N. 88 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 giugno 1992- 15 febbraio 1993

                                 N. 88
  Ordinanza emessa il 19 marzo 1992 e, in prosecuzione, il 25 giugno
 1992 (pervenuta alla Corte costituzionale il 15 febbraio 1993) dal
 tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, sezione
 distaccata di Pescara, sul ricorso proposto da Antonarelli Michele
 contro U.L.S.S. n. 15 di Vasto.
 Sanita' pubblica - Stato giuridico del personale delle unita'
    sanitarie locali - Esercizio delle mansioni inerenti al profilo ed
    alla  posizione  funzionale  -   Non   consentita   (anteriormente
    all'entrata in vigore del d.P.R. 19 dicembre 1990 che ha stabilito
    una   diversa   disciplina)   corresponsione   della  retribuzione
    corrispondente alle piu' elevate funzioni espletate  nei  previsti
    sessanta giorni, o di fatto, anche oltre tale periodo - Obbligo di
    corresponsione,  secondo la sentenza della Corte costituzionale n.
    296/1990, per  il  periodo  successivo  ai  sessanta  giorni,  del
    trattamento   economico   corrispondente  all'attivita'  svolta  -
    Irrazionalita' della norma cosi' come interpretata dalla  predetta
    sentenza  per  l'automaticita' delle conseguenze senza tener conto
    dell'eventuale sussistenza dei  requisiti  per  l'esercizio  delle
    mansioni  superiori  -  Incidenza  sul  diritto  alla  salute, sui
    principi di imparzialita' e buon  andamento  della  p.a.  e  della
    retribuzione proporzionata ed adeguata.
 (D.P.R. 20 ottobre 1979, n. 761, art. 29, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 4, 32, 36, 97 e 98; c.c., art. 2126).
(GU n.11 del 10-3-1993 )
                      IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n. 304/1988
 proposto da Antonarelli Michele, rappresentato e difeso dagli  avv.ti
 Benedetto  Cianci  e  Roberta  Nardinocchi  con procura a margine del
 ricorso ed elettivamente domiciliato in Pescara, piazza Duca d'Aosta,
 50, contro l'Unita' Locale Socio-Sanitaria n. 15 di Vasto, in persona
 del presidente pro-tempore rappresentata e difesa dall'avv.  Vittorio
 Emanuele  Russo con mandato a margine della comparsa di costituzione,
 domiciliato c/o segreteria T.A.R., per il riconoscimento del servizio
 prestato in qualita' di  primario  della  divisione  di  ortopedia  e
 traumatologia  presso il presidio ospedaliero di Vasto, pur avendo la
 qualifica di aiuto;
    Visto il ricorso notificato in data 11 giugno 1988 e depositato in
 data 4 luglio 1988;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio della U.L.S.S.  di  Vasto
 (29 novembre 1988);
    Viste le memorie prodotte;
    Visti gli atti tutti di causa;
    Udito  alla pubblica udienza del 19 marzo 1992 il consigliere Dino
 Nazzaro e uditi gli  avv.ti  Vincenzo  Di  Lorenzo,  in  sostituzione
 dell'avv. B. Cianci, e V.E. Russo;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    Il  ricorrente,  aiuto  ortopedico  presso  la  U.L.S.S. di Vasto,
 afferma che dal 16 maggio 1985, incaricato con  atto  formale  del  7
 giugno  1985  prot.  19318,  ha sostituito, ai sensi dell'art. 29 del
 d.P.R. n. 761/1979,  il  primario  assente  per  incarico  interinale
 presso altra U.L.S.S.
    In  data  12  giugno  1985,  il  primario  veniva  definitivamente
 assegnato ad una diversa U.L.S.S., determinando cosi' la vacanza  del
 posto,  e il ricorrente sarebbe diventato automaticamente il primario
 reggente.
    Con delibera n. 1023/1986 gli e'  stato  conferito  l'incarico  di
 primario  per  un  periodo  di  otto mesi (30 giugno 1986-28 novembre
 1987), mentre l'Antonarelli afferma  che  egli  avrebbe  svolto  tali
 funzioni fino al 29 novembre 1988, data di nomina del nuovo primario.
    Con  il presente ricorso questi viene a chiedere il riconoscimento
 dei propri diritti patrimoniali per le superiori mansioni  svolte  in
 via di fatto.
    In  sintesi  l'Antonarelli sostiene che l'incarico provvisorio, ai
 sensi dell'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979,  doveva  essere  contenuto
 nei  sessanta  giorni  e  che,  a seguito della sopravvenuta vacanza,
 l'incarico interinale doveva coprire tutto il  periodo  di  effettiva
 vacanza, con corresponsione del relativo trattamento economico. Se e'
 esatto  che  l'art.  9  della  legge  n.  207/1985  limita l'incarico
 interinale a soli otto mesi, e' pur vero, ad avviso della parte, che,
 in mancanza di una effettiva copertura, esso doveva  continuare,  sia
 pure  ad altro titolo, ovvero quale supplenza resa ai sensi dell'art.
 7 del d.P.R. n. 128/1968 (domanda subordinata).
    Conclusivamente  l'Antonarelli  ritiene  di  aver  diritto  ad  un
 trattamento  retributivo  adeguato  alle  effettive  mansioni svolte,
 anche ai sensi dell'art. 36  della  Costituzione,  e  chiede,  previa
 eventuale acquisizione della documentazione, il pagamento delle somme
 dovute a differenza, con rivalutazione ed interessi.
    Nella  successiva  memoria del 29 novembre 1992, si viene a citare
 varia giurisprudenza ed in particolare la sentenza dell'A.P. n.  2/91
 e  chiede  altresi'  che il servizio prestato con mansioni superiori,
 sia riconosciuto anche ad ogni altro effetto giuridico,  ovvero  come
 titolo  di  carriera,  ai  fini di un eventuale e successivo concorso
 primariale.
    Spese vinte.
    La difesa della U.L.S.S.,  nella  memoria  depositata  in  data  7
 novembre   1992,   pone   in   via   pregiudiziale   un'eccezione  di
 inammissibilita' per l'omessa  formazione  del  silenzio-rifiuto,  in
 quanto  l'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979 non riconosce in via diretta
 ed  immediata  il  diritto  al  superiore  trattamento  economico,  e
 comunque esso sarebbe del tutto infondato.
    Per  il  periodo  16  maggio 1985-29 giugno 1986 (provvedimento n.
 19318 del 7 giugno 1985) avrebbe operato l'art. 29 e non  ci  sarebbe
 diritto  alcuno  a  maggiorazioni;  per  il periodo 30 giugno 1986-28
 febbraio 1987 (incarico  con  delibera  n.  1023/1986)  vi  e'  stata
 regolare maggiorazione; per il periodo 1½ marzo 1987-29 febbraio 1988
 dovrebbe   applicarsi  l'art.  36  della  Costituzione  che,  invero,
 confliggerebbe con l'art. 97 della Costituzione.
    Le conclusioni sono per il rigetto con vittoria di spese.
    Alla pubblica udienza la causa e' stata assunta in  decisione  con
 rinvio agli scritti difensivi.
                             D I R I T T I
    Il giudizio ripropone una questione non nuova per questo tribunale
 che gia' con sentenza n. 405 del 24 luglio 1989, premessa la radicale
 diversita'  delle  ipotesi  di  "assenza" (art. 7 del d.P.R. 27 marzo
 1969, n.  128,  che  da'  luogo  alla  supplenza),  da  quella  della
 "vacanza"  (art.  3 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, per la quale e'
 previsto l'interinato), venne ad adeguarsi alla interpretazione della
 Corte costituzionale, fatta con la sent. 57 del 23 febbraio 1989, che
 ha considerato i sessanta giorni stabiliti dall'art. 29 del d.P.R. n.
 761/1979,  come  un  limite  temporale  massimo  entro  il  quale  il
 dipendente puo' essere utilizzato nelle superiori mansioni.
    La  Corte  ha anche ritenuto che, dopo tale periodo, al dipendente
 compete il trattamento  superiore  ai  sensi  degli  artt.  36  della
 Costituzione  e  2126  del  c.c.,  e  tale "interpretazione" e' stata
 confermata dalla successiva ordinanza n. 408 del 12-31 luglio 1990.
    Nel caso di specie, per il periodo che va dal 1½ marzo 1987 al  29
 febbraio  1988  e  quello antecedente (16 maggio 1985-29 giugno 1986)
 dovrebbe trovare applicazione l'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979, cosi'
 come  interpretato  ed  integrato  dalla  Corte  con  gli  artt.   36
 (Costituzione)  e 2126 (c.c.), superandosi cosi' anche l'eccezione di
 inammissibilita' sollevata dalla difesa della  U.L.S.S.,  poiche'  il
 superiore   trattamento   economico   discenderebbe  direttamente  da
 disposizione  di  legge  e  non  necessita   di   alcuna   mediazione
 provvedimentale da parte dell'amministrazione.
    L'utilizzo   dell'art.  29  del  d.P.R.  n.  761/1979  nell'ottica
 dell'art. 2126 del c.c. porta, invero, all'affermazione piena di  una
 metodica  pancodicistica  che  viene palesemente a menomare la stessa
 possibilita' di gestione del personale da parte della  p.a.,  nonche'
 della  sua  selezione,  in  conformita' del canone di cui all'art. 97
 della Costituzione.
    Se,  infatti,  questa  interpretazione  e'  portata alla sua piena
 realizzazione, il  tutto  potrebbe  essere  rimesso  a  testimonianze
 compiacenti   o   a   firme  apposte  ad  abundantiam  su  documenti,
 determinando, quale  riflesso  negativo,  una  deresponsabilizzazione
 della  p.a.  che  verrebbe  ad adeguarsi encor di piu' nella ben nota
 inerzia decisionale, di talche' le  due  distinte  fattispecie  della
 "assenza"  e  della "vacanza" sarebbero di fatto superate, con palese
 violazione del principio di legalita' (art. 97 della Costituzione)  e
 menomazione,  del  pari  sicura, del diritto alla salute da parte del
 cittadino (art. 32 della Costituzione), non potendo la p.a. garantire
 una adeguata professionalita' medica,  che  trova  nella  figura  del
 "primario" la sua massima espressione; ed e' proprio per tale ragione
 che  sono previsti concorsi di idoneita' in sede nazionale e rigorose
 selezioni per i singoli conferimenti.
    L'Adunanza Plenaria del Cons. di Stato (n. 2 del 16  maggio  1991)
 non  ha potuto non rilevare, pur prendendo atto della posizione della
 Corte costituzionale confermata con sent. n. 296 del 19 giugno  1990,
 la  "complessita'"  e la delicatezza della problematica, suscettibile
 di una "polivalenza di argomentazioni".
    L'A.P. ha delineato allo stato il seguente quadro normativo:
      l'art. 7, quinto comma, del d.P.R.  n.  130/1969  e  l'art.  29,
 terzo  comma,  del  d.P.R.  n. 761/1979 trovano applicazione nel caso
 della sostituzione  vicaria  del  primario  ospedaliero  o  di  altra
 funzione   sanitaria  piu'  elevata,  assenti  per  malattia,  ferie,
 congedo, missione, motivi di famiglia et similia, nonche' "in caso di
 posizione non immediatamente disponibile, stante l'urgenza di coprire
 il posto nelle more  dell'eventuale  procedimento  concorsuale".  Per
 tali  ipotesi,  mancando  la  disponibilita'  del  posto  e dovendosi
 assicurare la  continuita'  dell'esercizio  delle  mansioni  ad  esso
 connesse,  la  sostituzione  da  parte  del titolare di una posizione
 funzionale inferiore rientra per legge  tra  i  compiti  ordinari  di
 quest'ultimo   e   non  da'  luogo  ad  alcun  trattamento  economico
 maggiorato.
    Nel caso di posto vacante e disponibile, non coperto, che e' stata
 l'unica fattispecie considerata dalla Corte costituzionale,  in  base
 al  combinato  dell'art.  29,  secondo comma, del d.P.R. n. 761/1979,
 dell'art. 36 della Costituzione (primo comma) e dell'art. 2126, primo
 comma, del c.c., la maggiorazione  stipendiale  e'  esclusa  solo  se
 l'assegnazione  o  comunque  lo  svolgimento delle mansioni superiori
 "sia contenuta entro il periodo massimo di giorni sessanta  nell'anno
 solare".
    Si  e'  altresi' chiarito che il divieto di cui all'art. 29, primo
 comma, del d.P.R. n. 761/1979 rende illegittimo solo il comportamento
 dell'amministrazione   che   mantiene   l'assegnazione   o    tollera
 l'esercizio  delle  mansioni  oltre  il  termine  previsto,  donde la
 illegalita' della situazione, ma non la sua illeceita' che presuppone
 un "contrasto con  norme  fondamentali  e  generali  o  con  principi
 basilari   pubblicistici  dell'ordinamento",  non  rinvenibili  nella
 fattispecie (sent. Corte costituzionale n. 296/1990).
    In  sintesi,  pur  in   assenza   di   un   formale   conferimento
 dell'incarico  e della mancata preventiva selezione pubblica, la mera
 prestazione di fatto delle mansioni superiori da' diritto ad ottenere
 il compenso differenziale.
    Una  successiva  decisione del consiglio di Stato (V, n. 100 del 3
 novembre 1992) riconosce la retribuibilita' in  base  alla  "semplice
 sostituzione"  per  assenza  che  si  protrae oltre i giorni sessanta
 (nella specie l'aiuto che sostituisce il primario  eletto  senatore),
 confinando  l'art.  7 del d.P.R. n. 128/1969 "unicamente alle assenze
 di routine e non a quelle di natura eccezionale  destinate  a  durare
 per anni". In essa si legge anche che "ai fini della retribuzione non
 e' necessario un atto formale di assegnazione a determinate funzioni,
 bastando  il  mero riscontro dell'avvenuto svolgimento delle mansioni
 superiori in conformita' delle  direttive  impartite  dai  competenti
 organi amministrativi".
    Da  questo  quadro giurisprudenziale si evidenzia un'ambiguita' di
 fondo rappresentata proprio dalla rilevanza da dare alle  "situazioni
 di   fatto"  nell'ambito  del  modello  amministrativo  del  pubblico
 impiego, e di quello sanitario in particolare,  sorretto  pur  sempre
 dai  principi  insiti  nell'intera  Costituzione e in modo specifico,
 dagli artt. 97 e 98 della Costituzione.
    Autorevole     dottrina,     infatti,     parla     di      sicura
 "costituzionalizzazione"  della p.a., che assicura quel "diritto alla
 legalita'",  intimamente  collegato  al  criterio  di  democraticita'
 dell'amministrazione,  quale  formalizzato nella legge 7 agosto 1990,
 n. 241, e nel principio del  "giusto  procedimento"  elaborato  dalla
 giurisprudenza.
    Il    canone    dell'imparzialita'    amministrativa    presuppone
 un'organizzazione con le responsabilita' ben definite e a tal fine e'
 essenziale che il momento strutturale organizzatorio sia ben  saldato
 a  quello  funzionale,  il  quale,  pur in presenza della intervenuta
 "delegificazione" (legge n.  93/1983  e  legge  n.  400/1988)  e  del
 prevalere  del  momento della "contrattazione", conserva, rispetto al
 lavoro  di  diritto  privato,  una  sua  propria   caratterizzazione,
 rappresentata dal dovere di imparzialita' al servizio esclusivo della
 Nazione.  Cio'  naturalmente esige il rispetto di una serie di regole
 procedimentali  per  l'attribuzione  ai  funzionari   di   specifiche
 responsabilita', che non possono essere assunte "di fatto".
    E'   vero   che   al  presente  vanno  affermandosi  nuovi  moduli
 convenzionali (atti concordati e atti sostitutivi del  provvedimento:
 art.  11 della legge n. 241/1990), ma essi sono sempre inseriti in un
 procedimento amministrativo o collegati ad un atto della p.a. che  ha
 valore  essenziale  (art.  6, ottavo comma, della legge 29 marzo 1983
 come  sostituito  dall'art.  18  della  legge  n.   146/1990).   C'e'
 un'esigenza  di  certezza  dell'operato  della  p.a.  e  la  costante
 necessita' della sua verifica,  in  base  a  regole  prefissate,  che
 postulano indispensabilmente l'esistenza di atti provvedimentali.
    L'art.  2126  del c.c., invece, presuppone una situazione di fatto
 ovvero la "non  organizzazione"  dell'ufficio  pubblico,  il  che  e'
 costituzionalmente  impensabile,  tanto  e' vero che la stessa Corte,
 nella citata sentenza n. 296/1990, afferma che le superiori  mansioni
 devono  essere  conformi  alle  disposizioni  impartite  dalla stessa
 amministrazione, il che dovrebbe significare la  preesistenza  di  un
 provvedimento.
    Le  perplessita'  circa  la  soluzione  data dalla Corte risultano
 accentuate dal fatto che l'art. 2126 del c.c.  non  appare  idoneo  a
 completare  la fattispecie di cui all'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979,
 poiche' esso  presuppone  un  rapporto  di  lavoro  invalido  e  mira
 esclusivamente a tutelare il diritto alla retribuzione del prestatore
 d'opera  poiche'  factum  infectum  fieri  nequit, ma nel caso di cui
 all'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979, dovrebbe prima essere  verificato
 che  l'inferiore  abbia  le  qualita'  e  le capacita' di svolgere le
 superiori mansioni non  solo  nominativamente  ma  realmente,  e  poi
 invocarsi  l'applicazione  dell'art. 36 della Costituzione che, se da
 una parte vuol tutelare il  salario  minimo  biologico,  non  intende
 affatto  gratificare  tutti  i  soggetti  indiscriminatamente;  esso,
 infatti, mira a premiare la professionalita' e i lavoratori realmente
 capaci, con un chiaro intendimento di moralizzazione del settore  del
 lavoro.
    In  questa  logica  il divieto di adibire il dipendente pubblico a
 mansioni superiori (art. 29, primo comma, del  d.P.R.  n.  761/1979),
 oltre  a  contenere  un  diritto  per  il lavoratore e non svolgere i
 compiti non suoi, rappresenta  certamente  una  norma  imperativa  di
 ordine   pubblico,   tesa   ad   evitare   carriere   facilitate  con
 scavalcamento delle procedure selettive ed arricchimenti da parte  di
 soggetti  non  qualificati,  che  solo  nominativamente  possono aver
 svolto le superiori mansioni.
    L'inferiore che  svolge  la  funzione  vicaria  o  sostituisce  il
 superiore  fa  cio'  sempre in costanza del proprio status e, quindi,
 con tutti i limiti insiti nella  propria  qualifica,  salvo  che  non
 possa  vantare il possesso della idoneita' alla qualifica primariale,
 che nel caso in esame non risulta esservi.
    L'art. 36 della Costituzione va letto ed applicato in sintonia con
 altri articoli  cardini  dell'ordinamento  costituzionale,  quali  in
 particolare: artt. 3, 32 e 97 della Costituzione.
    Un aiuto che dice di svolgere i compiti di un primario non da' mai
 un'attivita'  di pari valore di quest'ultimo e non puo' pretendere la
 stessa retribuzione  di  questi,  poiche'  la  posizione  apicale  di
 primario  importa  l'acquisizione  verificata di una professionalita'
 tale da essere garanzia del buon andamento  dei  servizi  ospedalieri
 (art.  97  della Costituzione) e di una rassicurante tutela della sa-
 lute del ricoverato, che ha diritto ad essere visitato ed operato dal
 primario o sotto il suo controllo (art. 32 della Costituzione).
    Per queste ragioni, infatti,  l'art.  7  del  d.P.R.  n.  128/1969
 limita  la  funzione  vicaria  all'assenza  ed  agli  impedimenti del
 primario,  mentre  per  la  vacanza  si  e'  stabilita  la  procedura
 selettiva  pubblica (art. 3 del d.P.R. n. 130/1969), al fine di avere
 un incaricato scelto per capacita' e merito; sempre per questi motivi
 l'art. 29 del d.P.R.  n.  761/1979  limita  la  sostituzione  a  soli
 sessanta   giorni,   prevedendone   la  non  retribuibilita'.  E'  da
 chiedersi, pertanto, come sia  possibile,  in  presenza  di  siffatta
 normativa,  fare  una utilizzazione piena dell'art. 2126 del c.c. per
 ogni  ipotesi  di  sostituzione   non   meramente   precaria,   senza
 considerare  che  dietro  l'inerzia delle amministrazioni nel bandire
 gli avvisi pubblici di cui all'art. 3  del  d.P.R.  n.  130/1969,  si
 celano spesso vere e proprie compiacenze personali e clientelari, che
 sfruttano tali situazioni di fatto.
    Cio'  non  puo'  essere assecondato da una estensione dell'art. 29
 del d.P.R. n. 761/1979 con  ricorso  "senza  limiti"  agli  artt.  36
 (Costituzione)  e  2126  del  c.c., proprio per i superiori interessi
 costituzionali  di  cui  all'art.  3   (divieti   di   predeterminare
 situazioni   di   privilegio   per   singoli  soggetti),  all'art.  4
 (consentire ad altri soggetti meritori la possibilita' di  concorrere
 a  svolgere  quella stessa funzione in posizione paritaria), all'art.
 32 (la salute e', infatti, un diritto soggettivo fondamentale  ed  un
 interesse  della  collettivita'  che  postulano scelte qualificate di
 sanitari capaci, non lasciate agli eventi di fatto o a  soluzioni  di
 mero   interesse  privato),  all'art.  36  (la  retribuzione  e'  si'
 proporzionata  alla  quantita'  ed  alla  qualita'  del   lavoro   ma
 presuppone   la  verificata  sussistenza  nel  dipendente  di  quelle
 capacita' proprie della qualifica superiore: diversamente sarebbe  un
 fatto  meramente  nominativo, fonte di ingiustificati arricchimenti),
 all'art. 97 (il  buon  andamento  e  la  imparzialita'  degli  uffici
 pubblici   e'   vanificata   dalla  indiscriminata  applicazione  del
 principio di cui all'art. 2126 del c.c., che verrebbe  ad  essere  un
 vero  e  proprio  cavallo  di  Troia  per  la p.a., la quale potrebbe
 vedersi imporre dai  dipendenti  determinate  situazioni  di  fatto),
 all'art.  98 (il pubblico impiego diverrebbe cosi' terra di conquista
 da parte dei piu' protetti  e  il  dipendente  non  sarebbe  piu'  al
 servizio esclusivo della nazione, ma si servirebbe del posto pubblico
 per personali fini di carriera).
    In   sintonia  con  tale  impostazione  sembra  essere  lo  stesso
 legislatore che con il d.P.R. 28 novembre 1990, n. 384  (artt.  55  e
 121)  e'  venuto  a  negare ogni collegamento automatico tra mansioni
 superiori  e  effetti  patrimoniali,  evidentemente  proprio  per   i
 principi  di  imparzialita'  e buon andamento, stabilendo dei precisi
 limiti temporali, e salvaguardando la  fondamentale  esigenza  che  i
 compiti    superiori   siano   affidati   a   personale   selezionato
 concorsualmente, escludendo, in pari tempo, che  la  supplenza  possa
 configurarsi  come ipotesi di mansioni superiori. Esse, infatti, sono
 ipotizzabili  solo  per  i  posti   vacanti   ed   in   presenza   di
 "provvedimento  formale  secondo  le  vigenti  disposizioni",  con la
 espressa previsione della nullita' di ogni altro atto non conforme ai
 presupposti stabiliti per il conferimento delle mansioni superiori.
    Le parti sociali ed il legislatore, nel configurare lo svolgimento
 delle  superiori  mansioni  come  un  fatto  eccezionale,  e  percio'
 circoscritto  e limitato nel tempo, hanno dato un chiaro intendimento
 volto alla moralizzazione del nefasto fenomeno e, mai come in  questa
 circostanza, etica e diritto hanno un idem sentire.
    La  normativa  del  d.P.R.  n. 384/1990 ha, pero, validita' dal 20
 dicembre 1990 e lascia irrisolto il contenzioso antecedente circa  la
 retribuibilita'  delle  mansioni  superiori ed e' compito della Corte
 chiarire la portata della  predetta  normativa  vigente  fino  al  19
 dicembre 1990.
    Nel caso di specie si e' in presenza di un aiuto che ha sostituito
 il  primario assente e poi ha sopperito alla vacanza del titolare; la
 soluzione della causa dovrebbe avvenire considerando  l'art.  29  del
 d.P.R.  n.  761/1979  cosi'  come  letto e integrato con gli artt. 36
 (Costituzione) e 2126 del c.c., e cio' in  patente  violazione  degli
 artt.   3,  4,  32,  36,  97  e  98  della  Costituzione,  giuste  le
 argomentazioni svolte in  narrativa,  e  stante  l'automaticita'  del
 meccanismo mansioni superiori-effetti patrimoniali, non essendo stati
 precisati  i limiti di applicabilita' dell'art. 2126 del c.c., ne' la
 natura delle necessarie  "disposizioni"  che  l'amministrazione  deve
 aver impartito per le ipotesi di vacanza del posto.
    Il sistema normativo delineato dalla Corte, infatti, si risolve in
 uno strumento di conferimento di vantaggi, non sempre giustificabili,
 a  singoli  impiegati che, in via di fatto, otterrebbero cio' che non
 spetterebbe loro o non conseguirebbero, ne' potrebbero conseguire (si
 consideri  l'ipotesi  dell'aiuto  privo  dell'idoneita'  primariale),
 seguendo i normali procedimenti di legge.
    Tutto   cio'   premesso,   il  tribunale  solleva  l'eccezione  di
 illegittimita' costituzionale del  secondo  comma  dell'art.  29  del
 d.P.R.   n.   761/79,  quale  risulta  essere  a  seguito  della  sua
 integrazione con l'art. 36 della Costituzione e 2126  del  c.c.,  che
 verrebbe   a   contrastare,  oltre  che  con  l'espresso  divieto  di
 assegnazione di fatto e di diritto a mansioni superiori (primo comma,
 art. 29), svuotando cosi'  di  significato  la  stessa  figura  della
 funzione   vicaria,  con  i  principi  costituzionali  illustrati  in
 motivazione.
    L'eccezione viene ritenuta fondata ed e' anche rilevante  ai  fini
 decisori,  avendo parte ricorrente posto a base della propria pretesa
 il siffatto combinato normativo, elaborato dalla Corte con le  citate
 decisioni.
    Il  giudizio  va, pertanto, sospeso con remissione degli atti alla
 Corte costituzionale ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, legge
 costituzionale 9 novembre 1948, (art. 1)  e  art.  23  dell'11  marzo
 1953, n. 87;
                               P. Q. M.
    Ritenuta  non  manifestamente  infondata  ed altresi' rilevante la
 sopra prospettata questione  di  costituzionalita',  con  riferimento
 agli  artt.  3,  4,  32,  36, 97 e 98 della Costituzione, sospende il
 presente giudizio e dispone la trasmissione  degli  atti  alla  Corte
 costituzionale;
    Ordina  che  a  cura  della  segreteria del tribunale, la presente
 ordinanza venga notificata alle parti in causa e  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri,  nonche'  che  la  stessa sia comunicata al
 Presidente della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
    Cosi' deciso in Pescara nella camera di  consiglio  del  19  marzo
 1992 e in prosecuzione in quella del 25 giugno 1992.
                         Il presidete: LAURITA
    Il consigliere: ELIANTONIO
                          Il consigliere, relatore, estensore: NAZZARO
 93C0190