N. 126 ORDINANZA (Atto di promovimento) 18 gennaio 1993
N. 126 Ordinanza emessa il 18 gennaio 1993 dal pretore di Udine nel procedimento civile vertente tra Passone Dinea e I.N.A.I.L. Infortuni sul lavoro a malattie professionali - Silicosi - Morte dell'assicurato (causata dalla malattia) sopraggiunta dopo la liquidazione della rendita per inabilita' permanente - Termine di decadenza di novanta giorni dalla morte per i superstiti per la proposizione della domanda per ottenere la rendita nella misura e nei modi stabiliti dall'art. 85 del t.u. n. 1124/1965 - Eccessiva brevita' del termine in questione tale da rendere particolarmente gravoso l'esercizio del diritto con conseguente incidenza sulla garanzia previdenziale - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 85/1968. (D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 122). (Cost., artt. 3, 24 e 38).(GU n.14 del 31-3-1993 )
IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa previdenziale promossa con ricorso depositato il 10 aprile 1991 da Passone Dinea, col proc. e dom. avv. Gaetano Mutarelli da Udine, ricorrente contro l'I.N.A.I.L. Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in persona del presidente pro-tempore, col proc. e dom. avv.ti Raffaele de Mitri, Renzo Baldo e Mario Grillo, resistente. IN FATTO E IN DIRITTO Con ricorso 10 aprile 1991 Passone Dinea, premesso che il marito Gosparini Dante era in vita affetto da silicosi, per la quale l'I.N.A.I.L. gli aveva riconosciuto la rendita, e che tale affezione si era aggravata al punto da portarlo alla morte il 21 febbraio 1988 e precisato che aveva presentato infruttuosamente il 24 settembre 1988 all'I.N.A.I.L. domanda di rendita ai superstiti, chiedeva al pretore di Udine che, accertato il nesso di causalita' tra la pregressa patologia respiratoria del marito e il decesso, condannasse l'I.N.A.I.L. a riconoscerle la rendita ai superstiti. L'I.N.A.I.L., costituitosi, si opponeva al ricorso, eccependo, tra l'altro, che la ricorrente era incorsa nella decadenza prevista dall'art. 122 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, alla cui stregua gli eventuali aventi diritto alla rendita ai superstiti, in caso di morte sopraggiunta in conseguenza dell'infortunio (o della malattia professionale) dopo la liquidazione della rendita di inabilita' permanente, dovevano presentare domanda entro 90 giorni dalla data della morte (nel caso di specie morte del Gosparini risalente al 21 febbraio 1988, domanda della vedova all'I.N.A.I.L. il 24 settembre 1988). Nel corso del procedimento la ricorrente solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 122 del d.P.R. n. 1124/1965 in riferimento agli artt. 3, 24 e 38 della Costituzione. All'udienza 18 gennaio 1993, esaurita la discussione, veniva pronunciata e letta l'ordinanza in atti. La questione sollevata e' rilevante e non manifestatamente infondata. Va premesso che l'art. 122 del d.P.R. n. 1124/1965, nello stabilire testualmente che: "quando la morte sopraggiunse in conseguenza dell'infortunio dopo la liquidazione della rendita di inabilita' permanente, la domanda per ottenere la rendita nella misura e nei modi stabiliti nell'art. 85 deve essere proposta dai superstiti, a pena di decadenza, entro 90 giorni dalla data della morte", si riferisce non solo agli infortuni sul lavoro ma anche alle malattie professionali, quanto meno perche' l'art. 131 dello stesso d.P.R. prevede che per le malattie professionali si applichino in generale le disposizioni concernenti gli infortuni sul lavoro. Va altresi' premesso che il termine di decadenza previsto dall'art. 122 e' ritenuto ormai, per prevalente giurisprudenza del S.C. (v. sent. 17 dicembre 1986, n. 7638 e da ultimo 21 marzo 1991, n. 3044), di natura sostanziale, cioe' tale che il suo mancato rispetto determina l'estinzione del diritto senza alcuna possibilita' di sanatoria, sanatoria che l'art. 8 della legge 11 agosto 1973, n. 533, limita alle decadenze di natura processuale verificatesi nelle procedure amministrative riguardanti le controversie in materia di assistenza e previdenza obbligatoria. Cosi' precisato il quadro normativo, nell'interpretazione offerta dal S.C. con decisioni, da cui non vi e' motivo di discostarsi, la prospettata questione di costituzionalita' dell'art. 122 in esame appare, per tutta evidenza, rilevante, sol che si pensi che, vigendo il termine previsto da detto articolo, la vedova ricorrente vedrebbe irrimediabilmente respinto il proprio ricorso, per aver presentato la domanda di prestazione all'I.N.A.I.L. solo il 24 settembre 1988, ben oltre i 90 giorni dalla morte del marito, (affetto da malattia professionale), avvenuta il 21 febbraio 1988 e asseritamente sopraggiunta in conseguenza della malattia professionale - silicosi - dopo una liquidazione della rendita per inabilita' permanente. La questione medesima appare poi non manifestamente infondata. Va premesso che la Corte costituzionale, gia' con sentenza 5 luglio 1968, n. 85, ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 28 del r.d. 17 agosto 1935, n. 1765 (contenente disposizioni per l'assicurazione obbligatoria degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali) nella parte in cui, in contrasto con gli artt. 24, primo comma, e 38 della Costituzione, stabiliva che la domanda diretta ad ottenere la rendita doveva essere proposta dai superstiti del lavoratore, deceduto a causa dell'infortunio dopo la liquidazione della rendita per inabilita' permanente, entro un mese dalla data della morte. Le ragioni addotte a sostegno della decisione, che non ha esteso la declaratoria di legittimita' alla corrispondente disposizione dell'art. 122 del d.P.R. n. 1124/1965, che ha elevato il suddetto termine a 90 giorni, appaiono, a giudizio di questo pretore, valide anche per tale nuovo termine. Invero anche questo termine si rivela troppo breve e la sua decorrenza puo' condurre a conseguenze tali da rendere del tutto inoperante, in contrasto con gli articoli 24, primo comma, e 38 della Costituzione, quella tutela dei diritti ai superstiti che la legge ha voluto assicurare. Basti pensare, per rendersi conto di cio', "al turbamento di carattere psicologico ed affettivo che la morte di un congiunto suscita, di norma, nell'ambito della famiglia, con ripercussioni innegabili sull'attivita' che i superstiti devono svolgere sollecitamente, per salvaguardare i loro interessi patrimoniali, ricollegati all'evento luttuoso; attivita' che puo' trovare maggiore difficolta' di espletamento, anche nell'eventuale scarsa conoscenza delle disposizioni legislative e regolamentari da parte dei superstiti. Ragioni queste che gia' concorrono a far fondatamente dubitare della congruita' del termine di un mese stabilito dalla disposizione impugnata ed assumono, nel caso, maggior rilievo se si considera che detto termine decorre dalla data della morte del lavoratore che gia' gode della rendita. Da un elemento di fatto cioe' che prescinde dalla possibilita' che del decesso non sia pervenuta tempestivamente notizia agli interessati. Il che puo' accadere quando, come nella specie, la morte avvenga in localita' diversa da quella dell'abituale residenza dell'infortunato ovvero quando l'evento si e' verificato in circostanze tali da rendere difficile la conoscenza da parte della stessa pubblica autorita'" (Corte costituzionale sentenza n. 85/1968). Le stesse considerazioni non possono non valere ancor oggi pur in relazione al maggior termine di 90 giorni previsto dall'art. 122 del d.P.R. n. 1124/1965 e pur essendovi l'art. 123 dello stesso d.P.R., che impone all'I.N.A.I.L. se gli risulti che i superstiti dell'infortunato non erano informati del decesso, l'obbligo, appena venutone a conoscenza, di dare notizia del decesso stesso ai superstiti e che stabilisce, altresi', che in ogni caso il termine di 90 giorni, a pena di decadenza, decorre dal giorno nel quale i superstiti sono venuti a conoscenza del decesso. Ne' vale osservare in contrario, come vuole l'I.N.A.I.L. che la brevita' del termine di novanta giorni e' necessaria per permettere un'accertamento tempestivo della relazione causale tra l'infortunio o la malattia professionale e il decesso, posto che un tale accertamento dopo tre mesi dalla morte non puo' essere compiuto per il colliquarsi dei tessuti trasformati a quel punto in una unica massa informe, impeditiva di ogni riscontro che abbia carattere di sicurezza o anche di sola probabilita'. A parte la considerazione che il progresso della scienza medica consente indagini efficienti sul rapporto causale tra evento professionale e decesso anche dopo novanta giorni da questo, per convincersi dell'inconsistenza della tesi dell'istituto bastera' notare che una cosa e' la difficolta' di prova dell'indicato nesso causale da parte del ricorrente superstite, prova tanto piu' difficile quanto maggiore sara' il tempo trascorso tra il decesso e l'azione volta ad accertare il nesso, e altra cosa e' conculcare, con la previsione di un termine troppo breve, il diritto del ricorrente di agire giudizialmente e quindi di fornire la prova stessa. Non potra' pertanto l'I.N.A.I.L. mai dolersi della caducazione del termine di novanta giorni, in quanto ogni pregiudizio conseguente al ritardo di azione operera' a livello probatorio solo a carico del ricorrente. Peraltro, oltre alle argomentazioni svolte, fa dubitare della legittimita' dell'art. 122 anche la considerazione che tale norma aggiunge, contro ogni ragionevolezza (art. 3 della Costituzione), all'ordinario termine triennale di prescrizione dell'azione diretta al conseguimento della prestazione assicurativa, previsto dall'art. 112 del d.P.R. n. 1124/1965 e valevole anche per l'azione di riconoscimento della rendita ai superstiti (v. Cass. 21.1185 n. 5750), un ulteriore termine di decadenza limitato alla sola rendita ai superstiti. Non solo ma la irrazionalita' dell'art. 122 appare ancor piu' evidente ove si consideri che il termine di decadenza di novanta giorni opera solo quando la morte sia conseguenza dell'infortunio o della malattia professionale dopo il riconoscimento da parte dell'I.N.A.I.L. cioe' quando la morte sopraggiunge dopo la liquidazione della rendita di inabilita' permanente, e non anche invece quando la morte sia istantanea o quasi e coincidente con l'evento (infortunio o malattia professionale), ipotesi nella quale la normativa in vigore non prevede che il termine prescrizionale e cio' nonostante che in entrambi i casi identica sia la necessita' di un'accertamento legale in ordine alla idoneita' dell'evento professionale a produrre la morte. Va pertanto rimessa alla Corte Costituzionale la indicata verifica, sospendendosi, nel contempo, il giudizio in corso.
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; In accoglimento della questione della legittimita' costituzionale dell'art. 122 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124; Ritenuta la questione non manifestamente infondata e rilevante; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale perche' decida se l'art. 122 della legge sopra indicata contrasti o meno con il disposto degli artt. 3, 24 e 38 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso; Ordina che, a cura della cancelleria, copia della presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, e sia comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento. Udine, addi' 18 gennaio 1993 Il pretore: CARCHIO Depositato in cancelleria oggi 5 febbraio 1993. Il cancelliere: STRANI 93C0260