N. 163 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 gennaio 1993

                                N. 163
 Ordinanza  emessa il 26 gennaio 1993 dalla pretura di Novara, sezione
 distaccata di  Borgomanero,  nel  procedimento  civile  vertente  tra
 Boriolo Piero ed altri e la U.S.S.L. n. 54 di Borgomanero
 Sanita' pubblica - Medici titolari nei confronti del S.S.N. di un
    rapporto  di  lavoro a tempo definito e, contemporaneamente, di un
    rapporto in regime convenzionale - Previsione della  garanzia  del
    passaggio  anche  in  soprannumero  al  rapporto di lavoro a tempo
    pieno al personale medico a tempo definito in servizio  alla  data
    di entrata in vigore della legge impugnata che intenda far cessare
    in questo modo la situazione di incompatibilita' del doppio regime
    -  Mancata  previsione  di  corrispondente  garanzia  al personale
    medico che, provenendo dalla identica situazione di fatto, intenda
    optare invece per la conservazione del solo rapporto convenzionale
    - Disparita' di trattamento di situazioni omogenee  con  incidenza
    sul diritto al lavoro e sul principio della tutela del lavoro.
 (Legge 30 dicembre 1991, n. 412, art. 4, settimo comma).
 (Cost., artt. 3, 4 e 35).
(GU n.15 del 7-4-1993 )
                              IL PRETORE
    Sciogliendo  la  riserva  assunta  in  udienza nel procedimento n.
 5065/92 introdotto da Boriolo Piero, Farina Fulvio  e  Colombo  Paolo
 Pietro  contro  l'U.S.S.L.  54  di  Borgomanero,  ha  pronunciato  la
 seguente ordinanza;
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    1. -  Il  22  ottobre  1992  i  ricorrenti  (medici  titolari  nei
 confronti del Servizio sanitario nazionale di un rapporto di lavoro a
 tempo  definito,  e,  contemporaneamente,  di  un  rapporto in regime
 convenzionale) hanno depositato in cancelleria ricorso al pretore  in
 funzione   di  giudice  del  lavoro,  investendo  quest'ultimo  della
 tematica  connessa all'applicazione dell'art. 4, settimo comma, della
 legge 30 dicembre 1991, n. 412.
    Essi hanno chiesto:
       a) la condanna dell'U.S.S.L. 54 al pagamento di somme di denaro
 che  hanno  ritenuto  di  loro  spettanza  in  relazione  al  mancato
 adeguamento degli accordi collettivi vigenti;
       b)    l'accertamento,   tramite   il   giudizio   della   Corte
 costituzionale, della  illegittimita'  dell'art.  4,  settimo  comma,
 della  legge  n.  412/1991 e, quindi, la declaratoria di "nullita' di
 ogni atto presupposto o conseguente".
    2. - Contestualmente al deposito al citato ricorso ex art. 414 del
 c.p.c. i ricorrenti hanno introdotto procedura di urgenza ex art. 700
 del c.p.c.
    In quest'ultima procedura sono state richiamate le  argomentazioni
 del ricorso relative al sospetto di illegittimita' costituzionale dal
 quale sarebbe affetto il citato art. 4 della legge n. 412/1991, ed e'
 stato  richiesto  al giudice del lavoro di "sospendere il termine del
 31 dicembre 1992 stabilito dall'art. 4, settimo comma, della legge n.
 412/1991, in attesa che venga deciso  il  presente  giudizio  e/o  in
 attesa   della  eventuale  decisione  della  Corte  costituzionale  o
 comunque  fino  alla  entrata  in  vigore  dello  stipulando  accordo
 convezionale  imposto dall'art. 4, settimo comma, ultima parte, della
 legge 30 dicembre 1991, n. 412".
    3. - Il pretore ha emesso decreto di  fissazione  dell'udienza  di
 discussione  nel procedimento ex art. 414 del c.p.c., e, con separato
 atto, ha  fissato  l'udienza  per  la  trattazione  del  procedimento
 d'urgenza.
    4. - L'U.S.S.L. si e' costituita ed ha chiesto il rigetto di tutte
 le domande, urgenti e non, avanzate dalle controparti.
    5.  -  All'udienza  del  3 dicembre 1992 le parti hanno chiesto ed
 ottenuto  termine  differenziato  per  il  deposito  di  una  memoria
 difensiva.
    Il  19 dicembre 1992 i ricorrenti hanno depositato la loro memoria
 in Cancelleria, ed in essa  hanno  dichiarato  che,  nelle  more  del
 giudizio,  l'U.S.S.L.  54  ha loro notificato la deliberazione n. 865
 adottata dall'amministratore straordinario.
    Con questo provvedimento l'U.S.S.L. 54 ha anticipato ai ricorrenti
 che, per il caso di mancata opzione - entro il 31 dicembre 1992 - per
 uno dei due rapporti di lavoro con il Servizio  sanitario  nazionale,
 si  provvedera' a confermare il rapporto di dipendenza ed a risolvere
 quello convenzionale (per i ricorrenti Boriolo e  Farina)  nonche'  a
 risolvere  il  rapporto convenzionale (per il ricorrente Colombo), in
 ogni caso a far tempo dal 31 gennaio 1993.
   I ricorrenti, richiamate  le  precedenti  difese,  hanno  impugnato
 anche  la  citata deliberazione e ne hanno chiesto la disapplicazione
 da  parte  del  Pretore,  con  ordine  all'U.S.S.L.  di  mantenere  i
 ricorrenti  nella  situazione  quo  ante  sia  per  quanto attiene al
 rapporto di dipendenza  che  per  quello  che  riguarda  il  rapporto
 convenzionale.
    Nella   corrispondente   memoria  autorizzata  (depositata  il  30
 dicembre 1992) l'U.S.S.L. 54' pur accettando il contraddittorio sulla
 - nuova - domanda di disapplicazione della deliberazione n. 865 del 3
 dicembre 1992, ha insistito per  ottenere  il  rigetto  di  tutte  le
 avverse pretese.
    Cio'  premesso,  il pretore - in parte accogliendo, in altra parte
 rigettando,  ed  in   residua   parte   diversamente   valutando   le
 argomentazioni delle parti processuali - osserva:
    6.  -  La  questione  di  legittimita' costituzionale dell'art. 4,
 settimo  comma,  della  legge  30  dicembre  1991,  n.  412,  non  e'
 manifestamente infondata.
    Nel  disporre  che  "con  il  Servizio  sanitario  nazionale  puo'
 intercorrere un unico rapporto di  lavoro",  la  norma  di  legge  in
 oggetto  impone  ai  medici che abbiano piu' di un rapporto, anche di
 natura convenzionale, con il Servizio sanitario di far  cessare  tale
 situazione  (definita  di  "incompatibilita'")  entro  il 31 dicembre
 1992.
    In particolare i  medici  che  abbiano  con  il  servizio  sia  un
 rapporto  di  dipendenza  a  tempo definito ex art. 47 della legge n.
 833/1978 che, contestualmente, un rapporto convenzionale ex  art.  48
 della  stessa legge, entro il 31 dicembre 1992 devono optare o per il
 primo oppure per il secondo di essi.
    Senonche', lo status giuridico-economico del  medico  che  esprima
 l'opzione  in favore del rapporto di dipendenza appare molto diverso,
 e migliore, rispetto a quello del professionista che  invece  intenda
 optare per il rapporto convenzionale.
    Dal  momento  che coloro che sono chiamati ad effettuare la scelta
 tra le due possibilita' sono nella identica condizione lavorativa  di
 partenza,    la   marcata   differenza   sopra   evidenziata   sembra
 verosimilmente  tradursi  in  irragionevole,   e   quindi   sospetta,
 disparita'  di trattamento; e questa vistosa disparita' costituisce a
 sua volta fonte di "coercizione" nella scelta, di talche' non  appare
 rispettato  il  disposto  degli  artt.  4  e 35 della Costituzione, a
 proposito, oltretutto, di una professione che incide su un altro bene
 costituzionalmente protetto (art. 32 della Costituzione).
    Infatti:
     A) Il medico che esprime l'opzione  in  favore  del  rapporto  di
 dipendenza gode della garanzia accordata dallo stesso art. 4, settimo
 comma, della legge n. 412/1991.
    Quest'ultimo  reca:  "A  decorrere  dal  primo  gennaio  1993,  al
 personale medico con rapporto di lavoro a tempo definito, in servizio
 alla data di entrata in vigore della presente legge, e' garantito  il
 passaggio,  a domanda, anche in soprannumero, al rapporto di lavoro a
 tempo pieno".
    Questa garanzia (pur essendo affievolita dal fatto  che  la  legge
 non  impone  un  termine  entro  il quale il Servizio sanitario debba
 attuarla in favore del medico dipendente: ma  si  potrebbe  sostenere
 che  quod  sine die debetur, statim debetur) comporta inevitabilmente
 dei riflessi sul piano del trattamento economico.
    Comparando, sotto quest'ultimo aspetto la  situazione  del  medico
 titolare  del  rapporto  di  dipendenza  a tempo definito nonche' del
 rapporto convenzionale con un massimo di cinquecento  assistito,  con
 la situazione del medico titolare soltanto del rapporto di dipendenza
 a  tempo  pieno,  non  si riscontrano delle differenze retributive di
 spessore tanto marcato da poter essere ritenuto rilevante ai fini  in
 esame.
    Anche  l'aspetto  previdenziale,  ad una analisi approfondita, non
 sembra raggiungere - nel passaggio  dalla  duplicita'  dei  rapporti,
 alla  unicita'  di  dipendenza  a tempo pieno - livelli di differenza
 tali  da  introdurre   legittimamente   l'esame   del   sospetto   di
 incostituzionalita' della norma.
    I  medici  che  optino  per  il  tempo  pieno, infatti, godrebbero
 dell'identico trattamento previdenziale previsto per i colleghi  gia'
 collocati  in precedenza in tale rapporto di dipendenza, sol che essi
 permangano in tale posizione per almeno cinque anni  precedenti  alla
 futura cessazione dal servizio (artt. 7 e 8 del d.l. 30 giugno 1972,
 n. 267).
    In  piu',  l'opzione  in  esame non inficierebbe il diritto, quali
 medici (  ex)  convenzionati,  o  di  ottenere  la  restituzione  dei
 contributi  versati,  maggiorati  degli interessi legali (primo comma
 dell'art. 8 del d.m. 4 aprile 1985), oppure di rimanere  iscritti  al
 fondo  E.N.P.A.M. e fruire del trattamento pensionistico relativo, al
 maturare dei relativi requisiti (secondo comma del citato art. 8).
    Per quanto riguarda gli aspetti di progressione  in  carriera,  e'
 ben  vero  che  nel sistema concorsuale disegnato dagli artt. 28 e 32
 del d.m. 30 gennaio 1982 i medici a tempo pieno  beneficiano  di  una
 maggiorazione,  riferita ai titoli di carriera, che incide per il 35%
 sul punteggio attribuibile in un concorso,  rispetto  ai  colleghi  a
 tempo definito.
    E  pertanto,  e'  ben  vero  che i medici che transitano dal tempo
 definito a quello pieno si trovano in una situazione di svantaggio.
    Ma, oltre a potersi  affermare  che  la  diversita'  di  punteggio
 corrisponde  ad  una  differente  continuita' di collaborazione negli
 enti ospedalieri,  c'e'  da  rilevare  che  il  recentissimo  decreto
 legislativo  30 dicembre 1992, n. 50, ha completamente ridisegnato la
 "carriera" del medico ospedaliero, ed ha  anche  previsto  (art.  18,
 primo  comma)  la  modifica  dell'attuale  normativa  concorsuale: di
 talche' e' ragionevole ipotizzare che  eventuali  disparita'  possano
 trovare la sede opportuna per i necessari correttivi.
     B)  Se questo e', per linee essenziali, lo status di cui godrebbe
 il medico che scelga il rapporto di dipendenza a tempo  pieno,  molto
 diversa,  e  ben  deteriore,  e' la condizione del professionista che
 intenda, invece, esprimere l'opzione in favore del solo  rapporto  di
 medico convenzionato.
    Questi  subirebbe  un'immediata decurtazione di piu' del cinquanta
 per  cento  del  trattamento  retributivo  complesso  fino  ad   oggi
 ricevuto,  di talche' l'invito fatto dal legislatore, alla scelta tra
 due opportunita', appare in realta' una  sorta  di  "costrizione"  di
 fatto  a transitare dai rapporti a tempo definito e convenzionale, al
 rapporto a tempo pieno.
    Tutto questo e' conseguenza del fatto che, mentre si  assicura  al
 medico  il  "passaggio  anche in soprannumero al rapporto di lavoro a
 tempo pieno" la legge non esprime alcuna garanzia di mantenimento del
 rapporto convenzionale, e ancor meno assicura - a  chi  opti  per  il
 mantenimento  del  solo rapporto convenzionale - l'attribuzione di un
 numero di assistiti tale da compensare quel notevole  minor  introito
 retributivo,  che  sarebbe  sicura  conseguenza  della cessazione del
 rapporto dipendente del rapporto a tempo definito.
    Risulta dagli atti di questa procedura, per esempio, che l'attuale
 trattamento  retributivo  complessivo  del  ricorrente   Boriolo   e'
 mediamente  di  L.  4.742.000  nette  mensili,  quello del ricorrente
 Farina e' mediamente di L. 5.575.000, e quello di Colombo  ammonta  a
 L. 3.911.000.
    Se  i  ricorrenti  optassero  per  il rapporto convenzionale, essi
 percepirebbero, rispettivamente, la  somma  netta  media  mensile  di
 circa L. 1.716.000, L. 2.039.000 e L. 1.852.000
    L'incremento   della   loro   retribuzione   sarebbe  condizionata
 unicamente all'incremento  del  numero  di  cittadini  assistiti  che
 decidessero  di avvalersi delle loro prestazioni: senonche' i fattori
 contingenti  notoriamente   sussistenti   rendono   tale   incremento
 puramente  teorico,  e,  comunque, possibile soltanto in tempi medio-
 lunghi (e' nota la tendenza dell'assistito a continuare nel  rapporto
 di  fiducia  gia'  stabilito con un altro medico; ed e' altresi' noto
 che il numero di professionisti che lavorano nel  settore  medico  e'
 esorbitante rispetto alla domanda).
    A  parte  ogni altra considerazione sotto i profili previdenziali,
 ritiene il pretore che l'aspetto strettamente economico  della  nuova
 situazione  nella  quale  repentinamente i ricorrenti si troverebbero
 conduce da sola a rimettere la questione alla  Corte  costituzionale,
 posto   che   l'unico  accenno  a  possibili  variazioni  del  quadro
 retributivo  appena  evidenziato  si  rinviene  in  termini  generici
 nell'ultima   parte  dell'art.  4,  settimo  comma,  della  legge  n.
 412/1991, laddove il  testo  reca:  "In  sede  di  definizione  degli
 accordi  convenzionali  di  cui  all'art.  48 della legge 23 dicembre
 1978, n. 833, e' definito il campo di applicazione del  principio  di
 unicita'  del  rapporto  di  lavoro  a  valere  tra i diversi accordi
 convenzionali".
    In sostanza, viene  rinviata  alla  contrattazione  collettiva  la
 definizione  del nuovo rapporto convenzionale, ma la legge non impone
 che  tale  definizione  avvenga  entro  il  31  dicembre  1992,   ne'
 stabilisce  un  collegamento  temporale tra l'avvenuta contrattazione
 collettiva e la scadenza del termine per  effettuare  la  scelta:  la
 legge,  quindi,  non rende possibile alcuna valutazione sugli effetti
 concreti che  conseguirebbero  all'opzione  espressa  in  favore  del
 rapporto convenzionale.
     C)  Le  considerazioni  che  precedono consentono di ritenere, in
 termini conclusivi e sintetici che non e' manifestamente infondato il
 sospetto che l'art. 4, settimo comma, della citata legge 30  dicembre
 1991, n. 412:
      I)  sia  in  contrasto  con  il principio di uguaglianza sancito
 dall'art. 3 della Costituzione, perche' - non prevedendo garanzie  di
 sorta   per   il   rapporto  "convenzionato"  -  riserva  trattamenti
 irragionevolmente differenziati ad esercenti la professione sanitaria
 che, essendo nella pari  condizione  di  titolari  degli  stessi  due
 rapporti  di  collaborazione  lavorativa  con  il  Servizio sanitario
 nazionale, optino, in forza della medesima  legge,  gli  uni  per  il
 rapporto dipendente e gli altri per il rapporto "convenzionato";
      II)  sia  in  contrasto con gli artt. 4 e 35 della Costituzione,
 perche', generando di fatto  una  grave  e  repentina  disarmonia  di
 trattamento normativo e retributivo tra le due categorie di medici di
 cui  al  precedente  punto  I,  toglie  in concreto - pur formalmente
 attribuendola - ogni possibilita' di scelta ai medici che,  in  forza
 della  legge  23  dicembre 1978, n. 833, sono titolari dei citati due
 rapporti di  collaborazione  lavorativa  con  il  Servizio  sanitario
 nazionale.
    Stabilito  dunque  che  l'assetto  dei  rapporti di collaborazione
 lavorativa esistenti  tra  i  ricorrenti  ed  il  Servizio  sanitario
 nazionale  dovrebbe  -  dal  31  gennaio  1993 (come da deliberazione
 dell'U.S.S.L. 54 qui impugnata) - modellarsi  su  legge  fondatamente
 sospetta  di  illegittimita'  costituzionale,  si  apre  la  tematica
 relativa al se il giudice possa accordare tutela - seppur provvisoria
 ed urgente - attraverso quel particolare meccanismo che  comporta  in
 sostanza  una sorta di "esonero", per le parti processuali, dal tener
 conto di quella specifica legge.
    Il dibattito in materia e' di grande attualita', ed e' peraltro in
 corso da tempo, come testimoniano le varie decisioni  che,  l'una  in
 contrasto  con  l'altra,  si  sono susseguite soprattutto nell'ultimo
 decennio (cfr., per tutte, Cass.,  sez.  lav.,  sentenza  9  febbraio
 1991, n. 1365, in Foro it., 1991, I, 3399 con ampia nota di richiami;
 cfr.  altresi' Cass., sez. lav. 12 dicembre 1991, n. 13415, in Giust.
 civ., 1992, I, 1819 e 2757).
    Il pretore osserva che,  secondo  l'orientamento  della  Corte  di
 cassazione  e  di  diversi giudici di merito, una legge deve comunque
 essere osservata e non puo' essere "congelata"  da  un  provvedimento
 pretorile  basato  sul sospetto di incostituzionalita', perche' cosi'
 e' imposto dal "sistema accentrato del controllo delle leggi in  capo
 alla Corte costituzionale".
    Di  conseguenza,  in  presenza  di  una legge che disponesse - per
 esempio - l'espulsione dai luoghi di lavoro di tutti i lavoratori  di
 sesso  femminile,  di  tutti gli ebrei e di tutti coloro che hanno la
 pelle nera, sia i cittadini lavoratori  che  i  cittadini  datori  di
 lavoro,  e  sia  anche  i  giudici  della Repubblica, dovrebbero fare
 soltanto atto di ossequio al "sistema accentrato del controllo  delle
 leggi",  e,  per  intanto, sottostare alla plateale violazione di una
 delle piu' significative e caratterizzanti regole che  scolpicono  la
 fisionomia del vigente assetto costituzionale.
    Questo  pretore  ritiene  sommessamente,  ma decisamente, di dover
 dissentire da tale orientamento:  e  non  per  innovare  rispetto  al
 diritto vigente, ma al contrario, per affermare che l'interpretazione
 delle  norme  in  vigore deve essere affrontata liberandosi di quella
 anche incolpevole, ma tuttavia evidente, tradizione culturale secondo
 la quale la persona in quanto tale, ed il cittadino in  quanto  tale,
 hanno  "valenza"  comunque  inferiore a quella che viene riconosciuta
 alle "Istituzioni" (Governo, Parlamento, magistratura che siano).
    Pur a fronte di dichiarazioni di principio  secondo  le  quali  il
 cittadino  "e'  titolare  di  una  frazione di sovranita'" e non piu'
 "suddito",  c'e  poi  di  fatto  sempre  un  timore  di  "scardinare"
 l'ordinamento, ogni volta che al cittadino, e non alle rappresentanze
 o alle espressioni dell'autorita' costituita deve essere accordata la
 prevalenza in specifiche fattispecie concrete.
    Quasi   che  esistesse,  in  modo  invisibile  ma  palpabile,  una
 Costituzione che riguarda i diritti dei  cittadini,  ed  una  seconda
 "piu   nobile"  e  gerarchicamente  sovraordinata  Costituzione,  che
 riguarda  tutta  l'organizzazione,  le  prerogative   ed   i   poteri
 dell'autorita'.
    E'  ovvio invece che la Carta costituzionale e soltanto una; ed e'
 evidente - secondo la legge vigente, non secondo astratti  canoni  di
 filosofia  del  diritto  - che Parlamento, Governo, Capo dello Stato,
 magistratura e quant'altro, ricevono ragion d'essere e ragion d'agire
 dallo stesso tracciato nel quale e' scolpita con  termini  chiari  la
 dignita'  ed  il  diritto  di  ogni  cittadino,  e  la sovranita' dei
 cittadini nel loro complesso.
    Orbene, un ordinamento nel quale fosse inibito al giudice (che e',
 per legge fondamentale, "ago  della  bilancia",  garante  imparziale,
 "terzo"  tra  potere  costituito  e  singolo  cittadino) di accordare
 immediata tutela contro leggi che -  con  la  ponderatezza  che  ogni
 giudice  deve  possedere -, siano ritenute sospette di illegittimita'
 costituzionale, potrebbe fondarsi  soltanto  sulla  certezza  che  il
 legislatore non violi mai le regole del mandato ricevuto dal popolo.
    Un legislatore, cioe', che non travalichi mai i limiti posti dalla
 legge  fondamentale  dello  Stato dalla quale egli trae il suo potere
 d'imperio ed il cittadino il suo obbligo  di  sottostare:  oppure  un
 legislatore  che  attui sempre e comunque una tal garanzia quantomeno
 in  quella  produzione  normativa  che,   inserendosi   in   basilari
 condizioni   di   vita   delle   persone,   non   rischi,  anche  con
 un'applicazione    soltanto     provvisoria,     di     compromettere
 definitivamente  i  diritti  dei soggetti tenuti all'osservanza delle
 leggi.
    Senonche' questa garanzia non esiste, come e' storicamente provato
 dell'enorme numero di pronunce della Corte costituzionale  che  hanno
 dichiarato l'illegittimita' di leggi o di atti aventi forza di legge;
 e  questa  garanzia  e'  forse  chimerico  pretendere,  posto  che le
 maggioranze parlamentari e governative che producono  le  leggi  sono
 per  loro  stessa  genesi  espressione  (legittima, beninteso) di una
 parte, e non di tutto il  popolo,  e  possono  pertanto,  in  singole
 contingenze  storiche,  ben  essere  portate a violare o quantomeno a
 "soffocare"  i   limiti   imprescindibili   tracciati   nella   Carta
 costituzionale.
    Al  punto  che,  un'analisi  attenta, imparziale, fantasiosa e non
 soggiogata dal timore del presunto disordine istituzionale,  potrebbe
 condurre  a verificare che le leggi che hanno storicamente violato la
 Costituzione sono state  causa  ed  occasione  di  "disarticolazione"
 dell'ordinamento   molto   piu'   di   quanto   non  lo  siano  stati
 provvedimenti d'urgenza ex art. 700 accordati dai giudici  a  singoli
 cittadini, in specifiche fattispecie concrete.
    D'altra  parte,  e'  implicito  nel potere-dovere di sospendere il
 processo in corso (per rimettere gli atti alla Corte  costituzionale)
 la "moratoria" nella quale una legge viene posta.
    Quando  in  un  procedimento  civile,  per esempio, il giudice non
 attua in concreto il diritto di una parte a fare, o a dare  oppure  a
 ricevere  un  qualunque bene, allegando la norma in forza della quale
 egli dovrebbe attuare quel diritto e' sospetta di illegittimita',  il
 giudice  altro  non  fa  che  "paralizzare" in concreto la vigenza di
 quella specifica legge.
    E quando in un procedimento  penale  sorge  analogo  sospetto,  e'
 addirittura la pretesa punitiva dello Stato (ricavata da una legge in
 vigore)  che  viene  posta  in  moratoria,  quale  conseguenza  della
 paralisi effettuale provvisoria nella quale il giudice pone la  legge
 penale, che pur dovrebbe essere subito applicata.
    Non   appare   esistere  alcuna  sostanziale  (non  libresca,  non
 d'alchimia giuridica) differenza tra questo  agire  del  giudice  nel
 corso  di  un  procedimento  civile  a  cognizione ordinaria, o di un
 procedimento  penale,  e  l'agire  del  giudice  nell'ambito  di  una
 procedura d'urgenza ex art. 700 del c.p.c.: in ogni caso una norma di
 legge viene provvisoriamente paralizzata, ed in tutti i casi soltanto
 alla  Corte  costituzionale,  come  per  legge,  viene  demandato  il
 giudizio sull'avvenuto o mancato rispetto  della  Carta  fondamentale
 della Repubblica.
    Per tutte le considerazioni che precedono, e' conforme ai principi
 vigenti  nell'ordinamento che il pretore adito ex art. 700 del c.p.c.
 modelli il provvedimento di tutela urgente del quale  sia  richiesto,
 sul ritenuto, e rilevante nel giudizio, sospetto di illegittimita' di
 una norma di legge o di un atto avente forza di legge.
    Verificato che il sospetto di illegittimita' costituzionale non e'
 manifestamente   infondato,  e  che  il  pretore  puo'  modellare  il
 provvedimento urgente proprio su questo presupposto,  resta  da  dire
 che  la  rilevanza  della  questione  di  costituzionalita' in questa
 procedura (come nel susseguente giudizio di merito) appare  evidente,
 sol  che si pensi che l'infondatezza della questione avrebbe condotto
 alla reiezione del ricorso d'urgenza e condurrebbe al rigetto di  una
 della  domande  che, con ricorso ex art. 414 del c.p.c., i ricorrenti
 hanno gia' introdotto depositando l'atto in cancelleria.
    Quanto al periculum in mora sara' sufficiente evidenziare che,  in
 assenza  di un diverso ordine del giudice, l'U.S.S.L. a decorrere dal
 3l gennaio p.v. riterra' effettuata l'opzione che la legge impone  ai
 ricorrenti,   e   saranno   quindi   irrimediabilmente  travolte  le,
 eventualmente diverse, volonta' dei singoli ricorrenti.
    In particolare, tutti  i  cittadini  assistiti  che  si  avvalgano
 attualmente  delle prestazioni professionali dei ricorrenti Boriolo e
 Farina sarebbero "dispersi" in  breve  lasso  di  tempo  verso  altri
 medici convenzionati, con possibilita' di ripristino della situazione
 precedente soltanto teorica.
    Per  converso  (e  per  quanto  possa  occorrere sotto i marginali
 profili di opportunita') l'U.S.S.L. 54 potrebbe facilmente,  e  senza
 danno,  assegnare  ai  ricorrenti il posto a tempo pieno che la legge
 riserva  ai  ricorrenti,   oppure   conservare   loro   il   rapporto
 convenzionato che e' in atto.
    Rimessa  al giudice del merito ogni piu' approfondita motivazione,
 ed ogni altro provvedimento, il pretore osserva che in questo caso il
 giudizio di merito appartiene alla competenza  funzionale  di  questo
 stesso  giudice,  presso  il  quale il relativo processo risulta gia'
 pendente;  e   che,   pertanto,   unitamente   alla   pronuncia   del
 provvedimento  cautelare  ed  urgente, si deve disporre la rimessione
 degli atti alla Corte costituzionale, e la sospensione  del  giudizio
 di  merito  gia'  fissato  per  l'udienza di discussione del 17 marzo
 1993.
                               P. Q. M.
    Il pretore accogliendo nei sensi di cui in motivazione il  ricorso
 ex art. 700 del c.p.c.:
      dichiara che non e manifestamente infondata, ed e' rilevante nel
 presente  processo,  la  questione  di  illegittimita' costituzionale
 dell'art. 4, settimo comma della legge 30 dicembre 1991, n.  412,  in
 relazione all'art. 3 della Costituzione, nella parte di cui la citata
 legge,  -  nel  mentre  accorda  la  garanzia  del passaggio anche in
 soprannumero al rapporto di lavoro a tempo pieno al personale  medico
 a  tempo  definito  in  servizio alla data di entrata in vigore della
 legge che intenda  far  cessare  in  questo  modo  la  situazione  di
 incompatibilita'  del  doppio  rapporto  di  lavoro  con  il Servizio
 sanitario nazionale, - non appresta alcuna corrispondente garanzia al
 personale  medico che, provenendo dalla identica situazione di fatto,
 intenda  optare  invece  per  la  conservazione  del  solo   rapporto
 convenzionale;
      dichiara  altresi'  che  non  e' manifestamente infondata, ed e'
 rilevante nel  presente  processo,  la  questione  di  illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  4,  settimo comma, della legge 30 dicembre
 1991 n. 412, in relazione agli artt. 4 e 35 della Costituzione, nella
 parte in cui la citata legge - prevedendo la  garanzia  del  passagio
 anche in soprannumero al rapporto di lavoro a tempo pieno, e, quindi,
 garantendo  una  sostanziale  intangibilita'  dello status giuridico-
 economico gia' maturato dal medico che opti per questa  modalita'  di
 cessazione  dell'incompatibilita'  stabilita  dalla  legge  -  e, per
 converso, - trascurando ogni  analoga  garanzia  per  il  medico  che
 intenda  optare  per la conservazione del solo rapporto convenzionale
 con il Servizio sanitario nazionale, e provocando  in  tal  modo  una
 marcata e repentina regressione nel
  trattamento retributivo complessivo - condiziona gravemente, fino ad
 annullarla  nei  fatti,  la  libera  scelta  formalmente accordata ai
 medici che abbiano con il Servizio sia un rapporto di lavoro a  tempo
 definito che un rapporto basato su convenzione;
      ordina  all'U.S.S.L.  54  di  Borgomanero, in persona del legale
 rappresentante pro-tempore, di astenersi fino  alla  conclusione  del
 giudizio  in  corso,  e  comunque fino a diverso ordine del giudice -
 nonostante il disposto della deliberazione n. 865 del 3 dicembre 1992
 - da qualsiasi modificazione del rapporto di lavoro a tempo  definito
 nonche'  del rapporto convenzionale che intercorreva con i ricorrenti
 alla data di presentazione del ricorso (22 ottobre 1992),  salvo  che
 le  modificazioni  prescindano  totalmente  dal disposto dell'art. 4,
 settimo comma, della legge 30 dicembre 1991 n. 412.
      dispone  l'immediata  trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale  e sospende il processo introdotto con ricorso ex art.
 414 c.p.c.;
      ordina che la cancelleria notifichi la presente  ordinanza  alle
 parti  ed  al  Presidente  del  Consiglio  dei Ministri; e che ne dia
 comunicazione al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente
 del Senato.
       Borgomanero, addi' 26 gennaio 1993
                         Il pretore: LOMBARDI

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