N. 5 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 10 febbraio 1993

                                 N. 5
 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 10
 febbraio 1993 (della regione Emilia-Romagna)
 Caccia  -  Divieto  dell'attivita'  venatoria  su tutto il territorio
 nazionale per un periodo di otto giorni in relazione alla particolare
 "gravita'" delle "attuali  condizioni  meteo-climatiche  dalle  quali
 deriva  uno  stato  di  pericolo  di  rilevanza  nazionale  di  danno
 ambientale  per  la  minaccia  alla  fauna  selvatica"  dovuto   alla
 "maggiore  vulnerabilita'" di questa - Asserita invasione della sfera
 di competenza regionale in materia di caccia cosi' come  disciplinata
 dalla  legge quadro n. 157/1992 che assegna alle regioni il potere di
 vietare o ridurre per periodi prestabiliti la caccia per sopravvenute
 particolari condizioni ambientali,  stagionali  o  climatiche  o  per
 malattia o altre calamita'.
 (Ordinanza  5  gennaio  1993  del  Ministro  dell'agricoltura e delle
 foreste).
 (Cost., artt. 117 e 118).
(GU n.9 del 24-2-1993 )
   Ricorso per conflitto di attribuzioni della regione Emilia-Romagna,
 in  persona  del  presidente  della  giunta  regionale   pro-tempore,
 autorizzato  con  deliberazione  della  giunta regionale n. 49 del 19
 gennaio 1993, rappresentata e difesa,  come  da  mandato  a  margine,
 dall'avv.  Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio eletto presso
 l'avv. Luigi Manzi di Roma, via Confalonieri 5, contro il  Presidente
 del  Consiglio  dei  Ministri  per la dichiarazione che non spetta al
 Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro  dell'agricoltura
 e  delle  foreste,  con  riferimento  all'ordinanza  5  gennaio 1993,
 pubblicata  in  Gazzetta  Ufficiale  del  7  gennaio  1993,   divieto
 dell'attivita'  venatoria  su  tutto  il  territorio nazionale per un
 periodo di otto giorni il potere di vietare l'attivita' venatoria  in
 tutto  il  territorio  nazionale;  e  per il conseguente annullamento
 della predetta ordinanza 5 gennaio 1993, per violazione  degli  artt.
 117,  primo  comma,  e  118, primo comma, della Costituzione, e delle
 connesse   disposizioni   di   legge   ordinaria,   secondo    quanto
 analiticamente di seguito illustrato nella parte in diritto.
                               F A T T O
    La  materia  della caccia e' assegnata alla potesta' legislativa e
 amministrativa delle regioni dall'art. 117, primo comma, e  dell'art.
 118, primo comma, della Costituzione.
    In  attuazione  delle  disposizioni  costituzionali, la disciplina
 quadro della materia e' attualmente contenuta nella legge 11 febbraio
 1992, n. 157.
    Tale legge non solo assegna alle  Regioni  in  generale  i  poteri
 normativi  e  regolatori  della caccia, ma in particolare all'art. 19
 affida ad esse il potere ed il compito  di  "vietare  o  ridurre  per
 periodi   prestabiliti  la  caccia  a  determinate  specie  di  fauna
 selvatica  ..  per  importanti  e  motivate  ragioni  connesse   alla
 consistenza  faunistica  o  per  sopravvenute  particolari condizioni
 ambientali,   stagionali   o   climatiche  o  per  malattie  o  altre
 calamita'".
    In altre parole, la competenza  delle  regioni  non  solo  non  e'
 esclusa  quando  si  tratti  di intervenire a regolare la caccia "per
 sopravvenute  particolari   condizioni   ambientali,   stagionali   o
 climatiche  o  per  malattie o altre calamita'", ma e' oggetto di una
 specifica previsione di legge.
    Tale quadro di poteri e competenze forma il contesto nel quale  e'
 intervenuta  l'impugnata  ordinanza  del  Ministero dell'ambiente, la
 quale, inopinatamente  ed  espressamente  pretendendo  di  esercitare
 proprio  i  poteri  regionali  di  cui  all'art. 19 della legge sulla
 caccia in relazione alle condizioni meteo-climatiche, vieta "su tutto
 il territorio ogni forma di attivita' venatoria per otto giorni".
    Ma  tale  atto,  evidentemente   invasivo   delle   competenze   e
 attribuzioni  regionali,  risulta  illegittimo  ed arbitrario, per le
 seguenti ragioni di
                             D I R I T T O
    1. - Illegittimita' ed arbitrarieta' per esercizio  di  un  potere
 che  non  esiste  come  potere statale, e che e' invece espressamente
 assegnato alle regioni.
    L'impugnata ordinanza appare in primo  luogo  priva  di  qualunque
 idonea base giuridica. Essa richiama l'art. 8 della legge n. 59/1987,
 nonche'  gli  artt. 19 e 21 della legge n. 157/1992, ed espressamente
 ritiene che ricorrano "i presupposti previsti dagli artt.  19  e  21"
 della legge n. 157.
    Ora,  i  due  riferimenti  piu'  diretti, agli artt. 19 e 21 della
 legge statale sulla disciplina dell'attivita' venatoria,  di  per  se
 stessi mostrano la totale arbitrarieta' dell'ordinanza ministeriale.
    Infatti,  come  detto  in  narrativa,  l'art. 19 prevede bensi' la
 possibilita' di "vietare o ridurre per periodi prestabiliti la caccia
 .. per importanti e motivate ragioni o per  sopravvenute  particolari
 condizioni ambientali, stagionali o climatiche o per malattie o altre
 calamita'":  ma  esso intesta tale potere alle regioni, e costituisce
 percio'  una  evidente   prova   dell'illegittimita'   dell'ordinanza
 ministeriale:  dato  che  la disposizione fonda invece una competenza
 specifica regionale.
    Il potere dato alle regioni e' ovviamente esclusivo:  e  cio'  non
 solo nel senso (gia' per se' sufficiente) che esclusive sono tutte le
 competenze  qualora non sia diversamente stabilito, e che questo vale
 a maggior ragione per le competenze che costituiscono  attuazione  di
 attribuzioni  costituzionali,  ma  altresi' nel senso che la legge n.
 157 - che pure e' molto precisa ed  analitica  quando  si  tratta  di
 individuare  i  compiti  e poteri degli organi statali - assegna tale
 compito solo alle regioni, senza prevedere interventi statali ne'  in
 via ordinaria ne' in via sostitutiva.
    D'altronde,  la  ragione di tale assegnazione e' del tutto chiara,
 trattandosi di valutazioni che si collegano a  situazioni  le  quali,
 per  quanto  possano  essere  diffuse,  sono sempre situazioni che si
 manifestano, si riscontrano  e  si  valutano  sul  piano  locale,  in
 relazione alle differenti situazioni in essere in ciascuna zona.
    Con  la  propria  ordinanza  dunque  il  Ministro dell'ambiente si
 sostituisce in  sostanza  alle  regioni  nell'esercizio  di  un  loro
 potere,  in  assenza  di  qualunque titolo normativo. Risulta percio'
 assurdo il tentativo di porre l'art. 19 della  legge  n.  157/1992  a
 fondamento dell'impugnata ordinanza.
    Ne'   il  riferimento  all'art.  21  della  stessa  legge  risulta
 maggiormente conferente; esso e' anzi del tutto incongruo.
    In effetti, l'art. 21 non prevede poteri amministrativi di  nessun
 genere,  ma  direttamente  stabilisce  alcuni  divieti  di  caccia in
 particolari  condizioni  (qui  interessano  condizioni  di   neve   e
 ghiaccio),  e  non  si  capisce  bene in che senso e per quale motivo
 venga inconcludentemente richiamato.
    Se l'ordinanza volesse vietare la caccia  su  terreni  coperti  di
 neve,  o  coperti  di  ghiaccio,  cio' sarebbe assolutamente inutile,
 perche' proprio ai sensi dell'art. 21  la  caccia  in  tali  zone  e'
 sempre vietata.
    Tale   articolo  non  ha  bisogno  di  atti  di  applicazione,  ma
 automaticamente,  in  relazione  alla   situazione   di   fatto   (di
 innevamento o di ghiaccio) estende il proprio ambito: si' che l'unica
 applicazione  che  puo'  darsi  di  tale  articolo consiste nel farlo
 rispettare in concreto  (il  che  nessun  decreto  ministeriale  puo'
 ovviamente fare).
    Altrettanto  inconferente  risulta  il  richiamo  all'art. 8 della
 legge n. 59/1987. Qui  si  prevede  si'  un  potere  ministeriale  di
 emettere  ordinanze contingibili e urgenti. Ma il potere in questione
 e' esplicitamente collegato a due  presupposti:  che  si  verifichino
 situazioni  "di  grave  pericolo  di  danno ambientale" e che "non si
 possa altrimenti provvedere". Ed entrambi tali presupposti  difettano
 nel  caso  concreto  (il  secondo  presupposto e' addirittura omesso,
 significativamente  anche  se  ingenuamente,  nel   testo   riportato
 dall'ordinanza ministeriale).
    Intanto, e' evidente che non ci si trova in un caso in cui "non si
 possa  altrimenti  provvedere". Al contrario, non solo si puo', ma si
 deve altrimenti provvedere, nel senso che il potere e  la  competenza
 specifica  sono  assegnati  alle  regioni  proprio dall'art. 19 della
 legge sulla caccia.
    Essendo previsto uno specifico potere di  intervento,  proprio  in
 relazione  alle  circostanze  che  hanno  motivato  il  provvedimento
 ministeriale  (al  punto  che  lo  stesso  atto  si   richiama   alla
 disposizione  che prevede lo specifico potere di intervento), risulta
 del tutto palese che non puo'  in  nessun  modo  scattare  il  potere
 "residuale"  del  Ministro  dell'ambiente,  il  quale  presuppone che
 l'ordinamento non preveda altri specifici strumenti.
    A ben vedere, comunque, neppure ricorre il secondo presupposto cui
 la legge collega il potere ministeriale di ordinanza: il  verificarsi
 di situazioni di "grave pericolo di danno ambientale".
    Non c'e' dubbio, infatti, che la nozione di ambiente non comprende
 certo  la  caccia.  Cio'  e'  chiaro  in dottrina: si veda ad esempio
 Alibrandi e Ferri, I beni culturali e ambientali,  Milano  1985,  ove
 nel  pur  amplissimo  elenco dei beni ambientali la caccia e la fauna
 non sono  neppure  nominati;  nello  stesso  senso  gli  autori  piu'
 recenti,  quale  da  ultimo  Borgonovo Re, Contributo allo studio del
 danno ambientale, in riv. giur. amb., 1992, 257 ss.),  ma  e'  chiaro
 nella  stessa disciplina delle funzioni del Ministero (legge 8 luglio
 1986, n. 349).
    Soprattutto,  pero',  e'  dalla  stessa legislazione statale sulla
 caccia che si  evince  che  il  sistema  di  tutela  della  fauna  e'
 organizzato  secondo strumenti autonomi e specifici rispetto a quelli
 della  tutela  ambientale.  Cio'  e'  dimostrato  dalle   particolari
 modalita'  del  coinvolgimento  che  la  legge  n. 157/1992 opera del
 Ministro dell'ambiente, coinvolgimento  che  e'  previsto  sempre  in
 relazione a specifiche questioni, mediante specifici compiti, ruoli e
 poteri.
    In altre parole, il sistema generale di tutela dell'ambiente ed il
 sistema  di  tutela  della  fauna  sono  giuridicamente distinti, pur
 essendovi talune connessioni, specificamente previste dalla legge.
    Cio' implica, tuttavia, che gli strumenti  generali  della  tutela
 ambientale  non  possano  essere  tout court impiegati per il settore
 faunistico venatorio, ma che il Ministro dell'ambiente debba in  tale
 settore  limitarsi  ad  esercitare  i  compiti  ad esso assegnati, in
 ossequio al criterio generale della legalita'.
    Da quanto considerato deriva che l'ordinanza qui impugnata non  si
 fonda  su  nessun  potere attribuito ad autorita' statali, potere che
 non puo' certo sorgere dall'assurda commistione e sommatoria  di  una
 disposizione   che   assegna   una  funzione  alle  regioni,  di  una
 disposizione di divieto direttamente operativa e di una  disposizione
 che  attribuisce  al  Ministro  un  potere di intervento la' dove non
 siano previste specifiche misure, ed in ogni  caso  in  relazione  al
 danno ambientale, e non alla tutela della fauna.
    In  piu',  l'ordinanza  usurpa  semmai  un  potere  assegnato alle
 regioni, territorialmente e fattualmente idonee al suo esercizio.  In
 questi  termini,  essa  appare  il  frutto  di  un volontarismo forse
 generoso, ma in pratica confusionario e pasticcione, che  si  risolve
 in  estemporanei  interventi extra ordinem, tanto velleitariamente ed
 inutilmente draconiani quanto privi di fondamento giuridico.
    2. - In subordine. Illegittimita' per arbitraria sostituzione alle
 regioni, in difetto del  presupposto  e  del  rispetto  delle  regole
 procedurali.
    Poiche',   come  sopra  illustrato,  il  potere  che  il  Ministro
 dell'ambiente ha preteso di esercitare spetta in realta' alle regioni
 ai sensi dell'art. 19 della legge sulla tutela della fauna n. 157 del
 1992,  potrebbe  sostenersi  da  parte  statale  che  esso  e'  stato
 esercitato in via sostitutiva, di fronte ad una "inerzia" regionale.
    Ma   tale  tesi,  ove  eventualmente  fosse  sostenuta,  non  solo
 risulterebbe  infondata,  ma  condurrebbe   alla   constatazione   di
 ulteriori  illegittimita'.  Va  ricordato  che poteri sostitutivi del
 Ministero dell'ambiante nei  riguardi  delle  regioni  sono  previsti
 dall'art.  8,  terzo  comma,  legge 8 luglio 1986, n. 349, secondo il
 quale "in caso di mancata attuazione o di inosservanza da parte delle
 regioni, delle province o dei comuni,  delle  disposizioni  di  legge
 relative alla tutela dell'ambiente e qualora possa derivarne un grave
 danno   ecologico,  il  Ministro  dell'ambiente,  previa  diffida  ad
 adempiere entro congruo termine da indicarsi nella diffida  medesima,
 adotta  con  ordinanza  cautelare le necessarie misure provvisorie di
 salvaguardia, anche a carattere inibitorio di opere, di lavoro  o  di
 attivita'   antropiche,   dandone   comunicazione   preventiva   alle
 amministrazioni competenti".
    Ora, per le ragioni gia' prima  esposte,  nel  caso  della  tutela
 della  fauna  ci  si  trova  del  tutto  al  di  fuori  del  campo di
 applicazione di tale normativa. Inoltre, nella  situazione  specifica
 non  si  tratta  certo  di  mancata  osservanza da parte regionale di
 disposizioni  di  qualunque  natura,  ma semplicemente del non essere
 intervenuti  non  ritenendo  si  dovesse   intervenire,   e   percio'
 nell'esercizio della discrezionalita'.
    Ma  anche a voler tutto concedere, rimane il fatto che il Ministro
 non avrebbe comunque potuto sovrapporsi e sostituirsi alle regioni al
 di fuori della  corretta  procedura  contraddittoria  indicata  dalla
 legge.
    Percio',   sotto  qualunque  profilo  la  si  voglia  considerare,
 l'impugnata ordinanza rimane illegittima ed arbitraria.
    3.  -  In  ulteriore  subordine.  Illegittimita'  per  difetto  di
 motivazione,   contraddittorieta'  e  mancanza  di  proporzionalita',
 arbitrarieta' in relazione alla natura  esclusivamente  locale  delle
 situazioni da considerare.
    Essendo il provvedimento ministeriale emesso del tutto al di fuori
 dei  propri  poteri,  non apparirebbe necessario esaminare l'atto nel
 suo specifico contenuto dispositivo. Per tuziorismo tuttavia,  ed  in
 estremo  subordine,  conviene  considerare  che l'ordinanza si rivela
 illegittima anche considerata da questo ulteriore punto di vista.
    Intanto, la motivazione dell'atto e'  a  dir  poco  insufficiente.
 Essa  si  compendia  in  un  cenno  alla  "gravita'"  delle  "attuali
 condizioni meteoclimatiche", dalle quali deriverebbe  uno  "stato  di
 pericolo  di  danno ambientale per la minaccia alla fauna selvatica",
 dovuto  alla  condizione  di  "maggiore  vulnerabilita'"  di  questa,
 pericolo che sarebbe "di rilevanza nazionale".
    Dove,  quando,  in  quali  zone  tutto  questo accada, in che cosa
 consista il pericolo e la maggiore vulnerabilita', su quali  basi  di
 fatto  tali  affermazioni si fondino, quali accertamenti il Ministero
 abbia compiuto, nulla risulta.
    Alla  totale  mancanza  di  riscontri  fattuali  e  specifici   fa
 corrispondente   eco   la   contraddittorieta'   ed   il  difetto  di
 proporzionalita'  del  provvedimento.  Non  fondandosi  su  nulla  di
 preciso,   il   provvedimento   dispone   globalmente,   alla  cieca.
 Contraddittoriamente,  esso  dichiara  di  voler   sospendere   "ogni
 attivita'  venatoria su tutto il territorio nazionale interessato dai
 fenomeni meteoclimatici di cui  in  premessa",  ma  finisce  poi  nel
 dispositivo  (in  mancanza  di  ogni  precisa  loro  delimitazione ed
 individuazione)  per  vietare  l'attivita'  venatoria  "su  tutto  il
 territorio nazionale" senza ulteriori specificazioni.
    Evidente  altresi'  e' il difetto di proporzionalita', proprio per
 l'aver sbrigativamente semplificato il problema,  imponendo  ad  ogni
 situazione  un  divieto  generale,  in  assenza  di  qualunque  seria
 analisi.
    Infine, e' evidente che situazioni e misure  come  quelle  qui  in
 questione  si  prestano a venire valutare solo localmente, e che esse
 sono per loro natura non unificabili. In altre parole, se e' vero che
 talora va riconosciuta l'esistenza di interessi e situazioni che  non
 si  prestano  ad  un  frazionamento  territoriale,  sicche' ne rimane
 giustificata la competenza statale che sia legislativamente  definita
 per  esse,  va  anche  riconosciuta l'esistenza di situazioni che non
 possono  essere  sensatamente   ed   equilibratamente   misurate   ed
 affrontate se non sulla base di valutazioni locali.
    Proprio  per  tale  ragione,  d'altronde, l'art. 19 della legge n.
 157/1992 le ha assegnate alle regioni, senza prevedere  alcun  potere
 ulteriore ne' diretto ne' sostitutivo.
    Anche  da  questo  ulteriore  punto  di vista rimane in definitiva
 confermata  la  ridacale   illegittimita'   del   provvedimento   qui
 impugnato.
    Tutto  cio'  premesso,  la  ricorrente  Regione Emilia-Romagna, ut
 supra rappresentata e difesa chiede  voglia  l'eccellentissima  Corte
 costituzionale,  in  accoglimento  del  ricorso,  dichiarare  che non
 spetta al Ministro dell'ambiente il potere  di  vietare  con  propria
 ordinanza  l'attivita'  venatoria su tutto il territorio nazionale, e
 conseguentemente annullare l'impugnata  ordinanza,  in  relazione  ai
 profili  di  illegittimita'  illustrati  in  via  principale e in via
 subordinata, per violazione degli articoli della Costituzione e della
 legislazione ordinaria di attuazione sopra indicati ed illustrati.
                    Avv. prof. Giandomenico FALCON

 93C0141