N. 26 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 giugno 1992- 20 gennaio 1993
N. 26 Ordinanza emessa il 19 giugno 1992 (pervenuta alla Corte costituzionale il 20 gennaio 1993) dal tribubale amministrativo regionale della Calabria - Catanzaro, sul ricorso proposto da Raffaele Luca contro il prefetto di Catanzaro e, per esso, Ministero dell'interno. Sicurezza pubblica - Autorizzazioni di polizia (nella specie: licenza di porto d'armi) - Concessione - Condizioni - Non concedibilita' a colui che non puo' provare la sua buona condotta - Irragionevole previsione di una presunzione di cattiva condotta non riscontrabile in analoghi procedimenti autorizzatori o concessori - Incidenza sul diritto di difesa risultando difficile per l'interessato, data la genericita' del contenuto della norma impugnata, dare la richiesta prova di buona condotta. (R.D. 18 giugno 1931, n. 773, art. 11, secondo comma, ultima parte). (Cost., artt. 3, 24 e 97).(GU n.5 del 3-2-1993 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 777/1991 r.g., proposto da Raffaele Luca, rappresentanto e difeso dall'avv. Giuseppe Scillia, elettivamente domiciliato in Lamezia Terme, viale dei Mille, 76, contro il prefetto di Catanzaro e, per esso, Ministero dell'interno, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura distretturale dello Stato in Catanzaro, presso la cui sede domicilia per legge, per ottenere l'annullamento del decreto 12 marzo 1991, con il quale il prefetto di Catanzaro ha respinto l'istanza per il rilascio di licenza di porto di pistola avanzata dal ricorrente; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dell'amministrazione intimata; Viste le memorie prodotte dalle parti e gli atti tutti della causa; Uditi alla pubblica udienza del 19 giugno 1992 - relatore il giudice dott. Antonio Vinciguerra - l'avv. Giuseppe Scillia per il ricorrente e l'avvocato dello Stato Giuseppe Malena per l'amministrazioneresistente; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue; F A T T O Il sig. Raffaele Luca ha adito questo tribunale chiedendo l'accoglimento delle conclusioni in epigrafe sintetizzate. Il tribunale, esaminati i motivi di ricorso e le eccezioni di parte avversa, ha rilevato, in sentenza, la conformita' dell'atto impugnato all'art. 11, secondo comma, ultima parte, del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, secondo cui "le autorizzazioni di polizia sono negate. . . . a chi non puo' provare la sua buona condotta". Difatti a fronte di un'accertata querela per lesioni personali proposta contro l'interessato alla chiesta licenza di porto d'armi, costui non da' alcuna prova certa della insussistenza del fatto contestatogli, ovvero della non incidenza di questo sulla sua buona condotta; non potendo valere, in proposito, per le ragioni esposte in sentenza, il certificato del sindaco del comune di residenza e l'estratto del casellario giudiziario esibiti agli atti di causa. D I R I T T O Ritiene il tribunale che l'applicazione del citato art. 11, secondo comma, ultima parte, del r.d. n. 773/1931 sostanzi contrasto con gli artt. 3, 24 e 97, primo comma, della Costituzione e ne derivi, pertanto, una questione d'illegittimita' della norma da sottoporre al giudizio della Corte costituzionale, in quanto rilevante e non manifestamente infondata. Rilevante perche', per quanto evidenziato in separata sentenza, il riferimento implicito all'art. 11 cit. sembra essere la sola ragione di legittimita' del provvedimento impugnato, determinante, dunque, all'esame nel merito dell'impugnativa, la soccombenza della parte ricorrente. La questione, poi, si presenta non manifestamente infondata in primo luogo in ordine all'art. 3 della Costituzione. La garanzia di pari dignita' riconosciuta dalla norma a tutti i cittadini dovrebbe consentire agli interessati, quale necessaria conseguenza, l'accesso ad attivita' subordinate ad assenso della pubblica autorita', previo accertamento dei requisiti di legge. Tuttavia l'art. 11, secondo comma, cit., nell'esigere da coloro che richiedono autorizzazioni di polizia una generica prova di buona condotta, solo in apparenza rispettta la logica costituzionale, mentre grava, in realta', i soggetti richiedenti di una presunzione di cattiva condotta che non trova riscontro in diversi e analoghi procedimenti autorizzatori o concessori, nei quali la preventiva specificazione delle circostanze ostative al rilascio dei provvedimenti domandati o al prosieguo delle attivita' gia' permesse esclude che l'amministrato venga fatto carico dell'onere di provare una qualita' soggettiva che, proprio in ragione del principio di pari dignita' di tutti consociati, dovrebbe invece essere ritenuta sussistente fino a prova contraria. La difformita' del precetto dell'art. 3 della Costituzione rileva anche qualora - rifuggendo dalla pura letteralita' della norma che giustificherebbe il diniego del provvedimento richiesto anche a fronte della sola inerzia dell'amministrato in ordine alla prova di buona condotta - si interpreti l'art. 11, secondo comma, cit., nel senso che l'onere probatorio del requisito di buona condotta ricada sull'interessato solo in presenza di indizi contrari riscontrati dall'amministrazione si sicurezza pubblica (come la semplice denuncia o querela per fatti costituenti reato, ancorche' non abbiano dato luogo ad un processo penale o non siano, comunque, diversamente accertati). L'evidente contraddittorieta' tra la predetta presunzione di cattiva condotta - nascente dall'applicazione dell'art. 11 cit. - e il riconoscimento di pari dignita' per tutti i consociati impedisce che la norma del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza venga giustificata dal peculiare interesse pubblico connesso, rafforzato dalla necessita' di evitare abusi delle attivita' da autorizzare; altresi' considerando che questo potrebbe essere comunque garantito conservando all'autorita' deliberante ampia potesta' di determinazione, pur entro limiti predefiniti, e consentendo le pre- ventive e necessarie indagini sulla condotta dei richiedenti. Un ulteriore profilo d'incostituzionalita' della norma e' dato dal contrasto tra essa e l'art. 24 della Costituzione. Come il giudice costituzionale ha avuto occasione di rilevare (Corte costituzionale 9 luglio 1974, n. 214; 22 dicembre 1989, n. 568) il principio del diritto alla difesa e' violato da leggi che ne rendano l'esercizio impossibile o estremamente difficile. In specie e' l'eccessiva genericita' del contenuto precettivo dell'art. 11, secondo comma, ultima parte, cit. a vanificare o comunque rendere ardua, nel giudizio avverso il provvedimento che nega l'autorizzazione di polizia richiesta, la prova della propria buona condotta da parte dell'interessato, in quanto spesso rende necessari all'uopo - come nel caso, a fronte di querele o denunce di reato riscontrate dall'autorita' di pubblica sicurezza - poteri d'indagine che non sono pertinenti al contenzioso instauro. In ultima ma non deteriore analisi deve osservarsi che non potrebbe sfuggire a rilievi d'incostituzionalita' anche una lettura della norma in argomento che sia la piu' favorevole all'amministrato - per quanto contraria al testo - e che ponga a carico dell'amministrazione la prova della buona condotta necessaria al rilascio delle autorizzazioni di polizia. Infatti, non avendo il legislatore provveduto a delimitare la clausola generale di buona condotta espressa dall'art. 11 cit., la ricerca ad opera della pubblica autorita' dei comportamenti difformi resterebbe libera di addentrarsi nel metagiuridico e di riflettere, in conseguenza, le opinioni personali e l'esperienza sociale dei titolari della potestas decidendi, dando cosi' spazio alla elusione dei principi di legalita' e d'imparzialita' cui, ai sensi dell'art. 97, primo comma, della Costituzione - poiche' non sembra esaustiva e logica l'interpretazione che ne riferisca il precetto al solo momento organizzativo dell'apparato pubblico -, deve ispirarsi l'azione amministrativa a garanzia di obiettivita'.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, 23 e seguenti della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 87, dispone, sospeso il giudizio, l'immediata trasmissione degli atti di causa, previa formazione di loro copia autentica integrale da conservarsi presso il locale archivio, alla Corte costituzionale per la decisione della questione, meglio precisata in parte motiva, di legittimita' costituzionale dell'art. 11, secondo comma, ultima parte, del r.d. 18 giugno 1931, n. 773, per le parole "le autorizzazioni di polizia sono negate a chi non puo' provare la sua buona condotta", in relazione agli artt. 3, 24 e 97, primo comma, della Costituzione; Manda alla segreteria di curare la notizia della presente ordinanza al presidente del Consiglio dei Ministri e alle parti, nonche' di provvedere a comunicarla ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati. Cosi' deciso in Catanzaro, nella camera di consiglio del 19 giugno 1992. Il presidente: BOZZI 93C0058