N. 26 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 17 aprile 1993
N. 26 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 17 aprile 1993 (della regione Lombardia) Controlli amministrativi - Disposizioni a tutela della legittimita' dell'azione amministrativa - Attribuzione al procuratore regionale presso la Corte dei conti del potere di proporre ricorso al t.a.r. (nonche' di resistere ed intervenire nei giudizi innanzi a questo pendenti e di proporre eventualmente appello al Consiglio di Stato) avverso atti e provvedimenti di pubbliche amministrazioni, in vista dell'interesse generale al buon andamento e alla imparzialita' delle stesse, a tutela della legittimita' dell'azione amministrativa - Obbligo della pubblica amministrazione di trasmettere al procuratore generale competente copia dei provvedimenti per i quali derivi una spesa superiore a un miliardo di lire e dei provvedimenti di pianificazione del territorio, di programmazione degli interventi industriali, di approvazione di concessioni, dei contratti per l'esecuzione di opere, forniture e servizi - Interferenza di detta attivita' di controllo con quella gia' esercitata in via preventiva dalla commissione statale di controllo sugli atti della regione - Indebita attribuzione ad un organo giurisdizionale del potere di attivazione di un giudice di un diverso ordine giurisdizionale - Invasione della sfera di autonomia regionale e lesione del principio della tassativita' e insuscettibilita' di estensione da parte del legislatore dei controlli sulle regioni affermato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale - Accollo alle regioni delle spese relative ai locali (e alla loro manutenzione) da adibire a sede delle sezioni regionali della Corte dei conti - Mancata previsione della copertura finanziaria e lesione della autonomia finanziaria della regione. (D.L. 8 marzo 1993, n. 54, artt. 1, terzo comma, e 3). (Cost., artt. 5, 81, 100, 103, 113, 115, 119, 125 e 130).(GU n.19 del 5-5-1993 )
Ricorso della regione Lombardia, in persona del presidente della giunta regionale signora Fiorinda Ghilardotti, autorizzata con deliberazione della g.r. n. 34/898 del 6 aprile 1993, rappresentata e difesa dagli avvocati prof. Valerio Onida e Gualtiero Rueca e presso quest'ultimo elettivamente domiciliata in Roma, largo della Gancia, 1, come da delega in calce al presente atto, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale dell'art. 1, terzo comma, e dell'art. 3, del d.l. 8 marzo 1993, n. 54, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 marzo 1993, n. 56, recante "disposizioni a tutela della legittimita' dell'azione amministrativa". Che un provvedimento come quello qui impugnato, contenente disposizioni destinate comunque a non operare concretamente prima di un anno (cfr. art. 1, quarto comma), ma che, per molti aspetti, sconvolgono radicati principi e consolidati assetti di istituti secolari, come la giurisdizione amministrativa e quella contabile, abbia potuto essere dettato con un decreto-legge, e' un indice dello stato di estrema degenarazione cui e' pervenuta la prassi della decretazione d'urgenza nel nostro paese, sulla quale questa stessa Corte ha gia' avuto modo di richiamare l'attenzione. I contenuti, poi, del decreto-legge, appaiono in parte indubbiamente opportuni - come la' dove tendono a realizzare un decentramento della giurisdizione contabile (art. 1) e uno snellimento dei giudizi pensionistici (art. 6), o a uniformare la disciplina in tema di prescrizione dell'azione di responsabilita' (art. 4) - ma in altra parte appaiono viceversa tali non solo da sconvolgere l'assetto di delicati settori dell'ordinamento, ma da porsi in contrasto anche con principi della Costituzione. Cosi' e' a dirsi per il nuovo istituto della "azione a tutela della legittimita' amministrativa", previsto dall'art. 3. Si conferisce al procuratore regionale presso la Corte dei conti - cioe' all'ufficio requirente costituito presso le neo-istituite sezioni regionali della Corte - un potere di azione che non ha nulla a che vedere con il ruolo requirente del Procuratore nell'ambito delle funzioni giurisdizionali attribuite alla Corte dei conti, ma si esplicherebbe davanti al giudice amministrativo. Il giudizio amministrativo che ne conseguirebbe non avrebbe pero' nulla dei caratteri tipici della giurisdizione amministrativa, per la tutela degli interessi legittimi ed eventualmente dei diritti nei confronti della pubblica amministrazione, come configurata negli artt. 103 e 113 della Costituzione, bensi' vedrebbe un organo dello Stato impugnare provvedimenti delle pubbliche amministrazioni (statali o autonome, o intervenire in giudizio, "in vista dell'interesse generale al buon andamento e all'imparzialita' di esse", cioe' dello stesso interesse generale che istituzionalmente deve essere perseguito dalla amministrazione, e "a tutela della legittimita' dell'azione amministrativa", cioe' per lo stesso fine per il quale sono previsti e organizzati i controlli interni ed esterni sull'amministrazione. Quello che cosi' verrebbe ad instaurarsi non sarebbe un vero giudizio, poiche' sia l'"attore" (il procuratore regionale) sia la "convenuta" (l'amministrazione che ha adottato il provvedimento impugnato) perseguono istituzionalmente lo stesso interesse (non a caso da sempre si ritiene inammissibile un'azione giurisdizionale dell'amministrazione statale nei confronti degli atti di controllo che la riguardano); e sarebbero del tutto assenti i comuni presupposti dell'azione giudiziaria (legittimazione, interesse a ricorrere). Per di piu' assisteremo al fenomeno di un pubblico ministero presso la Corte dei conti che impugna direttamente l'atto amministrativo gia' assoggettato a riscontro da parte della stessa Corte dei conti in veste di organo di controllo (cfr. infatti l'art. 3, quarto comma, che prevede l'impugnabilita' solo di atti gia' efficaci ed esecutivi). Ne' vi sarebbe un vero contraddittorio, poiche' il t.a.r. (e il Consiglio di Stato) deciderebbero "in camera di consiglio" (art. 3, terzo comma). E ci si domanda come potrebbe essere presente in tale "giudizio" l'amministrazione statale autrice dell'atto, posto che si dovrebbe assistere al singolare fenomeno dello "Stato" (nella veste del procuratore regionale) che agisce contro lo "Stato" (nella veste dell'amministrazione) difeso da quell'avvocatura che istituzionalmente assiste l'amministrazione e tutela in giudizio i suoi interessi, e qui dovrebbe invece (in ipotesi) contraddire l'iniziativa di un altro organo statale agente per la "tutela della legittimita' dell'azione amministrativa"Ý Giurisdizione amministrativa e giurisdizione contabile - istituti ben distinti nella nostra consolidata tradizione legislativa e costituzionale - si unirebbero in uno strano "matrimonio": davanti al giudice amministrativo agirebbe un pubblico ministero costituito non gia' presso lo stesso giudice, ma presso altro giudice (quello contabile); e il pubblico ministero costituito presso gli organi di giurisdizione contabile agirebbe del tutto al di fuori dell'ambito di tale giurisdizione, e dello stesso interesse alla tutela della finanza pubblica, dando impulso ad una sorta di azione officiosa davanti ad altra giurisdizione (quella amministrativa), a tutela, genericamente, della legittimita' dell'azione amministrativa. Si potrebbe proseguire a lungo mettendo in rilievo le anomalie di questa singolare escogitazione, uscita a sorpresa dal cilindro del legislatore governativo. Ma in questa sede importa rilevare la palese violazione della autonomia regionale, che discende dalla descritta disciplina. E' vero infatti che i singolari giudizio "Stato versus Stato", che vengono qui configurati si hanno solo nel caso in cui ad essere impugnato sia un atto di un'amministrazione statale. E' peraltro del tutto improbabile che, se mai un siffatto sistema dovesse funzionare, esso possa trovare applicazione nei riguardi degli atti delle amministrazioni statali, gia' assoggettate al controllo preventivo della stessa Corte dei conti. Esso verrebbe essenzialmente applicato agli atti di amministrazione autonome (regionali o locali) che non sono soggetti al controllo della Corte dei conti. Ma proprio questa circostanza mette in evidenza che il nuovo istituto, che formalmente disciplina un'azione giurisdizionale, si configura in realta' come una nuova forma di controllo, diversa ed ulteriore rispetto a quella demandata agli organi di controllo, e per questo contrastante con le norme costituzionali. Che si tratti, nella sostanza, di controllo, emerge da una molteplicita' di elementi. Le amministrazioni sono tenute a trasmettere al procuratore regionale i propri atti (appartenenti alle ampie categorie elencate) entro brevissimi termini decorrenti dal momento della loro efficacia (art. 3, quarto comma). Il procuratore puo' altresi' disporre d'ufficio l'acquisizione di atti e documenti presso l'amministrazione, tenuta a trasmetterli entro un breve termine (sesto comma). In proposito va richiamata la sentenza n. 104/1989 di questa Corte, che ha affermato la illegittimita' di una richiesta generale di atti della regione da parte del procuratore della Corte dei conti, rilevando che si veniva cosi' a costituire "una vera e propria attivita' di controllo": ora, l'art. 3 del d.l. n. 54/1993 configura proprio un generico obbligo di trasmissione di intere categorie di atti al procuratore regionale. Il procuratore "puo'" proporre ricorso (primo comma), ma, di fatto, piu' che di una facolta' si tratterebbe necessariamente di un obbligo, nell'ipotesi in cui egli ravvisi nell'atto elementi di illegittimita'. Il ricorso deve intervenire, per gli atti obbligatoriamente trasmessi, entro sessanta giorni dalla trasmissione, o per gli altri entro sessanta giorni da quando il procuratore ne abbia avuto conoscenza (quinto comma). La decisione interviene con rito semplificato, entro sessanta giorni, anche in appello (terzo comma); e deve essere emessa - quando il Procuratore intervenga in un giudizio gia' instaurato - anche se il ricorso originariamente proposto dalla parte interessata sia irricevibile, inammissibile o improcedibile, ovvero il ricorrente vi rinunzi (ottavo comma). E' del tutto evidente che la valutazione del Procuratore circa la legittimita' dell'atto, e la conseguente eventuale impugnazione di esso, si muovono esattamente sullo stesso piano sul quale si e' esplicato il controllo preventivo di legittimita' sull'atto medesimo, e a tutela della medesima "legittimita' dell'azione amministrativa". Ora, questa Corte ha piu' volte affermato la inammissibilita' di forme di controllo di legittimita' sugli atti amministrativi delle regioni, diverse ed ulteriori rispetto a quelle contemplate dalla Costituzione all'art. 125. In particolare la sentenza n. 229/1989 ha ribadito che la natura costituzionale dell'autonomia regionale comporta che "i suoi contenuti ed i suoi confini" siano fissati "in termini conclusivi" dalla Costituzione, onde ogni potere di intervento dello Stato deve avere "un fondamento specifico nella stessa disciplina costituzionale"; e che la disciplina del controllo sugli atti delle regioni, recata dall'art. 125 della Costituzione, "viene a presentarsi come tassativa e insuscettibile di estensione da parte del legislatore ordinario, in quanto posta a garanzia di un'autonomia compiutamente definita in sede costituzionale". Sono dunque violati l'art. 125, nonche' gli artt. 5 e 115 della Costituzione. E' violato l'art. 100, in quanto si estende di fatto il controllo della Corte dei conti agli atti amministrativi delle regioni. E' violato anche l'art. 130, nella misura in cui la nuova forma di controllo si sovrappone anche a quello spettante agli organi regionali di controllo sugli atti degli enti locali. E sono violati altresi' gli artt. 103 e 113 della stessa Costituzione in forza dell'anomalo utilizzo che il decreto-legge fa della giurisdizione amministrativa per un fine estraneo a quello contemplato dalle norme costituzionali, nonche' al di fuori dei comuni presupposti processuali (legittimazione, interesse al ricorso) dando vita in sostanza, come si e' detto, ad una ulteriore forma di controllo sugli atti amministrativi. L'art. 1, terzo comma, del d.l. n. 54/1993 stabilisce che alle sezioni regionali della Corte dei conti, istituite dal primo comma del medesimo provvedimento, si applicano le disposizioni di cui alla legge 8 ottobre 1984, n. 658, relativa all'istituzione in Cagliari di una sezione giurisdizionale e delle sezioni riunite della Corte dei conti. Tra le disposizioni di questa legge che vengono estese alle sezioni regionali di nuova e generalizzata istituzione vi e' quella contenuta all'art. 10, in base alla quale: "Le spese per il funzionamento della sezione giurisdizionale e delle sezioni regionali sono a carico dello Stato, salvo quelle relative ai locali e alla loro manutenzione, che sono a carico della regione". L'accollo alle regioni di questo onere finanziario, senza prevedere alcuna forma di finanziamento e di ristoro, viola il principio di autonomia finanziaria posto dall'art. 119 della Costituzione, nonche' il principio della necessaria copertura delle nuove spese di cui all'art. 81, quarto comma, della Costituzione (cfr. anche l'art. 27 della legge n. 468/1978 e l'art. 2, sesto comma, della legge n. 158/1990).
P. Q. M. La regione ricorrente chiede che la Corte voglia dichiarare la illegittimita' costituzionale dell'art. 1, terzo comma, e dell'art. 3, del d.l. 8 marzo 1993, n. 54, in riferimento agli artt. 5, 115, 125, 130, 81, quarto comma, e 119, nonche' agli artt. 100, 103 e 113 della Costituzione, e anche in riferimento all'art. 27 della legge n. 468/1978 e all'art. 2, sesto comma, della legge n. 158/1990. Roma, addi' 8 aprile 1993 Avv. prof. Valerio ONIDA - Avv. Gualtiero RUECA 93C0424