N. 88 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 giugno 1992- 15 febbraio 1993
N. 88 Ordinanza emessa il 19 marzo 1992 e, in prosecuzione, il 25 giugno 1992 (pervenuta alla Corte costituzionale il 15 febbraio 1993) dal tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, sezione distaccata di Pescara, sul ricorso proposto da Antonarelli Michele contro U.L.S.S. n. 15 di Vasto. Sanita' pubblica - Stato giuridico del personale delle unita' sanitarie locali - Esercizio delle mansioni inerenti al profilo ed alla posizione funzionale - Non consentita (anteriormente all'entrata in vigore del d.P.R. 19 dicembre 1990 che ha stabilito una diversa disciplina) corresponsione della retribuzione corrispondente alle piu' elevate funzioni espletate nei previsti sessanta giorni, o di fatto, anche oltre tale periodo - Obbligo di corresponsione, secondo la sentenza della Corte costituzionale n. 296/1990, per il periodo successivo ai sessanta giorni, del trattamento economico corrispondente all'attivita' svolta - Irrazionalita' della norma cosi' come interpretata dalla predetta sentenza per l'automaticita' delle conseguenze senza tener conto dell'eventuale sussistenza dei requisiti per l'esercizio delle mansioni superiori - Incidenza sul diritto alla salute, sui principi di imparzialita' e buon andamento della p.a. e della retribuzione proporzionata ed adeguata. (D.P.R. 20 ottobre 1979, n. 761, art. 29, secondo comma). (Cost., artt. 3, 4, 32, 36, 97 e 98; c.c., art. 2126).(GU n.11 del 10-3-1993 )
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 304/1988 proposto da Antonarelli Michele, rappresentato e difeso dagli avv.ti Benedetto Cianci e Roberta Nardinocchi con procura a margine del ricorso ed elettivamente domiciliato in Pescara, piazza Duca d'Aosta, 50, contro l'Unita' Locale Socio-Sanitaria n. 15 di Vasto, in persona del presidente pro-tempore rappresentata e difesa dall'avv. Vittorio Emanuele Russo con mandato a margine della comparsa di costituzione, domiciliato c/o segreteria T.A.R., per il riconoscimento del servizio prestato in qualita' di primario della divisione di ortopedia e traumatologia presso il presidio ospedaliero di Vasto, pur avendo la qualifica di aiuto; Visto il ricorso notificato in data 11 giugno 1988 e depositato in data 4 luglio 1988; Visto l'atto di costituzione in giudizio della U.L.S.S. di Vasto (29 novembre 1988); Viste le memorie prodotte; Visti gli atti tutti di causa; Udito alla pubblica udienza del 19 marzo 1992 il consigliere Dino Nazzaro e uditi gli avv.ti Vincenzo Di Lorenzo, in sostituzione dell'avv. B. Cianci, e V.E. Russo; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue; F A T T O Il ricorrente, aiuto ortopedico presso la U.L.S.S. di Vasto, afferma che dal 16 maggio 1985, incaricato con atto formale del 7 giugno 1985 prot. 19318, ha sostituito, ai sensi dell'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979, il primario assente per incarico interinale presso altra U.L.S.S. In data 12 giugno 1985, il primario veniva definitivamente assegnato ad una diversa U.L.S.S., determinando cosi' la vacanza del posto, e il ricorrente sarebbe diventato automaticamente il primario reggente. Con delibera n. 1023/1986 gli e' stato conferito l'incarico di primario per un periodo di otto mesi (30 giugno 1986-28 novembre 1987), mentre l'Antonarelli afferma che egli avrebbe svolto tali funzioni fino al 29 novembre 1988, data di nomina del nuovo primario. Con il presente ricorso questi viene a chiedere il riconoscimento dei propri diritti patrimoniali per le superiori mansioni svolte in via di fatto. In sintesi l'Antonarelli sostiene che l'incarico provvisorio, ai sensi dell'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979, doveva essere contenuto nei sessanta giorni e che, a seguito della sopravvenuta vacanza, l'incarico interinale doveva coprire tutto il periodo di effettiva vacanza, con corresponsione del relativo trattamento economico. Se e' esatto che l'art. 9 della legge n. 207/1985 limita l'incarico interinale a soli otto mesi, e' pur vero, ad avviso della parte, che, in mancanza di una effettiva copertura, esso doveva continuare, sia pure ad altro titolo, ovvero quale supplenza resa ai sensi dell'art. 7 del d.P.R. n. 128/1968 (domanda subordinata). Conclusivamente l'Antonarelli ritiene di aver diritto ad un trattamento retributivo adeguato alle effettive mansioni svolte, anche ai sensi dell'art. 36 della Costituzione, e chiede, previa eventuale acquisizione della documentazione, il pagamento delle somme dovute a differenza, con rivalutazione ed interessi. Nella successiva memoria del 29 novembre 1992, si viene a citare varia giurisprudenza ed in particolare la sentenza dell'A.P. n. 2/91 e chiede altresi' che il servizio prestato con mansioni superiori, sia riconosciuto anche ad ogni altro effetto giuridico, ovvero come titolo di carriera, ai fini di un eventuale e successivo concorso primariale. Spese vinte. La difesa della U.L.S.S., nella memoria depositata in data 7 novembre 1992, pone in via pregiudiziale un'eccezione di inammissibilita' per l'omessa formazione del silenzio-rifiuto, in quanto l'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979 non riconosce in via diretta ed immediata il diritto al superiore trattamento economico, e comunque esso sarebbe del tutto infondato. Per il periodo 16 maggio 1985-29 giugno 1986 (provvedimento n. 19318 del 7 giugno 1985) avrebbe operato l'art. 29 e non ci sarebbe diritto alcuno a maggiorazioni; per il periodo 30 giugno 1986-28 febbraio 1987 (incarico con delibera n. 1023/1986) vi e' stata regolare maggiorazione; per il periodo 1½ marzo 1987-29 febbraio 1988 dovrebbe applicarsi l'art. 36 della Costituzione che, invero, confliggerebbe con l'art. 97 della Costituzione. Le conclusioni sono per il rigetto con vittoria di spese. Alla pubblica udienza la causa e' stata assunta in decisione con rinvio agli scritti difensivi. D I R I T T I Il giudizio ripropone una questione non nuova per questo tribunale che gia' con sentenza n. 405 del 24 luglio 1989, premessa la radicale diversita' delle ipotesi di "assenza" (art. 7 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 128, che da' luogo alla supplenza), da quella della "vacanza" (art. 3 del d.P.R. 27 marzo 1969, n. 130, per la quale e' previsto l'interinato), venne ad adeguarsi alla interpretazione della Corte costituzionale, fatta con la sent. 57 del 23 febbraio 1989, che ha considerato i sessanta giorni stabiliti dall'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979, come un limite temporale massimo entro il quale il dipendente puo' essere utilizzato nelle superiori mansioni. La Corte ha anche ritenuto che, dopo tale periodo, al dipendente compete il trattamento superiore ai sensi degli artt. 36 della Costituzione e 2126 del c.c., e tale "interpretazione" e' stata confermata dalla successiva ordinanza n. 408 del 12-31 luglio 1990. Nel caso di specie, per il periodo che va dal 1½ marzo 1987 al 29 febbraio 1988 e quello antecedente (16 maggio 1985-29 giugno 1986) dovrebbe trovare applicazione l'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979, cosi' come interpretato ed integrato dalla Corte con gli artt. 36 (Costituzione) e 2126 (c.c.), superandosi cosi' anche l'eccezione di inammissibilita' sollevata dalla difesa della U.L.S.S., poiche' il superiore trattamento economico discenderebbe direttamente da disposizione di legge e non necessita di alcuna mediazione provvedimentale da parte dell'amministrazione. L'utilizzo dell'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979 nell'ottica dell'art. 2126 del c.c. porta, invero, all'affermazione piena di una metodica pancodicistica che viene palesemente a menomare la stessa possibilita' di gestione del personale da parte della p.a., nonche' della sua selezione, in conformita' del canone di cui all'art. 97 della Costituzione. Se, infatti, questa interpretazione e' portata alla sua piena realizzazione, il tutto potrebbe essere rimesso a testimonianze compiacenti o a firme apposte ad abundantiam su documenti, determinando, quale riflesso negativo, una deresponsabilizzazione della p.a. che verrebbe ad adeguarsi encor di piu' nella ben nota inerzia decisionale, di talche' le due distinte fattispecie della "assenza" e della "vacanza" sarebbero di fatto superate, con palese violazione del principio di legalita' (art. 97 della Costituzione) e menomazione, del pari sicura, del diritto alla salute da parte del cittadino (art. 32 della Costituzione), non potendo la p.a. garantire una adeguata professionalita' medica, che trova nella figura del "primario" la sua massima espressione; ed e' proprio per tale ragione che sono previsti concorsi di idoneita' in sede nazionale e rigorose selezioni per i singoli conferimenti. L'Adunanza Plenaria del Cons. di Stato (n. 2 del 16 maggio 1991) non ha potuto non rilevare, pur prendendo atto della posizione della Corte costituzionale confermata con sent. n. 296 del 19 giugno 1990, la "complessita'" e la delicatezza della problematica, suscettibile di una "polivalenza di argomentazioni". L'A.P. ha delineato allo stato il seguente quadro normativo: l'art. 7, quinto comma, del d.P.R. n. 130/1969 e l'art. 29, terzo comma, del d.P.R. n. 761/1979 trovano applicazione nel caso della sostituzione vicaria del primario ospedaliero o di altra funzione sanitaria piu' elevata, assenti per malattia, ferie, congedo, missione, motivi di famiglia et similia, nonche' "in caso di posizione non immediatamente disponibile, stante l'urgenza di coprire il posto nelle more dell'eventuale procedimento concorsuale". Per tali ipotesi, mancando la disponibilita' del posto e dovendosi assicurare la continuita' dell'esercizio delle mansioni ad esso connesse, la sostituzione da parte del titolare di una posizione funzionale inferiore rientra per legge tra i compiti ordinari di quest'ultimo e non da' luogo ad alcun trattamento economico maggiorato. Nel caso di posto vacante e disponibile, non coperto, che e' stata l'unica fattispecie considerata dalla Corte costituzionale, in base al combinato dell'art. 29, secondo comma, del d.P.R. n. 761/1979, dell'art. 36 della Costituzione (primo comma) e dell'art. 2126, primo comma, del c.c., la maggiorazione stipendiale e' esclusa solo se l'assegnazione o comunque lo svolgimento delle mansioni superiori "sia contenuta entro il periodo massimo di giorni sessanta nell'anno solare". Si e' altresi' chiarito che il divieto di cui all'art. 29, primo comma, del d.P.R. n. 761/1979 rende illegittimo solo il comportamento dell'amministrazione che mantiene l'assegnazione o tollera l'esercizio delle mansioni oltre il termine previsto, donde la illegalita' della situazione, ma non la sua illeceita' che presuppone un "contrasto con norme fondamentali e generali o con principi basilari pubblicistici dell'ordinamento", non rinvenibili nella fattispecie (sent. Corte costituzionale n. 296/1990). In sintesi, pur in assenza di un formale conferimento dell'incarico e della mancata preventiva selezione pubblica, la mera prestazione di fatto delle mansioni superiori da' diritto ad ottenere il compenso differenziale. Una successiva decisione del consiglio di Stato (V, n. 100 del 3 novembre 1992) riconosce la retribuibilita' in base alla "semplice sostituzione" per assenza che si protrae oltre i giorni sessanta (nella specie l'aiuto che sostituisce il primario eletto senatore), confinando l'art. 7 del d.P.R. n. 128/1969 "unicamente alle assenze di routine e non a quelle di natura eccezionale destinate a durare per anni". In essa si legge anche che "ai fini della retribuzione non e' necessario un atto formale di assegnazione a determinate funzioni, bastando il mero riscontro dell'avvenuto svolgimento delle mansioni superiori in conformita' delle direttive impartite dai competenti organi amministrativi". Da questo quadro giurisprudenziale si evidenzia un'ambiguita' di fondo rappresentata proprio dalla rilevanza da dare alle "situazioni di fatto" nell'ambito del modello amministrativo del pubblico impiego, e di quello sanitario in particolare, sorretto pur sempre dai principi insiti nell'intera Costituzione e in modo specifico, dagli artt. 97 e 98 della Costituzione. Autorevole dottrina, infatti, parla di sicura "costituzionalizzazione" della p.a., che assicura quel "diritto alla legalita'", intimamente collegato al criterio di democraticita' dell'amministrazione, quale formalizzato nella legge 7 agosto 1990, n. 241, e nel principio del "giusto procedimento" elaborato dalla giurisprudenza. Il canone dell'imparzialita' amministrativa presuppone un'organizzazione con le responsabilita' ben definite e a tal fine e' essenziale che il momento strutturale organizzatorio sia ben saldato a quello funzionale, il quale, pur in presenza della intervenuta "delegificazione" (legge n. 93/1983 e legge n. 400/1988) e del prevalere del momento della "contrattazione", conserva, rispetto al lavoro di diritto privato, una sua propria caratterizzazione, rappresentata dal dovere di imparzialita' al servizio esclusivo della Nazione. Cio' naturalmente esige il rispetto di una serie di regole procedimentali per l'attribuzione ai funzionari di specifiche responsabilita', che non possono essere assunte "di fatto". E' vero che al presente vanno affermandosi nuovi moduli convenzionali (atti concordati e atti sostitutivi del provvedimento: art. 11 della legge n. 241/1990), ma essi sono sempre inseriti in un procedimento amministrativo o collegati ad un atto della p.a. che ha valore essenziale (art. 6, ottavo comma, della legge 29 marzo 1983 come sostituito dall'art. 18 della legge n. 146/1990). C'e' un'esigenza di certezza dell'operato della p.a. e la costante necessita' della sua verifica, in base a regole prefissate, che postulano indispensabilmente l'esistenza di atti provvedimentali. L'art. 2126 del c.c., invece, presuppone una situazione di fatto ovvero la "non organizzazione" dell'ufficio pubblico, il che e' costituzionalmente impensabile, tanto e' vero che la stessa Corte, nella citata sentenza n. 296/1990, afferma che le superiori mansioni devono essere conformi alle disposizioni impartite dalla stessa amministrazione, il che dovrebbe significare la preesistenza di un provvedimento. Le perplessita' circa la soluzione data dalla Corte risultano accentuate dal fatto che l'art. 2126 del c.c. non appare idoneo a completare la fattispecie di cui all'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979, poiche' esso presuppone un rapporto di lavoro invalido e mira esclusivamente a tutelare il diritto alla retribuzione del prestatore d'opera poiche' factum infectum fieri nequit, ma nel caso di cui all'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979, dovrebbe prima essere verificato che l'inferiore abbia le qualita' e le capacita' di svolgere le superiori mansioni non solo nominativamente ma realmente, e poi invocarsi l'applicazione dell'art. 36 della Costituzione che, se da una parte vuol tutelare il salario minimo biologico, non intende affatto gratificare tutti i soggetti indiscriminatamente; esso, infatti, mira a premiare la professionalita' e i lavoratori realmente capaci, con un chiaro intendimento di moralizzazione del settore del lavoro. In questa logica il divieto di adibire il dipendente pubblico a mansioni superiori (art. 29, primo comma, del d.P.R. n. 761/1979), oltre a contenere un diritto per il lavoratore e non svolgere i compiti non suoi, rappresenta certamente una norma imperativa di ordine pubblico, tesa ad evitare carriere facilitate con scavalcamento delle procedure selettive ed arricchimenti da parte di soggetti non qualificati, che solo nominativamente possono aver svolto le superiori mansioni. L'inferiore che svolge la funzione vicaria o sostituisce il superiore fa cio' sempre in costanza del proprio status e, quindi, con tutti i limiti insiti nella propria qualifica, salvo che non possa vantare il possesso della idoneita' alla qualifica primariale, che nel caso in esame non risulta esservi. L'art. 36 della Costituzione va letto ed applicato in sintonia con altri articoli cardini dell'ordinamento costituzionale, quali in particolare: artt. 3, 32 e 97 della Costituzione. Un aiuto che dice di svolgere i compiti di un primario non da' mai un'attivita' di pari valore di quest'ultimo e non puo' pretendere la stessa retribuzione di questi, poiche' la posizione apicale di primario importa l'acquisizione verificata di una professionalita' tale da essere garanzia del buon andamento dei servizi ospedalieri (art. 97 della Costituzione) e di una rassicurante tutela della sa- lute del ricoverato, che ha diritto ad essere visitato ed operato dal primario o sotto il suo controllo (art. 32 della Costituzione). Per queste ragioni, infatti, l'art. 7 del d.P.R. n. 128/1969 limita la funzione vicaria all'assenza ed agli impedimenti del primario, mentre per la vacanza si e' stabilita la procedura selettiva pubblica (art. 3 del d.P.R. n. 130/1969), al fine di avere un incaricato scelto per capacita' e merito; sempre per questi motivi l'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979 limita la sostituzione a soli sessanta giorni, prevedendone la non retribuibilita'. E' da chiedersi, pertanto, come sia possibile, in presenza di siffatta normativa, fare una utilizzazione piena dell'art. 2126 del c.c. per ogni ipotesi di sostituzione non meramente precaria, senza considerare che dietro l'inerzia delle amministrazioni nel bandire gli avvisi pubblici di cui all'art. 3 del d.P.R. n. 130/1969, si celano spesso vere e proprie compiacenze personali e clientelari, che sfruttano tali situazioni di fatto. Cio' non puo' essere assecondato da una estensione dell'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979 con ricorso "senza limiti" agli artt. 36 (Costituzione) e 2126 del c.c., proprio per i superiori interessi costituzionali di cui all'art. 3 (divieti di predeterminare situazioni di privilegio per singoli soggetti), all'art. 4 (consentire ad altri soggetti meritori la possibilita' di concorrere a svolgere quella stessa funzione in posizione paritaria), all'art. 32 (la salute e', infatti, un diritto soggettivo fondamentale ed un interesse della collettivita' che postulano scelte qualificate di sanitari capaci, non lasciate agli eventi di fatto o a soluzioni di mero interesse privato), all'art. 36 (la retribuzione e' si' proporzionata alla quantita' ed alla qualita' del lavoro ma presuppone la verificata sussistenza nel dipendente di quelle capacita' proprie della qualifica superiore: diversamente sarebbe un fatto meramente nominativo, fonte di ingiustificati arricchimenti), all'art. 97 (il buon andamento e la imparzialita' degli uffici pubblici e' vanificata dalla indiscriminata applicazione del principio di cui all'art. 2126 del c.c., che verrebbe ad essere un vero e proprio cavallo di Troia per la p.a., la quale potrebbe vedersi imporre dai dipendenti determinate situazioni di fatto), all'art. 98 (il pubblico impiego diverrebbe cosi' terra di conquista da parte dei piu' protetti e il dipendente non sarebbe piu' al servizio esclusivo della nazione, ma si servirebbe del posto pubblico per personali fini di carriera). In sintonia con tale impostazione sembra essere lo stesso legislatore che con il d.P.R. 28 novembre 1990, n. 384 (artt. 55 e 121) e' venuto a negare ogni collegamento automatico tra mansioni superiori e effetti patrimoniali, evidentemente proprio per i principi di imparzialita' e buon andamento, stabilendo dei precisi limiti temporali, e salvaguardando la fondamentale esigenza che i compiti superiori siano affidati a personale selezionato concorsualmente, escludendo, in pari tempo, che la supplenza possa configurarsi come ipotesi di mansioni superiori. Esse, infatti, sono ipotizzabili solo per i posti vacanti ed in presenza di "provvedimento formale secondo le vigenti disposizioni", con la espressa previsione della nullita' di ogni altro atto non conforme ai presupposti stabiliti per il conferimento delle mansioni superiori. Le parti sociali ed il legislatore, nel configurare lo svolgimento delle superiori mansioni come un fatto eccezionale, e percio' circoscritto e limitato nel tempo, hanno dato un chiaro intendimento volto alla moralizzazione del nefasto fenomeno e, mai come in questa circostanza, etica e diritto hanno un idem sentire. La normativa del d.P.R. n. 384/1990 ha, pero, validita' dal 20 dicembre 1990 e lascia irrisolto il contenzioso antecedente circa la retribuibilita' delle mansioni superiori ed e' compito della Corte chiarire la portata della predetta normativa vigente fino al 19 dicembre 1990. Nel caso di specie si e' in presenza di un aiuto che ha sostituito il primario assente e poi ha sopperito alla vacanza del titolare; la soluzione della causa dovrebbe avvenire considerando l'art. 29 del d.P.R. n. 761/1979 cosi' come letto e integrato con gli artt. 36 (Costituzione) e 2126 del c.c., e cio' in patente violazione degli artt. 3, 4, 32, 36, 97 e 98 della Costituzione, giuste le argomentazioni svolte in narrativa, e stante l'automaticita' del meccanismo mansioni superiori-effetti patrimoniali, non essendo stati precisati i limiti di applicabilita' dell'art. 2126 del c.c., ne' la natura delle necessarie "disposizioni" che l'amministrazione deve aver impartito per le ipotesi di vacanza del posto. Il sistema normativo delineato dalla Corte, infatti, si risolve in uno strumento di conferimento di vantaggi, non sempre giustificabili, a singoli impiegati che, in via di fatto, otterrebbero cio' che non spetterebbe loro o non conseguirebbero, ne' potrebbero conseguire (si consideri l'ipotesi dell'aiuto privo dell'idoneita' primariale), seguendo i normali procedimenti di legge. Tutto cio' premesso, il tribunale solleva l'eccezione di illegittimita' costituzionale del secondo comma dell'art. 29 del d.P.R. n. 761/79, quale risulta essere a seguito della sua integrazione con l'art. 36 della Costituzione e 2126 del c.c., che verrebbe a contrastare, oltre che con l'espresso divieto di assegnazione di fatto e di diritto a mansioni superiori (primo comma, art. 29), svuotando cosi' di significato la stessa figura della funzione vicaria, con i principi costituzionali illustrati in motivazione. L'eccezione viene ritenuta fondata ed e' anche rilevante ai fini decisori, avendo parte ricorrente posto a base della propria pretesa il siffatto combinato normativo, elaborato dalla Corte con le citate decisioni. Il giudizio va, pertanto, sospeso con remissione degli atti alla Corte costituzionale ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, legge costituzionale 9 novembre 1948, (art. 1) e art. 23 dell'11 marzo 1953, n. 87;
P. Q. M. Ritenuta non manifestamente infondata ed altresi' rilevante la sopra prospettata questione di costituzionalita', con riferimento agli artt. 3, 4, 32, 36, 97 e 98 della Costituzione, sospende il presente giudizio e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della segreteria del tribunale, la presente ordinanza venga notificata alle parti in causa e al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' che la stessa sia comunicata al Presidente della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Pescara nella camera di consiglio del 19 marzo 1992 e in prosecuzione in quella del 25 giugno 1992. Il presidete: LAURITA Il consigliere: ELIANTONIO Il consigliere, relatore, estensore: NAZZARO 93C0190