N. 79 SENTENZA 26 febbraio - 11 marzo 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Miniere, cave e torbiere - Regione Campania -  Regime  autorizzatorio
 delle  attivita' estrattive - Diniego dell'autorizzazione regionale -
 Illecita  coltivazione   -   Trattamento   sanzionatorio   penale   -
 Insussistenza  di  una interferenza nella materia penale riservata al
 legislatore statale - Non fondatezza.
 
 (Legge  regione  Campania  13  dicembre  1985,  n. 54, art. 36, primo
 comma)
 
 (Cost., artt. 3, 25, secondo comma e 9).
(GU n.12 del 17-3-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  36, primo
 comma, della legge della Regione Campania 13  dicembre  1985,  n.  54
 (Coltivazione di cave e torbiere), ordinanza emessa il 16 marzo 1992,
 dal Pretore di S. Maria Capua Vetere nel procedimento penale a carico
 di Buonaurio Mattia, iscritta al n. 308 del registro ordinanze 1992 e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 25, prima
 serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto l'atto di intervento della Regione Campania;
    Udito nell'udienza  pubblica  del  18  novembre  1992  il  Giudice
 relatore Francesco Guizzi;
    Udito l'avv. Livio Cacciafesta per la Regione Campania;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  del  procedimento  penale a carico di Buonaurio
 Mattia, imputato dei reati di cui agli articoli 1-sexies della  legge
 8  agosto  1985  n.  431,  734  del codice penale e 21 della legge 10
 maggio  1976,  n.  319  (esecuzione  di  attivita'  estrattiva  senza
 autorizzazione;  alterazione  di bellezze naturali e scarico in alveo
 fluviale senza autorizzazione),  il  Pretore  di  Santa  Maria  Capua
 Vetere,  sezione  distaccata  di  Capua, ha sollevato la questione di
 legittimita' costituzionale  dell'articolo  36,  primo  comma,  della
 legge  regionale  della  Campania  del  13  dicembre  1985, n. 54, in
 materia di coltivazione di cave e torbiere.
    La norma impugnata prevede che la coltivazione delle cave in  atto
 alla  data  di  entrata  in vigore della legge puo' essere proseguita
 purche', entro sei  mesi  dalla  stessa  data,  l'esercente  presenti
 domanda  seguendo la procedura e allegando la documentazione prevista
 dall'articolo 8 della stessa legge. L'autorizzazione  regionale,  che
 consente il proseguimento dell'attivita' di coltivazione, deve essere
 negata  quando  l'attivita'  estrattiva  risulti  in  contrasto con i
 vincoli urbanistici, paesaggistici,  idrogeologici  ed  archeologici,
 derivanti da altre leggi nazionali o regionali.
    Ha  sostenuto  il  Pretore  che  tale  norma verrebbe a creare una
 ingiustificata disparita' di trattamento tra  coloro  i  quali  hanno
 intrapreso  l'esercizio  dell'attivita' estrattiva in epoca anteriore
 alla legge regionale n. 54 del 1985 e coloro che  l'hanno  intrapresa
 in   epoca   posteriore   alla   citata  legge.  Una  norma  siffatta
 costituirebbe, inoltre,  un'illegittima  interferenza  della  Regione
 nella  potesta'  punitiva,  riservata in via esclusiva al legislatore
 statale. Essa, infine, verrebbe a cagionare un irreparabile danno  al
 valore dell'integrita' ambientale.
    Il  remittente  ha osservato che l'articolo 36, primo comma, della
 legge  regionale  della  Campania,  consentirebbe  il   conseguimento
 dell'autorizzazione   anche   a   seguito   di   un   mero   silenzio
 (inadempimento) da parte dell'ente regione. In tal  modo  l'attivita'
 di  coltivazione  di  cava verrebbe ad essere resa lecita sine die in
 contrasto con la normativa statale ed in particolare  con  l'articolo
 1-sexies della legge n. 431 del 1985.
    Sussisterebbe,  pertanto,  una  violazione  dell'articolo  3 della
 Costituzione,   palesandosi    una    disparita'    di    trattamento
 ingiustificata  tra  i  coltivatori  di cava della regione Campania e
 quelli delle altre regioni, nonche', nella categoria dei  coltivatori
 di  cava  campani  che  esercitano  l'attivita'  estrattiva  in  zona
 vincolata, tra coloro che hanno iniziato la loro  attivita'  prima  o
 dopo l'entrata in vigore della legge.
    La  norma  violerebbe  anche  l'articolo  25, secondo comma, della
 Costituzione, poiche' la regione, in contrasto con la legge  431  del
 1985 (articolo 1-sexies), avrebbe interferito nella materia penale.
    La  norma  impugnata  urterebbe, infine, contro l'articolo 9 della
 Carta, in quanto verrebbe a  ledere  il  bene  oggetto  della  tutela
 paesaggistica.
    La rilevanza della questione risiederebbe nel fatto che l'imputato
 avrebbe  presentato  la  domanda  per la continuazione dell'attivita'
 estrattiva in una zona soggetta a  vincolo  paesaggistico,  ai  sensi
 dell'articolo 1, lettera c), della legge n. 431 del 1985, in una zona
 cioe'  in cui l'autorizzazione andrebbe negata, secondo la previsione
 della norma impugnata (terzo comma dell'art. 36 della legge regionale
 n. 54 del 1985).
    2. - E' intervenuta la Regione Campania, in persona del Presidente
 pro-tempore,  rappresentata e difesa dall'Avvocatura regionale che ha
 chiesto  pronunciarsi   l'inammissibilita',   l'improcedibilita'   o,
 comunque,    l'infondatezza    delle    questioni   di   legittimita'
 costituzionale sottoposte all'esame della Corte.
    Ha affermato l'Avvocatura regionale che e' del tutto destituita di
 fondamento la censura di  irragionevole  disparita'  di  trattamento,
 creata   dalla  norma  impugnata,  fra  quanti  avevano  in  atto  la
 coltivazione di una cava al momento della sua  entrata  in  vigore  e
 quanti  hanno invece intrapreso l'attivita' in un momento successivo.
 La Regione  Campania  avrebbe,  infatti,  sottoposto  l'attivita'  di
 coltivazione  di  cave  ad  una  disciplina  rigorosa, caratterizzata
 dall'approvazione del piano regionale del  settore  estrattivo  entro
 due  anni  dall'entrata  in  vigore  della  legge,  "nel quadro delle
 esigenze generali di difesa dell'ambiente  e  di  sviluppo  economico
 regionale  ed in linea con le politiche comunitarie in materia" (art.
 2). Eppero', atteso il carattere di rilevante interesse nazionale che
 rivestirebbe l'attivita' in questione, la  regione  non  avrebbe  non
 potuto   disciplinare   la   fase   transitoria   con  una  specifica
 disposizione normativa,  pena  la  "completa  paralisi"  del  settore
 estrattivo.  Non vi sarebbe, dunque, alcuna irragionevole disparita'.
 E non sussisterebbe  neppure  la  pretesa  violazione  dell'art.  25,
 secondo comma, della Costituzione in quanto la regione non avrebbe in
 alcun modo illegittimamenteinterferito nella materia penale.
    L'imputato,   e'   vero,   avrebbe   presentato   la   domanda  di
 proseguimento dell'attivita' estrattiva allo  scopo  di  ottenere  il
 provvedimento  autorizzatorio,  ma  il  comportamento  omissivo della
 Regione Campania non lo facultava, a termini della legge regionale in
 questione, a proseguire nell'attivita'. Cio' perche' l'autorizzazione
 dovrebbe essere negata, trovandosi la cava in una  zona  soggetta  al
 vincolo  paesaggistico  ai sensi dell'art. 1, lettera e), della legge
 n.  431  del  1985  e  l'inadempimento  della  regione  non  potrebbe
 trasformare  un'attivita'  illecita  in  attivita' lecita. Al momento
 dell'entrata in vigore della legge regionale n. 54  del  13  dicembre
 1985,  il  vincolo di inedificabilita' e immodificabilita' delle aree
 fluviali era inoltre gia' operativo in virtu' del  decreto  legge  n.
 312  del  27  giugno  1985,  successivamente convertito nella legge 8
 agosto 1985, n. 431.
    La norma impugnata, infine, non potrebbe ledere il  bene  tutelato
 dal vincolo paesaggistico, in spregio dell'art. 9 della Costituzione,
 in  quanto  la  legge  espressamente prevede che l'autorizzazione sia
 negata "quando l'attivita' estrattiva  risulti  in  contrasto  con  i
 vincoli   urbanistici,   paesaggistici,  idrologici  ed  archeologici
 derivanti da altre leggi  nazionali  o  regionali"  (art.  36,  terzo
 comma,  legge  regionale  n.  54  del  1985).  Del  resto, il mancato
 esercizio del potere-dovere di diniego dell'autorizzazione  da  parte
 dell'ente   regione  non  farebbe  sussistere  una  delle  condizioni
 presupposte   dal   legislatore   regionale   per   la   prosecuzione
 dell'attivita'   estrattiva.  Tale  attivita',  vietata  dalla  legge
 regionale,  non  poteva  essere  resa  legittima  dal   comportamento
 dell'amministrazione regionale medesima.
                        Considerato in diritto
    Il  Pretore  di  Santa  Maria  Capua Vetere, sezione distaccata di
 Capua, ha, con ordinanza del 16 marzo 1992 (registro ordinanze n. 308
 del 1992), sollevato, in relazione agli artt. 3, 25, secondo comma, e
 9  della  Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale,
 dell'art.  36, primo comma, della legge della Regione Campania del 13
 dicembre 1985, n. 54, in quanto la norma:
       a) determinerebbe una disparita' ingiustificata di  trattamento
 tra  i  coltivatori  di cava della regione Campania e quelli di altre
 regioni, nonche' tra i  coltivatori  di  cava  della  stessa  regione
 Campania  che  esercitano  attivita'  estrattiva in zona vincolata, a
 seconda della data di inizio dell'attivita' estrattiva;
       b) interferirebbe illegittimamente nella materia penale;
       c) consentirebbe la grave lesione del bene soggetto alla tutela
 del  vincolo  paesaggistico,  anche  in  assenza  dell'esercizio  del
 potere-dovere  di  diniego  dell'autorizzazione  da  parte  dell'ente
 regione.
    4. - La questione non e' fondata.
    Anche la  legge  regionale  della  Campania,  contrariamente  alla
 vecchia  legge mineraria (Regio decreto 29 luglio 1927, n. 1443) e in
 conformita' ad altre leggi regionali di settore, ha introdotto il re-
 gime autorizzatorio per le  cave,  cosi'  assoggettando  a  controlli
 amministrativi  l'utilizzazione  del  territorio  a  fini estrattivi.
 Questa Corte ha gia' dissipato i dubbi di legittimita' costituzionale
 circa il regime autorizzatorio delle attivita' estrattive (sent.  nn.
 201  del  1985  e  7 del 1982 e ordinanza n. 469 del 1987) ed ha, nel
 contempo,  affermato  la  piena  legittimita'   di   una   disciplina
 autorizzatoria per la prosecuzione della coltivazione delle cave gia'
 in atto (sent. n. 7 del 1982).
    La  legge  della  Regione Campania del 13 dicembre 1985, n. 54, ha
 stabilito una disciplina transitoria  per  le  cave  gia'  in  essere
 (articolo  36),  prevedendo  per  il suo coltivatore la necessita' di
 dotarsi dell'autorizzazione regionale.  La  disposizione,  pero',  ha
 chiaramente   stabilito   il   diniego   dell'autorizzazione  "quando
 l'attivita'  estrattiva  risulti   in   contrasto   con   i   vincoli
 urbanistici,  paesaggistici,  idrogeologici ed archeologici derivanti
 da altre leggi nazionali o regionali" (art. 36,  terzo  comma,  legge
 della Regione Campania n. 54 del 1985).
    Orbene,  poiche' l'art. 7 della stessa legge regionale ha previsto
 il diniego dell'autorizzazione per l'apertura di nuove  cave  ove  si
 sia  in presenza di divieti, stabiliti da leggi regionali e nazionali
 o dagli strumenti urbanistici comunali, e di  vincoli,  stabiliti  ai
 sensi delle leggi 1› giugno 1939, n. 1089, 29 giugno 1989, n. 1497, 8
 agosto  1985,  n.  431,  non e' dato vedere quale diverso e deteriore
 trattamento subirebbero i coltivatori di cava che operino o intendano
 operare in zone vincolate della Regione Campania  in  relazione  alla
 data   di   inizio   dell'attivita'   estrattiva   intrapresa   o  da
 intraprendere. Alla  luce  delle  cennate  disposizioni  della  legge
 regionale  della  Campania, l'attivita' di coltivazione delle cave in
 zona sottoposta a vincolo urbanistico, paesaggistico, idrogeologico e
 archeologico, e' infatti rigorosamente vietata e mai potrebbe formare
 oggetto di autorizzazione.
    5. - Ne' puo' dirsi che la legge impugnata  viene  ad  interferire
 nella  materia  penale  riservata  al legislatore statale, poiche' il
 divieto dell'autorizzazione alla  coltivazione  di  cava,  anche  con
 riferimento  alle  attivita'  gia'  in  atto  alla data di entrata in
 vigore della legge, non consente al  cavatore  di  guadagnare  alcuna
 minina  immunita'  o  beneficio  di  altra sorta. Ne' l'inadempimento
 della  regione (che nel caso di specie, richiesta dell'autorizzazione
 alla coltivazione di cava in zona vincolata, non avrebbe adottato  il
 provvedimento negativo) e' idoneo a trasformare un'attivita' illecita
 (perche'  lesiva  del  divieto stabilito da una legge dello Stato) in
 un'attivita' lecita. Del resto, al  momento  dell'entrata  in  vigore
 della  legge regionale della Campania, il vincolo di inedificabilita'
 e immodificabilita' delle aree fluviali era gia' in vigore in  virtu'
 del   decreto-legge  n.  312  del  27  giugno  1985,  successivamente
 convertito nella legge 8 agosto 1985 n. 431.
    6. - A maggior ragione va  disatteso  pure  l'ultimo  dei  profili
 indicati  nell'ordinanza di rimessione, quello della lesione del bene
 paesaggio tutelato dall'art. 9 della Carta costituzionale, in  quanto
 la  norma  impugnata,  attraverso  le  disposizioni  che impongono il
 diniego dell'autorizzazione per l'attivita' cavatoria quando  si  sia
 in  presenza  di un vincolo paesaggistico, e' pienamente coerente con
 il valore costituzionale invocato.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, in relazione agli artt. 3, 25, secondo comma,
 e 9 della Costituzione, la questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  36, primo comma, della legge della Regione Campania del 13
 dicembre 1985, n. 54, sollevata dal  Pretore  di  Santa  Maria  Capua
 Vetere, sezione distaccata di Capua, con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 26 febbraio 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                         Il redattore: GUIZZI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria l'11 marzo 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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