N. 84 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 dicembre 1992

                                 N. 84
 Ordinanza  emessa  il  24  dicembre  1992  dal  pretore di Torino nel
 procedimento  civile  vertente  tra  Acutis   Luigi   e   la   S.p.a.
 Microtecnica
 Lavoro   (rapporto   di)  -  Servizio  di  ristorazione  aziendale  -
 Esclusione con norma  "interpretativa"  di  ogni  incidenza  sia  del
 valore  effettivo  del pasto sia dell'indennita' sostitutiva di mensa
 su  qualsivoglia  istituto  retributivo  (indennita'  di  anzianita',
 trattamento  per  ferie,  per  festivita'  e  gratifica  natalizia) e
 salvezza delle disposizioni (anteriori all'entrata in vigore di detta
 norma) che prevedono  limiti  e  valori  convenzionali  del  servizio
 stesso  -  Incidenza  sui  principi  di  uguaglianza,  di  difesa  in
 giudizio,  di  autonomia  della  magistratura  nonche'  elusione   di
 giudicato  e  sottrazione al giudice della cognizione di controversie
 in  corso,  atteso  l'indirizzo  giurisprudenziale  consolidato   che
 riteneva la natura retributiva del servizio di mensa e la conseguente
 computabilita'  del  valore  reale  del  pasto  nei suddetti istituti
 retributivi - Riferimento alle sentenze  della  Corte  costituzionale
 nn. 123/1987 e 155/1990.
 (D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 6, quarto comma, convertito nella
 legge 8 agosto 1992, n. 359).
 (Cost., artt. 3, 24, 101, 102 e 104).
(GU n.10 del 3-3-1993 )
                              IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nella  causa iscritta al
 r.g.l. n. 3486/1991 promossa da Acutis Luigi, assistito dall'avv.  P.
 Pini,  attore,  contro la S.p.a. Microtecnica, assistita dall'avv. A.
 Pacchiana Parravicini, convenuta;
    Sciogliendo la riserva;
    Letti gli atti;
    Udita la discussione orale dei procuratori;
    Ha pronunciato la seguente ordinanza;
                            P R E M E S S A
    1.  -  Il ricorrente, premesso di essere dipendente della societa'
 convenuta, lamenta che questa, pur obbligata, in virtu' di accordi  e
 contratti  collettivi,  a  fornire a tutti i lavoratori che intendano
 usufruirne, un servizio  permanente  di  ristorazione  aziendale  con
 buona  parte  del  costo a carico dell'azienda medesima, abbia tenuto
 conto - negli accantonamenti annuali per indennita' di  anzianita'  e
 t.f.r. e nella retribuzione del salario indiretto (festivita', ferie,
 gratifica  natalizia,  p.r.o.,  r.o.) - non gia' del valore effettivo
 del pasto, bensi' solamente dell'importo orario di L. 1,  corrisposto
 dall'azienda   ai  sensi  del  punto  2,  terzo  comma,  dell'accordo
 interconfederale 20 aprile 1956 (reso erga omnes dal d.P.R. 14 luglio
 1960, n. 1026), esistendo in azienda la mensa, ma  non  un'indennita'
 sostitutiva  della stessa (caso, per l'appunto, previsto nella citata
 disposizione).
    Chiede, per conseguenza, la condanna della  convenuta  al  maggior
 accantonamento  ed al pagamento delle differenze retributive, come da
 conteggi in atti, oltre rivalutazioni di legge.
    Costituendosi  in  giudizio,  la  societa'  Microtecnica  contesta
 sostanzialmente,  con varie argomentazioni, la natura retributiva del
 servizio mensa, affermando  che  esso  e'  posto  a  presidio  di  un
 interesse   prevalentemente  "egoistico"  dell'imprenditore  e  cioe'
 quello di evitare "le disfunzioni  del  pendolarismo  e  di  una  non
 sollecita  e  disaggregata  ripresa del lavoro". Sostiene comunque la
 convenuta,  a  prescindere  dalla  natura  retributiva  o  meno   del
 servizio,  la  non  computabilita'  del  valore reale del pasto negli
 istituti salariali in argomento.
    2. -  E'  assolutamente  incontroverso  tra  le  parti  che  fonte
 primaria   di   cognizione   nella   presente   causa   e'  l'accordo
 interconfederale 20 aprile 1956 erga omnes del d.P.R. 14 luglio 1960,
 n. 1026) il quale prevede, per quanto interessa questo processo, che,
 il valore da prendere a base ai soli effetti della computabilita' del
 servizio di mensa sui vari istituti contrattuali, non  puo'  comunque
 essere   inferiore   alla  minima  indennita'  sostitutiva  di  mensa
 risultante nell'ambito provinciale in cui e' situtato lo stabilimento
 ne' puo', comunque, essere superiore alle L. 25 (venticinque).
    3. - Il remittente ha gia' deciso questione identica (con sentenze
 non definitive 24 aprile 1992) ritenendo la  natura  retributiva  del
 servizio  di  mensa  ed  il  diritto del ricorrente di veder inserito
 nella base di computo di tutti gli istituti di cui al  punto  1)  non
 gia'  l'indennita' sostitutiva bensi' il valore "reale" pari al costo
 del pasto stesso quale sostenuto dall'azienda, nei limiti del  numero
 dei pasti effettivamente consumati.
    Da tale giurisprudenza non vi e' ragione alcuna per discostarsi.
    Della  predetta  pronuncia,  ferma  restando  la premessa circa la
 natura  retributiva  del  servizio  mensa,  ai  fini  della  presente
 questione di costituzionalita' - come tra breve si chiarira' - rileva
 la  parte  in  cui  si e' ritenuta la nullita' del menzionato Accordo
 interconfederale 20 aprile 1956 per contrasto con le norme imperative
 regolanti il trattamento  degli  istituti  retributivi  di  carattere
 legale: cio' in forza dell'art. 5 della legge 14 luglio 1959, secondo
 cui  "le  norme  di  cui  all'art.  1 della presente legge (i decreti
 delegati con i quali il Governo poteva recepire accordi  e  contratti
 colletti  vigenti, n.d.e.) non potranno essere in contrasto con norme
 imperative di legge".
    Come  conseguenza  della rilevata nullita', si e' fatta discendere
 la sostituzione delle clausole viziate, ai sensi degli artt.  1339  e
 1419  del  c.c.,  con  dette  norme imperative, a tenore delle quali,
 stante la  loro  previsione  di  onnicomprensivita'  retributiva,  si
 doveva  inserire nella base di computo dei singoli istituti, il costo
 effettivo del pasto aziendale.
    4. - Nelle more del giudizio e' entrato  in  vigore  il  d.l.  11
 luglio  1992,  n.  333 (convertito in legge 8 agosto 1992, n. 359) il
 cui art. 6, terzo e quarto comma, prevede quanto segue:
       a)  terzo  comma:  "Salvo  che  gli  accordi  ed  i   contratti
 collettivi, anche aziendali, dispongano diversamente, stabilendo se e
 in  quale  misura  la  mensa e' retribuzione in natura, il valore del
 servizio mensa,  comunque  gestito  ed  erogato,  e  l'importo  della
 prestazione  pecuniaria  sostitutiva  di  esso,  percepita da chi non
 usufruisce del servizio istituito dall'azienda, non fanno parte della
 retribuzione  a  nessun  effetto  attinente  a  istituti   legali   e
 contrattuali del rapporto di lavoro subordinato";
       b)  quarto  comma:  "Sono  fatte  salve,  a far data dalla loro
 decorrenza, le disposizioni degli accordi e dei contratti collettivi,
 anche aziendali, pur se stipulati anteriormente alla data di  entrata
 in  vigore  del  presente  decreto,  che  prevedono  limiti  e valori
 convenzionali  del  servizio  di  mensa  di  cui  al  terzo  comma  e
 dell'importo  della prestazione sostitutiva di esso, percepita da chi
 non usufruisce del servizio istituito, a qualsiasi effetto  attinente
 a istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro subordinato.
                        O S S E R V A Z I O N I
     A)  E'  d'uopo  ricordare,  per  le  finalita' di cui appresso si
 dira', che la giurisprudenza di cassazione (in modo  costante  a  far
 tempo  dal  1989)  e  quella  di  merito  del tutto prevalente, hanno
 riconosciuto la natura sicuramente retributiva del servizio di  mensa
 nonche'  l'incidenza  del valore effettivo del pasto su tutti o parte
 degli istituti retributivi indiretti. In  tal  senso:  cassazione,  7
 gennaio 1992, n. 84; cassazione, 20 agosto 1991, n. 8957; cassazione,
 20  febbraio  1991,  n.  1758; cassazione, 13 febbraio 1990, n. 1054;
 cassazione, 21 luglio 1989, n. 3483; pretura  di  Torino,  24  luglio
 1992;  pretura  di  Torino,  23  ottobre  1991; pretura di Milano, 12
 giugno  1991;  pretura  di  Milano,  31  dicembre  1990;  pretura  di
 Pomigliano d'Arco, 7 maggio 1991; contra pretura di Milano, 29 giugno
 1991;  pretura  di  Milano,  28  maggio  1991;  pretura di Torino, 18
 febbraio 1992; pretura di Torino, 19 ottobre  1992  (peraltro  alcune
 fra le sentenze contrarie non negano affatto il carattere retributivo
 del servizio: cosi' la seconda e, in particolare, la quarta citate).
     B) Altra premessa necessaria in relazione alla presente questione
 di  legittimita'  costituzionale  e'  l'interpretazione  dell'art. 6,
 terzo e quarto comma, del d.l. n. 333/1992 cit. Ad avviso  del  pre-
 tore,  su cio' confortato in verita' dalle stesse parti in causa che,
 anche in sede di discussione orale lo hanno ribadito, il terzo comma,
 introduce una nuova disciplina della materia per il futuro,  in  base
 alla  quale e' esclusa - salvo pattuizioni in deroga - ogni incidenza
 vuoi del valore effettivo del  pasto  vuoi  della  stessa  indennita'
 sostitutiva su qualsivoglia istituto retributivo.
    Dal  canto  suo,  il quarto comma ha invece sia una portata futura
 laddove chiarisce (nei limiti in cui ve ne  fosse  bisogno)  che  gli
 accordi  ed i contratti collettivi derogatori in melius non sono solo
 quelli avvenire bensi' anche  quelli  "stipulati  anteriormente  alla
 data  di  entrata  in  vigore  del  presente  decreto"; ha invece una
 portata indubbiamente retroattiva nella  parte  in  cui  sancisce  la
 salvezza  delle ridette pattuizioni collettive "a far data dalla loro
 decorrenza".
     C) Occorre domandarsi quale sia stata la finalita' avuta di  mira
 dal  legislatore  nell'emanare  il quarto comma: essa non puo' essere
 stata quella di  ribadire  semplicemente  che,  per  il  passato,  la
 questione  non  e'  regolata  dalla  nuova  legge bensi' da accordi e
 contratti collettivi anteriori e cio' perche', valendo il terzo comma
 per il futuro, e' principio istituzionale che per il passato valga la
 previgente disciplina (nella specie l'accordo  interconfederale  erga
 omnes  20 aprile 1956). Per contro l'espressione "sono fatte salve ..
 le disposizioni .. che prevedono limiti e  valori  convenzionali  del
 servizio  di  mensa  .."  induce  a  pensare che il legislatore abbia
 voluto introdurre una disposizione "a sanatoria" che rendesse  leciti
 ex tunc accordi con i quali le parti, in consapevole od inconsapevole
 contrasto  con  norme  non derogabili di legge, avevano per l'appunto
 inteso porre limiti o ridurre convenzionalmente il  valore  effettivo
 del  pasto aziendale ai fini del calcolo delle retribuzioni indirette
 e differite.
    In altre parole il legislatore mostra di essere,  nel  momento  in
 cui  legifera,  ben  al  corrente che la giurisprudenza assolutamente
 prevalente ha riconosciuto natura retributiva al  servizio  mensa  ed
 altresi'  ha  dichiarato  nulle  le clausole degli accordi collettivi
 che, in contrasto con le  normative  inderogabili  che  prevedono  il
 computo    di    determinati    istituti    secondo    il   principio
 dell'onnicomprensivita' retributiva, hanno vistosamente compresso  la
 base di calcolo.
    Anzi,  il  legislatore,  nel momento in cui "fa salve" pattuizioni
 collettive,     dimostra     di     accedere      all'interpretazione
 giurisprudenziale  appena  ricordata,  per  la  semplice ragione che,
 diversamente, non vi sarebbe stato alcun bisogno  di  "salvare"  cio'
 che  per  sua  natura  era valido e lecito e, pertanto, "salvo" in re
 ipsa.
    In  buona  sostanza  il  quarto  comma  e'  una  norma  che   sana
 retroattivamente   (a   distanza  di  quasi  quarant'anni  dalla  sua
 stipulazione)  una  normativa  pattizia  che,   secondo   la   stessa
 interpretazione  del  legislatore,  era in contrasto con norme imper-
 ative di legge.
     D) Torna del tutto acconcio  richiamare  due  principi  affermati
 dalla  stessa Corte costituzionale (da ultimo nella sentenza 4 aprile
 1990, n. 155, in foro it., 1990, I, 3072 ed in giur.  Costituzionale,
 1990,  952;  v. anche sent. 8 luglio 1957, n. 118, in foro it., 1957,
 I,  1133),  in  tema  di  norme  interpretative  (e   quindi   sempre
 nell'ambito della materia della retroattivita' delle leggi).
     a)  La  legge  interpretativa  (e  quindi la legge retroattiva in
 generale di cui quella interpretativa e' una specie) non viola di per
 se' gli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione, a meno che essa  non
 leda  il  giudicato gia' formatosi o non sia intenzionalmente diretta
 ad incidere sui giudizi in corso.
     b)  L'irretroattivita'  costituisce  un  principio  generale  del
 nostro  ordinamento  (art.  11 delle preleggi) e, se pur non elevato,
 fuori dalla materia  penale,  a  dignita'  costituzionale  (art.  25,
 secondo comma, della Costituzione), rappresenta pur sempre una regola
 essenziale    del   sistema   a   cui,   salva   un'effettiva   causa
 giustificatrice, il legislatore deve  ragionevolmente  attenersi,  in
 quanto  la  certezza  dei  rapporti preferiti costituisce un indubbio
 cardine della civile convivenza e della tranquillita' dei cittadini.
    Ove la norma retroattiva violi il principio di ragionevolezza  cui
 essa,  al  pari  di  tutte  le  leggi, deve sottostare, dovra' essere
 dichiarata  incostituzionale  per  contrasto  con  l'art.   3   della
 Costituzione.
     E) Ad avviso del pretore, la norma dell'art. 6, quarto comma, del
 d.l.  n.  333/1992,  viola  entrambi i principi sopra ricordati e si
 pone pertanto in contrasto con gli artt. 101, 102, 104  (nonche'  24)
 della Costituzione.
     F)   Pare  a  remittente  che  la  norma  sospettata  vulneri  le
 attribuzioni del potere giudiziario e cio' si ricava, in particolare,
 sia dai lavori parlamentari che dalla stessa interpretazione storico-
 sistematica della norma.
     F1) Nella relazione governativa di accompagnamento al disegno  di
 legge  di  conversione  del  d.l. n. 333/1992, si legge testualmente
 (cfr. atti XI legislatura, camera dei deputati n. 1287, capo II):  "I
 commi  da  3  a  7  dell'articolo  6  disciplinano  la  materia della
 computabilita' del servizio di mensa agli effetti retributivi  ..  Si
 va  consolidando, in proposito, l'indirizzo giurisprudenziale secondo
 cui il valore della mensa e' quello  reale  o  equivalente  al  pasto
 (costo   reale  del  servizio)  e  non  il  valore  convenzionalmente
 stabilito dalle parti, ove questo sia inferiore al primo.
    Cio' ha indotto ad un cospicuo  insostenibile  appesantimento  del
 costo del lavoro, calcolabile in via approssimativa in 2,5 milioni di
 lire  annui  per addetto, oltretutto in un momento di difficolta' per
 il  sistema  produttivo  del  Paese,  anche  con   riferimento   alla
 concorrenza  internazionale.  Le  imprese  a  fronte  di  cio' stanno
 disdettando le convenzioni per il servizio di mensa ..
    La  presente  situazione  cosi'  delineatasi  esige,  dunque,   un
 intervento immediato che, chiarendo la situazione normativa nel senso
 di  affermare  la  natura  di  servizio della mensa organizzata dalle
 imprese, restituisca alla contrattazione collettiva, la sua  funzione
 di  stabilire  la  rilevanza del beneficio sugli istituti retributivi
 sia con riferimento agli accordi in essere sia per il prosieguo.
     F2) Dai lavori  delle  commissioni  riunite  (V  e  VI)  in  sede
 referente  - cfr. atti della seduta del 16 luglio 1992 - si apprende,
 dalle relazioni di maggioranza (in particolare pag. 8) che:  "Con  le
 norme  di  cui  ai  comma  da  3  a  7 si intende evitare gli effetti
 economici determinati da recenti pronunce  giurisprudenziali  secondo
 cui  il valore della mensa e della relativa indennita' sostitutiva e'
 quello reale e non quello convenzionalmente stabilito dalle parti  ed
 e'   computabile   ai   fini   del  trattamento  per  le  festivita',
 dell'indennita' di anzianita', del trattamento per le ferie e per  la
 gratifica natalizia e cioe' ai fini dei cosiddetti 'istituti interni'
 ..".
     F3)  Una  riprova,  a  contrario,  della - peraltro chiarissimo -
 volonta' del legislatore viene dal tenore  di  alcuni  interventi  da
 parte  di  rappresentanti  delle opposizioni: si segnala, fra questi,
 anche  per  la   specifica   competenza   in   materia   dell'oratore
 l'intervento  dell'on.  Giorgio  Ghezzi (in atti parlamentari, camera
 dei deputati, XI legislatura, discussioni, sedute del 27 luglio 1992,
 1899)   il   quale,   fra   l'altro,   gia'  ipotizza  la  necessita'
 dell'intervento   della   Corte    costituzionale,    sostanzialmente
 richiamando  profili  analoghi  a  quelli  evidenziati nella presente
 ordinanza.
     F4) Appare, dunque, di solare evidenza come la finalita' avuta di
 mira dal legislatore sia stata quella di intervenire  per  modificare
 d'imperio  un'interpretazione  giurisprudenziale  sgradita, in quanto
 asseritamente  contrastante  con   superiori   interessi   economici,
 sconfinando chiaramente nell'area di operativita' che la Costituzione
 riserva  alla  magistratura  e,  quindi,  con autoattribuzione di non
 previsti poteri esercitati, oltretutto, sulla spinta di interessi  di
 cui   non   puo'   tenersi  conto  nell'interpretazione  delle  fonti
 normative.
     G)   Conforta   il   medesimo   dubbio    di    costituzionalita'
 l'interpretazione storico-sistematica della norma in questione.
    In  primis  la  disciplina  della  mensa  contenuta  nel  d.l. n.
 333/1992, che e' la trasposizione  letterale  dell'art.  1  del  c.d.
 "disegno  Marini"  (veramente  tale  tant'e'  che, per un refuso, nel
 quarto comma, si fa riferimento ad un primo comma che non  si  occupa
 della materia mentre se ne occupava nel "disegno Marini") e' inserita
 in un testo di legge che riguarda, come testimonia il titolo, "Misure
 urgenti  per  il  risanamento della finanza pubblica" e cioe' materia
 tutt'affatto diversa ed estranea a quella delle mense aziendali.
    Inoltre vien fatto di domandarsi come mai, soltanto a distanza  di
 quasi   quarant'anni   dalla   stipulazione  del  principale  accordo
 collettivo in punto (A.I. 20 aprile 1956) e soltanto  in  un  momento
 storico   nel   quale  e'  esploso  il  contenzioso  giudiziario,  il
 legislatore senta il bisogno di intervenire retroattivamente, bisogno
 non sentito per nulla in un cosi' ampio arco di tempo.
    Ad avviso del pretore, la risposta e', ancora una  volta,  che  la
 norma  e' stata pensata solo allo specifico scopo di soffocare - e di
 farlo con rapidita'  -  un  indirizzo  giurisprudenziale  in  via  di
 consolidamento su un tipo di interpretazione non gradita.
     H) La norma impugnata vulnera altresi', ad avviso del remittente,
 l'art. 24 della Costituzione.
    Come  gia'  affermato  dalla Corte costituzionale (sent. 10 aprile
 1987, n. 123, in foro it., 1987, I, 1351), allorquando  l'effetto  di
 una  norma  sia  quello  di  sottrarre al giudice la cognizione della
 controversia in corso - con una preclusione ad esaminare il merito ed
 un mancato rispetto dei  giudicati  e,  comunque,  di  pronunce  gia'
 emesse  -  la  norma  stessa  (sia  essa  retroattiva  semplice  o di
 sanatoria  ecc.)  e'  anche  in  contrasto  con   l'art.   24   della
 Costituzione,  di fatto andando a comprimere il diritto di difesa dei
 cittadini, necessariamente connesso con la corretta esplicazione  del
 potere giurisdizionale di cui e' il contraltare.
     I) Per altro verso la norma impugnativa pare violare il principio
 di ragionevolezza richiamato sub D.b.).
    Ritiene  il  pretore  che il caso in esame sia speculare, in parte
 qua, a quello esaminato e risolto nella sentenza  n.  155/1990  cit.,
 con   l'affermazione  che  "risulta  priva  di  razionale  fondamento
 l'attribuzione di un'efficacia estesa retroattivamente per un periodo
 di ben sei anni: con essa infatti  e'  stata  conferita  validita'  a
 negozi  giuridici  che  inizialmente  erano  invalidi  -  e tali sono
 rimasti  per lungo tempo - in quanto considerati contrastanti secondo
 la ratio della legge allora in vigore, e  il  suo  inequivoco  tenore
 letterale,  con  la  tutela del valore espresso dal ricordato art. 21
 della Costituzione".
    Anche nella fattispecie oggi in esame sono  ravvisabili  -  ed  in
 maggior misura - gli stessi vizi.
    Invero,  nel  caso,  la norma del quarto comma retroagisce non per
 sei bensi', come gia' piu' voltre ricordato, per quasi  quarant'anni;
 inoltre  sana,  con  effetto  ex  tunc,  una  situazione  non di mera
 irregolarita', ma di invalidita' della  norma  posta  collettivamente
 per  contrasto  con  norme imperative ed inderogabili di legge, quali
 quelle  disciplinanti  il  computo  degli  istituti  retributivi   di
 carattere  legale:  in  altre  parole la legge rende retroattivamente
 lecito cio' che tale non era (e tale non  e'  stato  per  lunghissimo
 tempo).
    Non  convince,  a  parere  dell'estensore,  la tesi che ravvisa la
 ragionevolezza della norma nel fatto che,  in  buona  sostanza,  essa
 ratifica  quel che le parti sociali hanno sempre voluto e considerato
 valido ed efficace nei loro rapporti. Tale tesi trova il  suo  limite
 nell'eccessiva   esaltazione   del   momento   "privatistico"   della
 contrattazione stessa. Se, infatti, e' vero che - almeno  per  quanto
 attiene  agli  interessi  dei  lavoratori  - le organizzazioni che li
 tutelano hanno rango costituzionale ex art.  39  della  Costituzione,
 cio'  nondimeno  non  possono dette organizzazioni, sia pure d'intesa
 con le  controparti  sociali,  stipulare  accordi  in  violazione  di
 principi  inderogabili, espressione di una potesta' superiore, almeno
 fintantoche' tali principi non siano modificati. Per  conseguenza  e'
 irragionevole  che  una  norma  di  legge  sani  retroattivamente una
 situazione palesemente confliggente con i principi in  questione,  in
 nome  dell'autonomia  delle  parti  sociali.  Essa  viola  invece  un
 principio-cardine  dell'ordinamento  giuridico,  cioe'  quello  della
 certezza  del  diritto  e dei rapporti giuridici, certezza che non e'
 quella collettiva a che i patti (collettivi) siano salvaguardati,  ma
 quella  individuale a che siano rispettate le regole fondamentali del
 sistema costituzionale.
     L) Da ultimo  si  evidenzia,  richiamando  specificamente  quanto
 osservato  sub  B)  e  C),  che la questione di costituzionalita' e',
 oltre che non manifestamente infondata, anche  rilevante,  in  quanto
 l'esistenza  della  norma  impugnata  impedisce  l'accoglimento delle
 domande attoree.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1
 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 6, quarto comma, del d.l. 11
 luglio 1992, n. 333, conv.  in  legge  8  agosto  1992,  n.  359  per
 contrasto  con  gli artt. 3, 24, 101, 102, 104 della Costituzione nei
 sensi di cui in motivazione;
    Dispone la sospensione del presente  giudizio  e  la  trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina  che  a  cura  della  cancelleria la presente ordinanza sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  comunicata  ai
 Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
      Torino, addi' 24 dicembre 1992
                          Il pretore: CAMBRIA

 93C0186