N. 112 SENTENZA 24 - 26 marzo 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Radiocomunicazioni  - Programmi televisivi - Telemaremma S.r.l. - Re-
 gime di concessione  -  Attivita'  di  radiodiffusione  televisiva  -
 Posizione  di interesse legittimo - Ripetizione di programmi esteri -
 Posizione di  diritto  soggettivo  -  Equiparazione  -  Rispetto  dei
 principi  della  riserva  di  legge  e della certezza giuridica - Non
 fondatezza.
 
 (Legge 6 agosto 1990, n. 223, artt. 2, 3, 15, 16, 19 e 32).
 
 (Cost., artt. 3, 15, 21 e 41).
 
(GU n.14 del 31-3-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Giuseppe BORZELLINO;
 Giudici:  dott.  Francesco  GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
 SPAGNOLI, prof. Francesco Paolo CASAVOLA, prof. Antonio  BALDASSARRE,
 prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv. Mauro FERRI, prof.  Luigi MENGONI,
 prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof.  Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 2, 3, 15,  16
 e  19  della  legge  6  agosto  1990,  n. 223 (Disciplina del sistema
 radiotelevisivo pubblico e privato), promosso con ordinanza emessa il
 3 marzo  1992  dal  tribunale  di  Firenze  nel  procedimento  civile
 vertente  tra la Telemaremma S.r.l. e l'Amministrazione delle PP.TT.,
 iscritta al n. 183 del registro ordinanze  1992  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  16, prima serie speciale,
 dell'anno 1992;
    Visto l'atto di  costituzione  della  Telemaremma  S.r.l.  nonche'
 l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  3  novembre  1992  il  Giudice
 relatore Antonio Baldassarre;
    Uditi gli Avvocati  Felice  Vaccaro  e  Carlo  Mezzanotte  per  la
 Telemaremma  S.r.l.  e  l'Avvocato dello Stato Giorgio D'Amato per il
 Presidente del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel corso  di  un  procedimento  civile  iniziato  a  seguito
 dell'emanazione  di  un  provvedimento  pretorile d'urgenza, adottato
 sulla base dell'art. 700 del codice di procedura civile, il tribunale
 di Firenze ha  sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 degli  artt.  2,  3,  15,  16  e 19 della legge 6 agosto 1990, n. 223
 (Disciplina del  sistema  radiotelevisivo  pubblico  e  privato),  in
 riferimento agli artt. 3, 15, 21 e 41 della Costituzione.
    Il  tribunale  di  Firenze  ricorda che il giudizio a quo e' stato
 instaurato in conseguenza di un  provvedimento  cautelare  d'urgenza,
 con  il  quale  il  pretore  aveva intimato all'amministrazione delle
 poste e telegrafi di non dare attuazione all'ordine di disattivazione
 dell'impianto   radioelettrico   esercitato    dalla    societa'    a
 responsabilita'  limitata Telemaremma sulla frequenza 67 VHF, essendo
 quest'ultima assegnata con decreto ministeriale 31  gennaio  1983  al
 Ministero  della  difesa  per  il servizio fisso e al Ministero delle
 poste e telecomunicazioni per il servizio di radiodiffusione. Durante
 il predetto giudizio, mentre la societa' attrice sosteneva  di  esser
 titolare  di  un  diritto  soggettivo  pieno,  grazie al quale poteva
 invocare la tutela del giudice ordinario di fronte  alla  carenza  di
 potere  della  pubblica  amministrazione,  l'Avvocatura  dello Stato,
 invece,  eccepiva  il   difetto   di   giurisdizione   dell'autorita'
 giudiziaria ordinaria. Intervenuta la legge n. 223 del 1990, le parti
 precisavano  le  loro  richieste, nel senso che, mentre la resistente
 domandava una pronunzia di cessazione della materia  del  contendere,
 la  societa'  Telemaremma  prospettava l'illegittimita'costituzionale
 delle norme sopravvenute istitutive del principio  della  concessione
 nei confronti dei privati.
    Nell'accogliere  quest'ultima  richiesta,  il  giudice  a  quo  ha
 sollevato  la  questione   di   costituzionalita'   sopra   indicata,
 precisando  che  quest'ultima  appare  rilevante  anche per giungere,
 eventualmente, alla declaratoria della sopravvenuta cessazione  della
 materia   del   contendere.  L'applicabilita'delle  norme  impugnate,
 infatti, deve essere valutata, secondo il giudice a quo, in relazione
 alla presentazione, ad opera della parte attrice,  della  domanda  di
 concessione  ai  sensi  dell'art.  32 della legge n. 223 del 1990, al
 fine di essere inclusa fra coloro che  sono  autorizzati  ex  lege  a
 continuare  provvisoriamente  l'attivita'  di  radiotelediffusione in
 svolgimento al momento di entrata in  vigore  della  legge  medesima.
 Sicche',  essendo  documentato  che  la  societa'  Telemaremma  aveva
 installato il proprio impianto trasmittente anteriormente all'entrata
 in vigore della predetta legge ed essendo indiscutibile  che  oggetto
 del  giudizio  a  quo  e' tanto la valutazione della legittimita' del
 comportamento della pubblica amministrazione di fronte alla posizione
 soggettiva vantata dalla parte attrice,  quanto  la  decisione  sulla
 validita'  del  titolo  di  quest'ultima in ordine alla continuazione
 della propria attivita', non  dovrebbe  dubitarsi  della  sussistenza
 della rilevanza in ordine alla sollevata questione.
    Sul  merito  della questione, il tribunale di Firenze osserva che,
 alla  luce  della  giurisprudenza  costituzionale,   l'esercizio   di
 impianti  di  radio  e tele-diffusione va configurato come un diritto
 soggettivo perfetto discendente dall'art. 21  della  Costituzione  ed
 e',  pertanto, tutelato come posizione soggettiva assoluta, collegata
 alla prima e massima espressione della liberta' individuale,  la  cui
 limitazione,  come si deduce anche dall'art. 15 della Costituzione in
 relazione a tutte le "forme di comunicazione", puo' avvenire soltanto
 attraverso un atto motivato dell'autorita' giudiziaria.
    L'attivita' del privato che esercita un'impresa di trasmissione di
 programmi  radiotelevisivi  e'  tutelata  anche  dall'art.  41  della
 Costituzione,  che,  nel garantire la liberta' d'iniziativa economica
 privata, ammette limiti e controlli sulla stessa soltanto per  motivi
 d'utilita'  sociale e per fini sociali. Sotto tale profilo, l'art. 32
 della legge n. 223 del 1990, che permette, a favore di coloro che  al
 momento  dell'entrata  in vigore della legge operino in situazione di
 oligopolio di fatto e  che  presentino  entro  un  certo  termine  la
 richiesta  della  concessione,  la  prosecuzione dell'esercizio della
 emittenza in regime autorizzatorio (fino al momento  del  rilascio  o
 del  diniego  della  concessione),  non  parrebbe garantire a tutti i
 privati la possibilita' di accesso a tali attivita'  economiche,  ne'
 conterrebbe  limiti  conformi a Costituzione, per il fatto che non si
 vede quali fini di utilita' sociale si perseguono con  la  protezione
 delle   situazioni  in  atto.  Alla  violazione  dell'art.  41  della
 Costituzione si  aggiunge  quella  dell'art.  3  della  stessa  Carta
 costituzionale,  poiche'  la  possibilita'  di  accesso alle suddette
 attivita' economiche non sembra affatto garantita a tutti su un piano
 di parita' sostanziale.
   Secondo il giudice a quo, il punto cruciale delle censure mosse sta
 in quelle disposizioni della legge n. 223 del 1990  che  stabiliscono
 la  necessita'  di  un  regime  fondato sulla concessione. Sulla base
 delle sentenze nn. 202 del 1976, 237 del 1984  e,  soprattutto,  1030
 del  1988,  l'installazione e l'esercizio di stazioni radioelettriche
 potevano essere soggetti,  nell'ambito  di  un  regime  basato  sulla
 riserva  statale, soltanto a "licenza", cioe' a una species del genus
 "autorizzazione". Il sistema della legge n. 223  del  1990,  pur  non
 avendo  piu'  come  suo  quadro di riferimento un regime di monopolio
 statale, bensi' uno di "regime misto", e' invece contraddittoriamente
 incentrato sul principio della concessione amministrativa, il  quale,
 nel  presupporre  l'attribuzione  di  poteri  e  facolta', propri del
 concedente, amplianti una situazione giuridica,  postula  l'esistenza
 di  un  mero interesse legittimo del privato, ontologicamente diverso
 dal  diritto  soggettivo  perfetto  indicato   dalla   giurisprudenza
 costituzionale.  Questa configurazione, apparentemente contraria alla
 Costituzione, comporta, secondo il giudice a quo, che la tutela della
 posizione giuridica in questione sia illegittimamente sottratta  alla
 giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ordinaria.
    Alla luce di tali osservazioni, continua lo stesso giudice, appare
 contrastante   con   la  Costituzione,  oltreche'  contraddittorio  e
 irrazionale,  anche  il  sistema  del  "doppio  binario",   stabilito
 dall'art. 2 e richiamato dall'art. 38 della legge n. 223 del 1990, in
 virtu'  del quale, mentre per l'esercizio di impianti radiotelevisivi
 e'  prescritta  la  concessione,  per  le  imprese  che  ripetano   o
 diffondano  nel  territorio  italiano  programmi  esteri  e', invece,
 prevista la perpetuazione del  sistema  autorizzatorio  di  cui  alla
 legge  14  aprile  1975,  n.  103, e successive modificazioni. Questa
 disparita', per la quale l'attivita' di radiotrasmissione  televisiva
 e'  soggetta  a concessione e quella di mera ripetizione di programmi
 esteri  e'  espressione  di  un  diritto   soggettivo,   non   appare
 giustificata,  considerato  che entrambe utilizzano le medesime forme
 di  comunicazione   e   si   riferiscono   alle   medesime   liberta'
 costituzionali garantite dagli artt. 21 e 41 della Costituzione.
    Per altro verso, prosegue il giudice a quo, sussiste una ulteriore
 disparita'   di   trattamento   tra   le  stesse  attivita'  a  causa
 dell'inesistenza di una "proporzionalita'"  fra  di  loro  sul  piano
 della  tutela  accordabile.  Infatti,  poiche'  il legislatore non ha
 individuato un modo di convivenza fra le imprese  di  radiodiffusione
 televisiva  e  quelle  di ripetizione di programmi esteri (lasciando,
 peraltro,  irrisolto  anche  il  problema  delle  imprese   "miste"),
 potrebbe  darsi  che  le  seconde  vengano  ad  occupare  lo  spettro
 radioelettrico disponibile  a  danno  delle  prime,  con  conseguente
 sacrificio totale della posizione soggettiva di queste ultime.
    Sussiste,  infine,  ancora  un  altro  profilo  di  disparita'  di
 trattamento nella citata disciplina transitoria disposta dall'art. 32
 della  legge  n.  223  del  1990.  Questa,  infatti,  con   esclusivo
 riferimento  agli  impianti  esistenti,  non  distingue  affatto  tra
 radiodiffusione televisiva e ripetizione, sancendo  per  entrambe  la
 sufficienza  dell'autorizzazione  ai  soli  fini  della  prosecuzione
 dell'esercizio.
    2. - Nel giudizio innanzi a  questa  Corte  si  e'  costituita  la
 Telemaremma  S.r.l.,  per  chiedere  l'accoglimento  della  questione
 sollevata.
    Dopo aver ricostruito le vicende  che  hanno  portato  all'attuale
 giudizio  e  dopo  aver sottolineato che nella controversia, iniziata
 sotto l'impero della legge 4 febbraio 1985 n. 10, la societa' attrice
 ha sempre difeso la sua posizione di diritto soggettivo pieno (con la
 conseguente inesistenza  dei  poteri  di  intervento  della  pubblica
 amministrazione),  essendo un imprenditore radiodiffusivo privato non
 operante in ambito riservato alla concessionaria di Stato, la  difesa
 della parte privata ha osservato che, intervenuta la legge n. 223 del
 1990,  la  sua  pretesa  a  veder  accertata  la propria posizione di
 diritto soggettivo non  poteva  dirsi  soddisfatta  dall'art.  32  di
 quella  legge,  che le consente la prosecuzione dell'attivita' in re-
 gime autorizzatorio sulla base della piu' tenue posizione  soggettiva
 di potenziale aspirante a una concessione.
    La  societa'  Telemaremma sostiene che il sistema introdotto dagli
 artt. 2, 3, 15, 16, 19 e 32  (che  in  parte  qua  deve  considerarsi
 impugnato,  in  quanto richiamato nella motivazione dell'ordinanza di
 rimessione) configura  un  assetto  normativo  inadeguato  ai  valori
 costituzionali  relativi all'attivita' di radiodiffusione privata. La
 concessione, infatti, nel postulare che i poteri e  le  facolta'  del
 privato   non  siano  originariamente  appartenenti  alla  sua  sfera
 giuridica, suppone che sia lo Stato, e non il privato  cittadino,  il
 vero   titolare   della  situazione  giuridica  soggettiva  garantita
 dall'art. 21 della Costituzione. Non v'e' dubbio, continua la  stessa
 parte  privata,  che,  all'interno  di  un sistema che riservava allo
 Stato l'attivita' di emittenza radiotelevisiva,  qualificandola  come
 servizio   pubblico   essenziale   ai   sensi   dell'art.   43  della
 Costituzione,  la  concessione  appariva   del   tutto   adeguata   a
 rappresentare   la  posizione  della  impresa  esercente  l'attivita'
 radiotelevisiva in relazione a quella dello Stato, poiche' si  tratta
 di  un istituto cui e' connaturata l'idea di attivita' esercitata per
 un fine pubblico  trascendente  la  posizione  del  concessionario  e
 basata  su un atto di "trasferimento" di poteri di cui e' titolare lo
 Stato. Ma, dopo che si e' passati a un regime,  come  l'attuale,  nel
 quale   la   posizione   del   privato   ha  un  autonomo  fondamento
 costituzionale negli artt. 21 e  41  della  Costituzione,  lo  schema
 concessorio   finisce   per   esprimere,  ad  avviso  della  societa'
 Telemaremma, una concezione autoritaria  dei  rapporti  fra  Stato  e
 privati,  che  confligge  con  quei  valori costituzionali, in quanto
 assimila un'attivita' in principio libera a un servizio statale  o  a
 un'attivita'   comunque   ordinata  al  perseguimento  di  preminenti
 interessi pubblici.
    Se  la disciplina impugnata, prosegue la parte privata, fa sorgere
 forti dubbi di legittimita' costituzionale in riferimento agli  artt.
 3   e  41  della  Costituzione,  a  causa  dell'evidente  incapacita'
 dell'istituto concessorio di esser coerente con un sistema  normativo
 che ha il suo centro nel cittadino imprenditore anziche' nello Stato,
 tali  dubbi  diventano  certezza  se si considera l'assolutezza della
 liberta' di manifestazione del proprio pensiero  garantita  dall'art.
 21  della  Costituzione:  la concessione, sotto quest'ultimo profilo,
 appare il frutto di un'ideologia monopolistica che tende a perpetuare
 i propri istituti e ad esportarli al di la' dei confini del  servizio
 pubblico  nell'area  appartenente  alla  liberta'  dei  cittadini. Ad
 avviso della societa' Telemaremma, il diritto dei  privati  garantito
 dall'art.  21  della Costituzione finisce per perdere, in forza della
 previsione della concessione, la certezza del  suo  contenuto  e  dei
 suoi  confini  (essendo  esso  compatibile  soltanto con un'attivita'
 della pubblica amministrazione  di  mero  accertamento  o,  comunque,
 strettamente  vincolata  dalla  legge)  e  per  essere sottratto alla
 riserva di giurisdizione dell'autorita'  giudiziaria  ordinaria,  che
 costituisce   un'indefettibile   garanzia  dei  diritti  di  liberta'
 costituzionali (artt. 13, 14, 15),  compreso  quello  concernente  la
 liberta' di diffusione del pensiero.
    3.  - Si e' costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri per chiedere che la questione sia  dichiarata  inammissibile
 o, comunque, infondata.
    L'Avvocatura  dello  Stato osserva, innanzitutto, che la questione
 sollevata e' inammissibile, poiche' appare priva di qualsiasi  legame
 di  pregiudizialita'  con  il  giudizio  principale. In quest'ultimo,
 infatti, deve farsi applicazione, non gia' di  qualcuna  delle  norme
 denunziate  (artt.  2,  3,  15,  16  e  19), ma solo degli artt. 32 e
 seguenti, che peraltro non hanno formato oggetto di censura.
    Un secondo motivo di inammissibilita' e'  individuato  nel  palese
 difetto  di giurisdizione del giudice a quo, considerato che la Corte
 di  cassazione  ha  reiteratamente  affermato  la  giurisdizione  del
 giudice   amministrativo   in   ragione  del  potere  della  pubblica
 amministrazione di governare l'etere a tutela del pubblico interesse.
    Infine, un ulteriore profilo di  inammissibilita'  e'  prospettato
 dall'Avvocatura   dello  Stato  in  relazione  alla  natura  ancipite
 dell'ordinanza di rimessione, poiche' questa,  mentre,  da  un  lato,
 lamenta l'illogicita' del distinto regime cui e' soggetta l'attivita'
 di  radiotrasmissione (sottoposta a concessione) rispetto a quella di
 ripetizione  di  programmi  esteri  (sottoposta  ad  autorizzazione),
 dall'altro,  prospetta l'irrazionalita' della disciplina transitoria,
 che  non  distingue,  rispetto  agli  impianti  gia'  esistenti,  fra
 radiotelediffusione  e  ripetizione  (sottoponendo l'una e l'altra al
 regime dell'autorizzazione).
    Nel merito, continua  la  difesa  erariale,  la  questione  appare
 infondata  alla  luce  della stessa giurisprudenza costituzionale, la
 quale  ha  sempre  negato   un   diritto   soggettivo   del   privato
 all'assegnazione  delle  bande  di frequenza, essendo l'etere un bene
 comune  naturalmente  limitato  e  non  fruibile  da  tutti  in  modo
 indiscriminato  (v.  specialmente  sent.  n.  1030 del 1988). Secondo
 l'Avvocatura dello Stato, lo  strumento  della  concessione  risponde
 adeguatamente al preminente interesse generale che governa la materia
 e  che e' ribadito dall'art. 1 della legge n. 223 del 1990 al fine di
 assicurare   un'informazione  ispirata  al  pluralismo  delle  fonti:
 attraverso gli obblighi  di  comportamento,  i  divieti  e  i  limiti
 imposti  ai  concessionari, infatti, sarebbero assicurate la migliore
 utilizzazione delle risorse disponibili e la realizzazione dei valori
 costituzionali ricordati nell'art.  1,  comma  secondo,  della  legge
 appena citata.
    Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, l'equiparazione, comportata
 dall'art.  32  della  legge  n.  223 del 1990, fra i concessionari in
 ambito privato e i titolari di  autorizzazione  alla  ripetizione  di
 programmi esteri, ai sensi dell'art. 38 della legge 14 aprile 1975 n.
 103,  va  giustificata,  poiche'  e'  disposta  al fine di evitare la
 concentrazione  in  un'unica  mano  delle  risorse  disponibili  (non
 illimitate)   e   di  salvaguardare  i  valori  costituzionali  prima
 ricordati.
    Infine,  l'Avvocatura  dello  Stato  osserva   che   e'   ultroneo
 prospettare  questioni  in  ordine alla disciplina transitoria (ormai
 prossima all'esaurimento), poiche' nell'ambito  di  quest'ultima  non
 v'e'  rilascio  di  concessioni  o  di  autorizzazioni,  ma  sussiste
 soltanto una temporanea legittimazione ex lege  di  coloro  che  gia'
 utilizzavano  preesistenti  impianti  in attesa dell'approvazione del
 piano nazionale di ripartizione e di assegnazione delle frequenze.
    4. - In prossimita' dell'udienza la difesa di  Telemaremma  S.r.l.
 ha  depositato  una  memoria  con  la  quale  insiste  nella  propria
 richiesta di accoglimento.
    Dopo aver ribadito, in linea  di  fatto,  che  l'estensione  della
 propria  telediffusione  alla  frequenza  67  VHF  e'  stata  dettata
 dall'esigenza   di   rendere   economicamente   utile   la   gestione
 dell'azienda  e che l'uso della stessa, iniziato nel 1984, e' stato a
 lungo pacifico e ininterrotto,  la  difesa  della  parte  privata  si
 sofferma,    innanzitutto,    a    replicare    alle   eccezioni   di
 inammissibilita' formulate dall'Avvocatura dello Stato.
    In  ordine  alla  asserita  mancanza  di  pregiudizialita'  e   di
 rilevanza,   la  parte  privata  osserva  che  il  caso  presente  e'
 sostanzialmente diverso da quello  giudicato  inammissibile  con  una
 precedente sentenza di questa Corte.
    Allora,  infatti,  si era nell'ambito di un giudizio cautelare, un
 giudizio, cioe', il cui unico fine e'  assicurare  al  ricorrente  un
 provvedimento pretorile d'urgenza diretto a inibire la disattivazione
 dell'impianto   e  a  permettere  provvisoriamente  la  continuazione
 dell'attivita' in attesa del  futuro  giudizio  di  merito.  Sicche',
 intervenuta la legge n. 223 del 1990, la quale, all'art. 32, consente
 agli  esercenti  di  fatto,  che  propongano  entro  un certo termine
 domanda  di  concessione,  la   prosecuzione   dell'esercizio   degli
 impianti,  si  era  conseguentemente prodotto l'integrale esaurimento
 della pretesa dedotta dal ricorrente nel procedimento cautelare,  dal
 momento che la nuova disciplina esclude che l'impianto del ricorrente
 possa  subire  il pericolo di una disattivazione d'autorita' da parte
 della pubblica amministrazione.
    Diverso e', per la parte privata,  il  giudizio  dal  quale  sorge
 l'attuale  incidente  di costituzionalita'. In tal caso, infatti, non
 si  versa  in  un  procedimento  cautelare,   diretto   a   mantenere
 l'attivazione  in  via provvisoria dell'impianto, ma si e' in sede di
 giudizio di merito, nel quale ha esclusiva rilevanza cio'  che  prima
 non  l'aveva:  vale a dire, l'accertamento stabile della posizione di
 diritto   soggettivo   pieno  del  ricorrente,  da  adottare  con  un
 provvedimento suscettibile di acquistare autorita' di cosa  giudicata
 anche  nei  confronti della pubblica amministrazione. E, conclude sul
 punto la parte privata, poiche' a  tale  accertamento  si  oppone  la
 legge  n.  223  del 1990, intervenuta nelle more del giudizio con una
 disciplina  che  configura  l'esercizio  privato  dell'attivita'   di
 radiodiffusione   con   propri  impianti  come  interesse  legittimo,
 anziche' come diritto soggettivo, appare evidente la pregiudizialita'
 e la rilevanza della  questione  di  costituzionalita'  sollevata  in
 ordine  al  richiesto  accertamento  della  sussistenza di un diritto
 soggettivo pieno (accertamento rispetto al quale  non  sarebbe  certo
 satisfattiva  una  dichiarazione  di  cessazione  della  materia  del
 contendere, di fronte a una legge che nega l'esistenza di un  diritto
 del  privato,  degradandolo  a  una posizione precaria e condizionata
 all'eventuale futuro rilascio di un provvedimento concessorio).
    Con riferimento  al  merito  della  questione,  la  stessa  difesa
 sviluppa  tesi gia' esposte nell'atto di costituzione, sottolineando,
 in particolare, sia che la concessione postula  che  i  poteri  e  le
 facolta'  del privato non siano originariamente appartenenti alla sua
 sfera   giuridica   (come,   invece,   richiede   l'art.   21   della
 Costituzione),  sia  che,  una  volta che la legge n. 223 del 1990 ha
 escluso  l'attivita'  privata  di  emittenza  radiotelevisiva   dalla
 configurazione come servizio pubblico (essendo quest'ultimo riservato
 a  una  societa'  d'interesse  nazionale),  i  limiti  alla  predetta
 attivita' vanno rinvenuti, non gia' nell'art. 43 della  Costituzione,
 ma  negli  artt.  21  e  41  della stessa Carta costituzionale. Sotto
 quest'ultimo profilo, conclude la parte privata, poiche'  l'attivita'
 di impresa radiotelevisiva e' attivita' organizzata per la diffusione
 del pensiero, la previsione della concessione appare incongruente con
 i  valori  di  liberta' di manifestazione del pensiero e d'iniziativa
 economica privata, nonche' con le  relative  garanzie  costituzionali
 (riserva di legge e riserva di giurisdizione).
    5.  - Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato
 una memoria in prossimita' dell'udienza, con la quale  insiste  nelle
 proprie richieste di inammissibilita' e, comunque, d'infondatezza.
    Precisato  che  l'oggetto  della questione di costituzionalita' e'
 dato dalle disposizioni contenute negli artt. 2, 3, 15, 16, 19  e  32
 della  legge  n.  223  del 1990, l'Avvocatura dello Stato ritiene non
 superabile l'eccezione d'inammissibilita' per irrilevanza sotto altro
 profilo.  A  suo  avviso,  infatti,  la  disciplina  concessoria  non
 concorrerebbe  in  alcun  modo a qualificare la situazione soggettiva
 della  societa'  Telemaremma,   cosi'   come   non   influirebbe   su
 quest'ultima la legittimazione all'esercizio degli impianti accordata
 in  via  provvisoria  dall'art. 32 (tanto piu' che la stessa societa'
 sarebbe utilmente collocata nella graduatoria delle emittenti  aventi
 titolo alla concessione in ambito locale).
    Riguardo  al  merito  della  questione, premesso che, per costante
 giurisprudenza costituzionale,  il  diritto  garantito  dall'art.  21
 della  Costituzione  non  comprende  quello  di  disporre  di tutti i
 possibili mezzi di diffusione e non  e'  configurabile  come  diritto
 soggettivo  all'assegnazione  di  frequenze, l'Avvocatura dello Stato
 precisa che, in proposito, occorre distinguere fra la liberta'  della
 comunicazione effettuabile con l'impianto (modo di uso del segnale) e
 la   posizione   di  interesse  all'esercizio  dell'impianto  stesso,
 implicante   la  disponibilita'  esclusiva  di  determinate  utilita'
 (frequenze)  di  un  bene  comune  (etere).  Sulla   base   di   tale
 distinzione,  continua  la  stessa  difesa,  poiche' devono ritenersi
 inattendibili le tesi configuranti l'etere come res nullius,  le  cui
 utilitates   (frequenze)  sarebbero  suscettibili  di  appropriazione
 mediante occupazione, e poiche' l'etere  va  configurato,  piuttosto,
 come  res  communis  omnium, le cui utilita' possono essere fruite da
 taluno in via esclusiva soltanto in forza di  un  titolo  concessorio
 rilasciato  dall'autorita'  che  ne  ha  il governo, un regime basato
 sulla concessione appare giustificato, non certo in  ragione  di  una
 riserva  statale  del settore ovvero in virtu' dell'anteposizione dei
 valori consacrati nell'art. 41 rispetto a quelli  espressi  dall'art.
 21 della Costituzione, bensi' grazie all'esigenza di assicurare l'uso
 esclusivo  di  (determinate porzioni di) un bene comune ai fini della
 radiodiffusione televisiva, nell'impossibilita'  di  un'utilizzazione
 plurima o indiscriminata dello stesso.
    Da   ultimo,   l'Avvocatura   dello   Stato,   ribadita   la   non
 comparabilita' dell'emittenza nazionale con la ripetizione di segnali
 esteri, ricorda ancora che la concessione e' altresi'  finalizzata  a
 imporre l'uso e lo sfruttamento delle risorse comuni in rispondenza a
 specifici  interessi  di  carattere  generale  e  nel  rispetto delle
 condizioni tecniche e giuridiche e dei principi idonei ad  attuare  i
 valori costituzionali e gli obblighi internazionali.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Nel corso di un procedimento civile, instaurato dopo che il
 pretore aveva sospeso, ai sensi dell'art. 700 del codice di procedura
 civile,  l'ordine   dell'amministrazione   postale   di   disattivare
 l'impianto   radioelettrico  esercitato  da  Telemaremma  S.r.l.,  il
 tribunale di Firenze ha sollevato  varie  questioni  di  legittimita'
 costituzionale  nei confronti degli artt. 2, 3, 15, 16, 19 e 32 della
 legge 6 agosto 1990, n. 223 (Disciplina del  sistema  radiotelevisivo
 pubblico  e privato), ritenendoli di dubbia conformita' rispetto agli
 artt. 3, 15, 21 e 41 della Costituzione.
    2. - In via pregiudiziale, l'Avvocatura generale  dello  Stato  ha
 formulato  tre distinte eccezioni di inammissibilita', che, tuttavia,
 non possono essere accolte.
    Non puo' condividersi, innanzitutto, l'eccezione secondo la  quale
 il   giudizio   di   costituzionalita'   dovrebbe   esser  dichiarato
 inammissibile a causa di un macroscopico difetto di giurisdizione del
 giudice a quo, anche in considerazione delle  reiterate  affermazioni
 della giurisprudenza di merito circa la natura di interesse legittimo
 ascrivibile   alla  posizione  giuridica  del  privato  che  esercita
 impianti di radiodiffusione televisiva.
    Questa Corte ha gia' ammesso al riguardo  (v.  sent.  n.  314  del
 1992)  che,  se  un  giudice ordinario dubita, sotto il profilo della
 legittimita' costituzionale, della qualificazione giuridica di quella
 posizione soggettiva come interesse legittimo e ritiene, sempre sotto
 il profilo della legittimita' costituzionale, che la stessa posizione
 debba esser definita come diritto soggettivo, allora il sollevare  la
 relativa    questione   di   costituzionalita'   risulta   certamente
 pregiudiziale rispetto alla pronunzia sulla  propria  giurisidizione.
 Quest'ultima,  infatti,  e' certamente condizionata dalla risoluzione
 di  quel  dubbio  di  costituzionalita',  dal  momento  che,  ove  la
 questione  fosse  accolta,  il  giudice a quo dovrebbe riconoscere la
 propria  giurisdizione,  mentre, ove si pervenisse a una pronuncia di
 rigetto,  lo   stesso   giudice   dovrebbe   dichiararsi   privo   di
 giurisdizione.  Ne',  contrariamente  a  quanto  suppone l'Avvocatura
 dello Stato, potrebbe condurre a un  diverso  avviso  l'esistenza  di
 numerose  sentenze  che  in  proposito ammettono la giurisdizione del
 giudice amministrativo, sia perche' tale giurisprudenza si e' formata
 sotto la vigenza di una diversa legislazione, ispirata  al  principio
 della   riserva  statale  sull'intero  settore  radiotelevisivo,  sia
 perche' il  giudice  a  quo  afferma  motivatamente  di  dubitare  di
 quell'orientamento  sulla  scorta  di una certa interpretazione delle
 norme costituzionali di riferimento.
    3. - Non fondata e' pure  l'altra  eccezione  di  inammissibilita'
 formulata  dall'Avvocatura dello Stato, secondo la quale, poiche' dal
 "dispositivo" dell'ordinanza l'art. 32 della legge n.  223  del  1990
 non  risulterebbe  essere  oggetto  di  contestazione  e  poiche'  la
 situazione dedotta nel giudizio a quo sarebbe esclusivamente regolata
 dall'articolo  appena  ricordato,  il   complesso   delle   questioni
 sollevate mancherebbe del necessario requisito della rilevanza.
    In  proposito  occorre  precisare  che  la premessa maggiore sulla
 quale poggia l'eccezione ora esaminata non risponde al contenuto  re-
 ale  dell'ordinanza  di  rimessione, ove questa sia considerata, come
 deve esser considerata, nell'integralita' delle sue parti. L'art. 32,
 infatti, e' sicuramente ricompreso fra le disposizioni sottoposte  al
 presente   giudizio,   poiche'   esso   e'  espressamente  menzionato
 nell'ordinanza come articolo sospettato d'incostituzionalita' in  ben
 tre  occasioni:  una prima volta, insieme alle varie disposizioni che
 sanciscono il "principio della concessione",  sotto  il  profilo  del
 loro  complessivo  possibile  contrasto  con  gli artt. 21 e 41 della
 Costituzione; una seconda volta, come articolo a se'  stante  che  il
 giudice  a  quo  ritiene  di  dubbia  compatibilita' con il combinato
 disposto formato dagli artt. 3 e 41 della Costituzione;  infine,  una
 terza volta, quando l'art. 32, riferito sia alle emittenti televisive
 sia    ai    ripetitori    di   programmi   esteri,   e'   sospettato
 d'incostituzionalita'  sotto   il   profilo   della   disparita'   di
 trattamento (art. 3 della Costituzione).
    4.  -  L'eccezione  di  inammissibilita'  per irrilevanza non puo'
 essere accolta neppure sotto il profilo diverso, peraltro alternativo
 a quello esaminato nel punto  immediatamente  precedente,  illustrato
 dalla  Avvocatura dello Stato nella memoria depositata in prossimita'
 dell'udienza. Non puo', infatti, condividersi il punto  di  vista  di
 quest'ultima, secondo il quale la situazione giuridica soggettiva sul
 cui  accertamento  verte  il giudizio a quo non risulterebbe in alcun
 modo qualificata ne'  dall'autorizzazione  provvisoria  prevista  dal
 ricordato  art.  32, ne' dalla disciplina concessoria contenuta nella
 stessa legge.
    Il processo principale e' stato promosso, sotto la vigenza del re-
 gime legislativo anteriore a quello stabilito dalla legge n. 223  del
 1990, su iniziativa della societa' Telemaremma, la quale, dopo che il
 pretore  di  Firenze  aveva cautelarmente sospeso, ai sensi dell'art.
 700 c.p.c., l'efficacia dell'ordine dell'amministrazione  postale  di
 disattivare l'impianto esercitato dalla parte attrice sulla frequenza
 67  VHF, ha chiesto al tribunale di Firenze che fosse riconosciuto il
 suo diritto soggettivo di radiodiffusione televisiva circolare e  che
 fosse    consequenzialmente   dichiarata   la   carenza   di   potere
 dell'amministrazione   pubblica   nei   confronti  dell'attivita'  di
 trasmissione da essa svolta sulla frequenza  contestata.  Intervenuta
 nelle  more  del  giudizio  la  legge n. 223 del 1990, le parti hanno
 preso atto della nuova disciplina posta dall'art.  32,  a  norma  del
 quale  "i  privati  che alla data di entrata in vigore della presente
 legge eserciscono impianti per la radiodiffusione sonora o televisiva
 in  ambito  nazionale  o  locale  e  i   connessi   collegamenti   di
 telecomunicazione, sono autorizzati a proseguire nell'esercizio degli
 impianti  stessi,  a  condizione che abbiano inoltrato domanda per il
 rilascio della concessione di cui all'art. 16 entro  sessanta  giorni
 dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  presente legge e fino al
 rilascio della concessione stessa ovvero fino  alla  reiezione  della
 domanda  (  ..)".  Sulla  base  di tale disposizione, infatti, mentre
 l'Avvocatura dello Stato chiedeva la  cessazione  della  materia  del
 contendere, la parte attrice eccepiva l'illegittimita' costituzionale
 della nuova disciplina, ritenendola incompatibile con la posizione di
 diritto  soggettivo  che,  a  suo dire, le assicurava l'art. 21 della
 Costituzione. Il giudice a quo accoglieva  quest'ultima  eccezione  e
 sollevava  la  questione  di  costituzionalita'  oggetto del presente
 giudizio, dopo aver valutato con esito affermativo la rilevanza della
 stessa in quanto la  societa'  Telemaremma  era  esercente  di  fatto
 dell'impianto   trasmittente   sulla  frequenza  67  VHF  al  momento
 dell'entrata in vigore della nuova legge e la stessa  societa'  aveva
 richiesto,  nel  termine prescritto, il rilascio della concessione ai
 sensi dell'art. 16 della nuova legge.
    Considerato che oggetto del giudizio principale e'  l'accertamento
 della   posizione   giuridica   soggettiva  in  ordine  all'esercizio
 dell'impianto di radiodiffusione televisiva sulla frequenza  67  VHF,
 questa  Corte non puo' non condividere la valutazione sulla rilevanza
 operata dal giudice a quo, poiche' non e' implausibile che l'art.  32
 della   legge   n.  223  del  1990  sia  ritenuto  applicabile  nella
 controversia pendente di fronte  al  tribunale  di  Firenze,  essendo
 diretto tale articolo a modificare il titolo di legittimazione per la
 prosecuzione, da parte dei privati, dell'attivita' di radiodiffusione
 televisiva.  Diverso  sarebbe  stato  il  caso ove la questione fosse
 stata sollevata nel corso del giudizio cautelare ex art.  700  c.p.c.
 (v.   sent.   n.   314   del  1992),  poiche',  essendo  quest'ultimo
 preordinato, non gia' all'accertamento  del  diritto  contestato,  ma
 alla mera assicurazione in via provvisoria degli effetti della futura
 decisione  sul  merito  di  fronte al pericolo di danni irreparabili,
 sarebbe mancato del tutto il necessario  legame  di  pregiudizialita'
 fra  la  disciplina  normativa  posta  dall'art.  32  in  ordine alla
 posizione  giuridica  soggettiva   degli   esercenti   gli   impianti
 radiotelevisivi   e   la  tutela  dell'attivita'  di  radiodiffusione
 televisiva accordabile attraverso il giudizio previsto  all'art.  700
 c.p.c.
    Per  quanto riguarda, poi, la rilevanza delle disposizioni dirette
 a stabilire  il  "principio  della  concessione"  nei  confronti  dei
 privati   (artt.   2,   3,  15,  16  e  19),  occorre  osservare  che
 l'applicabilita'  nel  giudizio  principale  dell'art.  32   comporta
 altresi'  l'influenza  rispetto allo stesso delle norme ora consider-
 ate, dal momento che l'autorizzazione ex lege  alla  prosecuzione  in
 via  provvisoria  dell'attivita'  di  radiodiffusione  televisiva  e'
 condizionata,  quanto  al  titolo,  dal   presupposto   dell'avvenuta
 presentazione  della  domanda  per  il rilascio della concessione. Da
 cio'  consegue   che   l'ipotizzato   accoglimento   dei   dubbi   di
 costituzionalita'  relativi  al "principio della concessione" farebbe
 venir meno anche la condizione legittimante per esser autorizzati  ex
 lege    alla    prosecuzione   dell'esercizio   degli   impianti   di
 radiodiffusione televisiva, con evidente  incidenza  sulla  posizione
 soggettiva al cui accertamento e' finalizzato il processo principale.
    5. - Va, infine, escluso che l'ordinanza di rimessione possa esser
 ritenuta   contraddittoria   e,   quindi,   inammissibile,  per  aver
 lamentato, per un verso, l'illogicita' del distinto regime  cui  sono
 soggette  le  attivita'  di  radiodiffusione televisiva (sottoposte a
 concessione) e quelle di ripetizione di programmi esteri  (sottoposte
 ad   autorizzazione)  e,  per  altro  verso,  l'irrazionalita'  della
 disciplina transitoria, che per gli impianti gia'  esistenti  prevede
 l'autorizzazione tanto per le attivita' di radiodiffusione televisiva
 quanto  per  quelle  di ripetizione di programmi esteri. L'ipotizzata
 contraddittorieta' dell'ordinanza di rimessione,  infatti,  non  puo'
 essere condivisa, ove si tenga conto che il giudice a quo solleva due
 distinti,  ma non contrastanti, dubbi di costituzionalita', in ordine
 a due diverse discipline: da un lato, in ordine alla disciplina a re-
 gime, egli sospetta che mancherebbe  una  "proporzionalita'"  fra  il
 trattamento    delle   attivita'   di   radiodiffusione   televisiva,
 configurate come interesse legittimo, e le attivita'  di  ripetizione
 di  programmi  esteri,  che  assume  essere svolgimento di un diritto
 soggettivo; dall'altro lato, in ordine alla  disciplina  transitoria,
 egli  rileva  che  le  attivita'  di  radiodiffusione televisiva sono
 ritenute irragionevolmente equiparate con quelle di  ripetizione  dei
 programmi esteri.
    6.  -  Nel merito, la questione di costituzionalita' sollevata nei
 confronti degli artt. 2, 3, 15, 16 e 32 della legge n. 223  del  1990
 per violazione degli artt. 21 e 41 della Costituzione non e' fondata.
    In  via di premessa occorre osservare che non puo' condividersi la
 posizione del giudice a quo, secondo la quale, muovendo  dall'assunto
 che  l'art.  21  della  Costituzione garantisce un diritto soggettivo
 perfetto, sarebbe compatibile con  quest'ultimo  soltanto  un  regime
 autorizzatorio, e non certo uno di tipo concessorio. Questa posizione
 parte  evidentemente dal presupposto che la nozione di autorizzazione
 amministrativa sia in ogni caso coincidente con  il  suo  significato
 piu'   tradizionale,   consistente  in  un  provvedimento  diretto  a
 rimuovere un limite all'esercizio di un diritto.  Solo se si  accetta
 tale  significato,  infatti, si puo' sostenere che soltanto un regime
 autorizzatorio presuppone la preesistenza di un diritto  proprio  del
 privato  e  non  produce  alcun  effetto  "costitutivo"  nella  sfera
 giuridica di quest'ultimo.
    In realta', questa Corte, anche sulla scorta dell'analisi  di  una
 dottrina  sempre  piu'  imponente,  ha  gia' affermato che sussistono
 numerose ipotesi di diritto positivo, anche nell'ambito della materia
 radiotelevisiva, nelle quali  la  configurazione  dell'autorizzazione
 amministrativa  e'  tale da non comportare semplicemente la rimozione
 di un limite all'esercizio di un preesistente diritto  (v.  sent.  n.
 153  del 1987). Da cio' consegue che l'opposizione fra autorizzazione
 e concessione  perde  in  molti  casi  consistenza  in  relazione  al
 carattere  "costitutivo",  o  meno, del provvedimento, cosicche' cade
 anche la possibilita' di contrapporre, almeno in via generale, il re-
 gime  autorizzatorio  a  quello  concessorio, al fine di affermare la
 presunta compatibilita' del primo  con  la  garanzia  di  un  diritto
 soggettivo  e,  viceversa,  l'incompatibilita' con quest'ultima di un
 regime concessorio.
    Cio' posto, compito di questa Corte e' verificare  la  conformita'
 con  i  principi contenuti negli artt. 21 e 41 della Costituzione del
 regime  di  controllo  pubblico  dell'attivita'  di   radiodiffusione
 televisiva  privata  previsto  dagli  articoli della legge n. 223 del
 1990 oggetto di  contestazione,  regime  che  ha  il  suo  perno  nel
 provvedimento   che   le   disposizioni   ora  richiamate  denominano
 "concessione".
    7.- Questa Corte ha costantemente affermato che  la  Costituzione,
 all'art.   21,   riconosce  e  garantisce  a  tutti  la  liberta'  di
 manifestare il proprio pensiero con qualsiasi mezzo di  diffusione  e
 che  tale  liberta' ricomprende tanto il diritto di informare, quanto
 il diritto di essere informati (v., ad esempio, sentt.  nn.  202  del
 1976,  148 del 1981, 826 del 1988). L'art. 21, come la Corte ha avuto
 modo di precisare, colloca la predetta liberta' tra i valori primari,
 assistiti  dalla   clausola   dell'inviolabilita'   (art.   2   della
 Costituzione),  i  quali,  in  ragione  del  loro contenuto, in linea
 generale  si  traducono  direttamente  e  immediatamente  in  diritti
 soggettivi dell'individuo, di carattere assoluto.
    Tuttavia,  l'attuazione  di  tali valori fondamentali nei rapporti
 della vita comporta una serie di relativizzazioni, alcune delle quali
 derivano da  precisi  vincoli  di  ordine  costituzionale,  altre  da
 particolari  fisionomie  della  realta'  nella quale quei valori sono
 chiamati ad attuarsi.
    Sotto il primo profilo, questa Corte ha da tempo affermato che  il
 "diritto   all'informazione"   va   determinato   e   qualificato  in
 riferimento ai principi fondanti della forma di Stato delineata dalla
 Costituzione, i quali esigono che la nostra democrazia sia basata  su
 una libera opinione pubblica e sia in grado di svilupparsi attraverso
 la pari concorrenza di tutti alla formazione della volonta' generale.
 Di   qui   deriva   l'imperativo   costituzionale   che  il  "diritto
 all'informazione"  garantito   dall'art.   21   sia   qualificato   e
 caratterizzato:   a)   dal   pluralismo  delle  fonti  cui  attingere
 conoscenze e notizie - che  comporta,  fra  l'altro,  il  vincolo  al
 legislatore  di  impedire  la  formazione di posizioni dominanti e di
 favorire l'accesso nel sistema  radiotelevisivo  del  massimo  numero
 possibile  di  voci  diverse  -  in  modo tale che il cittadino possa
 essere messo in condizione di  compiere  le  sue  valutazioni  avendo
 presenti   punti   di   vista  differenti  e  orientamenti  culturali
 contrastanti; b)  dall'obiettivita'  e  dall'imparzialita'  dei  dati
 forniti;  c) dalla completezza, dalla correttezza e dalla continuita'
 dell'attivita'  di  informazione  erogata;  d)  dal  rispetto   della
 dignita'  umana, dell' ordine pubblico, del buon costume e del libero
 sviluppo psichico e morale dei minori.
    Sotto  il  secondo  profilo,  costante  e'  l'affermazione   nella
 giurisprudenza  costituzionale  che  il  diritto  di  diffusione  del
 proprio  pensiero  attraverso  il  mezzo  televisivo  e'   fortemente
 condizionato  dai  connotati empiricamente riferibili all'uso di tale
 mezzo: connotati  che,  ove  non  fossero  adeguatamente  regolati  e
 disciplinati,   rischierebbero  di  trasformare  l'esercizio  di  una
 liberta' costituzionale in una forma di prevaricazione  o,  comunque,
 in  un  privilegio arbitrario. Fra questi condizionamenti di fatto la
 Corte, sin dalle sue prime  pronunzie  in  materia,  ha  indicato  la
 limitata   possibilita'   di   utilizzare   l'etere   al  fine  della
 radiotelecomunicazione circolare attraverso l'irradiazione di onde in
 determinate gamme di frequenza dello spettro radioelettrico (v.  gia'
 sentt.  nn.  59  del  1960,  225  del  1974) o, piu' precisamente, ha
 segnalato  la  sussistenza  di  una  disponibilita'  dell'etere   non
 sufficiente  a  garantire  un libero accesso nello stesso (v., cosi',
 sent. n. 202 del 1976). In sentenze piu' recenti, la stessa Corte  ha
 aggiunto  tra  i  condizionamenti  di  fatto  anche  l'elevato  costo
 dell'organizzazione delle attivita' radiotelevisive  e  le  ristrette
 possibilita'  di  accesso  alle risorse tecnologiche (v. spec. sentt.
 nn. 148 del 1981,  826  del  1988).  Si  tratta,  in  ogni  caso,  di
 elementi,  la  cui sussistenza dipende da fattori sociali, economici,
 giuridici   e   tecnici   storicamente   variabili    e,    comunque,
 obiettivamente   accertabili   e   la   cui  verifica  e'  demandata,
 innanzitutto, al legislatore e, in sede di controllo sulle leggi,  al
 giudice di costituzionalita'.
    8.  -  Per  lungo  tempo il legislatore, attraverso un uso del suo
 potere discrezionale giudicato non irragionevole da questa Corte,  ha
 ritenuto  che  l'importanza dei condizionamenti di fatto ora indicati
 fosse tale da giustificare una riserva  statale  sull'intero  settore
 radiotelevisivo.  In  conseguenza  di  cio' la relativa attivita' era
 complessivamente qualificata  come  servizio  pubblico  essenziale  e
 attribuita,   per  l'erogazione,  a  una  societa'  concessionaria  a
 prevalente  partecipazione  statale,  sottoposta  a  controlli  e   a
 direttive   da   parte  del  Parlamento  al  fine  di  assicurare  la
 realizzazione dei valori costituzionali posti a tutela  del  "diritto
 all'informazione"  (pluralismo, imparzialita', etc.). In tal modo, la
 garanzia offerta dall'art. 21 della  Costituzione  alla  liberta'  di
 diffusione  del proprio pensiero veniva saldamente ancorata, per quel
 che  riguarda  il  settore   radiotelevisivo,   all'art.   43   della
 Costituzione,   tanto   da   rinvenire  nel  contenuto  normativo  di
 quest'ultimo  i  profili  organizzativi  fondamentali   del   settore
 medesimo, quali la riserva allo Stato, la connotazione dell'attivita'
 di  radiotelediffusione,  in  quanto  tale,  come  servizio  pubblico
 essenziale,  l'assegnazione  della  gestione  del   servizio   stesso
 attraverso  la  concessione a una societa' diretta dallo Stato e, in-
 fine, la previsione di ampi controlli e di poteri d'indirizzo al fine
 di assicurare il preminente interesse generale.
    Nel suo discrezionale apprezzamento delle  condizioni  in  cui  di
 fatto  versava  il  settore  radiotelevisivo  e  delle piu' opportune
 modalita' dirette ad attuare i valori costituzionali prima ricordati,
 il legislatore,  adottando  la  legge  n.  223  del  1990  (anche  in
 attuazione  della  direttiva  CEE n. 89/552), ha considerato, invece,
 che quei valori potessero trovare adeguata  realizzazione  attraverso
 l'istituzione  di  un  sistema radiotelevisivo di tipo "misto", cioe'
 basato sul "concorso di soggetti pubblici e privati" (art. 2). Questa
 valutazione del legislatore  muove  evidentemente  dalla  convinzione
 che,  allo  stato  attuale  dello  sviluppo tecnologico ed economico-
 sociale, la limitatezza nella utilizzabilita' delle frequenze per  la
 radiotelediffusione   circolare  e  la  relativa  ristrettezza  delle
 possibilita' di accesso alle risorse necessarie per  l'organizzazione
 delle  attivita'  in questione sono tali da indurre a considerare gli
 imprenditori  privati,  sempreche'  sottoposti  a rigorose condizioni
 d'ingresso e a predeterminati controlli, come soggetti  in  grado  di
 concorrere  insieme  al  servizio  pubblico  nella  realizzazione dei
 valori   costituzionali   posti    a    presidio    dell'informazione
 radiotelevisiva (v. artt. 1 e 2 della legge n. 223 del 1990).
    9.  -  Il  "principio  della  concessione",  che  si enuclea dalle
 disposizioni oggetto della contestazione in  esame,  rappresenta  uno
 snodo  fondamentale  nel sistema "misto" delineato dalla legge n. 223
 del 1990, nel quale sono  destinati  a  operare  una  "concessionaria
 pubblica"  e una delimitata pluralita' di "concessionari privati". In
 quel principio, infatti, si riflettono le connotazioni essenziali del
 rapporto tra i poteri pubblici di regolazione o  di  controllo  e  le
 posizioni  soggettive  o  le  attivita'  dei  singoli  operatori  del
 sistema. E, poiche' queste  ultime  godono  in  Costituzione  di  una
 garanzia  differenziata  a seconda che i loro titolari siano soggetti
 pubblici oppure soggetti privati, il "principio  della  concessione",
 se  non  intende porsi in contrasto con le norme costituzionali, deve
 assumere  un   significato   diverso   quando   sia   riferito   alla
 "concessionaria    pubblica"    ovvero   quando   sia   riferito   ai
 "concessionari privati".
    Sotto il profilo indicato,  la  concessione  con  la  quale  viene
 affidata  la  gestione  del servizio pubblico, cosi' come e' regolata
 nella legge n. 223 del  1990,  rimanda  a  moduli  organizzatori  non
 dissimili,  nella  sostanza,  rispetto  a quelli connotanti lo stesso
 istituto nella  legislazione  che  si  ispirava  al  principio  della
 "riserva   statale".   E   cio'   vale   tanto   se  si  guarda  alla
 caratterizzazione giuridica del concessionario (societa'  d'interesse
 nazionale)  e  ai  poteri  di direttiva e di controllo che su di esso
 debbono  esser  esercitati  dallo  Stato  (commissione   parlamentare
 d'indirizzo  e  di  vigilanza, nomina parlamentare dei consiglieri di
 amministrazione, etc.), quanto se si guarda alla peculiarita' del re-
 gime delle risorse economiche di cui puo' usufruire il concessionario
 stesso.  In  altri  termini,  riferita  al  servizio   pubblico,   la
 concessione  conserva,  nel  suo complesso, il carattere di strumento
 organizzatorio, attraverso il  quale  si  costituiscono  in  capo  al
 concessionario   poteri   e   doveri   da   sottoporre   a  controlli
 discrezionali  e  al  coordinamento  amministrativo,  in  vista   del
 perseguimento di finalita' di interesse pubblico.
    Al  contrario, riferita ai privati, la concessione per l'esercizio
 della  radiodiffusione  sonora  e  televisiva  assume  un   carattere
 complesso, poiche', mentre per determinati aspetti (c.d. assegnazione
 delle   radiofrequenze)   conserva   una   connotazione  comune  alla
 concessione del  servizio  pubblico,  per  altri  aspetti  (controlli
 sull'attivita'  erogata  e sull'organizzazione dell'impresa), invece,
 costituisce uno strumento di ordinazione nei confronti di facolta'  e
 di  doveri  connessi  alla  garanzia costituzionale della liberta' di
 manifestazione del pensiero (art. 21) e della liberta' di  iniziativa
 economica  privata  (art.  41), nonche' ai correlativi limiti posti a
 tutela di beni d'interesse generale.
    10. - Questo duplice e complesso carattere della  concessione  per
 la   radiodiffusione   televisiva   privata,  come  ha  correttamente
 osservato l'Avvocatura dello Stato, e' desumibile dall'art. 16  della
 legge  n.  223  del  1990,  interpretato alla luce dell'art. 21 della
 Costituzione. L'art. 16,  infatti,  oltre  a  regolare  la  specifica
 concessione per l'installazione degli impianti nelle aree definite ai
 sensi  dell'art. 4 della stessa legge, disciplina dettagliatamente la
 appena  ricordata  concessione  per  l'esercizio   di   impianti   di
 radiodiffusione    televisiva    privata,    assegnandole   contenuti
 classificabili secondo due  distinti  profili,  vale  a  dire  quelli
 relativi a:
       a)  l'affidamento  alla esclusiva disponibilita' di individuati
 soggetti privati, sempreche' in  possesso  dei  requisiti  prescritti
 dagli  artt.  16  e 17 per il rilascio della concessione medesima, di
 determinate  frequenze,  definite  in   conformita'   ai   piani   di
 ripartizione  e di assegnazione delle stesse previsti dall'art. 3, in
 relazione alle quali gli impianti, connotati da una certa  potenza  e
 da una particolare area di servizio, sono destinati a trasmettere;
       b)  l'abilitazione  all'utilizzazione delle frequenze conferite
 (le quali, come e' noto, sono suscettibili di utilizzazioni  plurime)
 attraverso    l'uso   di   determinati   segnali,   al   fine   della
 radiodiffusione televisiva circolare su scala nazionale  o  su  scala
 locale.
    Sotto  il  primo  profilo,  la concessione concerne un presupposto
 necessario per l'esercizio da parte dei  privati  della  liberta'  di
 manifestazione   del   pensiero  con  il  mezzo  radiotelevisivo:  un
 presupposto, comunque, che, proprio perche' tale,  non  coincide  con
 l'attivita'  di cui consta quell'esercizio, attivita' che costituisce
 l'oggetto  diretto  della  tutela  accordata   dall'art.   21   della
 Costituzione.   Essa,   infatti,   per   l'aspetto  ora  considerato,
 conferisce ai privati la disponibilita' in via esclusiva di  determi-
 nate  utilita',  le  frequenze,  in  mancanza delle quali non sarebbe
 possibile l'attivita' di radiodiffusione televisiva  circolare.  Piu'
 precisamente, suo oggetto e' il conferimento a determinati privati di
 un  bene  comune, l'etere, da parte del soggetto (Stato) che ne ha il
 governo complessivo, affinche' gli assegnatari possano propagarvi  in
 via   esclusiva   onde   radioelettriche   connotate  da  predefinite
 frequenze.   Per   questo   aspetto,   dunque,    il    provvedimento
 amministrativo in esame rivela una natura tipicamente concessoria, in
 relazione  alla  quale  l'interesse  del  privato va qualificato come
 interesse  legittimo,  e  non  gia'  come  diritto  soggettivo   (v.,
 specialmente,  sentt. nn. 1030 del 1988, 102 del 1990). In ogni caso,
 quale   presupposto   necessario   condizionante    lo    svolgimento
 dell'attivita'   di  diffusione  del  pensiero  attraverso  il  mezzo
 radiotelevisivo, l'"assegnazione delle  frequenze"  ai  privati  deve
 avvenire,  per  rispettare l'art. 21 della Costituzione, in modo tale
 che sia assicurata  la  massima  obiettivita'  e  imparzialita',  dal
 momento  che la garanzia del nucleo di valore costituzionale espresso
 dalla liberta' di manifestazione del pensiero non puo', certo,  esser
 vanificata,  distorta  o trasposta in una qualche forma di privilegio
 da   parte   di   provvedimenti    discrezionali    della    pubblica
 amministrazione, non vincolati da precisi parametri legali.
    Sotto  il  profilo del conferimento al privato dell'abilitazione a
 svolgere l'attivita' di teletrasmissione, la concessione disciplinata
 dall'art. 16  riconosce,  invece,  una  facolta',  analoga  a  quella
 indicata  dall'art. 29 per la diffusione via cavo, il cui svolgimento
 coincide con l'attivita' tutelata dall'art.  21  come  manifestazione
 del  pensiero.  L'esercizio  di  tale  facolta', pertanto, e', per un
 verso, soggetto ai limiti stabiliti dall'art. 21 della Costituzione a
 tutela  di  determinati  valori  di carattere generale (buon costume,
 protezione dei minori, etc.) e, per altro verso, e'  sottoponibile  a
 restrizioni  o  a  controlli  soltanto  nel  rispetto  delle garanzie
 previste dallo stesso art. 21 della Costituzione e,  in  particolare,
 nel  rispetto  della  riserva assoluta di legge, oltreche' della c.d.
 riserva di giurisdizione.
    11. - Gli articoli della legge  n.  223  del  1990  oggetto  della
 contestazione  ora  in  esame  non  contravvengono  ai  requisiti  di
 validita' sopraindicati, desumibili dall'art. 21 della Costituzione.
    Nel  determinare  i  criteri  sulla  cui  base  deve  avvenire  la
 selezione dei soggetti privati aspiranti alla concessione, l'art. 16,
 al comma diciassettesimo, impone che siano seguiti criteri oggettivi,
 che  attengono  alla  potenzialita'  economica,  alla  qualita' della
 programmazione prevista e dei progetti radioelettrici e  tecnologici,
 oltreche',  per  i  soggetti  gia' operanti nel campo della emittenza
 radiotelevisiva, ad altri elementi piu' specifici, come  la  presenza
 sul  mercato,  le  ore  di  trasmissione  effettuate, la qualita' dei
 programmi riscontrata, le quote percentuali di spettacoli e i servizi
 informativi autoprodotti, il personale  dipendente,  con  particolare
 riguardo  a  quello  con  contratto  giornalistico,  e  gli indici di
 ascolto rilevati.  Si  tratta  di  requisiti  che,  oltre  ad  essere
 oggettivi, sono predeterminati dalla legge in modo tale da delimitare
 e  circoscrivere i poteri amministrativi sull'accesso dei privati nel
 sistema radiotelevisivo a parametri prefissati  dalla  legge,  e  non
 gia' lasciati alla scelta dell'amministrazione medesima.
    Analogamente, per quanto riguarda lo svolgimento dell'attivita' di
 teletrasmissione, il principio della riserva assoluta di legge, posto
 dall'art.   21  della  Costituzione  a  garanzia  della  liberta'  di
 manifestazione del pensiero, e' rispettato sia sotto il  profilo  dei
 limiti  di trasmissione, sia sotto quello dei controlli previsti. Per
 quanto riguarda il primo aspetto, infatti, l'art.  15,  dal  nono  al
 tredicesimo  comma,  specifica,  attraverso  puntuali norme di legge,
 taluni dei limiti desumibili dalla Costituzione nei  confronti  della
 liberta'  di  manifestazione del pensiero (divieto di trasmissione di
 messaggi di carattere subliminale o cifrati, divieto di messa in onda
 di programmi nocivi allo sviluppo  psichico  o  morale  dei  giovani,
 divieto  o  limitazione  della  fascia  oraria per la trasmissione di
 programmi vietati ai minori). Anche sotto il  profilo  dei  controlli
 previsti,  il principio di stretta legalita' comportato dalla riserva
 assoluta di legge in  materia  di  attivita'  di  manifestazione  del
 pensiero  non  e'  contraddetto  dalle norme contestate, tanto che il
 piu' importante fra i controlli delineati  dalla  legge  n.  223  del
 1990,   quello   attribuito  al  Garante  per  la  radiodiffusione  e
 l'editoria (art. 6), non e' caratterizzato,  come  pure  avviene  per
 istituzioni  analoghe  operanti in ordinamenti diversi dal nostro, da
 funzioni ampiamente discrezionali, ma consiste, invece, in  attivita'
 predeterminate  dalla  legge  in modo tale che il relativo potere sia
 delimitato e  circoscritto  a  parametri  legislativamente  stabiliti
 secondo i principi propri della riserva assoluta di legge.
    In definitiva, poiche' attraverso il "principio della concessione"
 gli articoli contestati non introducono deroghe o rotture alla regola
 della  riserva  assoluta  di  legge,  si  deve  escludere che essi si
 pongano in contrasto con l'art. 21 della Costituzione.
   12.  - Posto che l'art. 15 della Costituzione e' male invocato come
 parametro di costituzionalita' nella dedotta questione, poiche', come
 questa Corte ha gia'  chiarito  (v.  sent.  n.  1030  del  1988),  il
 suddetto  articolo  non  puo'  trovare  applicazione  nel campo della
 radiodiffusione televisiva  circolare  (destinata  a  una  pluralita'
 indeterminata   di   soggetti)   avendo   ad   oggetto   soltanto  la
 comunicazione riservata tra persone predeterminate, in relazione agli
 articoli della legge n. 223 del 1990 finora esaminati non  resta  che
 vagliare  le  contestazioni  ad  essi  mosse  dal  giudice  a quo per
 l'asserita violazione dell'art. 41 della Costituzione.
    Occorre osservare  preliminarmente  che,  essendo  l'attivita'  di
 radiotrasmissione  televisiva  dei  privati  organizzata  in forma di
 impresa, non si puo' dubitare dell'applicabilita' alla  stessa  della
 garanzia   costituzionale   relativa   alla  liberta'  di  iniziativa
 economica  privata  e  dei  connessi  limiti  di  interesse  sociale.
 Tuttavia,   va   sottolineato   che  nella  materia  ora  considerata
 l'organizzazione   imprenditoriale   ha   soltanto   una    posizione
 strumentale  rispetto  allo  svolgimento dell'attivita' di diffusione
 del pensiero attraverso il mezzo radiotelevisivo, di modo  che,  come
 non  si  possono  giustificare  limiti  all'impresa che siano tali da
 ricadere sull'attivita' di radiodiffusione televisiva con effetti  di
 irragionevole compressione della liberta' tutelata dall'art. 21 della
 Costituzione,   cosi'  sono  pienamente  giustificabili  limiti  piu'
 rigorosi nei confronti delle imprese operanti nel settore al fine  di
 apprestare  un'adeguata  protezione  ai  valori primari connessi alla
 manifestazione del pensiero attraverso il mezzo televisivo.
    Alla luce di tali principi,  le  disposizioni  contestate  non  si
 pongono  in  contrasto  con  l'art.  41  della Costituzione, poiche',
 mentre   tutelano   in   modo   adeguato   l'autonomia   di    scelta
 costituzionalmente  garantita agli imprenditori privati, nello stesso
 tempo  sottopongono  lo  svolgimento  di  tale  autonomia  a   limiti
 specifici,  giustificati  dall'esigenza  di prevenire il pericolo che
 l'esercizio della liberta' di  scelta  da  parte  dell'impresa  possa
 arrecare    pregiudizio    al    pluralismo    e    all'imparzialita'
 dell'informazione  televisiva  e,  in  genere,  ai  valori   protetti
 dall'art. 21 della Costituzione.
    Sotto  il  profilo  del rispetto della liberta' d'impresa, occorre
 sottolineare, innanzitutto, che,  nel  prevedere  la  radiodiffusione
 privata a carattere commerciale, l'art. 16 salvaguarda chiaramente lo
 scopo  di  lucro,  connaturale  a qualsiasi attivita' imprenditoriale
 svolta dai  privati,  ai  sensi  dell'art.  41,  primo  comma,  della
 Costituzione. In coerente svolgimento con tale principio, la legge n.
 223  del  1990  riconosce  l'autonomia imprenditoriale sull'attivita'
 produttiva,    rimettendo,    in    particolare,    alla     liberta'
 dell'imprenditore  la scelta dei mezzi di finanziamento della propria
 azienda  fra  il  complesso  delle  risorse  utilizzabili  ai   sensi
 dell'art. 15 e garantendo che queste ultime siano certe e predetermi-
 nate.
    Sotto  il  profilo  dei  limiti  e  dei controlli effettuabili nei
 confronti dello svolgimento  della  liberta'  d'iniziativa  economica
 privata,   occorre  osservare,  in  linea  generale,  che  anche  per
 l'aspetto relativo all'attivita' d'impresa, il  rapporto  tra  poteri
 pubblici  e  soggetti  privati  e'  posto  al  riparo  da  interventi
 amministrativi non rispettosi del principio della  riserva  di  legge
 stabilito  dall'art. 41, secondo e terzo comma, della Costituzione, a
 tutela   della   liberta'   di   iniziativa   economica  privata.  Il
 legislatore,  infatti,  ha   improntato   lo   statuto   dell'impresa
 radiotelevisiva  al  principio della certezza giuridica, determinando
 la linea di confine tra l'attivita' dei privati e i  poteri  pubblici
 in termini oggettivi di legalita' sostanziale, vale a dire attraverso
 la  predeterminazione  in  norme  di legge del contenuto essenziale e
 della forma dei limiti imponibili all'autonomia imprenditoriale.
    L'anzidetto principio connota le restrizioni previste dalla  legge
 n.  223  del  1990  alla  liberta'  d'impresa  radiotelevisiva  e, in
 particolare,  i  limiti  e  i  controlli  derivanti  dalla  specifica
 disciplina "anti-trust" ivi stabilita, in relazione alla quale, anzi,
 quel  principio  e'  reso  piu'  rigoroso in ragione dell'esigenza di
 tutelare nel modo piu' efficace i valori primari della liberta',  del
 pluralismo   e   dell'imparzialita'   dell'informazione  (televisiva)
 contenuti nell'art.  21  della  Costituzione.  In  ragione  di  cio',
 infatti,  la  disciplina  "anti-trust"  appositamente prevista per il
 settore  radiotelevisivo  correttamente  non  ricorre   a   parametri
 consistenti  in  concetti  indeterminati,  in  clausole  generali  o,
 comunque,  in  poteri  dotati  di  un'ampiezza  sostanzialmente   non
 definita  nella  legge, ma prevede, piuttosto, limiti alla dimensione
 delle imprese basati su prescrizioni precise e puntuali.
    Alla luce delle considerazioni ora  svolte,  anche  il  dubbio  di
 legittimita'  costituzionale prospettato nei confronti degli artt. 2,
 3, 15, 16, 19 e 32  della  legge  n.  223  del  1990  in  riferimento
 all'art.  41 della Costituzione non e' fondato, poiche' il "principio
 della  concessione"  stabilito  dalle  disposizioni  contestate   non
 comporta  un'irragionevole  compressione  della liberta' d'iniziativa
 economica privata, ma sottopone quest'ultima a regole e a  controlli,
 che,  valutati  anche  in  relazione  alla loro ricaduta finale sulla
 liberta' di manifestazione del pensiero, rispondono ai principi della
 riserva di legge e della certezza giuridica.
    13.  -  Va  altresi'  respinto  il  dubbio  di   costituzionalita'
 specificamente  rivolto  all'art.  32  della legge n. 223 del 1990 in
 riferimento agli artt. 3 e 41 della Costituzione.
    Secondo il giudice a quo, l'articolo contestato, nel permettere ai
 privati, che, al momento di entrata in vigore della legge, gestiscono
 impianti di radiodiffusione  televisiva,  di  proseguire  nella  loro
 attivita'  ove facciano domanda per il rilascio della concessione nel
 termine di sessanta giorni, oltre a porsi in contrasto con  l'art.  3
 della  Costituzione  per  un  irragionevole  discrimine a danno degli
 altri privati che  non  godono  del  suddetto  beneficio,  violerebbe
 altresi' l'art. 41 della Costituzione, sia perche' non garantirebbe a
 tutti  l'accesso nel mercato televisivo, sia perche' costituirebbe un
 limite alla liberta' d'iniziativa economica privata non  giustificato
 da alcun motivo di utilita' sociale.
    In   realta',   l'autorizzazione   ex   lege   alla   prosecuzione
 nell'attivita'   di   teletrasmissione,   contenuta   nell'art.   32,
 rappresenta una misura provvisoria, diretta a congelare la situazione
 delle  emittenti  radiotelevisive risultante all'atto dell'entrata in
 vigore della legge fino al momento della decisione sul rilascio delle
 concessioni.  Tale  misura,  mentre  non   viola   l'art.   3   della
 Costituzione,  dal  momento che non si rivela irragionevole alla luce
 della consistente diffusione delle emittenti radiotelevisive  occorsa
 in  via  di fatto prima dell'entrata in vigore della legge n. 223 del
 1990  e provvisoriamente legittimata con la legge n. 10 del 1985, non
 si pone in contrasto neppure con l'art. 41 della Costituzione, per il
 fatto che il carattere assolutamente provvisorio e transitorio  della
 norma  contestata  fa  si'  che non sia introdotta una regola volta a
 connotare   stabilmente   l'accesso   dei   privati    nel    sistema
 radiotelevisivo  e  a  porre,  pertanto,  un limite ingiustificato al
 normale svolgimento della liberta' d'iniziativa economica privata.
    14.  -  Non  fondata  e'  anche  la  questione   di   legittimita'
 costituzionale  riferita  all'art. 2 della legge n. 223 del 1990, per
 la quale sussisterebbe una disparita' di trattamento, con conseguente
 viola  zione  dell'art.  3  della  Costituzione,  fra  le   emittenti
 radiotelevisive,  soggette a concessione, e i ripetitori di programmi
 esteri, sottoposti ad autorizzazione, anche in  considerazione  della
 possibilita'   che  questi  ultimi  vengano  a  occupare  lo  spettro
 radioelettrico disponibile, a danno delle altre.
    La premessa da cui muove il  giudice  a  quo  nel  prospettare  la
 questione ora esaminata e' che i ripetitori di programmi esteri siano
 titolari  di  un  diritto  soggettivo,  essendo  l'autorizzazione  un
 provvedimento   diretto   semplicemente   a   rimuovere   un   limite
 all'esercizio  di  un preesistente diritto. Questa premessa, non solo
 non e' corretta in via generale per le ragioni gia' esposte nel punto
 6 di questa motivazione, ma non lo e' neppure con riferimento al caso
 specifico.  I  ripetitori  di  programmi  esteri,  infatti,   possono
 esercitare  la  loro  attivita'  di  diffusione  televisiva  soltanto
 attraverso l'utilizzazione in  via  esclusiva  di  un  certo  spettro
 radioelettrico connotato da predeterminate frequenze. Da questo punto
 di  vista,  pertanto,  la  loro  posizione e' identica a quella delle
 emittenti radiotelevisive di  fronte  alla  c.d.  assegnazione  delle
 frequenze,  che,  come  e' stato precisato nel precedente punto 10 di
 questa  motivazione,  dev'esser   giuridicamente   qualificata   come
 interesse   legittimo.   Sicche',  per  l'aspetto  considerato,  deve
 escludersi  l'effetto  discriminatorio  a   danno   delle   emittenti
 radiotelevisive  in  conseguenza  dell'ipotizzata  libera occupazione
 dell'etere da parte dei  ripetitori  dei  programmi  esteri,  essendo
 sottoposti  questi  ultimi a un'autorizzazione, cui e' connesso anche
 il compito di riconoscere al richiedente una  determinata  frequenza,
 ove cio' sia compatibile con il piano nazionale di assegnazione e con
 la  "distribuzione" delle stesse frequenze alle emittenti abilitate a
 trasmettere ai sensi degli artt. 3, undicesimo comma  (concessionaria
 pubblica) e 16 (concessionari privati) della legge n. 223 del 1990.
    Il  fatto  che  l'art.  2  continui  a  sottoporre i ripetitori di
 programmi esteri ad autorizzazione significa soltanto  che  a  questi
 ultimi  - proprio in ragione della circostanza differenzianteche essi
 non producono, ne' preordinano i programmi, ma ritrasmettono soltanto
 quelli generati da altri all'estero, secondo le norme dei  rispettivi
 ordinamenti,  -  non puo' ragionevolmente richiedersi l'insieme delle
 condizioni  implicato  dal  rilascio  della  concessione   ai   sensi
 dell'art.  16  della  stessa legge. Ma per il resto - ed e' l'art. 38
 della legge n. 223  del  1990  a  renderlo  esplicito  -  i  titolari
 dell'autorizzazione   per  la  ripetizione  dei  canali  esteri  sono
 equiparati ai concessionari privati  in  ambito  nazionale,  ai  fini
 dell'applicazione  della  legge  medesima.  Entro  questi  limiti  la
 differenziazione sussistente tra le due situazioni poste a  confronto
 dal  giudice  a  quo  non  configura  un'irragionevole  disparita' di
 trattamento  e,  pertanto,  non  puo'  considerarsi  in contrasto con
 l'art. 3 della Costituzione.
    15.  -  Va,  infine,  respinta  la   questione   di   legittimita'
 costituzionale  mossa  nei confronti dell'art. 32 sul presupposto che
 questo articolo violerebbe l'art. 3 della Costituzione nel  prevedere
 la  medesima  autorizzazione  ex  lege  a favore di soggetti diversi,
 quali le  emittenti  radiotelevisive  e  i  ripetitori  di  programmi
 esteri,   abilitandoli   indifferentemente   a   proseguire  le  loro
 attivita', esercitate in via di  fatto  al  momento  dell'entrata  in
 vigore della legge.
    Considerata la ratio dell'art. 32 - che, come si e' gia' precisato
 nel   punto   13  di  questa  motivazione,  e'  quella  di  congelare
 provvisoriamente  la  situazione  di  fatto  esistente   al   momento
 dell'entrata in vigore della legge fino al rilascio dei provvedimenti
 amministrativi diretti a determinare stabilmente i soggetti abilitati
 a  trasmettere  -  non puo' ritenersi in contrasto con l'art. 3 della
 Costituzione  una  norma   transitoria   che   tratta   uniformemente
 situazioni   che  la  disciplina  a  regime  regola  differentemente.
 Infatti, in relazione allo scopo perseguito dalla norma  transitoria,
 che  e'  l'unica rilevante ai fini della valutazione della parita' di
 trattamento  nel  caso  in  esame,  le  situazioni  considerate   non
 presentano  elementi  di  differenziazione tali da indurre a ritenere
 irragionevole la loro assimilazione.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondate le questioni  di  legittimita'  costituzionale
 degli  artt.  2, 3, 15, 16, 19 e 32 della legge 6 agosto 1990, n. 223
 (Disciplina  del  sistema  radiotelevisivo   pubblico   e   privato),
 sollevate,  in riferimento agli artt. 15, 21 e 41 della Costituzione,
 dal tribunale di Firenze con l'ordinanza indicata in epigrafe;
    Dichiara non fondata la questione di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  2  della  legge n. 223 del 1990, sollevata, in riferimento
 all'art.  3  della  Costituzione,  dal  tribunale  di   Firenze   con
 l'ordinanza indicata in epigrafe;
    Dichiara  non  fondate le questioni di legittimita' costituzionale
 dell'art. 32 della legge n. 223 del 1990, sollevate,  in  riferimento
 agli  artt.  3  e 41 della Costituzione, dal tribunale di Firenze con
 l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 24 marzo 1993.
                       Il Presidente: BORZELLINO
                       Il redattore: BALDASSARRE
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 26 marzo 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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