N. 71 SENTENZA 11 - 26 febbraio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Previdenza  e  assistenza - I.N.A.I.L. - Prestazioni dovute - Termine
 prescrizionale triennale per il conseguimento - Decorrenza dalla data
 in  cui  e'  divenuta  irrevocabile  la   sentenza   conclusiva   del
 procedimento  penale  a  carico del datore di lavoro o dell'obbligato
 civilmente - Mancata previsione -  Differenziazione  tra  prestazione
 assicurativa  e danno risarcibile (richiamo alla sentenza della Corte
 n. 356/1991) - Richiesta di pronuncia additiva - Termine  rispondente
 sia  alle esigenze dell'I.N.A.I.L. che a quelle dell'assicurato - Non
 fondatezza.
 
 (D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 112, primo comma).
 
 (Cost., artt. 3 e 38, secondo comma).
(GU n.11 del 10-3-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato  GRANATA,  prof.  Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
    prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  112,  primo
 comma,  del  d.P.R.  30  giugno  1965,  n.  1124  (Testo  unico delle
 disposizioni per l'assicurazione obbligatoria  contro  gli  infortuni
 sul  lavoro  e  le  malattie  professionali),  promosso con ordinanza
 emessa il 9 giugno 1992 dal Tribunale di  Avellino  nel  procedimento
 civile  vertente  tra  Del  Priore  Concetta ed altro e l'I.N.A.I.L.,
 iscritta al n. 405 del registro ordinanze  1992  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  35, prima serie speciale,
 dell'anno 1992;
    Visto l'atto di costituzione  dell'I.N.A.I.L.  nonche'  l'atto  di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  15  dicembre  1992  il Giudice
 relatore Renato Granata;
    Uditi l'avv. Adriana Pignataro per l'I.N.A.I.L. e l'Avvocato dello
 Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel giudizio promosso nei confronti dell'INAIL per conseguire
 le prestazioni dovute in forza dell'assicurazione obbligatoria contro
 gli  infortuni  sul  lavoro  da  Priore  Concetta  e Santoli Carmine,
 rispettivamente coniuge e figlio di Santoli Nicola,  deceduto  il  14
 agosto  1984  a  seguito  di infortunio sul lavoro subito il 9 agosto
 dello stesso anno (infortunio per il quale il  legale  rappresentante
 della societa' datrice di lavoro era stato riconosciuto colpevole dei
 reati previsti dagli artt. 589 c.p. e 14 d.P.R. 7 gennaio 1956 n. 164
 con  sentenza  divenuta irrevocabile il 16 aprile 1990), il Tribunale
 di Avellino, in sede di appello avverso la sentenza  di  primo  grado
 che  aveva  respinto  la  domanda ritenendo essere decorso il termine
 prescrizionale triennale previsto dall'art. 112 del  d.P.R.  n.  1124
 del  1965  per  essere stato il ricorso depositato il 29 gennaio 1990
 (ossia oltre cinque anni  dopo  l'infortunio,  ancorche'  pochi  mesi
 prima  del passaggio in giudicato della sentenza penale suddetta), ha
 sollevato (con ordinanza del 9 giugno 1992) questione incidentale  di
 legittimita'  costituzionale  (in  riferimento  agli  artt.  3  e 38,
 secondo comma, Cost.) del citato art. 112  nella  parte  in  cui  non
 prevede  che  il  suddetto  termine di prescrizione triennale decorra
 (anziche' dal giorno dell'infortunio) dalla data in cui  e'  divenuta
 irrevocabile la sentenza che concluda il procedimento penale a carico
 del  datore  di lavoro (o di persona del cui operato debba rispondere
 civilmente) per l'infortunio subito dal  lavoratore,  cosi'  come  in
 generale  prescrive  il  terzo  comma  dell'art.  2947  cod. civ. per
 l'azione di risarcimento del danno.
    Il Tribunale rimettente - partendo dal presupposto della  ritenuta
 inapplicabilita'   alle   pretese   dell'assicurato   nei   confronti
 dell'INAIL del disposto previsto dal terzo comma dell'art. 2947  cod.
 civ. che fa decorrere la prescrizione del diritto al risarcimento del
 danno  dal  passaggio  in  giudicato  della sentenza penale avente ad
 oggetto  la  condotta  causativa  del  danno  -  lamenta   che   tale
 differenziata  disciplina  non  puo'  trovare  giustificazione  nella
 diversa natura dell'azione risarcitoria rispetto a quella diretta  al
 conseguimento  delle prestazioni assicurative per essere quest'ultima
 svincolata dall'eventuale pendenza di un procedimento penale; non  e'
 infatti possibile una netta scissione tra diritto al risarcimento del
 danno  e  diritto  alle  prestazioni  assicurative,  se si tien conto
 dell'art. 10 d.P.R. n. 1124/65 citato, che pone a carico  del  datore
 di   lavoro,   ove  venga  ritenuto  (in  sede  penale)  responsabile
 dell'infortunio, l'obbligo dell'integrale risarcimento del  danno  in
 favore  del  lavoratore infortunatosi per colpa del primo, sicche' le
 prestazioni assicurative dell'INAIL assumono nella sostanza carattere
 di anticipazione rispetto a tale obbligo  risarcitorio.  E'  pertanto
 irragionevole  ed  ingiustificato il differente trattamento riservato
 al lavoratore che  abbia  subito  un  infortunio  di  cui  sia  stato
 riconosciuto  penalmente responsabile il datore di lavoro rispetto ad
 altri soggetti danneggiati da fatto illecito costituente reato  sotto
 il  profilo  che solo per questi ultimi (e non anche per il primo) il
 termine di prescrizione decorre dalla data in cui la sentenza  penale
 sia divenuta irrevocabile.
    Il  Tribunale  rimettente  -  nel  prospettare anche la violazione
 dell'art. 38, secondo comma, Cost. - rileva poi che la  funzione  del
 termine   prescrizionale  triennale  consiste  nell'esigenza  che  il
 diritto al risarcimento  del  danno  da  infortunio  sul  lavoro  sia
 accertato  nel piu' breve tempo possibile nell'interesse dello stesso
 danneggiato e per obiettive ragioni  concernenti  la  raccolta  delle
 prove.   Ma  la  tempestiva  instaurazione  del  procedimento  penale
 soddisfa  tale  esigenza,   consentendo   di   acquisire   la   prova
 dell'infortunio,  sicche' la decorrenza della prescrizione dal giorno
 dell'infortunio  anche  quando  sia  pendente   procedimento   penale
 rappresenta  una  norma  eccessivamente  rigorosa,  tenuto conto che,
 anche se l'inerzia del lavoratore a far valere  i  suoi  diritti  sia
 dovuta a sua negligenza, il privarlo per cio' solo di ogni indennizzo
 rappresenterebbe  pur  sempre violazione del canone costituzionale di
 cui all'art. 38 citato.
    2. - Si e'  costituito  l'INAIL  chiedendo  che  la  questione  di
 costituzionalita'  sia  dichiarata inammissibile od infondata. Rileva
 la difesa dell'Istituto che  sono  nettamente  diverse  le  posizioni
 dell'infortunato,  titolare  delle prestazioni assicurative, e quella
 di chi abbia subito un danno economico a  seguito  del  comportamento
 illecito del datore di lavoro, ma che non sia titolare di prestazioni
 assicurative.    Tale    diversita'    di    situazioni    giustifica
 l'applicabilita' dell'art. 2947, terzo comma, cod. civ.  nel  secondo
 caso  e non anche nel primo (al quale viceversa trova applicazione la
 norma speciale dettata dall'art. 112 d.P.R. n. 1124/65).
    Inoltre non e' ravvisabile alcuna violazione dell'art. 38, secondo
 comma,  Cost.  atteso  che  il  suddetto  termine  prescrizionale  e'
 giustificato   dalla   necessita'  di  indennizzare  al  piu'  presto
 l'infortunato; mentre dilazionare il termine iniziale  di  decorrenza
 significherebbe    alterare    l'intero   sistema   previdenziale   e
 comporterebbe un danno agli stessi lavoratori infortunati, che invece
 hanno  un  immediato  diritto  all'indennizzo  non  appena  rimangono
 infortunati.
    3.  -  E'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato chiedendo
 che la questione sollevata sia  dichiarata  non  fondata  perche'  le
 situazioni  poste a confronto non sono comparabili (atteso che l'art.
 2947, terzo comma, cod. civ. riguarda il diritto al risarcimento  del
 danno  conseguente  ad  un  fatto  reato, mentre l'art. 112 censurato
 attiene al  diritto  al  conseguimento  delle  prestazioni  da  parte
 dell'INAIL  che  prescinde dall'eventuale reato ascrivibile al datore
 di lavoro e trae origine dal  rapporto  assicurativo)  e  perche'  la
 durata  del  termine  triennale prescrizionale non esclude, ne' rende
 eccessivamente incomodo, l'esercizio del diritto.
                        Considerato in diritto
    1. - E' stata  sollevata  questione  incidentale  di  legittimita'
 costituzionale  -  in  riferimento  agli artt. 3 e 38, secondo comma,
 Cost. - dell'art. 112, primo comma, d.P.R. 30  giugno  1965  n.  1124
 (Testo  unico  delle  disposizioni  per  l'assicurazione obbligatoria
 contro gli infortuni sul lavoro e le  malattie  professionali)  nella
 parte in cui non prevede che il termine di prescrizione triennale per
 conseguire    le    prestazioni    dovute   dall'INAIL   in   ragione
 dell'infortunio subito dal lavoratore  assicurato  decorra  (anziche'
 dal   giorno   dell'infortunio)   dalla   data  in  cui  e'  divenuta
 irrevocabile la sentenza che concluda il procedimento penale a carico
 del  datore  di  lavoro,  o  di  persona  del  cui operato egli debba
 rispondere civilmente, per l'infortunio stesso. Il giudice rimettente
 sospetta la violazione del principio di eguaglianza,  atteso  che  il
 regime  piu'  favorevole,  per  il  danneggiato, del differimento del
 termine prescrizionale  e'  in  generale  previsto  dal  terzo  comma
 dell'art.  2947  cod.  civ.  per  l'azione  di risarcimento del danno
 conseguente ad un fatto-reato; prospetta poi la lesione  del  diritto
 del  lavoratore,  che  abbia subito un infortunio sul lavoro, a mezzi
 adeguati alle sue esigenze di vita,  atteso  che  la  decorrenza  del
 suddetto termine prescrizionale dalla data dell'infortunio, anche nel
 caso  di procedimento penale conclusosi con sentenza irrevocabile, si
 appalesa  eccessivamente  rigorosa  e  di  fatto  puo'   privare   il
 lavoratore del diritto all'indennizzo.
    2.  -  La  questione non e' fondata in relazione ad alcuno dei due
 parametri invocati.
    Sotto il profilo dell'art. 3 Cost. deve  rilevarsi  la  diversita'
 delle  situazioni  tra  le  quali il giudice rimettente ha operato la
 comparazione. Da una parte c'e' una prestazione  assicurativa,  quale
 oggetto  di  un'obbligazione  contrattuale scaturente dal rapporto di
 assicurazione obbligatoria che coinvolge il lavoratore  (beneficiario
 della  prestazione), l'INAIL (obbligato ad erogare la prestazione) ed
 il datore di lavoro (obbligato al pagamento del premio assicurativo).
 Ben diversa e' la prestazione risarcitoria, che  costituisce  oggetto
 di  un'obbligazione extracontrattuale scaturente da un atto illecito,
 quale violazione del  generale  obbligo  del  neminem  laedere.  Tale
 diversita' strutturale dei rapporti dedotti in comparazione trova poi
 coerente   e  conseguenziale  riscontro  nella  non  omogeneita'  dei
 presupposti  e  dei  criteri  di  quantificazione   dell'obbligazione
 gravante   rispettivamente   sull'INAIL  (in  favore  del  lavoratore
 assicurato)  e  sull'autore  dell'atto  illecito   (in   favore   del
 danneggiato).  Nel primo caso e' sufficiente, perche' sorga l'obbligo
 dell'INAIL di  indennizzare  il  danno  subito  dal  lavoratore,  che
 l'evento lesivo sia qualificabile come "infortunio sul lavoro", senza
 quindi  necessita'  di  indagine  in  ordine alla responsabilita' del
 fatto (ne' a titolo di colpa, ne' - a maggior ragione - a  titolo  di
 dolo);  di conseguenza - puo' subito rimarcarsi - nessun interesse ha
 il lavoratore infortunato  a  procrastinare  all'esito  del  giudizio
 penale  di  accertamento  di  tale  responsabilita'  per l'infortunio
 l'esercizio delle sue pretese indennitarie nei confronti  dell'INAIL.
 Invece  l'insorgenza  dell'obbligo  risarcitorio da fatto illecito ex
 art. 2043 cod. civ. presuppone, di norma, che  il  fatto  stesso  sia
 addebitabile  al  suo  autore a titolo di dolo o di colpa, sicche' il
 danneggiato potrebbe cautelativamente attendere l'esito del  giudizio
 penale  prima di far valere la sua pretesa risarcitoria nei confronti
 dell'autore del fatto.
    Inoltre,  mentre  la  prestazione   assicurativa   dell'INAIL   e'
 commisurata  alla  perdita o riduzione della capacita' lavorativa, il
 danno risarcibile e' liquidato sulla base del danno emergente  e  del
 lucro  cessante ( ex art. 2056 cod. civ., che richiama gli artt. 1223
 e 1226 cod. civ.). Tale differenziazione e' stata gia' evidenziata da
 questa Corte (sent.  n.  356  del  1991)  che  ha  precisato  che  la
 copertura  assicurativa  non  ha  per oggetto esclusivamente il danno
 patrimoniale in senso stretto talche' l'INAIL e' tenuto ad erogare le
 sue  prestazioni  "a  prescindere  dalla  sussistenza   o   meno   di
 un'effettiva  perdita  o  riduzione  dei  guadagni  dell'assicurato".
 Sicche' - tra l'altro  -  il  danno  biologico  non  e'  indennizzato
 dall'INAIL,  ma  grava  sul  responsabile  del  fatto;  e proprio sul
 ritenuto presupposto della non computabilita' del danno biologico per
 la quantificazione della  prestazione  a  carico  dell'INAIL,  questa
 Corte,  con  sentenza n. 485 del 1991, ha dichiarato l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 10, 6› e 7› comma, d.P.R. 30 giugno 1965  n.
 1124  nella  parte  in  cui prevede che il lavoratore infortunato o i
 suoi  aventi  causa  hanno  diritto,  nei  confronti  delle   persone
 civilmente responsabili per il reato da cui l'infortunio e' derivato,
 al risarcimento del danno biologico non collegato alla perdita o alla
 riduzione  della capacita' lavorativa generica solo se e nella misura
 in cui il danno  risarcibile,  complessivamente  considerato,  superi
 l'ammontare delle indennita' corrisposte dall'INAIL.
   3.  -  Ne'  puo'  obiettarsi che la prestazione assicurativa dovuta
 dall'INAIL  si   atteggia,   sotto   un   aspetto   sostanziale,   ad
 anticipazione  della  prestazione  risarcitoria  dovuta dal datore di
 lavoro (in tal senso v. sent. n. 134 del 1971). Infatti -  non  senza
 considerare  che  la  mera  ricognizione descrittiva del fenomeno non
 consente  di  obliterare  la  diversita'  ontologica   dei   rapporti
 giuridici  dedotti  in  comparazione  -  mette  conto rilevare che la
 responsabilita'  civile  da   illecito   extracontrattuale   e'   una
 fattispecie  autonoma,  conclusa  in  se'. Invece, sia la prestazione
 previdenziale, che la responsabilita' civile  del  datore  di  lavoro
 (che   puo'   atteggiarsi  -  in  se'  considerata  -  in  senso  sia
 contrattuale che extracontrattuale anche se la  disciplina  positiva,
 in  materia  di  prescrizione, ne prescinde e tratta unitariamente ed
 autonomamente la fattispecie) non sono apprezzabili ciascuna  ex  se,
 come  fattispecie  ognuna  conclusa  ed  autonoma,  ma  concorrono  a
 costituire (con altri elementi  quali  la  disciplina  delle  pretese
 creditorie  dell'INAIL verso il datore di lavoro e - eccezionalmente,
 in caso di dolo - verso il  lavoratore  assicurato)  una  fattispecie
 normativa  complessa.  Da  questo  articolato sistema non puo' essere
 estrapolata una componente (ossia la disciplina posta  dall'art.  112
 citato)  per compararla autonomamente con quella di cui all'art. 2947
 cod. civ. perche' la regolamentazione del termine  prescrizionale  ex
 112,  comma  primo,  citato  - pur vista la prestazione previdenziale
 come "anticipazione" del risarcimento dovuto  dal  datore  di  lavoro
 civilmente  responsabile  -  non  sta  a  se', ma fa parte di un piu'
 complesso sistema predicato da connotati di specialita'  (cfr.  sent.
 n. 22 del 1967 e n. 74 del 1981).
    4.  -  Non  e'  infine  priva  di rilevanza la circostanza che, in
 ipotesi di pronuncia additiva di questa  Corte  quale  auspicata  dal
 giudice  rimettente,  il  dies  a  quo  del  termine  di prescrizione
 dell'azione diretta a  conseguire  le  prestazioni  previdenziali  si
 sposterebbe  al  momento  della  definizione del giudizio penale come
 gia' e' previsto per l'azione di regresso dell'INAIL ( ex  art.  112,
 ultimo  comma, seconda parte), con la conseguenza - data la identita'
 di durata del termine triennale - che quando l'assicurato  proponesse
 la   domanda  contro  l'INAIL  alla  scadenza  del  relativo  termine
 diverrebbe  impossibile   per   l'Istituto   l'esercizio   tempestivo
 dell'azione  di  regresso contro il datore di lavoro, rimanendo cosi'
 frustrata  quella  esigenza  di  coordinamento   riconosciuta   dalla
 giurisprudenza di questa Corte (sent. n. 78 del 1972).
    D'altra  parte  la conclusione alla quale si perviene (di ritenuta
 non vulnerazione del principio di eguaglianza)  trova  poi  riscontro
 nella  precedente  giurisprudenza  di  questa  Corte (ord. n. 458 del
 1987) che ha ritenuto che la durata del termine  prescrizionale  puo'
 essere diversamente disciplinata, senza violazione dell'art. 3 Cost.,
 in   caso  rispettivamente  di  diritti  derivanti  da  contratto  di
 assicurazione contro gli infortuni e di pretese risarcitorie da fatto
 illecito.
    5. - Ne' puo', in questo giudizio, tenersi conto  delle  possibili
 implicazioni  che,  sulla  differente regolamentazione del dies a quo
 del termine prescrizionale  oggetto  delle  censure  esaminate,  puo'
 avere   la   disciplina   degli   atti  interruttivi  stragiudiziali.
 Indubbiamente  l'orientamento  giurisprudenziale  -  secondo  cui  il
 decorso  del  termine  di  cui  all'art.  112  citato  non  puo', dal
 lavoratore infortunato, essere interrotto  con  atto  stragiudiziale,
 mentre  tale  atto  e'  in generale idoneo a questo fine ove posto in
 essere da un soggetto danneggiato che vanti una pretesa  risarcitoria
 ex  art.  2043  cod.  civ.  -  accentua  (ove  lo  si  condivida)  la
 divaricazione delle due discipline (quella settoriale in  materia  di
 prestazioni  a  carico  dell'INAIL  e  quella  generale in materia di
 risarcimento del danno da fatto illecito). Ma si tratta di  un  (piu'
 limitato)  profilo  non dedotto dal giudice rimettente (ne' rilevante
 nel giudizio a quo), profilo che - attenendo alla legittimita'  dello
 stesso  art.  112 interpretato nel senso, appunto, che il termine ivi
 previsto non sia suscettibile di interruzione con atto stragiudiziale
 - non viene in questa sede all'esame della Corte.
    6. - Quanto poi al secondo parametro invocato (art. 38 Cost.) deve
 richiamarsi la precedente giurisprudenza di questa Corte  (sentt.  n.
 33 del 1977, n. 31 del 1977, n. 33 del 1974, n. 116 del 1969) secondo
 la quale la funzione del termine triennale risponde sia alle esigenze
 dell'INAIL  (in  ragione  della  tempestivita'  dell'accertamento dei
 fatti),  sia  dell'assicurato  (in  ragione  del  conseguimento   con
 immediatezza  della  prestazione);  il  termine  suddetto mira poi ad
 assicurare la pronta ricerca dei fatti (sentt. n. 129 del 1986  e  n.
 31  del  1977).  Ne' d'altra parte il rilievo del giudice rimettente,
 secondo il quale nel  caso  in  cui  sia  iniziato  (e  pendente)  il
 giudizio  penale la (tempestiva) raccolta delle prove e' assicurata e
 quindi  la  decorrenza  della  prescrizione  dell'infortunio  "appare
 eccessivamente  rigorosa", e' sufficiente a giustificare un mutamento
 di orientamento. Puo' infatti osservarsi in senso  contrario  che  il
 processo  penale  puo'  non  essere  promosso  tempestivamente  e che
 l'INAIL  puo'  comunque  rimanerne  fuori  e  quindi  trovarsi  nella
 situazione  di  non partecipare direttamente alle tempestive indagini
 post factum (pur tenendo conto della non opponibilita' all'INAIL,  in
 tale  situazione,  dell'eventuale  giudicato  favorevole al datore di
 lavoro: v. sent. n. 102 del 1981).  Del  resto  permane  comunque  la
 concorrente   ragione   della   tutela   -   reputata  meritevole  di
 considerazione  dal   legislatore   con   valutazione   oggettiva   -
 dell'interesse  a che il lavoratore assicurato consegua una sollecita
 definizione della sua posizione assicurativa.
    D'altra parte e' consolidato orientamento della giurisprudenza  di
 questa  Corte  che  l'art. 38 Cost. attiene all'adeguamento dei mezzi
 previdenziali per assicurare al cittadino inabile  quanto  necessario
 per  vivere  piuttosto che alle modalita' necessarie a conseguirli, a
 meno  che  queste  non  siano tali da comprometterne il conseguimento
 (sentenze n. 33 del 1977; n. 33 del 1974; n. 10 del 1970).
    In ogni caso l'intervenuta prescrizione delle  prestazioni  dovute
 dall'INAIL  non esclude che il lavoratore infortunato possa domandare
 il  risarcimento  del  danno   sofferto   alle   persone   civilmente
 responsabili  per il reato da cui l'infortunio e' derivato atteso che
 a tale pretesa risarcitoria - che non subisce la decurtazione di  cui
 all'art.  10,  6›  comma,  d.P.R.  n.  1124  citato in mancanza della
 liquidazione da parte dell'INAIL di alcuna indennita' -  si  applica,
 secondo   la   disciplina   comune,   il   differimento  del  termine
 prescrizionale di cui all'art. 2947, 3›  comma,  cod.  civ.  (per  il
 diritto  all'integrale  risarcimento  del danno al di la' delle somme
 gia' erogate dall'INAIL v. sent. n. 74 del 1981).
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  112,  primo  comma,  d.P.R.  30 giugno 1965 n. 1124 (Testo
 unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro  gli
 infortuni  sul  lavoro  e  le  malattie professionali), sollevata, in
 riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, dal
 Tribunale di Avellino con l'ordinanza di cui in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 febbraio 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                         Il redattore: GRANATA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 26 febbraio 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0201