N. 741 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 giugno 1992
N. 741 Ordinanza emessa il 2 giugno 1992 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Di Bella Franco contro il Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti ed altri Professioni - Ordine dei giornalisti - Procedimento disciplinare - Deliberazione del Consiglio nazionale - Impugnazioni - Organi competenti: tribunale, corte di appello e Corte di cassazione - Procedimento in camera di consiglio - Lamentata violazione del principio di pubblicita' delle udienze. (Legge 3 febbraio 1963, n. 69, art. 64, primo comma). (Cost., art. 101).(GU n.50 del 2-12-1992 )
LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricoro proposto da Di Bella Franco, elettivamente domiciliato in Roma, via Cicerone, 28, presso l'avv. Roberto Aloisio, che lo rappresenta e difende con l'avv. Corso Bovio per procura speciale in calce al ricorso, ricorrente, contro il Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti in persona del suo presidente pro-tempore ing. Guido Guidi, elettivamente domiciliato in Roma, via Paisiello, 55, presso l'avv. prof. Franco Gaetano Scoca, che lo rappresenta e difende per delega a margine del controricorso, controricorrente, e contro il Consiglio regionale dell'ordine dei giornalisti per la Lombardia e proc. gen. presso la corte di appello di Milano, intimati, per la cassazione della sentenza n. 867/90 della corte di appello di Milano del 3 aprile 1990-27 aprile 1990; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 2 giugno 1992 dal consigliere Volpe; E' comparso l'avv. Bovio, difensore del ricorrente, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; E' comparso l'avv. Scala, difensore del resistense, che ha chiesto il rigetto del ricorso; Sentito il p.m., in persona del sostituto procuratore generale dott. Iannelli, che ha concluso per il rigetto del ricorso; RILEVA IN FATTO Con deliberazione del 12 ottobre 1981 il Consiglio regionale dell'ordine dei giornalisti per la Lombardia iniziava d'ufficio, ai sensi dell'art. 48 della legge 3 febbraio 1963, n. 69 (Ordinamento della professione di giornalista), procedimento disciplinare nei confronti del dott. Franco di Bella, gia' direttore del Corriere della Sera, per essere venuto meno, in conseguenza della sua iscrizione alla loggia massonica P2, ai doveri previsti dall'art. 2 di detta legge, e cioe' ai doveri imposti dalla lealta' e dalla buona fede, nonche' al dovere di promuovere la fiducia tra la stampa e i lettori; per essersi reso in tal modo colpevole di un fatto non conforme al decoro e alla dignita' professionale, che comprometteva la propria reputazione e la dignita' dell'Ordine. A conclusione di tale procedimento il Consiglio regionale infliggeva al Di Bella la sanzione della censura con deliberazione del 13 dicembre 1982, la quale veniva ribadita dal Consiglio nazionale con deliberazione del 28 marzo 1985, a sua volta impugnata dal Di Bella, ai sensi dell'art. 63 della legge professionale, innanzi al tribunale di Milano. Rimessa per due volte la causa alla Corte costituzionale, che, con ordinanze nn. 137/1987 e 1096/1988, dichiarava la manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 63, terzo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, il tribunale, con sentenza in data 18-24 luglio 1989, rigettava la domanda. Interponeva appello il Di Bella, ma la corte di appello di Milano, con sentenza del 3-27 aprile 1990, lo rigettava. Ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 65 della legge professionale, il Di Bella sulla base di nove motivi, successivamente illustrati con memoria. Resiste con controricorso il Consiglio nazionale dell'ordine dei giornalisti. Gli altri intimati non si sono costituiti. OSSERVA IN DIRITTO Con il ricorso - in aggiunta alle censure mosse con i motivi d'impugnazione - il Di Bella ripropone le questioni sulla peculiarita' del giudizio disciplinare dei giornalisti che hanno costituito oggetto delle eccezioni di legittimita' costituzionale a suo tempo sollevate, riguardanti l'imparzialita' e l'indipendenza dell'organo giudicante. Su tali questioni - relative all'art. 63, terzo comma, della legge professionale, il quale prevede una particolare composizione sia del tribunale sia della corte di appello nella fase giudiziaria del procedimento in materia disciplinare - non e' il caso di ritornare dopo le ricordate ordinanze della Corte costituzionale, che le ha dichiarate manifestamente infondate. Ma il Di Bella sostiene anche che, non essendo prevista alcuna udienza pubblica ne' dinanzi agli organi amministrativi ne' dinanzi al tribunale prima e alla corte d'appello poi, che infatti, hanno proceduto col rito della camera di consiglio, si verifica un contrasto sia con i principi sanciti dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo, che all'art. 6 pone proprio il principio della pubblicita' delle udienze, sia con quanto recentemente ritenuto dalla Corte costituzionale in tema di pubblicita' delle udienze delle commissioni tributarie con la sentenza 16 febbraio 1989, n. 50. Con la memoria ex art. 378 del c.p.c. il Di Bella insiste sulla portata del principio della pubblicita' delle udienze, attinente all'esercizio corretto della funzione giurisdizionale, e sostiene che la negazione all'incolpato del diritto di assistere alle udienze, verificatasi nel caso di specie, costituendo palese violazione di detto principio, determina la nullita' dell'intero giudizio disciplinare. Ritiene il Collegio rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 64, primo comma, della citata legge 3 febbraio 1963, n. 69, in relazione all'art. 101, primo comma, della Costituzione, limitatamente alla sola azione giudiziaria prevista dall'art. 63 della stessa legge come mezzo di impugnazione o reclamo contro le deliberazioni del Consiglio nazionale dell'ordine in materia disciplinare. Invero, la Corte costituzionale, pur facendo salve possibili eccezioni "in riferimento a determinati procedimenti, quando abbiano obiettiva e razionale giustificazione", ha posto in luce la regola generale della pubblicita' dei dibattimenti giudiziari, da ritenersi implicita nei principi costituzionali che disciplinano l'esercizio della giurisdizione, in base al precetto costituzionale dell'art. 101, primo comma, della Costituzione, trovando fondamento l'amministrazione della giustizia nella sovranita' popolare. Poiche', dunque, in base alla legge 3 febbraio 1963, n. 69, il procedimento in materia disciplinare si articola in due fasi, l'una di carattere amministrativo, innanzi al Consiglio regionale dell'ordine, le cui deliberazioni possono essere impugnate con ricorso al Consiglio nazionale; l'altra, di carattere giudiziario, che e' di competenza del tribunale ordinario, innanzi al quale possono impugnarsi le deliberazioni del consiglio nazionale, con il rimedio ulteriore del ricorso alla corte di appello avverso la sentenza del tribunale, la questione di legittimita' costituzionale, come sopra precisata, si pone solo per la disciplina della seconda fase, per il carattere giurisdizionale di questa. Il primo comma dell'art. 64 della legge professionale dei giornalisti dispone, infatti, che il tribunale e la corte d'appello provvedano, con sentenza, in camera di consiglio, sentiti il pubblico ministero e gli interessati. Non puo', dunque, dirsi privo di rilievo, con riferimento al problema in esame, l'assunto del ricorrente basato sul richiamo alla predetta sentenza della Corte costituzionale e, quindi, alla regola della pubblicita' delle udienze, "la quale, espressione di civilta' giuridica, e' prevista in vari atti internazionali" (tra cui la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, che la prevede all'art. 6, escludendola solo "quando, in speciali circostanze, la pubblicita' potrebbe pregiudicare gli interessi della giustizia"). Si impone, pertanto, la sospensione del giudizio (che non puo' essere definito indipendentemente dalla risoluzione dell'accennata questione), con rimessione degli atti alla Corte costituzionale, affinche' dica se l'art. 64, primo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, nella parte in cui esclude l'applicabilita' dell'art. 128 del c.p.c. (principio della pubblicita' delle udienze) al giudizio innanzi al tribunale e alla corte d'appello in materia disciplinare, sia in contrasto con l'art. 101, primo comma, della Costituzione.
P. Q. M. Sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione della questione di legittimita' costituzionale dell'art. 64, primo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, in relazione all'art. 101, primo comma, della Costituzione; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti ed al pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente del Senato e della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Roma il 2 giugno 1992 nella camera di consiglio della seconda sezione civile della Corte suprema di cassazione. Il presidente: VELA Il cancelliere: D'AMBROSIO 92C1301