N. 70 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 10 dicembre 1992

                                 N. 70
  Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in
        cancelleria il 10 dicembre 1992 (della regione Veneto)
 Impiego pubblico - Impiego regionale - Contratti collettivi - Delega
    al  Governo  -  Previsione  di  strumenti  per  la  rappresentanza
    negoziale della  parte  pubblica  autonoma  ed  obbligatoria,  con
    apposito  organismo  tecnico,  dotato  di  personalita' giuridica,
    sottoposto alla  vigilanza  della  Presidenza  del  Consiglio  dei
    Ministri  -  Possibilita' che tale organismo, al quale partecipano
    le rappresentanze delle regioni  per  la  formazione  dell'accordo
    sindacale  in  sede di contrattazione collettiva, operi unicamente
    "in  conformita'  alle  direttive  impartite  dal  Presidente  del
    Consiglio  dei Ministri" - Asserita indebita invasione della sfera
    di autonomia della regione in materia di ordinamento degli  uffici
    e  di trattamento economico dei relativi impiegati - Richiami alla
    legge  quadro  sul  pubblico  impiego  n.  93/1983,  nonche'  alle
    sentenze  della  Corte  costituzionale  nn.  219/1984,  277/1987 e
    1001/1988.
 (Legge 23 ottobre 1992, n. 421, art. 2, primo comma, punto d)).
 (Cost., artt. 97 e 117).
(GU n.53 del 23-12-1992 )
    Ricorso della regione Veneto nella  persona  del  presidente  pro-
 tempore  della  giunta regionale debitamente autorizzato con delibera
 della giunta n. 6634, del 20 novembre 1992, immediatamente esecutiva,
 rappresentata e difesa giusta mandato a  margine  del  presente  atto
 dagli avvocati prof. Giorgio Orsoni e Romano Morra di Venezia e Fabio
 Lorenzoni   di  Roma,  con  domicilio  eletto  presso  lo  studio  di
 quest'ultimo in via Alessandria, 130 Roma, contro il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri,  in  punto  dichiarazione di illegittimita'
 costituzionale dell'art. 2, primo comma, punto  d),  della  legge  23
 ottobre  1992,  n.  421,  pubblicata  nel  supplemento ordinario alla
 Gazzetta Ufficiale n.  257  del  31  ottobre  1992,  serie  generale,
 contenente  delega al governo per la razionalizzazione e la revisione
 delle discipline in materia di sanita', pubblico impiego,  previdenza
 e finanza territoriale.
                               F A T T O
    Con  legge  di  delega al Governo n. 421 del 23 ottobre 1992, sono
 state dettate norme per la razionalizzazione  e  la  revisione  delle
 discipline  in  materia  di  sanita',  pubblico impiego, previdenza e
 finanza territoriale.
    In particolare,  nell'art.  2  di  detta  legge  al  punto  b)  si
 autorizza, tra l'altro, il Governo a prevedere: " .  strumenti per la
 rappresentanza   negoziale   della   parte   pubblica,   autonoma  ed
 obbligatoria, mediante  un  apposito  organismo  tecnico,  dotato  di
 personalita'  giuridica,  sottoposta  alla vigilanza della Presidenza
 del Consiglio dei Ministri ed operante in conformita' alle  direttive
 impartite dal Presidente del Consiglio dei Ministri".
    La  norma  in  questione,  in sostanza, prevede che l'organismo di
 carattere tecnico e dotato di personalita' giuridica, cui partecipano
 le  rappresentanze  delle  regioni  per  la  formazione  dell'accordo
 sindacale   in   sede  di  contrattazione  collettiva,  puo'  operare
 unicamente "in conformita' alle direttive  impartite  dal  Presidente
 del Consiglio dei Ministri".
    Tale vincolo e' in contrasto con l'art. 117 della Costituzione che
 attribuisce  alle  regioni  la  potesta'  di  emanare, nei limiti dei
 principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, norme legis-
 lative relative agli ordinamenti degli uffici, e con l'art. 97  della
 Costituzione   che  assicura  il  buon  andamento  e  l'imparzialita'
 dell'amministrazione.
    E' percio' che si impugna la norma indicata avanti la Corte ecc.ma
 per la dichiarazione di incostituzionalita' della medesima in  quanto
 in  contrasto  con  l'art.  117  della Costituzione, sulla base delle
 seguenti argomentazioni di
                             D I R I T T O
    Un costantte orientamento della Corte costituzionale manifesta  la
 priorita'   ed   inderogabile  necessita'  di  garantire  l'autonomia
 regionale nelle materie di propria competenza, cui all'art. 117 della
 Costituzione.
    Con sentenza n. 219 del 25 luglio 1984 la Corte  ha  affrontato  i
 problemi  di  costituzionalita'  della  legge n. 93 del 29 marzo 1983
 (legge quadro sul pubblico impiego) dal punto di vista delle garanzie
 di autonomia delle regioni a statuto ordinario.
    In   quella   occasione   e'   stato   affrontato   il    problema
 dell'incompatibilita'  con  il  principio costituzionale di autonomia
 regionale dell'art. 10, ultimo comma, della legge  n.  93/1983  nella
 parte  in cui imponeva alle regioni una perfetta corrispondenza delle
 leggi regionali di recepimento dell'accordo  sindacale  al  contenuto
 dello     stesso,     dichiarando    fondata    la    questione    di
 incostituzionalita'.
    La  norma,  infatti,  non  lasciava  alcuno  spazio  all'autonomia
 regionale  in  sede di formulazione della legge di approvazione degli
 esiti della contrattazione collettiva.
    In  seguito  a  tale  pronuncia  la  disposizione  veniva pertanto
 modificata nel senso indicato dalla Corte costituzionale con legge n.
 426 dell'8 agosto 1985. L'art. 10 cosi' novellato, infatti, fa  salvo
 che,   la   disciplina   contenuta   nell'accordo   e  approvata  con
 provvedimento regionale in conformita' ai singoli orientamenti,  puo'
 essere   oggetto   dei   necessari   adeguamenti   alle  peculiarita'
 dell'ordinamento degli uffici regionali e  degli  enti  pubblici  non
 economici   dipendenti   dalle   regioni   entro   il   limite  delle
 disponibilita' finanziarie all'uopo stanziate nel bilancio regionale.
    L'imposizione,  contenuta  nella  norma  impugnata   all'organismo
 tecnico  di  operare  in  conformita'  alle  direttive  impartite dal
 Presidente del Consiglio dei  Ministri,  in  sede  di  contrattazione
 collettiva,  rirpopone ora una inammissibile ingerenza nell'autonomia
 regionale in materia ad essa devoluta dalla Costituzione.
    La  Corte  costituzionale  ebbe  successivamente  a   pronunciarsi
 confermando,  con  sentenza  n.  1003 del 27 ottobre 1988, il proprio
 precedente orientamento di tutela delle prerogative regionali.
    La stessa dichiarava, infatti, che non spetta allo Stato  recepire
 nel  d.P.R. n. 268 del 13 maggio 1987 le norme dell'accordo sindacale
 stipulato il 28 aprile 1987, per la parte  concernente  il  personale
 delle  regioni e conseguentemente annuallava lo stesso decreto, nella
 parte in cui estendeva la propria efficacia a tale personale.
    La Corte ha voluto, con tale  sentenza,  riaffermare  con  estrema
 incisivita'  che  si  deve  escludere  in ogni caso un intervento del
 Governo o di  altri  organi  che  si  interpongano  tra  gli  accordi
 sindacali ed il provvedimento di approvazione regionale.
    La   Corte  ha  affermato,  infatti,  che  questa  ingerenza  puo'
 condizionare indebitamente la sfera di  autonomia  costituzionalmente
 garantita alle regioni attraverso vincoli di contenuto che un decreto
 presidenziale o un altro atto puo' essere in grado di determinare nei
 confronti del successivo provvedimento regionale.
    Tale  possibilita'  viene  attribuita  dalla  norma  impugnata con
 particolare incisivita'; vista la speciale  prerogativa  riconosciuta
 al  Presidente  del  Consiglio  in  sede di definizione del contenuto
 dell'accordo collettivo.
    Con ulteriori sentenze nn. 217 e 1001 rispettivamente del 3 giugno
 1978 e del 27 ottobre  1988  la  Corte  costituzionale  ha  posto  in
 rilievo  come  l'accordo  collettivo  ha  la  rilevanza di un atto di
 cooperazione fra le parti sociali e le parti  pubbliche  direttamente
 interessate alla disciplina normativa del personale e degli uffici.
    Nell'operare   il  delicato  bilanciamento  delle  forze  e  degli
 interessi in gioco, la legge quadro sul pubblico impiego ha  previsto
 una  serie  di  garanzie  attinenti  alle  condizioni, alle modalita'
 procedurali ed ai tempi degli accordi, nonche' alla formazione  delle
 delegazioni  stipulanti,  affinche'  quegli accordi siano in grado di
 assolvere alla complessa  funzione  politica  e  costituzionale  loro
 demandata.
    La  necessita'  di  realizzare  sia il principio di contrattazione
 colletiva sia il principio dell'autonomia legislativa  delle  regioni
 ha  portato  ad  una procedura in cui ciascuna regione e' legittimata
 dalla legge a partecipare, in piena autonomia,  ad  ambedue  le  fasi
 fondamentali  del  procedimento: sia alla fase contrattuale, mediante
 la presenza di un prorpio rappresentante nella delegazione  di  parte
 pubblica  costituita  per  la  stipula  degli  accordi, sia alla fase
 normativa,  mediante l'approvazione con provvedimento regionale degli
 accordi stipulati.
    La norma di cui all'art. 2, lett. b),  della  legge  n.  421/1992,
 invece,  vuole  condizionare  la legge regionale di recepimento ad un
 previo  procedimento  che  non  e'  di  per  se'  ne'  regionale  ne'
 legislativo.
    Gia'  una  precedente  bozza  di disegno di legge, presentata alla
 camera dei deputati dal competente Ministro, riconosceva un  limitato
 intervento  di  direttiva  al  Presidente  del  Consiglio, compensato
 tuttavia da un altrettanto valido e quanto mai necessario  potere  di
 direttiva  riconosciuto  alle  rappresentanze delle amministrazioni e
 degli enti interessati.
    Tale disegno faceva proprie le pronunce della Corte costituzionale
 in materia e contemperava i diversi poteri di intervento cercando  di
 salvaguardare, almeno in parte, l'autonomia regionale.
    Nell'attuale  legge di delega al governo, invece, ogni garanzia di
 tale autonomia risulta essere vanificata.
    Da ultimo si rileva che  la  legge  quadro  sul  pubblico  impiego
 attribuisce   al   Consiglio  dei  Ministri  solo  ed  unicamente  la
 possibilita' di autorizzare o  meno  la  sottoscrizione  dell'accordo
 conferendo   al  suo  Presidente  una  mera  funzione  "notarile"  di
 rappresentazione dello stesso, sotto forma di decreto, al  Presidente
 della Repubblica per la sua promulgazione.
    L'art. 6 della legge n. 93/1983 prevede, infatti, che l'intervento
 del   Consiglio  dei  Ministri  non  si  estende  alla  procedura  di
 formazione dell'accordo e di definizione del suo contenuto.
    L'attuale legge di delega qui impugnata  attribuisce,  invece,  al
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  un  duplice potere: uno di
 impartire delle direttive vincolanti  e  l'altro  di  intervenire  ed
 ingerirsi durante la formazione dell'accordo collettivo.
    Tale  previsione  si  pone in contrasto con la legge n. 400 del 23
 agosto 1988 contenente la disciplina  dell'attivita'  del  Governo  e
 l'ordinamento  della Presidenza del Consiglio dei Ministri, in quanto
 la stessa non riconosce a tale organo monocratico una  competenza  ad
 emanare direttive vincolanti.
    Vi  e'  inoltre  un  conflitto  con  la  legge quadro sul pubblico
 impiego in quanto la  stessa  escludeva  che  addirittura  lo  stesso
 organo  collegiale  del  Consiglio  dei  Ministri potesse influire in
 qualunque forma sulla libera contrattazione collettiva.
    Si  puo'  pertanto  ravvisare  in  cio'  un  ulteriore  motivo  di
 ingerenza  e  violazione  dell'autonomia  regionale in materia di sua
 esclusiva competenza.
                               P. Q. M.
    Si  chiede  venga   dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale
 dell'art.  2, primo comma, punto b) della legge n. 421 del 23 ottobre
 1992 per contrasto con l'art.  117  della  Costituzione  nonche'  per
 contrasto con l'art. 97 della Costituzione.
    Con ogni conseguenza di legge.
      Venezia-Roma, addi' 27 novembre 1992
                            Fabio LORENZONI

 92C1347