N. 804 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 ottobre 1992
N. 804 Ordinanza emessa il 12 ottobre 1992 dal pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Ernesti Stefano Stupefacenti e sostanze psicotrope - Detenzione di stupefacenti in misura non superiore alla d.m.g. - Sottoposizione obbligatoria del soggetto ad un programma terapeutico socio-riabilitativo - Contrasto con il principio di autodeterminazione in ordine al proprio stato di salute - Applicabilita' di sanzioni comportanti gravi limitazioni alla liberta' personale ed aventi la natura di vera e propria pena criminale - Incidenza sul principio della funzione rieducativa della pena - Irragionevole equiparazione delle differenti categorie di assuntori di stupefacenti (consumatore occasionale, abituale e tossicodipendente) - Prevista applicabilita' di tali sanzioni (di ritenuta natura penale) senza l'osservanza delle garanzie tipiche del processo penale di cognizione - Violazione del diritto di difesa. (D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, artt. 75, nono e dodicesimo comma, e 76). (Cost., artt. 3, 24, 27 e 32).(GU n.3 del 20-1-1993 )
IL PRETORE Ha pronunziato la seguente ordinanza nel procedimento n. 11/1992 a carico di Ernesti Stefano. In data 31 marzo 1992 la procura presso la pretura di Roma trasmetteva segnalazione del prefetto di Roma "per i provvedimenti di cui all'art. 76 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309". Instauratosi procedimento a norma dell'art. 666 del c.p.p., all'udienza camerale, svoltasi in assenza dell'Ernesti, il difensore ha sollevato questioni di legittimita', richiamando l'ordinanza 16 maggio 1992 emessa da altro pretore di questo stesso ufficio. Il p.m. ha chiesto dichiararsi manifestamente infondate le suddette questioni. 1. - Il pretore osserva che dagli atti risulta che la condotta dell'Ernesti integra quella prevista dal primo comma dell'art. 76 del decreto citato e che pertanto, sono applicabili una o piu' delle sanzioni indicate dal medesimo articolo. Pur non condividendo l'impostazione di fondo della citata ordinanza 16 maggio 1992, questo pretore ritiene comunque necessario avanzare alcuni dubbi sulla legittimita' costituzionale della scelta punitiva adottata con l'art. 76 citato. 2. - La scelta della punizione della detenzione a fine d'uso di sostanze stupefacenti nasce dal rifiuto da parte del legislatore del regime di non punibilita' introdotto dalla legge n. 685/1975, che "ha determinato in tutta l'opinione pubblica l'opinione che e' lecito drogarsi" (Vassalli, comm. giustizia e sanita' del Senato, seduta del 4 ottobre 1989) e quindi ha causato l'ulteriore diffusione dell'uso delle droghe. Di qui la necessita' di una normativa che proclami l'illiceita' dell'uso e all'affermazione dell'illiceita' faccia coerentemente seguire una risposta penalizzante finalizzata alla cura ed al recupero del tossicodipendente: "Il collegamento tra dimensione penalizzante-cura-recupero unisce monito a solidarieta' e sconfigge la cultura dell'abbandono e della rassegnazione. Non quindi un solidarismo pietistico ma una solidarieta' responsabilizzante nei confronti della persona" (rel. Artioli seduta congiunta comm. giustizia e affari sociali Camera 1½ febbraio 1990). Nel momento in cui si scopre la detenzione di droga deve scattare, secondo il legislatore, il momento della repressione, creandosi cosi' il contatto tra Stato e tossicodipendente che ha funzione di emenda, di recupero sociale e stende "ponti d'oro" al tossicodipendente disponibile a collaborare ad un progetto terapeutico (rel. Casini comm. giustizia e sanita' Camera, seduta del 20 febbraio 1990). 3. - Il momento punitivo trova quindi origine "storica" nella detenzione di un quantitativo non eccedente la d.m.g., mentre per far scattare le sanzioni in esame sono previste ulteriori condotte da parte dell'assuntore. Il legislatore ha ipotizzato per il "modico" detentore un patto terapeutico disciplinato dall'art. 75 della legge. stup.: il cittadino che non lo rispetti (sia esso assuntore occasionale, abituale o tossicodipendente) e' soggetto ad una o piu' delle nove sanzioni elencate nell'art. 76. Le stesse misure, nella stessa indeterminata quantita', possono colpire chi reiteri uno dei fatti previsti dal comma primo dell'art. 75, dopo essere stato colpito due volte dalle sanzioni amministrative descritte nel medesimo articolo. La mancata distinzione tra: 1) consumatore occasionale (chi si accosti occasionalmente ed eccezionalmente, spinto in genere dal desiderio di emulazione e da curiosita'), 2) consumatore abituale (chi, pur assumendo droga con una certa frequenza, mantiene un autocontrollo sul suo equilibrio fisiopsichico e sul suo status sociale), 3) tossicodipendente (chi, secondo l'Organizzazione mondiale della sanita', si trovi nello stato psichico e talvolta fisico che si caratterizza per modificazioni del comportamento e altre reazioni, tra le quali si osserva una pulsione a prendere il medicamento in modo continuo o periodico, al fine di ritrovare gli effetti psichici e, a volte, ad evitare la sindrome da astinenza) porta a risposte uniformi ed omologanti. Difatti, destinatari di questa dimensione a fine d'uso sono, secondo un'esplicita scelta del legislatore (v. relazione Casoli Condorelli alle Commissioni giustizia e sanita' del Senato), tanto coloro che "si rapportano al fenomeno droga come a un fattore contiguo ma esterno; piu' o meno appetibile, ma controllabile nell'ambito del comune discernimento al pari di qualsiasi altra interessante ma illecita pulsione" (cioe' i tipi sub 1) e 2) sopra riportati, secondo la descrizione fatta dal senatore Azzaretti, seduta comm. giustizia 9 marzo 1989); sia il tossicodipendente, "un soggetto a rischio, incurante della propria salute fisica e psichica e della propria incolumita', ma anche socialmente pericoloso, non solo in termini sanitari. Egli e' un potenziale spacciatore e un potenziale persuasore e istigatore di altri al consumo, perche' il proselitismo lo aiuta psicologicamente a sentirsi meno emarginato e soprattutto gli consente di procurarsi le dosi necessarie per soddisfare il proprio quotidiano bisogno" (questi ultimi giudizi sono stati fatti propri da Vassalli, v. seduta 28 novembre 1989 del Senato). Questa normativa diretta verso differenti destinatari ha, secondo il legislatore, una diversa potenzialita' dissuasiva: "Naturalmente, le sanzioni dispiegano il loro potenziale dissuasivo quasi esclusivamente nei confronti di coloro che non hanno alcun rapporto di dipendenza con la droga e che a questa si rapportano senza apprezzabili compromissioni volitive e intellettive. Pressoche' nullo e' invece tale effetto nei confronti dei tossicodipendenti, totalmente soggiogati all'esigenza pressante ed incessante della droga, i quali, non distolti da questa irresistibile pulsione da ben note drammatiche prospettive, ben difficilmente presteranno maggiore attenzione al messaggio dissuasivo dato da una sanzione penale o amministrativa, che ben poco aggiunge al bagaglio di disperazione che li lascia indifferenti e che non influenza la loro scelta a favore del rifiuto" (relaz. Casoli-Condorelli, p. 11). Nei confronti degli assuntori di sostanze stupefacenti, liberi da compromissioni volitive ed intellettive, il patto terapeutico non e' ipotizzabile in quanto nessuna collaborazione a fini di emenda e di liberazione dalla droga e' concepibile per chi ad essa si sia avvicinato per curiosita' o spirito di emulazione e comunque mantenendo un autocontrollo sulle sue scelte di fondo. Come ben precisa il relatore Casini (seduta Commissioni II e XII della Camera 20 febbraio 1990), costoro sono puniti per un comportamento illecito ben distinto: la reiterazione di una condotta illecita, successiva a un duplice intervento punitivo dell'autorita' amministrativa. Il tossicodipendente-parte del patto terapeutico e' punito per altra condotta: la sua mancata collaborazione, il suo rifiuto a sottoporsi volontariamente al programma terapeutico e socioriabilitativo. Nulla vieta in astratto all'assuntore libero" di chiedere ed accettare di sottoporsi a tale programma: in realta', il patto terapeutico svolgerebbe una funzione "di pena alternativa" rispetto a quelle previste dall'art. 75. 4. - Delineate cosi' le condotte previste e punite dall'art. 76 e i destinatari delle sanzioni, va messa in luce la natura giuridica di queste ultime. Secondo la Corte costituzionale (sentenza n. 333/1991), il legislatore, nel rendere piu' severa la repressione criminale della produzione e traffico illecito di sostanze stupefacenti, riducendo la quantita' non penalmente rilevante, ha effettuato, in considerazione del diverso disvalore della condotta del tossicodipendente o tossicofilo che detiene sostanze per uso personale, dello stato individuale del medesimo e delle aspettative del recupero della sua salute fisiopsichica, una distinzione nell'ambito della detenzione, cosi' da rendere non penalmente sanzionabile il comportamento dell'ultimo anello della catena che dal produttore di droga si snoda fino all'assuntore. Con il "divieto di accumulo" e limitando la quantita' di sostanza che giornalmente il soggetto puo' detenere per uso personale senza incorrere in sanzioni penali, si vuol conseguire il duplice effetto: 1) di ridurre il pericolo che una parte della sostanza detenuta possa essere venduta o ceduta a terzi; 2) indurre la domanda e conseguentemente l'offerta a modellarsi su quantitativi minimi, in modo da costringere lo spaccio a parcellizzarsi al massimo. La legge ha cioe' ridotto la quantita' di sostanza stupefacente che, se detenuta per uso personale, non integra la condotta penalmente sanzionabile, portandola dalla "modica quantita'" - che secondo una consolidata giurisprudenza era identificata con quella destinata ad un certo numero di giorni dal consumatore medio - ad una dose media giornaliera, normativamente predeterminata in misura fissa per ciascun tipo di sostanza. Questa d.m.g. costituisce, secondo la Corte, il criterio distintivo, il discrimine "tra detenzione sanzionata penalmente e detenzione sanzionata sul piano amministrativo". L'esame dei lavori preparatori non puo' non mettere in discussione questa conclusione della Corte in merito alla natura giuridica delle sanzioni ex art. 76. Mentre sulla natura amministrativa delle sanzioni ex art. 75 il legislatore non ha mostrato alcuna incertezza, sulla natura delle sanzioni inflitte dal Pretore molte sono le incertezze emerse nei lavori preparatori, le cui conclusioni non possono essere ignorate. Le sanzioni, pur in presenza di espliciti propositi del Governo di escludere la criminalizzazione del consumo delle sostanze stupefacenti (Min. Russo lervolino, seduta Senato 28 novembre 19989), sono nate con la generale qualifica di penali nel disegno di legge approntato dal comitato ristretto formatosi in Senato e approvato da questo ramo del Parlamento il 6 dicembre 1989. L'art. 15, introduttivo dell'art. 72- bis (sanzioni penali) e dell'art. 72-quater, al primo comma attribuiva al pretore la cognizione "dei reati di cui all'art. 72- bis. Agli artt. 104- bis e 104- ter venivano previste modifiche agli artt. 172 (estinzione delle pene per decorso del tempo) e 157 (prescrizione) del codice penale: il primo mediante l'aggiunta del seguente comma: "le altre pene si estinguono nel termine di cinque anni"; il secondo mediante l'aggiunta delle parole "ovvero pene di altra natura" in tal modo si rendevano applicabili alle nuove sanzioni penali gli istituti dell'estinzione delle pene e dei reati per decorso del tempo. Questa qualifica di penali delle sanzioni applicabili dal Pretore trova un evidente aggancio nella Convenzione di Vienna del 20 dicembre 1988 (v. legge 5 novembre 1990, n. 238, per ratifica ed esecuzione) - richiamata nella relazione Casoli Condorelli - che all'art. 3, par. 2, impegna i contraenti ad adottare le misure necessarie per attribuire natura di reati, qualora l'atto sia commesso intenzionalmente, alla detenzione e all'acquisto di sostanze stupefacenti e psicotrope e alla coltivazione di stupefacenti destinati al consumo personale. Come penali, pertanto, le sanzioni sono presentate al Senato nella relazione Casoli-Condorelli; il rel. Casoli le definiva "sanzioni atipiche" (seduta 16 marzo 1989), mentre il presidente comm. sanita' sen. Zito (23 novembre 1989) precisava che la punibilita' con sanzioni penali o amministrative del consumo della droga e' funzionale al recupero dei soggetti che utilizzano sostanze stupefacenti e alla prevenzione delle tossicodipendenze. Alla Camera, il rel. Casini (seduta comm. II e XII del 1½ febbraio 1990) da' fondo a tutte le sue incertezze nel definire la natura delle misure ex art. 76: "Si puo' certo riflettere a lungo sul proliferare di sanzioni anomale. Quelle che l'art. 72-bis chiama sanzioni penali in altre parti dell'ordinamento sono considerate misure cautelari, di coercizione personale, misure sostitutive della pena o misure di prevenzione. Ma in definitiva, piuttosto che la pulizia dell'architettura, interessa l'effetto pratico e l'anomalia testimonia il giusto tormento del legislatore 'per quadrare il circolo'". Sulla specifica misura della liberta' controllata, nella seduta del 20 febbraio 1990, il relatore, dinanzi alle perplessita' formulabili sull'applicazione in via principale di una misura sostitutiva di sanzione penale, richiama l'applicabilita' in via principale, da parte del giudice, della misura di sicurezza della liberta' vigilata "di contenuto non lontano" dalla prima. Parla poi di illecito penale a proposito di chi continua ad usare droga "nonostante una triplice condanna a sanzioni amministrative"; riconosce la lacuna del disegno di legge, laddove non sceglie "se chiamare alla quarta volta l'illecito delitto o contravvenzione, data l'importanza della dicotomia in ordine agli effetti penali". Tante perplessita' sono sicuramente alla base del mutamento del titolo del suddetto articolo, a seguito dell'approvazione di un emendamento proposto dalle Commissioni. Nella seduta 9 maggio 1990, l'art. 72- bis viene esaminato col nuovo titolo "Provvedimenti dell'autorita' giudiziaria. Sanzioni penali in caso di inosservanza" e il relatore Casini osserva (seduta 10 maggio 1990) che obiettivo della maggioranza non e' quello di prevedere sanzioni o comunque effetti penali, bensi' un ampio ventaglio di sanzioni amministrative, pur se in taluni casi applicate con le garanzie del procedimento giurisdizionale. Scarso coordinamento, in questa transitoria reticenza nel definire penali queste sanzioni, e' ravvisabile: 1) all'art. 76, lett. g), dove, a proposito della misura del sequestro dell'auto dell'assuntore delle sostanze stupefacenti, questi viene indicato come "autore del reato"; 2) all'art. 80, quinto comma, dove e' prevista l'applicazione delle aggravanti specifiche elencate in detto articolo alle "sanzioni previste dall'art. 76". Il mutamento di etichetta non ha comunque posto fine alle incertezze del legislatore nel prosieguo del dibattito parlamentare, che si e' addirittura concluso con un ritorno all'originaria definizione. Le misure dell'art. 76 sono definite: 1) sanzioni penali (rel. Casoli, comm. giustizia e sanita', seduta Senato 22 maggio 990); 2) sanzioni che, in quanto irrogate dal giudice con decreto, presentano un carattere piu' spiccatamente amministrativo (Casoli, ivi 23 maggio 1990); 3) sanzioni appartenenti ad un tertium genus, piu' prossimo a quelle amministrative (rel. Condorelli, ivi 23 maggio 1990); 4) sanzioni atipiche che costituiscono un tertium genus (Sottosegretario Castiglione, ivi 23 maggio 1990); 5) sanzioni penali atipiche, introdotte con legge nell'ordinamento, che acquistano una loro tipicita', risposta concreta ad esigenze nuove derivanti dalla evoluzione dei rapporti sociali, con l'emergere di nuovi tipi di comportamento illecito che necessitano di appropriate risposte (Casoli, ivi 7 giugno 1990). Le incertezze hanno fine con l'autorevole intervento del senatore Marcello Gallo: le misure in questione non possono essere intese come misure di sicurezza, ma anzi vanno inquadrate con chiarezza nella categoria delle pene principali, sia in quanto prescindono da una valutazione in concreto della pericolosita', valutazione che la Corte costituzionale ha ritenuto presupposto indefettibile dell'applicazione delle misure di sicurezza (nel d.d.l. originario, approvato dal Senato il 6 dicembre 1989, al comma secondo era prevista la valutazione da parte del giudice della "pericolosita' dell'imputato"), sia in quanto esse sono determinate con un minimo ed un massimo edittale. "Si deve invece osservare - continua il senatore - che l'uso del termine misure e' dovuto alla peculiarita' di tali pene, le quali vogliono coniugare le esigenze di prevenzione con quelle di recupero sociale del soggetto" (ivi 7 giugno 1990). Permangono difficolta' interpretative dell'art. 72- bis (oggi art. 76) "che ad una prima lettura sembrerebbe consentire un abnorme cumulo di sanzioni, ma la norma puo' essere interpretata ai sensi dell'art. 16 del c.p., secondo i princi'pi generali del sistema penale, che ammette il cumulo di sanzioni penalmente rilevanti purche' le pene principali non siano piu' di due". Queste ultime parole, a partire da "che a una prima lettura" sono state ripetute fedelmente dal relatore Casoli nella seduta 12 giugno 1990, ufficializzando cosi' la fine delle oscillazioni e delle incertezze: le sanzioni ex art. 76 vanno inquadrate nella categoria delle pene principali, di natura penale, applicabili in numero non superiore a due. 5. - Se il problema dell'abnorme cumulo delle sanzioni, accettando l'interpretazione "autentica" del legislatore, puo' dirsi risolto, permangono per l'interprete difficolta' di forte spessore nel verificare la conciliabilita' di tali sanzioni e delle regole procedurali da seguire per la loro applicazione con i princi'pi generali del nostro ordinamento. Innanzitutto e' rimasto senza risposta il quesito circa la natura di delitto o di contravvenzione attribuibile ai comportamenti illeciti ex art. 76, dimostrando cosi' una difettosa applicazione dell'art. 25 cpv., della Costituzione. Appare poi ineludibile il quesito circa l'efficacia educativa e la ragionevolezza di queste sanzioni penali. Richiamando quanto affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 333/1991, il criterio quantitativo (modificato da modica quantita' in d.m.g,) acquista una funzione - piu' che di discrimine fra condotte penalmente sanzionate e condotte non penalmente sanzionate - di soglia all'interno di una piu' vasta incriminazione penale tra sanzioni tradizionali e sanzioni nuove, introdotte per far fronte a nuove esigenze punitive. Viene cosi' a modellarsi una distinzione, riferibile all'assuntore di droghe, tossicodipendente e non (detenzione per consumo immediato e detenzione per consumo differito, ossia l'ipotesi di accumulo), diversa da quella prospettata dalla Corte. Una volta che deve accettarsi, alla luce dei lavori preparatori, che e' volonta' del legislatore punire entrambe le condotte con sanzioni penali, la differenza consiste non nella natura della risposta punitiva, ma nella quantita' di limitazione della liberta' inflitta al cittadino. Se ratio fondamentale dell'ampliamento dell'incriminazione penale nei confronti della detenzione a fine di consumo e' "da ravvisarsi nella valutazione del pericolo di spaccio insito nell'accumulazione di sostanze oltre un dato limite)", questa ratio viene meno laddove la violazione del divieto di accumulo e' "naturalmente" impossibile e inesistente. Una punizione sul piano penale della detenzione per il consumo immediato appare quindi ingiustificata. Detenzione per consumo immediato e detenzione con accumulo "non sono sullo stesso piano, perche' la prima - soprattutto se riferita al tossicodipendente, che e' pressato da urgenti pulsioni che gli derivano dal suo stato di dipendenza - puo' fare insorgere la problematica relativa alla legittimita' costituzionale dell'incriminazione penale del consumo personale" (sentenza n. 333/1991). Tale problematica, in riferimento all'assuntore di sostanze stupefacenti libero da condizionamenti intellettivi e volitivi, va sollevata in relazione all'assenza di qualsiasi intervento sanzionatorio in danno di assuntori di tabacco ed alcolici dall'accertata dannosita' per la salute: la legge reprime soltanto il consumo eccessivo, misurato secondo i limiti della tollerabilita' umana, o meglio reprime gli effetti di tale eccesso, ovverosia l'ubriachezza, e sempre che essa sia manifesta e vi sia flagranza (cfr. art. 688 del c.p.); leciti sono invece l'acquisto, l'accumulo e la vendita di alcolici, salve le necessarie licenze amministrative e con i soli limiti posti a tutela dei minori; cosi' come lecita e' la detenzione di tali sostanze, senza limite alcuno. Quanto ai tabacchi, non esistono divieti ne' per l'acquisto ne' per il possesso ne' per il consumo, salve sempre le regole concernenti la commercializzazione di siffatti prodotti e le limitazioni nell'uso nei locali pubblici. Quanto alla condotta illecita del tossicodipendente va affrontato il tema della ragionevolezza e proporzionalita' delle sanzioni, in relazione alla specifica funzione loro assegnata di prevenzione speciale e di recupero sociale del tossicodipendente. Correttamente si e' parlato, nel corso dei lavori parlamentari, di tentativo di far quadrare il cerchio, "trovando strumenti che segnalino in modo serio il divieto di usare la droga per salvare il maggior numero di giovani non drogati, evitando pero' di ricorrere a misure che siano ulteriormente emarginanti e quindi incapaci di favorire il recupero a carico dei drogati" (rel. Casini seduta 1½ febbraio 1990 comm. II e XII). Ne consegue il quesito: il programma terapeutico e la minaccia di sanzioni in caso di inosservanza rientrano tra le misure idonee al recupero o sono ulteriormente emarginanti nei confronti del tossicodipendente? Innanzitutto, questo programma di recupero che e' calato su un soggetto che non ne ha fatto una libera scelta deve fare i conti con quella corrente di pensiero scientifico, secondo cui "stella polare" della scelta terapeutica nel campo della tossicodipendenza deve essere il consenso della persona. La liberta' e' terapeutica, nel senso che le misure riabilitative non hanno efficacia se non sono spontanee. Indubbiamente, alla luce anche del senso comune, e' problematica la prospettiva di uscita dalla soggezione alla droga attraverso la soggezione ad un programma terapeutico, presentato come alternativo alla soggezione a sanzioni amministrative, prima, penali, poi. A questo punto, vanno richiamate le argomentazioni gia' espresse con l'ordinanza 16 maggio 1992 dal pretore di Roma, in merito al contrasto degli artt. 75 e 76 della legge stup. con l'art. 32 della Costituzione ella parte in cui prevedono che il soggetto, trovato in possesso di droga destinata all'uso personale in quantita' non superiore alla dose media giornaliera, si sottoponga, in alternativa alle sanzioni previste in detti articoli, a programma terapeutico e socio-riabilitativo. E' evidente che offrire la possibilita' di sottoporsi ad un programma di cura, sotto la minaccia di rilevanti sanzioni di natura personale per il caso di violazione del "patto terapeutico" significa nella sostanza imporre o tentare di imporre un trattamento sanitario in contrasto con l'art. 32 richiamato, che cio' consente solo a tutela della salute collettiva. Limitazioni all'autodeterminazione tutelata dall'art. 32 possono venire - come giustamente osservato nella citata ordinanza - solo allorche' l'alterato stato di salute di un soggetto possa costituire pericolo per la salute della collettivita', come nel caso di morbi infettivi o contagiosi: rispetto alla liberta' del singolo diviene allora prevalente l'interesse collettivo a che la malattia del primo non rappresenti un rischio per la salute altrui. Abbiamo gia' visto come destinatario del collegamento dimensione penalizzante-cura- recupero sia, nei piani del legislatore, principalmente il "potenziale spacciatore" "il potenziale persuasore e istigatore di altri al consumo". Questa difesa sociale della criminalita' indotta dalla tossicodipendenza non sembra possa essere realizzata nel nostro ordinamento con trattamenti sanitari obbligatori o comunque limitativi della liberta' di autodeterminazione dei cittadini. Al di la' di questi aspetti di incostituzionalita', va rilevato che il legislatore formula la minaccia di sanzioni con la piena consapevolezza della sua scarsissima efficacia dissuasiva per coloro che "soggiogati dall'esigenza pressante ed incessante della droga, ben difficilmente presteranno attenzione al messaggio dissuasivo dato da una sanzione penale o amministrativa che ben poco aggiunge al bagaglio di disperazione che li lascia indifferenti e che non influ- enza la loro scelta a favore del rifiuto" (rel. Casoli-Condorelli al Senato, gia' cit.). A questo realismo fa eco, nell'altro ramo del Parlamento, quello del relatore Casini, secondo cui le sanzioni del ritiro della patente, del passaporto, dell'obbligo di non allontanarsi dal comune di residenza sono misure di "scarsissima efficacia di dissuasione verso il drogato .. per il tossicodipendente queste sanzioni o che ci siano o che non ci siano non cambia gran che". Aggiunge subito dopo il relatore di maggioranza: "cio' e' vero, pero', se trascuriamo che esse vorrebbero essere il punto di saldatura con il recupero. La loro applicazione implica un contatto con l'autorita' dello Stato, un'opportunita'. Per quanto flebile essa sia non e' da perdere" (sed. 1½ febbraio 1990 comm. II e XII). Questo "punto di saldatura" Stato-tossicodipendente, fatto di coercizione sommata a coercizione, tutto puo' creare tranne che recupero del secondo. Questo articolato sistema di interazione tra strutture sanitarie, apparati di polizia, organi di giustizia penale presenta l'alto rischio di aver effetti nulli e controproducenti nei confronti del tossicodipendente. Questi vedra' aggravarsi il suo isolamento rispetto alle istituzioni di recupero, sostituite e soverchiate da quelle coercitive. Aumentera' il suo stato di solitudine, di sfiducia verso il collettivo, dopo che gli si presenta il sanitario come erogatore di una "pena alternativa" alle misure amministrative e penali, in una ancor piu' disorientante commistione di cure e sanzioni. La scarsa disponibilita' a subire un piano terapeutico non richiesto ma imposto e la inesistente efficacia dissuasiva delle sanzioni atipiche dell'art. 76 sono ben presenti al legislatore, che carica queste ultime di una valenza simbolica e strumentale verso l'unica sanzione che e' ritenuta affidabile per rieducare questi cittadini: il carcere. Sottolinea il rel. Casini che chiunque conosca la realta' delle comunita' terapeutiche sa che tra le poche cose che il tossicodipendente veramente teme vi e' la prigione, per cui, pur non volendo fare l'esaltazione del carcere, non e' da respingere assolutamente l'eventualita' che un tossicodipendente, a favore del quale e' previsto un meccanismo di benefici estremamente vario e articolato, possa scontare "cinque giorni di carcere" (ivi 20 febbraio 1990). Abbiamo quindi una minaccia di sanzioni che, come una scatola cinese, ne contiene un'altra: una prima e' apparente e comunque inficiata dalla convinzione della maggioranza parlamentare della sua inutilita'; la seconda e' reale e le viene accreditata reale efficacia dissuasiva. Operatore sanitario, prefetto, pretore sono portatori quasi inconsapevoli di messaggi di liberazione dalla droga, uniti a messaggi alternativi di limitazione della liberta' personale, la cui principale funzione prevista e' quella non di recuperare il tossicodipendente-consumatore "modico", ma rilegittimarne la detenzione. La detenzione e' presentata come "ultima spiaggia" per il recupero, ma in realta' e' ritenuta l'unica difesa valida contro il potenziale spacciatore-persuasore-istigatore. La solidarieta' responsabilizzante, annunciata dal rel. Artioli, in realta' contiene come esito naturale una responsabilita' penale, sotto piu' profili e con diverso carico afflittivo. Questa progressione sanzionatoria parte dal programma terapeutico non libero, si snoda attraverso blande limitazioni di liberta' per poi concludersi naturalmente nella soluzione finale del carcere, L'effetto disastroso per il tossicodipendente e' freddamente previsto e programmato dal legislatore: alla soggezione alla droga puo' aggiungersi la soggezione al carcere. Data per scontata l'inefficacia educativa delle nuove pene (la cui previsione e' quindi in contrasto con il disposto dell'art. 27, terzo comma, della Costituzione), il legislatore ricorre all'efficacia dissuasiva del carcere. La legittimita' costituzionale di queste sanzioni va anche esaminata alla luce del principio di proporzionalita': secondo un condivisibile orientamento - fatto proprio dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri con la circolare 19 dicembre 1983 "Criteri orientativi per la scelta tra sanzioni penali e sanzioni amministrative" - le finalita' di prevenzione di fatti socialmente ed individualmente dannosi e in genere i prevedibili effetti positivi dell'incriminazione devono essere comparati dal legislatore con il sacrificio imposto ai diritti fondamentali dell'agente (privazione e limitazione della liberta' personale, effetti di stigmatizzazione sociale). Questo principio va ritenuto costituzionalizzato implicitamente per il diritto penale dal terzo comma dell'art. 27 "non potendosi perseguire alcuna azione rieducativa mediante un trattamento sanzionatorio sproporzionato alla gravita' del fatto" (v. circolare pag. II del supplemento ordinario Gazzetta Ufficiale n. 22 del 23 gennaio 1984). Un comportamento trasgressivo verso il patto terapeutico proposto e imposto dalle istituzioni (comportamento che si traduce in un perpetuarsi della soggezione alla droga) non appare di tale gravita' da giustificare una limitazione, prima, e l'annullamento, poi, della liberta' personale. Il trattamento sanzionatorio, per questa sproporzione, non puo' svolgere alcuna funzione rieducativa: un tentativo abortito di liberare un cittadino dalla solitudine della droga e dall'incapacita' di determinarsi liberamente non puo' concludersi con l'estrema stigmatizzazione della sanzione penale, con l'ulteriore limitazione della sua liberta', con l'ulteriore affossamento della sua dignita' personale. Lo Stato puo' e deve ricorrere ad altri strumenti meno dannosi e rieducativi per ovviare a un insuccesso che non riguarda solo il cittadino, ma anche le strutture che hanno partecipato all'inefficace procedura "liberatoria". In conclusione, e' stata predisposta una progressione sanzionatoria di natura penale, programmaticamente inefficace nella sua prima fase (parzialmente limitativa della liberta' personale e comunque sproporzionata alla gravita' della trasgressione) e quindi doppiamente contrastante con il principio ex art. 27, terzo comma, della Costituzione: ancor piu' sproporzionata e diseducativa nella seconda fase di svolta carceraria (quest'ultima e' qui incidentalmente esaminata, anche se non e' immediatamente rilevante la costituzionalita' della norma che la prevede: l'esame in via prospettica del dodicesimo comma dell'art. 76 e' necessario per valutare la complessiva risposta "penalizzante" al consumo "senza accumulo" la reale finalita' assegnatale dal legislatore). 6. - Questi profili di dubbia costituzionalita' delle sanzioni ex art. 76, primo comma, non possono far sottovalutare altri profili di incostituzionalita' legati ad aspetti procedurali: le sanzioni di natura penale - per quanto nuove, quali risposte a nuovi tipi di comportamenti illeciti - non possono non essere applicate con le garanzie tipiche del processo penale di cognizione. Di qui il dubbio sulla costituzionalita' del quinto comma del citato articolo, che rinvia alle forme previste per il procedimento di esecuzione; questo, pur essendo pacificamente giurisdizionale, configura un modello ampiamente semplificato, in cui anche la tutela del contraddittorio risulta di molto attenuata. Il modello ex art. 666 del c.p.p. si svolge secondo linee sommarie adatte a questioni di natura esecutiva e non al diretto accertamento di fatti e di penali responsabilita', per i quali la legge delinea un ben piu' complesso modello, fondato sui caratteri del sistema accusatorio. Cio' significa - salva rinuncia dell'imputato - un dibattimento pubblico ed un contraddittorio per la formazione della prova. Come e' stato osservato in dottrina, oltre alla marcata contrazione del procedimento, che prevede un'udienza in camera di consiglio e l'inappellabilita' della decisione, va notato che l'assunzione di prove "ha luogo senza particolari formalita' anche per quanto concerne la citazione e l'esame dei testimoni e l'espletamento della perizia" (art. 185 att. del c.p.p.). Si puo' quindi concludere nel senso di sollevare il problema dell'incostituzionalita' della previsione, per i soli imputati degli illeciti in questione, di forme procedurali contratte e semplificate all'estremo e assai poco garantite sul piano del diritto alla difesa. La ridotta tutela del diritto di difesa non trova giustificazione nella natura delle sanzioni applicabili, ne' nel carattere "blando" delle limitazioni della liberta' personale che esse comportano. Si tratta pur sempre di limitazioni all'"inviolabile" liberta' personale tutelata dall'art. 13 della Costituzione, sicuramente di peso afflittivo e di carica di stigmatizzazione sociale maggiori rispetto a quelli di sanzioni pecuniarie, inflitte come unica pena per reati "tradizionali", a seguito di regolare processo di cognizione. L'irragionevole contrazione dei diritti di difesa nel procedimento in esame non puo' che comportare un esame da parte del giudice delle leggi della presente disciplina ex art 76, quinto comma, alla luce dei principi ex artt. 3 e 24 della Costituzione. Questi ultimi rilievi, unitamente alle precedenti osservazioni in merito alla violazione dei principi ex artt. 3, 27, terzo comma, 32, secondo comma, della Costituzione, consentono di ritenere superata l'obiezione del p.m. relativa al carattere vincolante per lo Stato italiano della sopra citata convenzione di Vienna del 20 dicembre 1988. Questa, all'art. 3, fa salvi - e non poteva prevedere altrimenti - "i principi costituzionali e i concetti fondamentali" degli ordinamenti giuridici di ciascuna parte della convenzione.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritenuto che ai fini della stessa legge non appaiono manifestamente infondate le questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 76 del d.P.R. n. 309/1990 in relazione agli artt. 3, 24, 27, terzo comma, 32, secondo comma, della Costituzione, e, in relazione all'art. 32, secondo comma, della Costituzione, la questione dell'art. 75, commi 9 - 12, del d.P.R. cit.; che le stesse sono rilevanti ai fini della decisione; Sospende il giudizio in corso; Ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata all'imputato, al difensore, al p.m. in sede nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri; inoltre che la stessa sia comunicata ai Presidenti delle due Camere. Roma, addi' 12 ottobre 1992 Il pretore: BEVERE Il collaboratore di cancelleria: COLAPIETRO 93C0012