N. 23 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 26 marzo 1993
N. 23 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 26 marzo 1993 (della regione autonoma della Sardegna) Trasporti pubblici - Stanziamento di un contributo straordinario di lire 380 miliardi per la copertura parziale dei disavanzi di esercizio relativi agli anni 1987-1991 dei servizi di trasporto pubblico locale - Attribuzione di detto contributo con decreto del Ministro del tesoro (sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome) alle regioni a statuto ordinario sulla base di quanto assegnato in sede di riparto del Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio relativamente agli anni 1987-1991 - Esclusione delle regioni a statuto speciale dalla assegnazione di detto contributo - Ritenuta insussistenza dei caratteri di "provvisorieta'" ed "urgenza" della disciplina impugnata che hanno consentito alla Corte costituzionale di escludere l'illegittimita' costituzionale di norma di analogo contenuto (sentenza n. 381/1990) - Irragionevole deteriore trattamento delle regioni a statuto speciale rispetto alle regioni a statuto ordinario, con incidenza sull'autonomia finanziaria delle regioni. (D.L. 19 dicembre 1992, n. 485, art. 1, commi 1, 2 e 4-ter, convertito in legge 17 febbraio 1993, n. 32). (Cost., artt. 3, 81, 116 e 119; statuto regione Sardegna, artt. 3, lett. g), 4, lett. g), 6, titolo III (artt. 7-14), 54 e 56).(GU n.16 del 14-4-1993 )
Ricorso della regione autonoma della Sardegna, in persona del presidente della giunta regionale pro-tempore on.le ing. Antonello Cabras, giusta deliberazione della giunta regionale del 17 marzo 1993, n. 11/1, rappresentata e difesa - in virtu' di procura a margine del presente atto - dall'avv. prof. Sergio Panunzio, e presso quest'ultimo elettivamente domiciliato in Roma, piazza Borghese n. 3; contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio in carica; per la dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 1, commi primo, secondo e quarto- ter, del d.l. 19 dicembre 1992, n. 485, convertito con modificazioni in legge 17 febbraio 1993, n. 32, recante "Contributo straordinario per la parziale copertura dei disavanzi delle aziende di trasporto pubblico locale". F A T T O Nella Gazzetta Ufficiale del 17 febbraio u.s. e' stata pubblicata la legge 17 febbraio 1993, n. 32, che ha convertito in legge, con modificazioni, il d.l. n. 485/1992, indicato in epigrafe. Tale decreto-legge - come e' detto nel preambolo - e' stato emanato in considerazione del "grave stato di tensione esistente tra gli operatori del trasporto pubblico locale nelle aree metropolitane, con possibili riflessi anche sull'ordine pubblico"; e, quindi "ritenuta la straordinaria necessita' ed urgenza di disporre la concessione di un contributo straordinario, finalizzato alla parziale copertura dei disavanzi di esercizio del trasporto pubblico locale, relativi agli anni 1987-1991". Ai fini del presente ricorso vengono soprattutto in evidenza i primi due commi dell'art. 1 del decreto-legge. Il primo di essi stabilisce che "Lo Stato concorre alla parziale copertura dei disavanzi di esercizio relativi agli anni 1987-1991 dei servizi di trasporto pubblico locale di cui all'articolo 1 della legge 10 aprile 1981, n. 151, con un contributo straordinario di lire 380 miliardi. Le regioni e gli enti locali sono autorizzati a contrarre mutui con istituti diversi dalla Cassa depositi e prestiti e dalla Direzione generale degli istituti di previdenza del Ministero del tesoro per la coperatura di disavanzi di esercizio di trasporto locale relativi all'anno 1991; l'onere di ammortamento dei mutui e' a carico dei bilanci degli enti locali e delle regioni. Ai fini dell'assunzione dei predetti mutui si applicano le disposizioni di cui agli artt. 2, terzo comma, e 2-bis, secondo comma, del d.l. 31 ottobre 1990, n. 310, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 1990, n. 403". Tuttavia la regione Sardegna e' esclusa dalla erogazione del contributo straordinario di cui al suddetto primo comma. Infatti il successivo secondo comma dell'art. 1 stabilisce che "Il contributo di cui al primo comma e' attributo, con decreto del Ministero del tesoro, sentita la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di cui all'art. 12 della legge 23 agosto 1988, n. 400, alle regioni a statuto ordinario sulla base di quanto assegnato in sede di riparto del Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio di cui all'art. 9 della legge 10 aprile 1981, alle singole regioni relativamente agli anni 1987-1991". La surriferita disciplina legislativa, nella parte in cui esclude dai finanziamenti la regione autonoma della Sardegna, e' incostituzionale e lesiva delle sue competenze costituzionalmente garantite, onde essa le impugna per i seguenti motivi di D I R I T T O Violazione delle attribuzioni regionali di cui agli artt. 3, lett. g), 4, lett. g), 6, al titolo terzo (art. 7-14); agli artt. 54 e 56 dello statuto speciale della Sardegna (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3) e delle relative norme d'attuazione; nonche' degli artt. 3, 81, 116 e 119 della Costituzione. 1. - Come si e' visto, la disciplina legislativa impugnata esclude la regione ricorrente (e le altre regioni a statuto speciale) dalla assegnazione dei contributi straordinari dello Stato per la copertura dei disavanzi di esercizio relativi agli anni 1987-91 delle aziende esercenti servizi di trasporto pubblico locale, previsti dal primo comma dell'art. 1 del d.l. n. 485/1992. Ma se questo e' il primo e piu' evidente effetto della disciplina legislativa impugnativa, ve ne e' in realta' anche un altro (che ne costituisce anzi il logico presupposto). Quella disciplina, cioe', conferma e perpetua le esclusione della regione Sardegna (e delle altre regioni a statuto speciale) dal riparto del Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio di cui all'art. 9 della legge n. 151/1981, che era stato provvisoriamente disposto dall'art. 18, primo comma, del d.l. 28 dicembre 1989, n. 415. Al riguardo occorre ricordare brevemente la vicenda legislativa che ha portato alla disciplina oggi impugnata (vicenda, del resto, ben nota a codesta ecc.ma Corte). La legge 10 aprile 1981, n. 151 (legge quadro sui trasporti pubblici locali), istitui' con l'art. 9, il Fondo nazionale per il ripiano di esercizio delle aziende di trasporto pubbliche e private che esercitano i servizi di trasporto pubblico locale: Fondo che veniva ripartito fra tutte le regioni, a statuto sia ordinario che speciale (ed alle province autonome). Peraltro il citato decreto legge n. 415/1989 dispone, all'art. 18, la esclusione dal riparto di tale Fondo delle regioni, a statuto speciale (e delle due province autonome). Quest'ultima disposizione venne impugnata innanzi a codesta ecc.ma Corte da tutte le regioni a statuto speciale e dalle province autonome di Trento e Bolzano, insieme ad altre disposizioni del decreto legge n. 415/1989 che analogamente escludevano o riducevano la partecipazione delle sole regioni ad autonomia speciale da finanziamenti dello Stato relativi a materie di loro competenza (spe- cie l'art. 19 relativo al Fondo sanitario nazionale). Nel ricorso si dedusse allora la illegittimita' di quella disciplina legislativa perche' essa, operando a carico delle sole regioni a statuto speciale ricorrenti dei tagli assai consistenti ai trasferimenti finanziari, in relazione ad attivita' e spese che peraltro la Regione stessa deve comunque effettuare (per vincolo costituzionale o di legge dello Stato), ne violava gravemente l'autonomia: sia quella finanziaria, sia quella "funzionale" (costringendola in ogni caso a coprire quelle spese sottraendo proprie risorse finanziarie ad altre destinazioni e comprimendo e pregiudicando il livello e la qualita' dell'esercizio delle funzioni e dei servizi). Ma, com'e' noto, con la sentenza n. 381/1990 codesta ecc.ma Corte dichiaro' con fondata la suddetta questione. In realta' codesta ecc.ma, in quella sentenza, non nego' che, in effetti, le disposizioni del decreto legge n. 415/1989 allora impugnato (fra cui appunto l'art. 18, primo comma) determinassero un grave squilibro nella finanza delle provincie autonome e delle regioni a statuto speciale; ed affermo' anche che la specialita' della loro autonomia "deve riflettersi anche sul piano finanziario, nel senso che le regioni e le province autonome cui la Costituzione e gli statuti assegnano piu' ampie e significative competenze debbono esser messe in grado di avere a disposizione risorse finanziarie maggiori e, comunque, adeguate alla piu' elevata quantita' e qualita' delle attribuzioni loro spettanti". Ma cio' che, secondo la motivazione della sentenza n. 381/1990 (spec. n. 5 della motivazione "in diritto"), valse ad escludere una dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 19 del d.l. n. 415/1989 fu essenzialmente il carattere di "provvisorieta'" e di "urgenza" che a quella disciplina legislativa venne allora riconosciuta. Una disciplina che - come allora fu detto da codesta ecc.ma Corte - si giustificava in quanto "propedeutica" rispetto agli imminenti "futuri aggiustamenti che verranno definitivamente apportati a seguito di trattative del Governo con le singole regioni (o province) ad autonomia differenziata e nell'ambito di una riconsiderazione globale della materia, basata su piu' approfondite analisi del rapporto tra i flussi finanziari esistenti fra lo Stato e le regioni (e le province autonome) e le funzioni esercitate da queste ultime". E la sentenza n. 381/1990 non manco' di precisare anche che gli strumenti normativi appropriati per stabilire finalmente una disciplina che realizzasse un equilibrio tra le risorse finanziarie assegnate alle regioni (e alle province) ad autonomia differenziata e i piu' complessi compiti assegnati alle medesime sono costituiti non gia' da provvedimenti legislativi contingenti, episodici e frammentari, ma invece "dalle norme di attuazione e dalle leggi previste dagli statuti per la revisione delle proprie norme finanziarie". Ma quattro anni dopo il d.l. n. 415/1989, anziche' la preannunciata revisione globale della vigente disciplina della finanza regionale e del rapporto fra entrate e spese, sulla base di apposite trattative fra Governo e regione e mediante lo strumento normativo costituzionalmente corretto, si e' avuto invece in materia un ennesimo intervento "contingente": prova ulteriore, se mai ce ne fosse stato bisogno, che troppe volte il legislatore rende definitivo cio' che invece doveva essere provvisorio. Infatti, come si e' visto, il d.l. n. 485/1992, oggi impugnato, con il secondo comma dell'art. 1, da un lato ha confermato l'esclusione della regione ricorrente dalla ripartizione del Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio, ex art. 9 della legge n. 151/1981; dall'altro ha escluso l'attribuzione ad essa anche del contributo straordinario di cui al primo comma dello stesso art. 1. 2. - Dunque, in primo luogo, la disciplina legislativa impugnata e' incostituzionale (per violazione delle norme costituzionali sopra indicate) nella parte in cui, ad un tempo, conferma la esclusione della regione ricorrente - e delle altre (sole) regioni a statuto speciale - dal riparto del Fondo ex art. 9 della legge n. 151/1981, e la esclude anche dalla attribuzione del contributo straordinario, di cui al primo comma dell'art. 1 del d.l. n. 485/1992. La regione ricorrente, infatti, allo stesso modo delle regioni a statuto ordinario, deve ripianare i disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto pubblico locale operanti nel suo territorio, anche in applicazione dei principi stabiliti dalla legge n. 151/81 (artt. 6 e 9) e dallo stesso art. 18, primo comma, del d.l. n. 415/1989. Ma allora la confermata esclusione dai trasferimenti del Fondo, ed ora anche la esclusione del contributo straordinario, disposti dal d.l. n. 485/1992, violano i principi costituzionali dell'autonomia finanziaria della regione nelle materie di propria competenza (nella specie trasporti locali, ed anche servizi pubblici di interesse regionale). in quanto addossano alla medesima un onere finanziario senza pero' dotarla, come la legge invece fa per le regioni a statuto ordinario, delle risorse per farvi fronte. Lesione che risulta tanto piu' evidente se si considerano le potesta' statali in ordine sia alla determinazione delle tariffe di trasporto, sia in ordine agli oneri di esercizio come quelli del personale (contratto nazionale autoferrotranvieri per il triennio 1990-92, alla cui formazione ha partecipato il Governo, ma non la regione) che impediscono alla regione di avere un effettivo controllo della spesa; ed inoltre se si considera che il legislatore e' recentemente intervenuto (art. 3 della legge 23 gennaio 1992, n. 500) sulla disciplina del Fondo nazionale per il ripiano dei disavanzi di esercizio, facendola confluire, nel 1993, nel fondo comune di cui all'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281, ed in conseguenza di cio' ha anche stabilito, con il comma 4- ter dello stesso art. 1 del d.l. n. 485/1992 oggi impugnato, la istituzione di un "fondo di riequilibrio per consentire alle regioni che abbiano subito rispetto all'anno 1992 una consistente riduzione della loro assegnazione, di rientrare progressivamente, a partire dall'anno 1993, nella quota di riparto ordinario". Ma la Regione ricorrente, essendo gia' esclusa dal riparto del Fondo ex art. 9 della legge n. 151/1981, e' stata esclusa anche dalla ripartizione di quest'ultimo fondo di riequilibrio. Onde anche il comma 4- ter dell'art. 1 del d.l. n. 485/1992 e' incostituzionale per gli stessi motivi dei commi precedenti. Sembra evidente che la incostituzionalita' della disciplina del decreto legge n. 485/1992, oggi impugnato, non puo' essere negata sulla base degli argomenti a suo tempo addotti da codesta ecc.ma Corte, nella sentenza n. 381/1990, a proposito della disciplina dell'art. 18, primo comma, del d.l. n. 415/1989 (e poi nella sentenza n. 356/1992, in relazione agli ulteriori tagli delle assegnazioni del fondo sanitario nazionale stabiliti dalla legge 30 dicembre 1991, n. 412). La disciplina stabilita dal d.l. n. 485/1992, infatti, e' certamente priva di quel carattere di "provvisorieta'" (in attesa della definitiva legge di riordino della materia) che era valsa ad evitare l'annullamento dell'art. 18, primo comma, del del d.l. n. 415/1989. Non vi e' nessun elemento nella disciplina legislativa oggi impugnata che possa farla ragionevolmente considerare come necessariamente "propedeutica" rispetto ad una disciplina in itinere che costituisca una revisione organica della materia. Piuttosto si potrebbe osservare, al riguardo, che e' lo stesso persistere del legislatore statale in un medesimo tipo di intervento, di per se' inadeguato a regolare la materia nel rispetto dell'autonomia delle regioni a statuto speciale, a fare dubitare retrospettivamente del carattere di "provvisorieta'" e di "propedeuticita'" precedentemente riconosciuto all'art. 18 del d.l. n. 415/1z989. Del resto la disciplina impugnata del decreto legge n. 485/1992 non puo' neppure considerarsi come un provvedimento fondato sulla "urgenza" di porre in essere una prima parte di una piu' "globale manovra finanziaria" (come, sempre secondo la sentenza n. 381/1990, era il d.l. n. 415/1989). Come infatti si e' detto all'inizio, lo stesso preambolo del decreto legge oggi impugnato afferma che la urgenza di provvedere era collegata (anziche' alla indifferibilita' di un primo intervento di riodino finanziario) a problemi di "ordine pubblico" (conseguenti ad un situazione di tensione esistente tra gli operatori del trasporto pubblico locale nelle aree metropolitane). Quanto poi al fine "perequativo" (cioe' il fine di riequilibrare il rapporto fra i flussi finanziari tra Stato e regioni a statuto speciale e province autonome, rispetto a quello intercorrente fra Stato e regioni ad autonomia ordinaria) che nella sentenza n. 381/1990 si riconobbe alla disciplina dell'art. 18 (e ad altre disposizioni del decreto legge n. 415/1989), se tale fine deve essere ancora oggi realizzato, la strada non e' certo quella percorsa dal legislatore con la disciplina qui impugnata. Come proprio codesta ecc.ma Corte aveva chiaramente affermato nella motivazione della sentenza n. 318/1990, la strada non puo' che essere quella delle pre- vie "trattative del Governo con le singole regioni (o province) ad autonomia differenziata" e, quindi della emanazione delle particolari "leggi previste dagli statuti per la revisione delle proprie norme finanziarie" (nel caso della regione ricorrente si tratta dell'art. 54, terzo comma, dello statuto), e dalla emanazione di nuove "enorme di attuazione" dello statuto (art. 56 dello statuto). Ma nulla di tutto cio' si e' avuto, appunto, nel caso della disciplina oggi impugnata, che non e' certamente il frutto ne' delle procedure statutariamente previste, ne' - comunque - di quelle "trattative" che erano state previste nella sentenza n. 381/1990. 3. - Con particolare riferimento alla esclusione della regione ricorrente dal contributo straordinario di cui al primo comma dell'art. 1 del d.l. n. 485/1992, si deve a questo punto dedurre, in via subordinata, un ulteriore profilo di incostituzionalita' della disciplina impugnata. Questa, infatti, gia' e' stata impugnata per avere escluso la regione Sardegna dal contributo per tutti gli anni di esercizio per i quali il contributo e' previsto: cioe' gli anni 1987-1991. Comer si e' detto, la regione ricorrente e' stata esclusa dalla ripartizione del Fondo ex art. 9 della legge n. 151/1981 a partire dall'anno 1990 (art. 18, primo comma, del d.l. n. 415/1989). Orbene, ammettiamo - in denegata ipotesi - che codesta ecc.ma Corte possa ritenere costituzionalmente legittima l'esclusione della regione ricorrente dalla attribuzione del contributo di cui al primo comma dell'art. 1 del d.l. n. 485/1992 in quanto corollario del fatto (pure ritenuto costituzionalmente legittimo) che la stessa regione e' stata esclusa per legge dalla ripartizione del Fondo nazionale per il ripiano di disavanzi. Ammettiamo cioe' che - ai sensi del secondo comma dell'art. 1 del decreto legge impugnato - vi sia una necessaria interdipendenza fra diritto al contributo straordinario e diritto al riparto del Fondo. Orbene, anche in questa ipotesi la disciplina impugnata sarebbe comunque incostituzionale nella parte in cui nega alla regione ricorrente il contributo straordinario anche per gli anni di esercizio nei quali la regione stessa ha invece partecipato alla ripartizione del Fondo: cioe' per gli anni 1987, 1988 e 1989. Se per il triennio 1987/1989 la regione Sardegna ha partecipato, come tutte le altre regione anche a statuto ordinario, alla ripartizione del Fondo, anch'essa, allora, assieme a queste ultime regioni deve potere ancora beneficiare per quello stesso triennio dei contributi straordinari previsti dal primo comma dell'impugnato art. 1. Il secondo comma dell'art. 1 stabilisce che il contributo e' commisurato sulla base di quanto assegnato "alle singole regioni relativamente agli anni 1987-1991" in sede di riparto del Fondo nazionale ex art. 9 della legge n. 151/1981; ma, poiche' anche la regione Sardegna negli anni 1987, 1988 e 1989 ha partecipato alle assegnazioni del Fondo, non vi e' ragione di escludere per quel triennio dalla assegnazione del contributo straordinario, che serve proprio ad integrare le assegnazioni da parte del Fondo di quel triennio, rivelatesi insufficienti a coprire i disavanzi. Almeno per questa parte, dunque, la esclusione della regione Sardegna dai contributi straordinari disposta dalla disciplina legislativa impugnata si risolve in una palese lesione delle sue competenze costituzionali e della relativa autonomia finanziaria, secondo quanto gia' detto in precedenza; ed anche in una discriminazione irragionevole (e percio' lesiva anche dell'art. 3 della Costituzione) della regione ricorrente rispetto alle regioni a statuto ordinario.
P. Q. M. Voglia l'ecc.ma Corte costituzionale, in accoglimento del presente ricorso, dichiarare incostituzionali in parte qua, i commi primo, secondo e quarto-ter,del d.l. 19 dicembre 1992, n. 485, convertito in legge 17 febbraio 1993, n. 32. Roma, addi' 19 marzo 1993 Prof. avv. Sergio PANUNZIO 93C0323