce  l'essenziale
 estensione  e  complemento,  nella  previsione dell'espressa garanzia
 costituzionale contenuta nell'art.  111  della  Costituzione;  b)  in
 riferimento  all'art.  24  della  Costituzione,  poiche', ponendo una
 preclusione  temporale  irrazionale  all'esercizio  del  giudizio  di
 legittimita',  preclude  la  possibilita'  di sanatoria, sia ad opera
 della parte autonomamente, sia  con  l'intervento  collaborativo  del
 giudice.
    Ne'  varrebbe  obiettare, soggiunge il giudice a quo, che i poteri
 di collaborazione sono attribuiti al giudice istruttore e  che  nella
 fase  di  legittimita'  manca  tale  figura,  poiche'  quei poteri in
 quest'ultimo grado di  giudizio  sono  generalmente  riconosciuti  al
 collegio.  Ne',  ancora, potrebbe scorgersi una differenza essenziale
 sul rilievo che  in  sede  di  cassazione  si  richiede  una  procura
 speciale,  quale  manifestazione di una volonta' espressa della parte
 di accedere a quel tipo di giudizio, dal  momento  che  la  questione
 sollevata non verte sul se quel tipo di procura debba esservi e debba
 essere  depositata,  ne'  riguarda  la  congruita'  della  durata del
 termine  previsto,  ma  concerne  soltanto  la   razionalita'   della
 perentorieta'   del   termine  di  deposito  in  comparazione  con  i
 contrapposti interessi. Ne', infine, si potrebbe dire che l'eventuale
 accoglimento della questione sollevata possa finire  per  coinvolgere
 tutti  i termini perentori del codice di rito e la stessa funzione di
 ordine   processuale   che   quei    termini    assolvono,    poiche'
 l'irrazionalita'  della  perentorieta'  va valutata in relazione alle
 singole ipotesi,  attraverso  un'analisi  specifica  e  puntuale  del
 carattere  sanzionatorio o meno del termine, carattere che nella spe-
 cie e' evidenziato  dal  fatto  che  si  colpisce,  non  un'attivita'
 giuridica,   ma  un'attivita'  materiale  (deposito)  del  mandatario
 professionale e dal fatto che si tratta  di  un  adempimento  che,  a
 differenza  di  altri  indicati  nello stesso articolo impugnato, non
 ammette  equipollenti  di  sorta,  impedisce  alle  parti di compiere
 autonomamente un'attivita' di regolarizzazione e alla  Cassazione  di
 dare,  essa  stessa,  un termine (perentorio) per la regolarizzazione
 medesima.
    Da  quest'ultima  circostanza,  conclude  il  giudice  rimettente,
 deriva  la  rilevanza  della questione dalla cui soluzione dipendono,
 alternativamente, l'applicazione della sanzione  di  improcedibilita'
 per la mancata prova del rituale deposito della procura o l'esame del
 merito  del ricorso previa regolarizzazione della situazione ad opera
 della parte spontaneamente ex art. 372 c.p.c. o previa concessione di
 un termine ex art. 182 c.p.c.
    2. - Si e' costituito in giudizio  l'Istituto  Mobiliare  Italiano
 (I.M.I.) per chiedere che la questione sia dichiarata fondata.
    Dopo  aver  ripreso  quanto gia' dichiarato durante la discussione
 orale del giudizio di cassazione circa  la  tempestiva  effettuazione
 del  deposito  della  procura e il presunto smarrimento o sottrazione
 della  stessa  e   dopo   aver   comunque   precisato,   sulla   scia
 dell'ordinanza  di  rimessione,  l'irrilevanza  di  tale  evento  nei
 confronti della questione di costituzionalita' sollevata,  la  difesa
 dell'I.M.I.  ripete  in  sostanza gli argomenti addotti dal giudice a
 quo a  sostegno  dei  propri  dubbi  di  legittimita'  costituzionale
 sull'art. 369, secondo comma, n. 3, c.p.c.. In particolare, la stessa
 difesa  ricorda  come nella disciplina delle giurisdizioni analoghe a
 quelle di cassazione (Tribunali amministrativi  regionali,  Consiglio
 di  Stato,  Corte  dei conti) il deposito della procura, anche quando
 questa sia speciale, non e' prescritto a pena di decadenza e come  la
 stessa  giurisprudenza  costituzionale - segnatamente la sent. n. 588
 del 1988 - ha dichiarato incostituzionale, sotto il profilo dell'art.
 3 della Costituzione, una difformita' della disciplina  sull'incarico
 al  difensore  stabilita  per la cassazione rispetto a quella vigente
 per i giudizi di merito.
    La difesa dell'I.M.I. rileva un ulteriore indice di irrazionalita'
 nel confronto della disciplina impugnata rispetto a quella  stabilita
 dall'art.  375  c.p.c.  per  la  pronuncia  in  Camera  di  consiglio
 dell'inammissibilita' o dell'improcedibilita'. In particolare, mentre
 quest'ultimo articolo prescrive che, in caso di inammissibilita'  del
 ricorso,  questa  deve esser dichiarata in Camera di consiglio previo
 l'esperimento di alcune cautele previste  a  tutela  dei  diritti  di
 difesa  del  ricorrente (notifica delle richieste del p.m. alle parti
 almeno venti giorni prima della  riunione  in  Camera  di  consiglio,
 deposito  di  memorie  difensive  e di documenti ad opera delle parti
 cinque  giorni  prima   della   riunione   stessa),   al   contrario,
 nell'ipotesi  dell'eccezione  di  improcedibilita' prevista dall'art.
 369 c.p.c.,  quelle  cautele  non  sono  applicabili,  tanto  che  al
 ricorrente,  una volta iniziata la discussione (e una volta che, come
 nel caso, l'eccezione di  improcedibilita'  sia  stata  formulata  in
 esito  alla  discussione),  non  e'  consentito  ne'  replicare,  ne'
 produrre documenti, con evidente lesione dei suoi diritti di  difesa.
 Sicche',  se  la  Corte  costituzionale,  con  una  pronunzia di tipo
 riduttivo o sottrattivo, eliminera' una norma nella parte in  cui  ha
 uno  specifico contenuto prescrittivo, si riequilibrera' il complesso
 delle   disposizioni   contenuto   nell'art.    369    c.p.c.,    ora
 restrittivamente interpretato soltanto a proposito del deposito della
 procura  speciale,  e si permettera' al giudice a quo di individuare,
 sulla   base   di  un'interpretazione  lasciata  alla  sua  esclusiva
 competenza, le forme di regolarizzazione da applicare al caso di spe-
 cie.
    3. - Si sono costituiti in giudizio la F.I.N.D. S.r.l. e gli eredi
 dell'ing. Nino Rovelli, tutti controricorrenti nel processo presso la
 Corte di cassazione,  al  fine  di  chiedere  una  decisione  di  non
 fondatezza o una di inammissibilita'.
    Precisato  che  i  dubbi  di  costituzionalita'  sotto  il profilo
 dell'art. 24 della Costituzione si appuntano  sul  preteso  carattere
 irrazionale   della  previsione,  a  pena  di  improcedibilita',  del
 deposito della procura speciale a causa della  sua  natura  meramente
 sanzionatoria  e della conseguente mancanza di qualsiasi possibilita'
 di  regolarizzazione  per   la   parte   o   per   il   giudice,   la
 controricorrente  nel giudizio a quo ritiene di dover contestare tali
 posizioni espresse nell'ordinanza di  rimessione,  a  cominciare  dal
 rilievo  "pre-giuridico" circa l'importanza che si dovrebbe dare, nel
 decidere  la  questione  di  costituzionalita',  all'ingente  importo
 finanziario  di  cui  si  controverte.  Sotto  quest'ultimo  profilo,
 infatti, la parte osserva che le norme processuali  non  possono  non
 avere  valore universale e non possono essere valutate diversamente a
 seconda del soggetto coinvolto nella causa o  del  rilievo  economico
 della controversia.
    Dopo   aver  ricordato  che  nella  giurisprudenza  costituzionale
 costante e' l'affermazione che la disciplina dei termini  rientra  in
 pieno  nella  discrezionalita'  del  legislatore,  al  quale soltanto
 spetta  apprezzare  le   diverse   esigenze   proprie   dei   singoli
 procedimenti  che intende regolare, la medesima parte sottolinea che,
 secondo la stessa giurisprudenza,  l'irrazionalita'  dell'imposizione
 di  un  termine  come  perentorio  dev'esser  valutata  alla luce del
 rilievo che il relativo  onere  finisca  per  rendere  ineffettivo  o
 eccessivamente difficoltoso l'esercizio del diritto di difesa.
    In riferimento a tali parametri, si deve escludere che il deposito
 della   procura  speciale  entro  termini  perentori  costituisca  un
 irragionevole intralcio al diritto di difesa, non corrispondente a un
 fine meritevole di positivo apprezzamento da parte  del  legislatore.
 L'onere    considerato,    infatti,    realizza   il   principio   di
 verificabilita'  degli   assunti   delle   parti,   poiche'   nessuna
 unilaterale  asserzione  del  difensore  di  una  parte  puo'  essere
 sottratta alla verifica del giudice e della controparte relativamente
 alla sua esistenza e alla sua validita'. Irragionevole  e,  pertanto,
 lesiva del diritto di difesa sarebbe, anzi, una previsione contraria,
 la  quale  costringesse  una  delle  parti  in  una posizione di mera
 soggezione  nei  confronti  degli  assunti  dell'altra  parte  o  del
 difensore  di  questa.  Del resto, la stessa ordinanza di rimessione,
 conclude la difesa della F.I.N.D. s.r.l.,  afferma  che  l'onere  del
 deposito  della  procura adempie a una funzione processuale, non solo
 apprezzabile, ma addirittura indefettibile.
    Sotto il  profilo  della  pretesa  violazione  dell'art.  3  della
 Costituzione  -  consistente  nella pretesa disparita' di trattamento
 fra la situazione propria del giudizio di  merito,  dove  l'art.  182
 c.p.c.  ammette  che il giudice istruttore possa assegnare alle parti
 un termine entro il quale depositare la procura che non risulti  gia'
 prodotta, e il giudizio di cassazione, dove non e' previsto un potere
 analogo  del  giudice  -,  la  stessa parte osserva che le situazioni
 poste  a  confronto  non  possono  considerarsi comparabili. Infatti,
 altro e' l'istruttoria nel giudizio di merito, che e'  caratterizzata
 dalla  normale  assenza  di  preclusioni,  altro  e'  il  giudizio di
 legittimita' di fronte alla  Corte  di  cassazione,  nel  quale  sono
 presenti rilevanti elementi di officialita' e che realizza il massimo
 di  concentrazione  processuale,  essendo  destinato  a svolgersi e a
 concludersi in una sola udienza.
    Del resto, conclude la controricorrente nel giudizio a quo, ove si
 ammettesse anche nel giudizio  di  cassazione  un  potere  analogo  a
 quello  previsto  dall'art.  182  c.p.c.,  risulterebbero  violati  i
 principi costituzionali concernenti la posizione  del  giudice  e  il
 corretto  esercizio  della funzione giurisdizionale in un giudizio di
 mera legittimita': se si trattasse di  un  potere  discrezionale,  si
 attribuirebbe  in  sostanza  al  giudice  la  facolta' di determinare
 arbitrariamente la soccombenza; se fosse un atto dovuto,  invece,  si
 verrebbe  ad  attribuire alla parte un abnorme potere ordinatorio del
 processo, potendo questa decidere a suo  piacimento  il  differimento
 dell'udienza   di   discussione   con   il   rimanere   semplicemente
 inadempiente  nei  confronti   degli   oneri   che   il   legislatore
 legittimamente le impone.
    4.  -  Si  e'  costituito  in  giudizio  anche  il  Presidente del
 Consiglio dei ministri per chiedere che la questione  sia  dichiarata
 non fondata ovvero inammissibile per irrilevanza.
    L'Avvocatura  dello  Stato, conferendo alla disposizione impugnata
 una  lettura  diretta  a  far  venir  meno  la  supposta  drasticita'
 dell'art.  369,  secondo  comma,  n. 3, c.p.c., ritiene che non possa
 comunque giungersi a una decisione di accoglimento. Secondo la difesa
 erariale, infatti, la norma  impugnata  va  collocata  in  un  quadro
 sistematico,  la  cui disposizione-base e' data dall'art. 365 c.p.c..
 Quest'ultimo,  nel  prescrivere  a  pena   di   inammissibilita'   la
 sottoscrizione  del ricorso da parte di un avvocato munito di procura
 speciale e nel collegarsi logicamente con il successivo art. 366, che
 dispone, sempre a pena d'inammissibilita', che lo stesso ricorso deve
 contenere l'indicazione della procura  speciale  (ove  conferita  con
 atto  separato),  esprime  la  chiara  volonta' del legislatore a che
 l'impugnazione  di  legittimita'  sia  preceduta  da  un'adeguata   e
 specifica  ponderazione  dell'interessato,  sia  rivelata all'esterno
 attraverso uno speciale conferimento  di  poteri  al  difensore,  sia
 suscettibile  di  verifica  quale  attivita' formale espressiva della
 predetta ponderazione. Rispetto a  tali  esigenze,  l'impugnato  art.
 369,  secondo  comma,  n.  3,  c.p.c. svolge chiaramente una funzione
 complementare o integrativa attraverso  l'allestimento  di  un  mezzo
 (deposito),  che,  se  per  il giudice si pone quale unica via per la
 necessaria previa verifica della sussistenza di una delle  condizioni
 d'ammissibilita'  del  ricorso, nei riguardi della controparte mira a
 rendere piu' agevole e meno dispendiosa la stessa verifica.
    Questi  rilievi,  conclude  l'Avvocatura  dello  Stato,  oltre   a
 spiegare    perche'    l'omesso    deposito    sia   sanzionato   con
 l'improcedibilita' anziche' con l'inammissibilita',  portano  a  dire
 che,  mentre  la  violazione  delle  prescrizioni  poste  dalla norma
 contestata deve esser rilevata soltanto dalla parte  (resistente)  al
 cui  vantaggio quelle prescrizioni sono stabilite, nello stesso tempo
 l'esercizio dei poteri di verifica della Corte di cassazione, essendo
 strumentale  all'accertamento  della  condizione  di   ammissibilita'
 richiesta  dal  citato  art.  365  c.p.c.,  comporta l'applicabilita'
 dell'art. 372  c.p.c.,  il  quale  consentirebbe  il  deposito  anche
 all'udienza di discussione dei documenti attinenti all'ammissibilita'
 del  ricorso.  Di  qui  deriva,  secondo  l'Avvocatura  dello  Stato,
 l'irrilevanza, prima che l'infondatezza, della questione prospettata.
    5. - In prossimita'  della  udienza  hanno  depositato  amplissime
 memorie  tanto  la  difesa  dell'I.M.I.  quanto quella della F.I.N.D.
 s.r.l. e degli eredi Rovelli.
    La prima delle parti ora citate, oltre a  ribadire  e  a  svolgere
 ulteriormente  argomenti  gia'  trattati  nell'atto di costituzione o
 nell'ordinanza di rimessione,  replica,  innanzitutto,  in  relazione
 alla tesi dell'irrilevanza formulata dall'Avvocatura dello Stato, che
 la  ricostruzione  su  cui  quella  tesi  si  basa  e', per un verso,
 smentita  dal  "diritto   vivente"   (per   il   quale   il   difetto
 d'improcedibilita'  del ricorso conseguente all'omesso deposito della
 procura e' rilevabile d'ufficio) e, per altro verso, e'  contraddetta
 dall'interpretazione della disposizione contestata (impossibilita' di
 consentire  sanatorie  per  inadempienza  del deposito della procura)
 posta a  base  della  questione  sollevata.    Quest'ultimo  rilievo,
 osserva  la  difesa  dell'I.M.I.,  chiude  la  via  a  una  pronunzia
 d'inammissibilita' per irrilevanza e conduce, semmai, a una decisione
 d'infondatezza  in   via   interpretativa,   dal   momento   che   la
 giurisprudenza  costituzionale  e' concorde nel ritenere che, ai fini
 dell'accertamento della rilevanza, la  qualificazione  dei  fatti  da
 parte   del   giudice   a   quo   non   e'  censurabile  dalla  Corte
 costituzionale.  Ne',  soggiunge  la  stessa  difesa,   si   potrebbe
 argomentare   l'irrilevanza   della  questione  con  l'argomento  che
 l'accoglimento della stessa non escluderebbe l'onere della  parte  di
 depositare  la  procura prima dell'inizio della discussione. Infatti,
 l'eventuale  incostituzionalita'  della  perentorieta'  del   termine
 aprirebbe  la  via  al potere di regolarizzazione, nel senso che, una
 volta che la Corte costituzionale avesse  deciso  per  l'accoglimento
 della  questione,  la  Corte di cassazione dovrebbe fissare una nuova
 udienza di discussione, prima della quale sara' possibile  effettuare
 la regolarizzazione.
    Sul  merito,  la  difesa  dell'I.M.I.,  a proposito della funzione
 attribuibile al deposito  della  procura,  osserva  che,  consistendo
 questa  nell'agevolare la verifica dei poteri al procuratore, ad essa
 non puo' riconoscersi un'incidenza tale da  giustificare  un  effetto
 cosi' irreversibile, quale l'improcedibilita' del ricorso, tanto piu'
 che  questo  effetto si ricollega ad un'attivita' del difensore e non
 della parte sostanziale. Inoltre, poiche' il deposito  della  procura
 svolge  una funzione accessoria ed eventuale rispetto all'adempimento
 essenziale dell'attestazione degli estremi della procura nel  ricorso
 ad  opera  del  difensore,  si  deve  dire,  ad  avviso  della difesa
 dell'I.M.I., che il deposito assume evidenza  solo  quando  la  parte
 avversa   o   il  giudice  sollevino  dubbi  sull'esistenza  o  sulla
 tempestivita' della presenza,  sicche'  l'indicazione  della  procura
 senza  il deposito della stessa, ove non la si voglia irrazionalmente
 equiparare al  mancato  rilascio  della  stessa,  e'  un  adempimento
 difettoso,  e  percio'  regolarizzabile, e non gia' un inadempimento.
 Circa  la  pretesa  arbitrarieta'  dell'estensione  al  giudizio   di
 cassazione  del  potere  di  regolarizzazione  previsto dall'art. 182
 c.p.c., la  difesa  dell'I.M.I.  afferma,  infine,  che  quest'ultimo
 sarebbe  comunque soggetto ai limiti di ragionevolezza che presiedono
 all'analogo potere riconosciuto ai giudici di merito e che,  in  ogni
 caso,  i  pericoli  adombrati dalla controparte avrebbero un antidoto
 nel potere di verifica  dell'esistenza  della  procura  che  potrebbe
 essere immediatamente esercitato in sede di controricorso.
    Da  ultimo,  la  difesa  dell'I.M.I.  ricorda  che  l'ordinanza di
 rimessione chiede, non una pronunzia additiva, alla quale puo' essere
 opposta la giurisprudenza costituzionale di inammissibilita'  per  la
 pluralita'  delle  soluzioni  possibili,  ma  una pronunzia riduttiva
 diretta a eliminare quella parte dell'art. 369 c.p.c. che commina  la
 sanzione   dell'improcedibilita'  a  fronte  del  mancato  tempestivo
 deposito della procura speciale, eliminazione che darebbe spazio alle
 regole generali del processo che consentono la regolarizzazione.
    6. - La difesa della F.I.N.D. s.r.l. e degli eredi Rovelli,  oltre
 a  ribadire e ad ampliare posizioni e argomenti gia' svolti nell'atto
 di  costituzione,  osserva  che,  in  considerazione  del  fatto  che
 l'ordinanza  di rimessione non contesta che la procura speciale debba
 esservi e debba essere depositata o che la decorrenza del termine sia
 legata a un evento la cui rilevazione imponga  alla  parte  oneri  di
 diligenza  straordinari  (decorrendo  i  venti giorni per il deposito
 dalla notifica del ricorso ad opera  della  stessa  parte),  si  deve
 ritenere  che  il  diritto  di  difesa  garantito  dall'art. 24 della
 Costituzione  non  e'  svuotato  dalla  norma  contestata,   ne'   e'
 sottoposto capricciosamente a un ingiustificato formalismo.
    Se  e'  cosi',  continua  la stessa parte, cio' che l'ordinanza di
 rimessione chiede in effetti alla Corte costituzionale e' di  dettare
 una  nuova  disciplina del giudizio di legittimita', oggi strutturato
 intorno a una disciplina di termini perentori, a favore di un sistema
 dal quale siano banditi i termini perentori, i quali  portano  sempre
 con  se'  l'insidia  di  uno  sbocco processuale, anziche' di merito,
 della   giurisdizione.   Questo    sistema,    tuttavia,    non    e'
 costituzionalmente  imposto, poiche', come la Corte costituzionale ha
 costantemente affermato, spetta al legislatore disciplinare i diversi
 procedimenti  giurisdizionali  con  l'ovvio  limite  che  sia  sempre
 mantenuto  reale  ed  effettivo l'esercizio del diritto di difesa. Ed
 anzi la stessa Corte ha costantemente insegnato sia che  la  garanzia
 stabilita   dall'art.   24   della   Costituzione   non  puo'  essere
 abnormemente dilatata fino al punto di  negare  che  la  legge  possa
 prevedere  termini  perentori,  sia  che  l'adeguatezza  dei  termini
 perentori debba essere commisurata all'entita' degli  oneri  imposti,
 essendo  connaturato  ad  essi  il carattere dell'improrogabilita' ed
 essendo fisiologico l'epilogo processuale della lite, anziche' quello
 di merito, nell'ipotesi dell'inutile spirare dei termini  stessi.  In
 particolare,  sotto  l'ultimo  dei profili indicati, non e' possibile
 ritenere che quegli oneri siano eccessivi, perche'  si  risolvono  in
 attivita'  semplici, quali il deposito del ricorso e degli altri atti
 indicati nell'art. 369 c.p.c., assolte le quali il  ricorrente  (come
 il  controricorrente)  potra'  anche  rimanere inerte, nel senso che,
 assicurato  l'impulso  minimo   di   depositare   tutto   quanto   e'
 strettamente  necessario  alla  decisione,  ogni  ulteriore attivita'
 difensiva costituisce mera facolta' e il giudizio procede, attraverso
 una sola udienza  di  discussione,  fino  alla  decisione,  senza  la
 necessita' di alcun altro intervento delle parti medesime.
    Di qui, continua la stessa difesa, deriva l'infondatezza anche del
 profilo  relativo  all'art. 3 della Costituzione, poiche' il giudizio
 di cassazione, imperniato sul principio di officialita' e  su  quello
 della  concentrazione,  appare non paragonabile al giudizio di merito
 (di  primo  grado  o  d'appello),  nel  quale   vige   il   principio
 dell'assenza  dei  termini e di preclusioni a produrre e a dedurre ed
 e' riconosciuto al giudice, in sede di istruzione,  un  ampio  potere
 collaborativo. Sicche' pretendere di introdurre alcuno degli istituti
 della  "diluizione  processuale" (rinvii, moratorie, condoni, e cosi'
 via) nel diverso, e di per  se'  coerente  e  compatto,  giudizio  di
 legittimita'  per  cassazione,  laddove  la  Corte  non e' chiamata a
 effettuare controlli sull'attivita' di alcun giudice istruttore,  non
 potrebbe non finire per alterare e sconvolgere l'intera fisionomia di
 quest'ultimo  giudizio,  tanto piu' che, una volta che sia ammesso in
 tale giudizio un potere di rinvio a fini di sanatoria delle omissioni
 delle parti, non si vede perche' di questa provvidenza debbano essere
 beneficiari solo quanti hanno omesso il deposito della procura e  non
 quanti  abbiano  omesso il deposito nei termini di legge del ricorso,
 della copia autentica della sentenza e degli altri atti  e  documenti
 indicati  nei  restanti  numeri  dell'art.  369  c.p.c.. Ne' potrebbe
 valere  il  paragone   con   le   altre   esperienze   del   processo
 amministrativo,   poiche'   queste   ultime   -   oltre   ad   essere
 incomparabili, se non altro in  quanto  in  esse  vi  sono  i  poteri
 istruttori  del collegio e le pronunzie interlocutorie in ordine alla
 produzione di atti o documenti necessari  -  sono  univoche  nel  far
 conseguire all'omesso deposito della procura l'inammissibilita' della
 costituzione della parte.
    In  ordine alla ipotizzata applicabilita' dell'art. 372 c.p.c., la
 stessa difesa, nel rilevare che del mancato deposito e'  stato  preso
 atto  mediante la relativa annotazione sul fascicolo di ufficio e nel
 registro del ruolo (come da' conto anche l'ordinanza di  rimessione),
 osserva che il relativo profilo appare inammissibile per irrilevanza,
 poiche'  l'improcedibilita' si e' ormai irretrattabilmente verificata
 con l'udienza di discussione,  non  potendosi  ammettere  un  effetto
 sanante obliquamente derivante dal fatto di aver promosso il presente
 giudizio di costituzionalita' e aver sospeso il giudizio a quo.
    Dopo aver precisato che in concreto la pretesa lesione del diritto
 di  difesa  del  ricorrente  nel  giudizio  a quo, in conseguenza del
 sollevamento  dell'eccezione  di  improcedibilita'  in   esito   alla
 discussione, non ha il minimo fondamento, anche in considerazione del
 fatto  che  il Presidente del collegio ha autorizzato la ricorrente a
 presentare deduzioni al riguardo, consentendo, in deroga all'art. 379
 c.p.c., il deposito di note scritte, la difesa della F.I.N.D.  S.r.l.
 e  degli  eredi  Rovelli procede all'esame della giurisprudenza della
 Corte di cassazione citata nell'ordinanza di  rimessione  addivenendo
 alle  seguenti  conclusioni: a) risulterebbe una consolidata tendenza
 verso il rigoroso rispetto delle  condizioni  di  procedibilita'  del
 ricorso  fissate  dall'art. 369 c.p.c., consentendosi l'omissione del
 deposito soltanto quando gli atti relativi siano ininfluenti  per  la
 decisione   o   siano  gia'  presenti  nel  fascicolo  d'ufficio;  b)
 esisterebbero soltanto alcune pronunce,  peraltro  in  contraddizione
 con  la giurisprudenza prevalente della Corte di cassazione, circa la
 possibilita' di  applicare  la  sanatoria  consentita  dall'art.  372
 c.p.c.  anche  a  proposito  degli  adempimenti  previsti  a  pena di
 improcedibilita',  oltreche'  per   quelli   disposti   a   pena   di
 ammissibilita',  che  sono  i  soli espressamente indicati dal citato
 art. 372; c) sussisterebbe una giurisprudenza nient'affatto  concorde
 anche  in ordine all'applicazione dell'art. 182 c.p.c. nei giudizi di
 merito, poiche' solo alcune pronunzie ne estendono l'applicazione  al
 collegio  di primo e di secondo grado, sul presupposto, pero', che si
 tratti di un intervento sostitutivo in relazione al mancato esercizio
 del potere di collaborazione da parte del giudice istruttore  e  che,
 in  ogni  caso,  siano fatte salve le decadenze e le preclusioni gia'
 verificatesi (come richiede espressamente lo  stesso  art.  182);  d)
 risulterebbe  che  tutti  i  giudizi prevedono preclusioni, ma queste
 sarebbero piu' frequenti e piu' rigorose nei gradi superiori.
    7. -  Durante  la  discussione  orale,  nel  ribadire  le  proprie
 posizioni,  le parti private hanno introdotto nuovi argomenti in rep-
 lica  ad  affermazioni  contenute  nelle  memorie  di   udienza.   In
 particolare,  mentre  la  difesa  dell'I.M.I.  ha  osservato che sono
 esistiti ed esistono sistemi  processuali  basati  su  preclusioni  i
 quali  conoscono  altresi' poteri o facolta' di regolarizzazione o di
 sanatoria in ordine alla costituzione delle parti,  la  difesa  della
 F.I.N.D.  s.r.l.  e  degli eredi Rovelli ha sostenuto, invece, che la
 questione  di  costituzionalita'  in   esame   e'   stata   sollevata
 tardivamente  dalla  Corte  di cassazione, dal momento che, essendosi
 gia'  esaurita  la  discussione  orale  ed  essendosi  dunque  chiusa
 l'udienza,  l'ipotizzata  ripresa  del giudizio sarebbe configurabile
 soltanto come una "riassunzione", vale a dire come una ingiustificata
 fissazione di una nuova udienza.
                        Considerato in diritto
    1. - La Corte di cassazione,  Sezione  prima  civile,  adi'ta  con
 ricorso  dell'Istituto  Mobiliare Italiano avverso una sentenza della
 Corte d'appello di Roma, con la quale era stata confermata in sede di
 rinvio la condanna del ricorrente pronunziata  nei  precedenti  gradi
 del  giudizio  di  merito,  ha  sollevato  questione  di legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 della  Costituzione,
 nei  confronti  dell'art.  369,  secondo  comma,  n. 3, del codice di
 procedura   civile   nella   parte   in   cui   prevede,    a    pena
 d'improcedibilita',  il  deposito  della procura speciale, ove questa
 sia stata conferita con atto separato.
    Il giudice a quo dubita della ragionevolezza della prescrizione di
 un termine perentorio per il deposito  della  procura  speciale,  dal
 momento   che   quella   prescrizione   comporterebbe   una  sanzione
 (preclusione  del  giudizio  sul   merito   della   causa)   ritenuta
 sproporzionata  rispetto  a  un  onere (deposito della procura), che,
 sebbene  sia  legato  da  un  rapporto  di  necessaria  funzionalita'
 rispetto  al processo, consisterebbe pur sempre in una formalita' non
 finalizzata al perseguimento di un interesse connesso con  la  tutela
 di  valori  essenziali ovvero apprezzabili o, comunque, equivalenti a
 quello  sacrificato  con  la  sanzione  dell'improcedibilita'.   Tale
 distonia  tra  causa  ed  effetto,  secondo  lo stesso giudice a quo,
 denoterebbe l'irragionevolezza della norma  impugnata  sia  sotto  il
 profilo  dell'art.  3  della Costituzione, per il fatto che creerebbe
 una disparita' di trattamento tra coloro che adiscono il giudizio  di
 merito  e  coloro che agiscono nella sede del giudizio di cassazione,
 sia sotto il profilo dell'art. 24 della Costituzione,  per  il  fatto
 che, ponendo una preclusione temporale irragionevole allo svolgimento
 del  giudizio  di  cassazione,  impedirebbe  alle  parti di sanare di
 propria  iniziativa  l'eventuale inadempimento del deposito, ai sensi
 dell'art. 372 c.p.c., e non permetterebbe alla Corte di cassazione di
 applicare l'art. 182 c.p.c., il quale conferisce al giudice il potere
 di assegnare  alle  parti  un  termine  per  la  regolarizzazione  di
 eventuali difetti attinenti alla costituzione delle parti stesse.
    2.   -  Definita  nei  termini  ora  precisati,  la  questione  va
 dichiarata inammissibile. Nel delineare i principi informatori  della
 disciplina legislativa della giurisdizione con riferimento ai diritti
 delle  parti, la Costituzione, all'art. 24, riconosce i diritti della
 difesa  come  valori   primari,   che,   in   quanto   tali,   godono
 dell'immediata  garanzia  costituzionale quali diritti inviolabili ai
 sensi dell'art. 2 della medesima Carta fondamentale (v. sentt. nn. 98
 del 1965, 125 del 1979, 18 del 1982, 243 del  1989,  329  del  1992).
 Tuttavia,  i  diritti  della difesa, nei quali va ricompreso anche il
 cosiddetto diritto al giudizio (v., sentt. nn. 220 del 1986, 123  del
 1987),  si  traducono  in specifiche e concrete situazioni giuridiche
 soggettive soltanto a seguito della loro articolazione in  diritti  e
 pretese  attinenti  al  processo  o,  piu'  precisamente, soltanto in
 conseguenza  della  disciplina  legislativa  delle  attivita'  e  dei
 procedimenti  connessi  con l'esercizio della giurisdizione. Per tale
 ragione questa  Corte  ha  costantemente  sottolineato  il  principio
 secondo il quale l'effettiva garanzia dei diritti della difesa riposa
 sull'esercizio,  non irragionevole, dell'ampia potesta' discrezionale
 che il legislatore possiede in relazione all'opera  di  conformazione
 del  processo  (v. sentt. nn. 89 del 1972, 49 del 1979, 100 del 1987,
 82 del 1992, ordd. nn. 37 e 38 del 1988, 517 del 1990).
    In riferimento allo svolgimento di tale discrezionalita' politica,
 questa Corte ha  costantemente  affermato  che  il  legislatore,  ove
 riconosca  la  sussistenza  in  concreto  di  uno specifico interesse
 pubblico che ne giustifichi l'adozione, puo'  legittimamente  imporre
 all'esercizio   di  facolta'  e  di  poteri  processuali  limitazioni
 temporali immutabili e irreversibili, per  il  fatto  che  i  termini
 perentori,  cui  sono connaturali i caratteri dell'improrogabilita' e
 dell'insanabilita', tendono  a  garantire,  oltre  alla  fondamentale
 esigenza  di  giustizia relativa alla celerita' o alla speditezza dei
 processi, un'effettiva parita'  dei  diritti  delle  parti  in  causa
 mediante  il contemperamento dell'esercizio dei rispettivi diritti di
 difesa (v. spec. sent. n. 106 del  1973  e  ord.  n.  900  del  1988,
 nonche' sentt. nn. 138 del 1975 e 63 del 1977).
    Nel  domandare  il  superamento  della  perentorieta'  del termine
 previsto dall'art. 369, secondo comma, n. 3, c.p.c., il giudice a quo
 chiede in sostanza a questa Corte una  pronunzia  di  tipo  additivo,
 comportante  la  possibilita'  di applicare sanatorie al mancato o al
 tardivo deposito della procura speciale,  segnatamente  le  sanatorie
 previste  dall'art.  372  o  dall'art.  182  del  codice di procedura
 civile. Ma una tale  pronunzia  presuppone  che  si  introducano  nel
 processo  di  cassazione  innovazioni  che,  per  la  loro ampiezza e
 significativita'  e  per  l'estrema  molteplicita'  delle   soluzioni
 astrattamente  possibili,  potrebbero  essere  adottate  soltanto dal
 legislatore nell'esercizio dell'ampio potere  ad  esso  spettante  in
 ordine  alla  conformazione  del  processo. In relazione all'art. 372
 c.p.c., il giudice a quo  chiede  una  pronunzia  additiva  vo'lta  a
 introdurre  nell'ordinamento una norma in base alla quale il deposito
 della procura speciale possa avvenire, pur se con  il  vincolo  della
 notifica all'altra parte, in qualsiasi momento del processo anteriore
 all'udienza,  cosi' da render possibile al resistente l'effettuazione
 delle verifiche sulla esistenza e sulla validita'  della  procura  in
 udienza  prima  dell'inizio  della discussione. Con riguardo all'art.
 182 c.p.c., la  richiesta  di  una  pronunzia  additiva  e',  invece,
 diretta  a  modificare  l'ordinamento con l'introduzione di una norma
 secondo la quale il deposito della procura  speciale  potrebbe  esser
 effettuato,  dietro  invito  del giudice, pur dopo che la discussione
 fosse iniziata e, finanche, dopo che l'udienza fosse terminata.
    L'innesto di ambedue le addizioni in un sistema, che e' imperniato
 sulla perentorieta' e sulla legalita' dei termini per il deposito del
 ricorso  e  degli  atti  con  questo  connessi  (al  chiaro  fine  di
 assicurare  che  tutti  gli  elementi  necessari alla decisione siano
 disponibili  per  l'udienza   pubblica,   quando   alle   parti,   in
 contraddittorio fra loro, e' data l'ultima occasione di illustrare le
 rispettive  difese,  prima  della  decisione del collegio), compor ta
 l'introduzione  di  innovazioni  coinvolgenti  scelte  di   carattere
 eminentemente   politico,   riservate   al   solo   legislatore.   In
 particolare, l'inserimento nel giudizio  dicassazione  di  un  potere
 giudiziale  di  collaborazione  e  di  intervento attivo, come quello
 previsto dall'art. 182 c.p.c., esige  che  sia  modificato  l'attuale
 ruolo del giudice dilegittimita' e,inoltre, che siano compiute scelte
 fra  un'estrema  molteplicita'  di  modalita'  di  attuazione (quali,
 adesempio, l'eliminazione dituttele cause di improcedibilita'  ovvero
 la  distinzione fra quelle sanzionate con termine perentorio e quelle
 sanabili, l'adozione del provvedimento  di  sanatoria  in  camera  di
 consiglio  ovvero  in udienza, la fissazione di un termine finale per
 l'esercizio del potere giudiziale di regolarizzazione).
    Quelle richieste dal giudice a quo sono addizioni che non  possono
 essere  considerate  come costituzionalmente imposte e che, pertanto,
 sono necessariamente affidate alla  scelta  pienamente  discrezionale
 del  legislatore.  E,  una  volta che quest'ultimo, nell'esercizio di
 tale discrezionalita', abbia  optato  per  un  sistema  basato  sulla
 perentorieta'  dei  termini per il deposito della procura speciale e,
 in genere, degli atti indicati nell'art. 369 c.p.c.,  l'estensione  a
 quest'ultimo  sistema  di  forme  di  sanatoria  -  tanto  se rimesse
 all'iniziativa autonoma delle parti  (art.  372  c.p.c.),  quanto  se
 dipendenti   dall'intervento  collaborativo  del  giudice  (art.  182
 c.p.c.) - puo' conseguire soltanto a decisioni  che,  per  l'ampiezza
 delle innovazioni comportate e la varieta' delle modalita' attuative,
 sono    riservate   al   potere   legislativo   in   relazione   alla
 discrezionalita' ad esso riconosciuta dalla  Costituzione  in  ordine
 alla conformazione del processo.
    3.  -  Il  giudice  a quo, nell'addurre argomenti a sostegno delle
 proprie  richieste,  espone  anche  una   sua   ricostruzione   della
 giurisprudenza  dilegittimi  ta',  dalla  quale  traspare che, fra le
 previsioni a pe na di improcedibilita' contenutenell'art. 369 c.p.c.,
 soltanto  quella   relativa   al   depositodella   procura   speciale
 riceverebbe,   a   causa   dellanatura   giuridica   di  quest'ultima
 (unilateralita',   unicita'   e    necessarieta'    della    stessa),
 un'interpretazione rigorosa.
    A   parte   i   dubbi   che  si  possono  nutrire  sulla  predetta
 ricostruzione, sta di fatto  che  le  asserite  diverse  applicazioni
 delle  distinte  disposizioni  contenute  nell'art.  369  c.p.c.  non
 suscitano problemi di legittimita' costituzionale. Si tratta, invece,
 di  problemi di interpretazione delle norme di legge ordinaria la cui
 risoluzione spetta alla Corte di cassazione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'inammissibilita'  della   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  369,  secondo  comma,  n. 3, del codice di
 procedura  civile,  nella   parte   in   cui,   prevedendo   a   pena
 d'improcedibilita'  il  deposito  della procura speciale, preclude la
 possibilita' di sanatorie tanto ad opera  della  parte  autonomamente
 quanto  con  l'intervento  collaborativo  del  giudice, sollevata, in
 riferimento agli artt. 3 e 24  della  Costituzione,  dalla  Corte  di
 cassazione,   Sezione  prima  civile,  con  l'ordinanza  indicata  in
 epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 10 novembre 1992.
                       Il Presidente: CORASANITI
                       Il redattore: BALDASSARRE
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 24 novembre 1992.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 92C1294