N. 27 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 luglio 1992- 20 gennaio 1993

                                 N. 27
 Ordinanza   emessa   il   14   luglio   1992  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il  20  gennaio  1993)  dal  tribunale  amministrativo
 regionale  della  Calabria - Catanzaro, sul ricorso proposto da Tursi
 Prato Giuseppe contro la Presidenza del  Consiglio  dei  Ministri  ed
 altri.
 Elezioni  -  Sospensione  dalle  cariche  pubbliche  elettive  (nella
 fattispecie dalla  carica  di  consigliere  regionale)  dei  soggetti
 condannati  a  seguito  di  sentenza  penale anche non definitiva per
 determinati reati indicati nella norma impugnata - Mancata previsione
 di una distinzione fra condanne penali  per  reato  tentato  e  reato
 consumato  -  Ingiustificato  eguale  trattamento  di  fattispecie di
 diversa gravita'.
 (Legge 19 marzo 1990, n. 55,  art.  15,  modificato  dalla  legge  18
 gennaio 1992, n. 16, art. 1, primo comma, lett. b) e comma 4-bis).
 (Cost., art. 3).
(GU n.5 del 3-2-1993 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la seguente ordinanza sul ricorso n. 1377 del 1992
 proposto da Tursi Prato Giuseppe, rappresentato  e  difeso  dall'avv.
 Mauro  Leporace,  unitamente al quale e' elettivamente domiciliato in
 Catanzaro, alla via Citriniti n. 5, presso  l'avv.  Antonio  Pallone;
 contro:  la  Presidenza  del  Consiglio  dei Ministri, in persona del
 presidente in carica;  il  Ministero  dell'interno,  in  persona  del
 Ministro pro-tempore; il Ministero per le riforme istituzionali e gli
 affari generali, in persona del Ministro pro-tempore; rappresentati e
 difesi  dall'avvocatura  distrettuale  dello  Stato di Catanzaro, per
 l'annullamento - previa sospensione - del decreto del Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  in  data  10  giugno 1992, pubblicato sulla
 Gazzetta Ufficiale del 12 giugno 1992, con il quale e' stata disposta
 la sospensione del  ricorrente  dalla  carica  di  consigliere  della
 regione  Calabria, nonche' per l'annullamento degli atti presupposti,
 connessi e conseguenti;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni in-
 timate;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle  rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti delle causa;
    Relatore  alla  camera  di  consiglio  del 14 luglio 1992 il dott.
 Roberto Politi; uditi, altresi', l'avv. Leporace per il ricorrente  e
 l'avv. dello Stato Malena per le amministrazioni resistenti;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Espone  il  ricorrente  di  essere  stato eletto consigliere della
 regione Calabria a seguito delle consultazioni  tenutesi  nel  giugno
 1990.
    Condannato con sentenza del tribunale di Cosenza alla pena di anni
 due e mesi otto di reclusione per il reato di tentata concussione, il
 medesimo  interponeva  appello  avverso tale pronunzia con atto del 5
 marzo 1992: il relativo procedimento risulta tuttora pendente.
    Avverso  l'impugnato  provvedimento  -  che  ne  ha  disposto   la
 sospensione dalla ricoperta carica elettiva in applicazione dell'art.
 15,  commi 1, lett. b), 4- bis e 4- ter della legge 19 marzo 1990, n.
 55, come modificata ed integrata dalla legge 18 gennaio 1992, n. 16 -
 deduce i profili di illegittimita' di seguito esposti:
    Violazione e/o falsa applicazione dell'art. 15, commi 1, lett. b),
 4- bis e 4- ter della legge 19 marzo 1990, n. 55, come modificata  ed
 integrata dall'art. 1 dalla legge 18 gennaio 1992, n. 16.
    Le  norme  richiamate  consentono  al Presidente del Consiglio dei
 Ministri di disporre  la  sospensione  dalla  carica  di  consigliere
 regionale  di  coloro  che  abbiano riportato una condanna, anche non
 definitiva, per determinati delitti (tra i quali, la concussione).
    Da tale fattispecie differirebbe pero' il tentativo di concussione
 che, risultando dalla combinazione delle  ipotesi  normative  di  cui
 agli  artt.  56  e  317  del c.p. non puo' essere assimilato al reato
 consumato: dalla mancata previsione dei casi di reato tentato in seno
 all'applicabile (e richiamato) testo di legge il ricorrente deducendo
 conseguentemente l'inapplicabilita' della ricordata sospensione dalla
 rivestita carica pubblica elettiva.
    Sotto  il  profilo  giuridico,  la  dedotta   affermazione   viene
 asservata  affermandosi che il tentativo di concussione ( ex artt. 56
 e 317 del c.p.) integra figura  diversa  ed  autonoma  rispetto  alla
 concussione  consumata  (  ex  art.  317  del  c.p.):  per  l'effetto
 denunziandosi l'illegittimita' di un  provvedimento  -  quale  quello
 impugnato  -  che  ha  applicato  una  misura  di  indubbio carattere
 afflittivo al di fuori delle ipotesi da  esso  espressamente  recate,
 con conseguente violazione del principio di tassativita'.
    Il  ricorrente  conclude  per  l'accoglimento  del  ricorso  ed il
 conseguente  annullamento  dell'atto  impugnato,  del   quale   viene
 altresi' chiesta in via incidentale la sospensione dell'esecuzione.
    Costituitasi   in   giudizio   per  le  intimate  amministrazioni,
 l'avvocatura     dello     Stato     eccepisce     l'inammissibilita'
 dell'impugnativa  (in  quanto  rivolta  contro  un atto asseritamente
 politico), comunque deducendone l'infondatezza nel merito.
    Delibata alla camera di consiglio del 14 luglio 1992  la  proposta
 istanza   cautelare,   il   collegio   ha   disposto  la  sospensione
 dell'esecuzione dell'impugnato decreto - giusta ordinanza n. 716/1992
 in pari  data  -  fino  alla  camera  di  consiglio  successiva  alla
 restituzione  degli  atti  da  parte  della  Corte  costituzionale, a
 seguito della decisione dell'incidente di costituzionalita' sollevato
 con la presente ordinanza.
                             D I R I T T O
    Dubita il collegio della legittimita' costituzionale delle  norme,
 applicabili  al  giudizio in esame, di cui all'art. 1, commi 1, lett.
 b) e 4-bis, della legge 18 gennaio 1992, n. 16, che ha sostituito  le
 previsioni  di  cui all'art. 15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, per
 l'effetto  determinando  di rimettere d'ufficio all'esame della Corte
 costituzionale,  in  applicazione   degli   artt.   1   della   legge
 costituzionale  9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953,
 n. 87, la valutazione della relativa questione.
    1. - L'art. 1 della legge  n.  16/1992  sancisce  al  primo  comma
 l'impossibilita' di essere candidati alle elezioni amministrative - e
 comunque di ricoprire talune cariche elettive, fra le quali quella di
 consigliere  regionale, rilevante nel caso di specie - per coloro che
 abbiano riportato condanna penale, anche non definitiva, per  delitti
 fra i quali e' ricompresa la fattispecie di cui all'art. 317 del c.p.
 (concussione); statuendosi al successivo comma 4- bis che, ove alcuna
 delle  condizioni  di cui al primo comma intervenga dopo l'elezione o
 la nomina, essa "comporta l'immediata sospensione dalle cariche sopra
 indicate".
    Tale misura  -  nella  fattispecie  applicata  nei  confronti  del
 ricorrente  con  l'impugnato decreto del Presidente del Consiglio dei
 Ministri  in  data  10  giugno  1992  -  appare  rivestire  carattere
 interinale  e  cautelare, anche alla luce del disposto del successivo
 comma  4-quinquies,  che  consente  la  pronunzia  di  decadenza  del
 pubblico  amministratore  dalla  data di passaggio in giudicato della
 sentenza di condanna (o  da  quella  in  cui  divenga  definitivo  il
 provvedimento di applicazione di una misura di prevenzione).
   2.  -  Premesso  il  quadro normativo di riferimento, va rammentato
 come nella fattispecie in esame il potere di sospensione riconosciuto
 dalla legge sia stato applicato a fronte di  una  condanna  (resa  in
 primo  grado)  per  il  reato  di  tentata  concussione  o,  all'uopo
 svolgendosi  le  censure  dedotte  dalla   parte   ricorrente   circa
 l'asserita  illegittimita'  dell'operata equiparazione tra l'espressa
 ipotesi, risultante dalla norma ex art. 1 cit., della  concussione  (
 ex  art.  317  del  c.p.)  e  quella  del  tentativo  di  concussione
 configurabile alla stregua del combinato disposto di cui  agli  artt.
 56   e  317  del  c.p.):  per  la  quale  ultima  si  assume  la  non
 assimilabilita' alla prima sotto il profilo giuridico ed  ontologico,
 con  conseguente  lamentata violazione del principio di tassativita',
 che  presidierebbe  la  concreta  operativita'   delle   prescrizioni
 sanzionatorie, quale appunto quella in esame.
    Riveste dunque il carattere di fondamentale snodo logico-giuridico
 la   comprensione   dell'esatta   portata   applicativa  della  norma
 dall'amministrazione    invocata     a     sostegno     dell'adottata
 determinazione,  con  particolare riferimento alla problematica della
 interpretabilita' - o meno - delle fattispecie criminose previste dal
 legislatore  non  soltanto  con  riguardo  alle  ipotesi   di   reato
 consumeto, bensi' anche a quelle di tentativo.
    3.  -  Un  primo  dato  dal  quale  il  collegio non ritiene possa
 prescindersi in sede di interpretazione  normativa  e'  rappresentato
 dal tenore letterale della norma de qua: al riguardo rilevandosi come
 alla elencazione dei riferimenti codicistici recanti l'individuazione
 delle  figurae  criminis  per  le  quali  il  legislatore ha ritenuto
 applicabile, anche al ricorrere di una sentenza  penale  di  condanna
 non   definitiva,   la  misura  sospensiva  sopra  ricordata  sub.  1
 (indicazione della cui tassativita' non e' lecito dubitare, atteso il
 chiaro carattere di illegittimita' costituzionale di una  previsione,
 indubbiamente  afflittiva,  che  si  rivelasse "aperta" ad operazioni
 ermeneutiche  di carattere estensivo o, ancor peggio, analogico), sia
 del  tutto  estranea  la  esplicitazione  del  "tentativo"  (e  della
 relativa coordinata normativa, rappresentata dall'art. 56 del c.p.).
    Il  collegio  e',  al  riguardo,  ben consapevole della intrinseca
 fragilita' argomentativa rappresentata da un iter  logico  unicamente
 svolgentesi   attorno   al   rilevato  dato  testuale  della  mancata
 previsione, fra le ipotesi "sanzionabili" con  la  sospensione  dalla
 (ricoperta)  carica  elettiva, del tentativo (accanto alla menzionata
 consumazione), relativamente ai reati  elencati  alla  lett.  b)  del
 primo  comma dell'art. 1 della legge n. 16/1992: il relativo percorso
 potendo condurre, peraltro, alla  (sola)  eventuale  declaratoria  di
 illegittimita'  del  decreto  presidenziale  all'esame  e  giammai al
 dubbio di legittimita' costituzionale  che  il  tribunale  remittente
 intende invece sollevare.
    Al  contrario,  e'  proprio  la  letterale  non  riscontrabilita',
 accanto alle figure  che  rappresentano  lo  stadio  consumativo  del
 reato, anche delle fattispecie di tentativo, a far ritenere possibile
 (e,  nel  caso  in esame, a valutare come positivamente realizzatasi)
 un'operazione di "apertura"  del  contenuto  della  norma,  idonea  a
 ricomprendervi anche le fattispecie criminose non perfezionatesi: con
 conseguente    omogenea   irrogabilita'   della   misura   afflittiva
 (sospensione dalla carica elettiva) a fronte  di  presupposti  penali
 (sia pur di accertata consistenza, ma pur sempre) di diversa gravita'
 (non  necessita  certo,  al  riguardo  il  riferimento  all'attenuata
 sanzionabilita' del tentativo di reato, giusta le indicazioni di  cui
 all'art.  56  del  c.p.),  alla  quale  accederebbe la violazione del
 fontamentale principio  di  eguaglianza,  sancito  all'art.  3  della
 Costituzione.
    4. - Nella delibazione dell'incidente di costituzionalita', che il
 tribunale  intende  proporre  con  la  presente  ordinanza, non si e'
 potuta pretermettere la dovuta considerazione per  le  argomentazioni
 svolte  dalla  adunanza plenaria del Consiglio di Stato nel rimettere
 alla Corte costituzionale (ordinanza n. 15 del  29  giugno  1984)  la
 questione  di legittimita' dell'art. 85, lett. A), parte seconda, del
 d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, nella parte  in  cui  era  prevista  la
 destituzione  del  pubblico  dipendente a seguito di condanna in sede
 penale, senza distinguere a seconda che si fosse trattato di condanna
 per un delitto tentato o consumato.
    Pur nella consapevolezza, per altro gia' manifestata dall'adunanza
 plenaria,  circa  un  rilevabile  orientamento   della   magistratura
 amministrativa volto a svalutare, nella sostanza, la differenziazione
 - pure codicisticamente sancita - tra reato consumato e tentativo, in
 relazione  al  disvalore  sociale  comunque  configurato  da  un iter
 criminis non compiutamente svolto e dalla compromissione in ogni caso
 rappresentata per i principi di imparzialita' e buon andamento  della
 p.a.  dalla  prosecuzione  del  rapporto  di  impiego con un soggetto
 resosi responsabile penalmente, vanno ribadite le perplessita' a  suo
 tempo manifestate dal giudice remittente, che nella fattispecie ancor
 piu'  risaltano alla luce delle ricadute applicative della norma - ex
 legge n. 16/1992 - all'esame.
    4.1. - Nel richiamare l'accenno, di  cui  supra  (  sub  3),  alla
 diminuita  pena  per  il  reato  tentato prevista rispetto al delitto
 consumato,  va  in  questa  sede  ribadita  la   configurazione   del
 (tentativo)   in  termini  di  alterita'  rispetto  alle  fattispecie
 criminose  (ordinariamente  previste  in  una  logica  di  necessario
 perfezionamento della  figura  penalmente  rilevante)  rispetto  alle
 quali,  di  volta in volta "aderendo" la norma ex art. 56 del c.p. (e
 per l'effetto venendosi a delineare un'ipotesi complessa,  risultante
 dalla  combinazione  di  distinte  previsioni,  dalla quale il reato,
 originariamente previsto come "perfetto" viene ad essere  "diminuito"
 in  relazione a piu' o meno accentuati stadi di mancata realizzazione
 di almeno taluno degli elementi configurati dal  legislatore),  viene
 appunto  ad  assurgere  giuridico  rilievo  -  e  concreta attitudine
 sanzionatoria - la fattispecie del delitto tentato.
    Pur   senza   voler   richiamare   l'elaborazione   dottrinale   e
 giurisprudenziale  -  ben  nota  peraltro  a  codesta  Corte - che ha
 reiteramente avvalorato la "novita'" ed "autonomia" rappresentate dal
 reato "tentato" rispetto al reato "perfetto" (sia in  relazione  alla
 diversa,  e  minore  pena  applicabile  al  primo,  che al necessario
 concorso normativo per la  stessa  giuridica  configurabilita'  delle
 ipotesi  di  "tentativo"),  va comunque soggiunto come la punibilita'
 stessa del delitto  tentato  non  possa  comprendersi  disgiuntamente
 dalla  volonta' del legislatore di reprimere comportamenti che, lungi
 dal   rappresentare   una   fattispecie   direttamente   lesiva   per
 l'ordinamento  (in  quanto  il  relativo  perfezionamento si sostanzi
 nella vulnerazione di  interessi  protetti),  si  configurano  invece
 quali  evidenze  di  mero  pericolo  (e,  quindi,  di sola accentuata
 probabilita'  di  attitudine  lesiva),  senza  che  si  sia  ritenuta
 necessaria  (ai  fini della irrogazione di una pur attenuata pena) la
 ricorrenza di quell'evento (trasformazione della realta'  conseguente
 a  comportamenti  penalmente  rilevante)  che  pienamente  integra la
 consumazione del reato.
    Tale ragionamento - e, con esso, la  evidente  distinguibilita'  a
 livello   stesso   di   allarme  o  danno  sociale  riveniente  dalla
 commissione  di  fattispecie  delittuose  -  necessariamente   induce
 l'esigenza   di   differenziazione  del  reato  consumato  da  quello
 (semplicemente)   tentato:   laddove   tale   necessita'   e'   stata
 evidentemente  ritenuta  dal  legislatore  penale  (che  ha,  appunto
 disciplinato  una  norma  di  carattere  generale,  quale  l'art.  56
 richiamato,   onde  pervenire  alla  configurazione  del  tentativo),
 irragionevole  si  manifesterebbe  la  reductio  ad  unum   operabile
 attraverso   l'omogeneizzazione  di  condotte  che,  diversificandosi
 quanto alla percorrenza dell'iter consumativo (o  di  perfezionamento
 della  fattispecie) risultino egualmente idonee a condurre a medesime
 conseguenze afflittive.
    Tali  ricadute  appunto  appaiono  al  collegio  riconducibili  al
 censurato  disposto ex art. 1 della legge n. 16/1992 sospettandosi la
 illegittimita' costituzionale  della  applicazione  delle  misure  di
 sospensione adottabili a carico delle categorie di soggetti ivi indi-
 cate  non  soltanto  per  le  espresse ipotesi di reato consumato, ma
 anche per  condanne  che,  come  nel  caso  del  ricorrente,  abbiano
 inflitto la pena per il solo tentativo delittuoso.
    4.2.  -  Brevi considerazioni vanno altresi' condotte in relazione
 alla peculiarita' afflittiva recata dalle disposizioni in esame.
    Con esse, infatti, viene ad operarsi una pratica  "sterilizzazione
 (ancorche'  non  necessariamente definitiva) del mandato elettivo dai
 cittadini conferito  mediante  lo  svolgimento  di  libere  elezioni,
 nell'esercizio   di  quel  diritto-dovere  di  voto  che  costituisce
 indefettibile  principio  di  concorso  a  partecipazione  alla  vita
 democratica della Nazione".
    La sostanziale "ablazione" delle  conseguenze  di  tale  esercizio
 (consistenti  nella  nomina  dei rappresentanti popolari in seno alle
 assemblee  elettive  regionali),  se  puo'  essere  giustificata   in
 relazione    alle   potenzialita'   lesive   indotte   sulla   libera
 determinazione degli organismi collegiali dalla  presenza  di  membri
 condannati  per  reati  di  particolare gravita' o comunque inducenti
 allarme sociale  e/o  pericolo  per  un  regolare  svolgimento  delle
 funzioni  costituzionalmente connesse agli organi di primario rilievo
 nell'ordinamentodelle regioni, non altrimenti puo' essere  apprezzata
 in  un  ambito di necessaria legalita', qualora si svolga al di fuori
 del rigoroso rispetto (e della puntuale osservanza) delle ipotesi che
 una tale deroga eccezionalmente consentono.
    Si vuole, in altri termini, affermare che  la  gravita'  dell'atto
 che  determina  la  sospensione  dalla  carica  di  un rappresentante
 elettivo  della   collettivita',   da   questa   democraticamente   e
 liberamente  designato  in  seno  al  consiglio  regionale,  non puo'
 trovare   conforto   che   nel   ristretto   e    tassativo    ambito
 discrezionalmente  disegnato  dal legislatore a presidio di superiori
 pubblici interessi che appunto consentono di disporre la misura della
 temporanea (in quanto la revoca del mandato viene determinata solo  a
 seguito  di  condanna  definitiva)  inibizione allo svolgimento della
 funzione pubblica elettiva.
    Se  infatti  l'assimilabilita'  di  conseguenze  sanzionatorie  si
 dimostra, secondo quanto da questo tribunale affermato, irragionevole
 e  lesiva  del  principio di trattamento paritario ove conseguente ed
 accertate responsabilita' penali per reati  consumati  o  (solamente)
 tentati,  rincarata  valenza  di opinabilita', sotto il profilo della
 legittimita'  costituzionale,  riveste  una   siffatta   (consentita)
 applicazione  afflittiva  ove  con  esse  si  vengano ad incidere, in
 maniera cosi' accentuata e pervasiva, i diritti di elettorato  attivo
 e  passivo,  la  cui  diretta  protezione  a  livello  di  fondamenti
 dell'ordinamento repubblicano evidentemente postula che vengano elise
 quelle  previsioni  legislative  inducenti  una  distorta  attuazione
 provvedimentale di carattere indistintamente penalizzante.
   5.  - Le considerazioni sopra svolte inducono pertanto il tribunale
 a rimettere all'esame della  Corte  costituzionale  la  questione  di
 legittimita'  della  norma di cui all'art. 15 della legge n. 55/1990,
 cosi' come modificato dall'art. 1, commi 1, lett. b), e 4- bis  della
 legge  18  gennaio  1992,  n.  16,  per  contrasto con l'art. 3 della
 Costituzione, in quanto  la  prevista  sospensione  dalla  carica  di
 consigliere  regionale,  a seguito di condanna penale non definitiva,
 possa essere comminata senza distinguere a seconda che si  tratti  di
 delitto consumato e di delitto tentato.
    Alla  non  manifesta  infondatezza  della  questione,  come  sopra
 illustrata, va altresi' soggiunta, a termini di legge,  la  rilevanza
 del  dubbio  di  costituzionalita' della ricordata norma, conseguente
 alla considerazione che, nell'ipotesi in cui il giudizio rimesso alla
 Corte  dovesse  concludersi  con  una  pronunzia  di   illegittimita'
 costituzionale,   nei  termini  sopra  illustrati,  il  provvedimento
 impugnato si rivelerebbe illegittimo, con riveniente effetto di piena
 reintegrazione del ricorrente nella carica elettiva  dalla  quale  e'
 stato sospeso in applicazione delle disposizioni qui censurate.
    Va  pertanto  disposta  la  sospensione del presente giudizio e la
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la  risoluzione
 della prospettata questione di legittimita' costituzionale.
                               P. Q. M.
    Visti   gli   artt.   134   della   Costituzione,  1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo  1953,
 n. 87;
    Ritenuta  rilevante  e  non manifestamente infondata, in relazione
 all'art.  3  della  Costituzione,  la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  15 della legge 19 marzo 1990, n. 55, cosi'
 come modificato dall'art. 1, commi 1, lett. b), e 4- bis della  legge
 18  gennaio  1992, n. 16, nella parte in cui, per le ipotesi di reato
 ivi  descritte,  viene  determinata  la  sospensione  delle   cariche
 pubbliche  elettive  pure elencate dai soggetti che abbiano riportato
 condanna penale anche non definitiva, senza  che  al  riguardo  venga
 operata  alcuna  distinzione,  in  relazione  alle fattispecie penali
 previste, fra  condanne  per  reato  tentato  e  condanne  per  reato
 consumato;
    Sospende  il  giudizio in corso ed ordina l'immediata trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone altresi' che a cura della segreteria la presente ordinanza
 sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri ed alle altre
 parti in causa, nonche' comunicata ai  Presidenti  della  Camera  dei
 deputati e del Senato della Repubblica.
    Cosi' deciso in Catanzaro, nella camera di consiglio del 14 luglio
 1992.
                         Il presidente: BOZZI
    Depositata il 23 ottobre 1992.
              Il segretario generale: (firma illeggibile)

 93C0059