N. 163 SENTENZA 2 - 15 aprile 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 "
 Impiego pubblico -  Provincia  autonoma  di  Trento  -  Accesso  alle
 carriere  direttive  e  di  concerto  del  ruolo tecnico del servizio
 antincendi - Requisiti  -  Possesso  di  una  statura  fisica  minima
 indifferenziata  per  uomini  e  donne  - Violazione del principio di
 uguaglianza - "Discriminazione indiretta" a sfavore delle persone  di
 sesso femminile - Illegittimita' costituzionale.
 "
 (Legge  provincia autonoma di Trento 15 febbraio 1980, n. 3, art.  4,
 n. 2)
 
 (Cost., artt. 3 e 37; statuto Trentino-Alto Adige, artt. 4 e 8; legge
 provincia Trento del 23 agosto 1963, n. 8, art. 56-bis).
(GU n.17 del 21-4-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 4 della legge
 della Provincia autonoma di Trento 15  febbraio  1980,  n.  3  (Norme
 concernenti  il  trasferimento  alla Provincia autonoma di Trento del
 personale della  Regione  Trentino-Alto  Adige  addetto  agli  uffici
 dell'ispettorato  provinciale  del  servizio  antincendi  e di quello
 appartenente al corpo permanente dei vigili del  fuoco  di  Trento  e
 altre  disposizioni  riguardanti  il  personale  provinciale), che ha
 introdotto  l'art.  56-  bis  della legge della Provincia autonoma di
 Trento 23 agosto 1963, n. 8 (Ordinamento degli uffici e  Statuto  del
 personale  della  Provincia di Trento), promosso con ordinanza emessa
 il 5 maggio 1992  dal  Pretore  di  Trento  nel  procedimento  civile
 instaurato  da  Ceschini  Mariantonia e dalla Commissione provinciale
 per la realizzazione delle pari opportunita' tra uomo e donna  contro
 la  Provincia  autonoma  di  Trento,  iscritta al n. 408 del registro
 ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1992;
    Visto l'atto di intervento della Provincia autonoma di Trento;
    Udito nell'udienza pubblica del 23 marzo 1993 il Giudice  relatore
 Antonio Baldassarre;
    Udito  l'Avvocato  dello  Stato  Antonio  Bruno  per  la Provincia
 autonoma di Trento;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Nel giudizio promosso dalla Commissione  provinciale  per  la
 realizzazione  della  parita'  tra uomo e donna e da una aspirante al
 posto di funzionario  del  Servizio  antincendi  della  Provincia  di
 Trento,  che  era  stata  esclusa  dal  relativo  concorso  a seguito
 dell'accertamento del difetto del richiesto requisito  della  statura
 minima,  il  pretore di Trento ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 4 della legge provinciale 15 febbraio  1980,
 n.  3  (Norme concernenti il trasferimento alla Provincia autonoma di
 Trento del personale della Regione Trentino-Alto Adige  addetto  agli
 uffici  dell'ispettorato  provinciale  del  servizio  antincendi e di
 quello appartenente al corpo  permanente  dei  vigili  del  fuoco  di
 Trento  e  altre  disposizioni riguardanti il personale provinciale),
 che ha introdotto l'art. 56- bis della legge  provinciale  23  agosto
 1963,  n.  8  (Ordinamento degli uffici e Statuto del personale della
 Provincia  di  Trento),  nella  parte  in  cui   prevede,   in   modo
 indifferenziato  per uomini e donne, la statura non inferiore a metri
 1,65 tra i requisiti richiesti per l'accesso alle carriere  direttive
 e  di  concetto del ruolo tecnico del servizio antincendi. Secondo il
 giudice rimettente, la disposizione impugnata violerebbe gli artt. 3,
 primo e secondo comma, e 37, primo comma, della Costituzione, nonche'
 gli artt. 4 e 8 dello Statuto speciale  per  il  Trentino-Alto  Adige
 (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670), in relazione alle norme fondamentali
 di  riforma  economico-sociale  contenute  nell'art.  1 della legge 9
 dicembre 1977, n. 903 (Parita' di trattamento tra uomini e  donne  in
 materia  di lavoro) e nell'art. 4, primo e secondo comma, della legge
 10 aprile 1991, n. 125 (Azioni positive per  la  realizzazione  della
 parita' uomo-donna nel lavoro).
    Dopo  aver  ricordato  che  la  Provincia di Trento, convenuta nel
 processo  a  quo,  aveva  eccepito  in  quella  sede  il  difetto  di
 giurisdizione,  il pretore rimettente osserva, in punto di rilevanza,
 che la  clausola  del  bando  di  concorso  contestata  nel  giudizio
 pendente   di   fronte   a   lui,  la  quale  costituisce  pedissequa
 riproduzione di un'espressa norma di legge provinciale,  non  sarebbe
 soggetta  alla  giurisdizione  esclusiva  del giudice amministrativo,
 come pure sostiene la Corte di  cassazione,  poiche'  diffusa  e'  in
 dottrina  la  tesi  che le controversie sul pubblico impiego, escluse
 dalla cognizione del giudice  ordinario,  presuppongono  un  rapporto
 gia'  costituito.  Al contrario, nel caso, continua il giudice a quo,
 si e' in una fase anteriore alla costituzione di  quel  rapporto,  in
 relazione  alla  quale  le  ricorrenti  nel giudizio principale fanno
 valere una posizione giuridica rientrante nella categoria dei diritti
 soggettivi e, precisamente, il diritto costituzionale alla parita' di
 trattamento in materia di lavoro. Le parti ricorrenti,  infatti,  non
 richiedono   che   il   posto  in  concorso  possa  essere  assegnato
 indipendentemente  dal  requisito  di  una  statura  minima   e   non
 contestano,  quindi,  il  cattivo  uso del potere discrezionale della
 pubblica amministrazione in ordine alla determinazione delle clausole
 del bando. Esse, invece,  denunciano  un  atto  dell'amministrazione,
 corrispondente  a una conforme scelta del legislatore provinciale, in
 quanto avrebbe una natura discriminatoria  nel  richiedere,  in  modo
 indifferenziato  per  i  due  sessi, l'identica statura minima, senza
 tener conto della diversa struttura fisica media  dell'uomo  e  della
 donna.  In  altri  termini,  afferma  il  giudice  a  quo,  le  parti
 ricorrenti  contestano  la  violazione  dell'obbligo  della  pubblica
 amministrazione di non effettuare "discriminazioni indirette" fondate
 esclusivamente sul sesso, obbligo di fronte al quale sussisterebbe il
 diritto  soggettivo  alla  parita'  di  trattamento delle ricorrenti.
 Pertanto, come e'  stato  deciso  anche  da  altre  preture,  non  si
 potrebbe negare la giurisdizione in materia del pretore del lavoro.
    Ne' e' di ostacolo a cio', continua il giudice a quo, il fatto che
 le  ricorrenti  chiedono  la  dichiarazione  di inefficacia dell'atto
 amministrativo impugnato, poiche', in  analogia  con  la  particolare
 tutela  apprestata  dall'art.  28  dello  Statuto  dei  lavoratori in
 relazione alla circostanza  che  il  comportamento  antisindacale  si
 sostanzi   in  un  provvedimento  amministrativo,  anche  il  rimedio
 previsto dall'art. 15 della legge n. 907 del 1977 contro le  condotte
 discriminatorie  del  datore di lavoro fondate sul sesso non dovrebbe
 fermarsi di fronte a condotte  di  tal  genere  realizzate  con  atti
 amministrativi.  Del  resto,  conclude sul punto il giudice a quo, se
 cosi' non fosse, si dovrebbe riferire all'art. 15, prima  citato,  un
 limite non previsto, nel senso che si dovrebbe dire che tale articolo
 non  offre  tutela ai comportamenti discriminatori posti in essere da
 datori  di  lavoro  pubblici   e   concretantesi   in   provvedimenti
 amministrativi.
    In  ordine al merito della questione il pretore rimettente osserva
 che  l'ipotesi  esaminata  costituisce   un   caso   di   scuola   di
 "discriminazione  indiretta", ai sensi dell'art. 4 della legge n. 125
 del 1991, poiche' si e' di  fronte  a  un  trattamento  pregiudiziale
 conseguente   all'adozione   di  criteri  che  svantaggiano  in  modo
 proporzionalmente maggiore i lavoratori di sesso femminile, stante il
 fatto che l'altezza "normale" femminile,  secondo  parametri  medico-
 statistici,  oscilla  da  metri  1,51  a  metri  1,73  contro  quella
 maschile, oscillante fra metri 1,63  e  metri  1,87.  Nel  richiedere
 un'indifferenziata  statura  minima  di  metri  1,65, la disposizione
 impugnata  si  pone  nettamente  al  di  sopra  della  statura  media
 femminile,  finendo  per  escludere dal concorso la maggioranza delle
 candidate donne in ragione del loro  sesso.  Essa,  pertanto,  appare
 innanzitutto  contraria all'art. 3, primo e secondo comma, e all'art.
 37 della Costituzione, i cui principi sono stati  attuati  nel  campo
 del  lavoro  dalle leggi n. 903 del 1977 e n. 125 del 1991, in quanto
 disciplina in  modo  omogeneo  situazioni  la  cui  eterogeneita'  e'
 connessa  alla  naturale  diversita'  di struttura fisica dell'uomo e
 della donna.
    Sempre  ad  avviso  del giudice a quo, l'impugnato art. 4 sarebbe,
 inoltre, irragionevole, poiche' la  limitazione  ivi  prescritta  non
 appare  giustificata  dalla particolarita' delle mansioni proprie del
 posto messo a concorso, che non giustifica un  trattamento  di  fatto
 piu'   rigoroso  verso  le  donne.  Di  qui  discenderebbe  anche  la
 violazione del principio sancito dall'art. 3,  secondo  comma,  della
 Costituzione,   che,   al   contrario,  giustifica  trattamenti  piu'
 favorevoli nei confronti delle donne, diretti a  rimuovere  le  cause
 della  tradizionale  diseguaglianza di fatto nell'accesso al lavoro a
 danno delle persone di sesso femminile.
    Infine, secondo il pretore rimettente, la  disposizione  impugnata
 sarebbe  contraria  anche  all'art.  4  dello Statuto speciale per il
 Trentino-Alto  Adige,  che  vincola  l'esercizio   della   competenza
 provinciale  di tipo esclusivo (nel caso quella relativa alla materia
 del  personale  addetto  agli  uffici  delle  province  autonome)  al
 rispetto  delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali. E
 tali sono, secondo lo stesso giudice, le leggi n. 903 del 1977  e  n.
 125  del  1991,  che vietano le "discriminazioni indirette" nel campo
 del lavoro, costituendo esse i principali momenti di  attuazione  dei
 precetti contenuti negli artt. 3 e 37 della Costituzione.
   2.  - Si e' costituita in giudizio la Provincia autonoma di Trento,
 convenuta nel processo a quo, per chiedere che la questione sollevata
 sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata.
    Sul  primo  punto,  la  Provincia  osserva  che  la  questione  e'
 irrilevante   a  causa  del  difetto  di  giurisdizione  del  giudice
 rimettente di fronte a una richiesta di annullamento parziale  di  un
 atto  amministrativo,  qual  e'  il  bando di concorso ad un pubblico
 impiego. Questo,  secondo  la  stessa  Provincia,  e'  l'orientamento
 costante  della  Corte  di  cassazione,  che non sarebbe contraddetto
 dall'art. 15, ultimo comma, della legge n. 903 del 1977. Infatti, pur
 se in  tale  disposizione  si  parla  di  "dipendenti  pubblici",  si
 dovrebbe  intendere  che  la giurisdizione del giudice amministrativo
 abbia ad oggetto tanto  i  dipendenti  con  rapporto  d'impiego  gia'
 costituito quanto gli aspiranti all'assunzione.
    Nel merito, la questione appare infondata, poiche' la disposizione
 contestata,  ad  avviso  della  Provincia,  e'  frutto  di una scelta
 discrezionale   del   legislatore,   che,    lungi    dall'introdurre
 un'irragionevole  e  ingiustificata discriminazione tra uomo e donna,
 sarebbe diretta a realizzare un incontestabile e rilevante  interesse
 pubblico.  Posto  che  ai  funzionari  del  servizio antincendi della
 Provincia di Trento competono anche  attivita'  operative  nei  campi
 della  prevenzione e del soccorso e in quello della protezione civile
 (ai sensi della deliberazione della Giunta provinciale del 2 novembre
 1984, n. 11012), la difesa della parte convenuta nel giudizio  a  quo
 afferma  conclusivamente  che,  ove  la  questione  fosse accolta, si
 realizzerebbe una ingiustificata discriminazione alla  rovescia:  gli
 aspiranti  uomini,  solo  in quanto uomini, verrebbero assoggettati a
 requisiti di prestanza fisica  piu'  rigorosi,  mentre  le  aspiranti
 donne,  solo  in  quanto  donne, verrebbero esonerate da un requisito
 posto obiettivamente per tutelare  un  fondamentale  interesse  della
 collettivita'.
                        Considerato in diritto
    1.  - Con l'ordinanza indicata in epigrafe il pretore di Trento ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4  della
 legge  provinciale  15  febbraio  1980,  n.  3  (Norme concernenti il
 trasferimento alla Provincia autonoma di Trento del  personale  della
 Regione  Trentino-Alto  Adige  addetto  agli  uffici dell'ispettorato
 provinciale del servizio antincendi e di quello appartenente al corpo
 permanente dei vigili  del  fuoco  di  Trento  e  altre  disposizioni
 riguardanti  il  personale  provinciale),  il  quale ha modificato la
 legge provinciale 23 agosto 1963,  n.  8,  aggiungendovi,  come  art.
 56-bis, l'insieme delle disposizioni contenute nello stesso art. 4.
    Secondo   il   giudice   rimettente,   l'articolo  impugnato,  nel
 prevedere, fra i requisiti particolari per  l'accesso  alle  carriere
 direttive e di concetto del ruolo tecnico del servizio antincendi, la
 condizione  che  i  candidati,  siano  essi  indifferentemente uomo o
 donna, abbiano una statura non inferiore a metri 1,65, si porrebbe in
 contrasto con gli artt. 3, primo e secondo comma, e 37, primo  comma,
 della  Costituzione, nonche' con gli artt. 4 e 8 (competenze legisla-
 tive e amministrative in materia  di  personale  dei  propri  uffici,
 attribuite  in  via  esclusiva  alle Province autonome) del d.P.R. 31
 agosto 1972, n. 670 (Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige), in
 connessione con l'art. 1  della  legge  9  dicembre  1977,  n.    903
 (Parita'  di  trattamento  tra uomini e donne in materia di lavoro) e
 con l'art. 4, primo e secondo comma, della legge 10 aprile  1991,  n.
 125  (Azioni  positive  per la realizzazione della parita' uomo-donna
 nel lavoro).
    La Provincia autonoma  di  Trento  ha  formulato  un'eccezione  di
 inammissibilita',  basata  sull'asserito difetto di giurisdizione del
 giudice rimettente, che deve essere esaminata preliminarmente.
    2. - L'eccezione di inammissibilita' non puo' essere accolta.
    E'  giurisprudenza  costituzionale  costante  che  eventuali  vizi
 attinenti  alla  legittima  instaurazione del giudizio a quo non sono
 soggetti al riesame di questa Corte, poiche' l'autonomia del giudizio
 di costituzionalita' rispetto a quello da cui proviene  la  questione
 preclude  alla Corte medesima di sostituirsi materialmente al giudice
 rimettente nel  compiere  la  valutazione  relativa  ai  prerequisiti
 processuali   che   precedono   l'incardinamento   del   giudizio  di
 costituzionalita' (v., ad esempio, sentenze n. 103 del 1991,  n.  239
 del 1984, n. 46 del 1983 e n. 131 del 1976). Da cio' consegue che, in
 sede  di  verifica  dell'ammissibilita' della questione sollevata, la
 Corte puo' rilevare il difetto di giurisdizione soltanto nei casi  in
 cui  questo  dovesse  essere  macroscopico,  cosi'  che nessun dubbio
 potrebbe aversi sulla sussistenza di  quel  vizio  (v.,  ad  esempio,
 sentenze  n.  439 del 1991, n. 283 del 1990, n. 414 del 1989 e n. 777
 del 1988, nonche' ordinanze n. 458 del 1992 e n. 100 del 1988).
    Rispetto a tali principi un caso particolare e' quello del giudice
 a  quo,  il  quale,  dubitando  dell'orientamento   giurisprudenziale
 prevalente   rivolto   in   senso   contrario,   afferma  la  propria
 giurisdizione  argomentando  specificamente  sul  punto.  In  recenti
 pronunzie  questa  Corte  ha precisato che in casi del genere si puo'
 pervenire  a  una  dichiarazione  di  inammissibilita'soltanto  nella
 ipotesi  in  cui  le  argomentazioni  addotte  dal giudice rimettente
 risultassero del tutto implausibili (v. sentenze n. 436 del 1992 e n.
 103 del 1993, nonche' sentenza n. 112 del 1993).
    Il caso in esame  rientra  nell'ambito  delle  ipotesi  da  ultimo
 ricordate.  Il  pretore di Trento, infatti, a seguito di un'eccezione
 preliminarmente sollevata dalla parte convenuta (Provincia di Trento)
 nel giudizio a quo, ha dato ampio spazio nell'ordinanza di rimessione
 a  un'argomentata  presa  di  posizione contraria alla giurisprudenza
 prevalente, che afferma  in  materia  la  giurisdizione  del  giudice
 amministrativo.  Considerato  che il giudice a quo lamenta la lesione
 di  un  diritto  costituzionale   fondamentale,   facendo   leva   su
 orientamenti  presenti  in  alcune  decisioni  di giudici di merito e
 rispondenti  a  posizioni  enunciate  anche  in  dottrina,  si   deve
 concludere  che  nel  caso  non  sussiste  quella  totale mancanza di
 plausibilita' nelle argomentazioni del  giudice  a  quo  in  presenza
 della  quale soltanto si puo' pervenire, in ipotesi del genere, a una
 pronunzia d'inammissibilita'.
    3. - La questione e' fondata.
    L'art. 3, primo comma, della Costituzione pone un principio avente
 un valore  fondante,  e  percio'  inviolabile,  diretto  a  garantire
 l'eguaglianza  di  tutti i cittadini di fronte alla legge e a vietare
 che il sesso - al pari della razza, della  lingua,  della  religione,
 delle  opinioni  politiche  e  delle condizioni personali e sociali -
 costituisca fonte di  qualsivoglia  discriminazione  nel  trattamento
 giuridico  delle  persone. Il secondo comma dello stesso art. 3 della
 Costituzione - oltre a stabilire un autonomo principio di eguaglianza
 "sostanziale" e di parita' delle opportunita' fra tutti  i  cittadini
 nella  vita  sociale,  economica  e  politica  -  esprime un criterio
 interpretativo   che   si   riflette   anche   sulla   latitudine   e
 sull'attuazione  da  dare  al principio di eguaglianza "formale", nel
 senso  che  ne  qualifica  la  garanzia  in  relazione  ai  risultati
 effettivi  prodotti  o  producibili nei concreti rapporti della vita,
 grazie al primario imperativo costituzionale di  rimuovere  i  limiti
 "di   fatto"  all'eguaglianza  (e  alla  liberta')  e  di  perseguire
 l'obiettivo finale della "piena" autodeterminazione della  persona  e
 quello della "effettiva" partecipazione alla vita comunitaria.
    Il  principio  di  eguaglianza  -  con  il  conseguente divieto di
 discriminazione, diretta o indiretta, in  base  al  sesso  -  ha  una
 generale applicazione nei rapporti della vita, considerati nella loro
 concreta  conformazione.  La  Costituzione,  comunque, conferisce uno
 specifico risalto a determinate applicazioni  di  quel  principio  in
 ordine  alle  relazioni  sociali  ritenute  piu'  significative.  Con
 riferimento ai rapporti  di  lavoro,  l'art.  37  della  Costituzione
 ribadisce  il  principio  di parita' di trattamento fra uomo e donna.
 Inoltre, l'art. 51 della Costituzione sottolinea lo stesso  principio
 in   relazione  all'accesso  agli  uffici  pubblici.  Ma,  una  volta
 riconosciuto il diritto alla parita' di trattamento fra uomo e donna,
 la stessa Costituzione prevede, all'art. 37, che il legislatore,  nel
 dare  attuazione  a  quel diritto, sia tenuto a bilanciarlo con altri
 valori costituzionali e, in particolare,  con  quelli  connessi  alle
 norme  che  tutelano  la  maternita' e i "diritti della famiglia", in
 modo che sia assicurato alla donna  il  diritto-dovere  di  adempiere
 alla  sua  essenziale funzione familiare (v. sentenze n. 210 e n. 137
 del 1986 e n. 123 del 1969).
    In definitiva, fermo restando il particolare ruolo  sociale  della
 donna in riferimento ai valori costituzionali positivamente collegati
 a  quel ruolo (maternita', famiglia, etc.), dall'insieme dei principi
 appena ricordati deriva il divieto - significativamente enunciato  in
 termini  analoghi  anche  in  ambito  europeo  (v.  artt. 2 e 3 della
 direttiva CEE n. 76/207 del 9 febbraio  1976)  -  vo'lto  a  impedire
 qualsiasi   discriminazione   basata  sul  sesso  in  relazione  alle
 condizioni di accesso nel posto di  lavoro  e,  in  particolare,  nei
 pubblici uffici.
    4.  -  Il principio di eguaglianza comporta che a una categoria di
 persone, definita secondo caratteristiche identiche o ragionevolmente
 omogenee in  relazione  al  fine  obiettivo  cui  e'  indirizzata  la
 disciplina normativa considerata, deve essere imputato un trattamento
 giuridico  identico  od  omogeneo,  ragionevolmente  commisurato alle
 caratteristiche essenziali in ragione delle quali e'  stata  definita
 quella determinata categoria di persone. Al contrario, ove i soggetti
 considerati   da   una   certa  norma,  diretta  a  disciplinare  una
 determinata fattispecie, diano luogo a una classe di  persone  dotate
 di caratteristiche non omogenee rispetto al fine obiettivo perseguito
 con  il  trattamento  giuridico ad essi riservato, quest'ultimo sara'
 conforme al principio di eguaglianza soltanto nel  caso  che  risulti
 ragionevolmente    differenziato    in    relazione   alle   distinte
 caratteristiche proprie delle sottocategorie di  persone  che  quella
 classe compongono.
    In   breve,  il  principio  di  eguaglianza  pone  al  giudice  di
 costituzionalita'  l'esigenza  di   verificare   che   non   sussista
 violazione  di  alcuno  dei seguenti criteri: a) la correttezza della
 classificazione operata dal  legislatore  in  relazione  ai  soggetti
 considerati,  tenuto  conto della disciplina normativa apprestata; b)
 la previsione da parte dello stesso  legislatore  di  un  trattamento
 giuridico  omogeneo, ragionevolmente commisurato alle caratteristiche
 essenziali  della  classe  (o  delle  classi)  di  persone  cui  quel
 trattamento  e'  riferito;  c)  la  proporzionalita'  del trattamento
 giuridico  previsto  rispetto  alla   classificazione   operata   dal
 legislatore, tenendo conto del fine obiettivo insito nella disciplina
 normativa considerata: proporzionalita' che va esaminata in relazione
 agli  effetti  pratici  prodotti  o producibili nei concreti rapporti
 della vita.
    5. - La disposizione contestata si inserisce  in  un  articolo  di
 legge  (provinciale)  diretto a stabilire i requisiti particolari per
 l'accesso alle carriere direttiva e di concetto del ruolo tecnico del
 servizio  antincendi  della  Provincia  autonoma  di   Trento.   Piu'
 precisamente,   essa  e'  specificamente  rivolta  a  prevedere  come
 criterio di selezione nel relativo concorso pubblico il  possesso  da
 parte  dei candidati - tanto se di sesso maschile, quanto se di sesso
 femminile - di una determinata statura minima (pari a metri 1,65). La
 previsione di tale requisito fisico non  e'  contestata  in  se',  in
 ragione del fatto che il personale considerato, pur se e' destinato a
 svolgere normalmente funzioni direttive o impiegatizie, puo' tuttavia
 essere   adibito,   in   determinate  circostanze,  anche  a  compiti
 operativi, compiti che, per le caratteristiche delle attivita' di cui
 constano, esigono nei  soggetti  chiamati  ad  espletarli  una  certa
 prestanza  fisica. Cio' che si contesta, invece, e' che la previsione
 di una statura  minima  identica  per  gli  uomini  e  per  le  donne
 costituirebbe   un'irragionevole   sottoposizione  a  un  trattamento
 giuridico uniforme di categorie di persone caratterizzate, in base ai
 dati desumibili da una media statistica, da stature  differenti.  Con
 la  conseguenza che le candidate al concorso pubblico precedentemente
 ricordato sarebbero penalizzate in ragione del sesso, dovendo subire,
 in conseguenza della disposizione contestata, quella  che  l'art.  4,
 secondo   comma,   della   legge   n.  125  del  1991  definisce  una
 "discriminazione indiretta".
    La fondatezza della doglianza deriva dalla  corretta  applicazione
 al  caso  di  specie  dei  criteri  di  giudizio,  indicati  al punto
 precedente,  riconducibili   al   principio   di   eguaglianza.   Nel
 condizionare  la  partecipazione  al concorso pubblico sopra detto al
 possesso del requisito fisico  di  una  determinata  statura  minima,
 identica per gli uomini e per le donne, il legislatore provinciale ha
 individuato  come  destinataria del precetto normativo contestato una
 generalita'  di  cittadini,  senza  distinguere   all'interno   della
 categoria  le persone di sesso femminile da quelle di sesso maschile.
 Tale  classificazione  risponde  evidentemente  a   una   valutazione
 legislativa  che e' basata su un presupposto di fatto erroneo, vale a
 dire l'insussistenza di una statura fisica  mediamente  differenziata
 tra  uomo  e  donna, ovvero e' fondata su una valutazione altrettanto
 erronea, concernente la supposta irrilevanza, ai fini del trattamento
 giuridico (uniforme) previsto, della  differenza  di  statura  fisica
 ipoteticamente ritenuta come sussistente nella realta' naturale.
    Nel  primo  caso,  la  violazione  del  principio  di eguaglianza,
 stabilito  dall'art.  3,  primo   comma,   della   Costituzione,   e'
 indubitabile,  per  aver il legislatore classificato una categoria di
 persone  in  relazione  a  caratteristiche  fisiche  non  rispondenti
 all'ordine  naturale,  avuto  presente  che  il  fine obiettivo della
 disciplina normativa in esame e' quello di selezionare  l'accesso  al
 posto  di lavoro sulla base di criteri attinenti alla statura fisica.
 Non  meno  evidente  e'  la   violazione   dello   stesso   principio
 costituzionale  nel  secondo  caso: in quest'ultima ipotesi, infatti,
 l'aver previsto un requisito fisico identico per l'uno e per  l'altro
 sesso  sul  presupposto  della  irrilevanza,  ai fini dell'accesso al
 posto di lavoro, della diversita' di statura fisica tra l'uomo  e  la
 donna   -   mediamente   consistente,  come  risulta  da  rilevazioni
 antropometriche, in una  differenza  considerevole  a  sfavore  delle
 persone  di  sesso  femminile - comporta la produzione sistematica di
 effetti concreti proporzionalmente piu' svantaggiosi per i  candidati
 di  sesso  femminile,  proprio  in  ragione  del loro sesso. In altri
 termini, l'adozione di un trattamento giuridico uniforme -  cioe'  la
 previsione  di  un requisito fisico per l'accesso al posto di lavoro,
 che e' identico per gli uomini e per le donne,  -  e'  causa  di  una
 "discriminazione   indiretta"   a  sfavore  delle  persone  di  sesso
 femminile, poiche' svantaggia queste ultime in modo proporzionalmente
 maggiore rispetto agli uomini, in considerazione  di  una  differenza
 fisica  statisticamente riscontrabile e obiettivamente dipendente dal
 sesso.
    6.  -  La  violazione,  da  parte  della  disposizione  di   legge
 contestata,   del   principio  costituzionale  di  eguaglianza  rende
 superfluo l'esame della compatibilita' della stessa  disposizione  in
 riferimento agli altri parametri invocati dal giudice a quo.
    Allo  stesso  modo  e'  superfluo  prendere  in  considerazione la
 direttiva   della   Comunita'   Economica    Europea    n.    76/207,
 precedentemente citata, per il fatto che, limitatamente agli articoli
 rilevanti  per  la  fattispecie  ora  esaminata  (artt.  2  e  3), la
 direttiva in questione, per un verso, pone  un  principio  analogo  a
 quello  contenuto negli artt. 3, 37 e 51 della Costituzione (v. artt.
 2, primo comma; 3,  primo  comma)  e,  per  altro  verso,  stabilisce
 indirizzi   rivolti   agli  Stati  membri  affinche'  questi  ultimi,
 nell'adozione della disciplina normativa  nazionale  conseguente,  si
 conformino al principio sopra enunciato (v. artt. 2, secondo, terzo e
 quarto comma; 3, secondo comma).
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 4, n. 2, della
 legge della Provincia autonoma di  Trento  15  febbraio  1980,  n.  3
 (Norme concernenti il trasferimento alla Provincia autonoma di Trento
 del  personale  della Regione Trentino-Alto Adige addetto agli uffici
 dell'ispettorato provinciale del  servizio  antincendi  e  di  quello
 appartenente  al  corpo  permanente  dei vigili del fuoco di Trento e
 altre disposizioni riguardanti il personale provinciale), nella parte
 in cui prevede, tra i requisiti per l'accesso alle carriere direttive
 e di  concetto  del  ruolo  tecnico  del  servizio  antincendi  della
 Provincia  di  Trento,  il  possesso  di  una  statura  fisica minima
 indifferenziata per uomini e donne.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 2 aprile 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: BALDASSARRE
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 15 aprile 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 93C0384