N. 196 ORDINANZA (Atto di promovimento) 10 febbraio 1993

                                N. 196
 Ordinanza emessa il 10 febbraio 1993 dalla commissione tributaria di
 primo grado di Verbania sul ricorso proposto da Trentarossi
 Gianfranco contro ufficio imposte dirette di Verbania
 Contenzioso tributario - Giudizio davanti alle commissioni tributarie
    di primo grado  -  Rappresentanza  e  difesa  dell'amministrazione
    finanziaria  -  Esclusione  del  patrocinio  dell'Avvocatura dello
    Stato  -  Deteriore  trattamento,  in  relazione  alla  difesa  in
    giudizio,    dell'Amministrazione    finanziaria    rispetto    ai
    contribuenti  che  sono  obbligatoriamente  assistiti da difensori
    abilitati - Mancata previsione  che  il  componente  del  collegio
    tributario  debba  esercitare  il proprio incarico a tempo pieno -
    Incidenza sul principio di indipendenza dei  giudici  nonche'  sui
    principi  di  imparzialita'  e buon andamento dei pubblici uffici,
    atteso che  i  componenti  delle  commissioni  tributarie  possono
    svolgere  attivita'  di assistenza, rappresentanza o consulenza in
    materia  tributaria  -  Riferimento  alla  ordinanza  della  Corte
    costituzionale n. 48/1988.
 (D.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 12, quarto comma; d.P.R. 26
    ottobre 1992, n. 636; d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 545).
 (Cost., artt. 3, 24, 97 e 108).
(GU n.19 del 5-5-1993 )
               LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso proposto da
 Trentarossi Gianfranco, domiciliato in Omegna, via Privata Belvedere,
 n. 5, contro ufficio imposte dirette di Verbania.
    Trentarossi Gianfranco, esercente l'attivita' di  installazione  e
 riparazione  autoradio,  domiciliato in Omegna, via Privata Belvedere
 n. 5, in data 16 ottobre 1991 proponeva ricorso  contro  l'avviso  di
 accertamento  -  notificatogli  il  4  luglio  1991  -  con  il quale
 l'ufficio imposte dirette di Verbania aveva rettificato ai fini irpef
 ed ilor 1983 il reddito di impresa da L. 2.975.000 a L. 14.517.000.
    Il ricorrente chiedeva  l'annullamento  dell'impugnato  avviso  di
 accertamento.
    L'ufficio  imposte  dirette  di  Verbania resisteva al ricorso con
 deduzioni scritte.
    Il ricorrente, in data 1½ ottobre 1992, comunicava  e  provava  di
 aver  presentato  in  data  30  giugno  1992, ai sensi della legge 30
 dicembre 1991, n. 413, domanda di "condono" e  chiedeva  l'estinzione
 del giudizio.
    All'udienza  del 10 febbraio 1993 interveniva per il ricorrente la
 dott.ssa Nicoletta Pera (Dottore commercialista), la quale illustrava
 ampiamente il ricorso e chiedeva l'annullamento dell'impugnato avviso
 di accertamento.
    L'Ufficio imposte dirette di  Verbania  chiedeva  il  rigetto  del
 ricorso.
    La  domanda di "condono", ai fini dell'estinzione del giudizio, e'
 priva di effetti giuridici perche' e' stata presentata il  30  giugno
 1992,  quindi  oltre il termine del 30 aprile 1992 previsto dall'art.
 32, secondo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 413.
    E' pur vero che con il d.l. 25  giugno  1992,  n.  319  (art.  1,
 secondo   comma),   "Il   termine   ..  per  la  presentazione  delle
 dichiarazioni e delle istanze di cui agli artt.  32,  secondo  comma,
 primo periodo, .. della medesima legge n. 413/1991 e' stato stabilito
 al 30 giugno 1992", ma l'anzidetto decreto non e' stato convertito in
 legge e quindi ha perso efficacia sin dall'inizio.
    L'art.  77,  terzo comma, della Costituzione, infatti, afferma che
 "I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono  convertiti
 in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione".
    E'  pur  vero,  inoltre,  che il governo, con il d.l. 24 novembre
 1992, n. 455, art. 3, peraltro pure decaduto per mancata  conversione
 in  legge,  e  recentemente  con  il d.l. 23 gennaio 1993, n. 16, ha
 riaperto  i  termini,  ormai  abbondantemente  scaduti,  del  condono
 previsto  dalla  legge  30 dicembre 1991, n. 413, ma, diversamente da
 quanto sostenuto da alcuni, non ha  sanato,  ne'  poteva  sanare,  le
 domande  di  condono  presentate  sotto  il  vigore  di  decreti  non
 convertiti.
    Si tratta di provvedimenti con  i  quali  e'  stata  disposta  una
 riapertura  di  termini  "Le  dichiarazioni  e le istanze di cui agli
 articoli 32, secondo comma, .. della legge 30 dicembre 1991, n.  413,
 possono essere presentate .. fino al 31 marzo 1993" e non una proroga
 di  termini  perche'  i termini scaduti non possono essere prorogati,
 ne' un differimento di termini scaduti.
    La tesi di coloro che, piu' o meno esplicitamente, e tra questi vi
 e' anche qualche altra  sezione  di  questa  commissione  tributaria,
 sostengono  che  con  i  citati  provvedimenti  di  Governo,  oltre a
 riaprire i termini del condono, abbia "sanato" le domande di  condono
 presentate sotto il vigore di decreti non convertiti, non puo' essere
 condivisa.
    L'anzidetta  interpretazione  non  puo'  essere condivisa non solo
 perche' i citati decreti non  menzionano  i  precedenti  decreti  non
 convertiti   ma   anche   perche'  risulterebbero  costituzionalmente
 illegittimi  per  violazione  dell'art.  77,  ultimo  periodo,  della
 Costituzione.
    Il  citato  articolo,  infatti,  dopo aver affermato che i decreti
 perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono  convertiti  in  legge
 entro  sessanta  giorni  dalla loro pubblicazione, stabilisce che "Le
 Camere (e non il Governo)  possono  tuttavia  regolare  con  legge  i
 rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti".
    Soltanto  le  Camere  quindi potrebbero "salvare" con una legge ad
 hoc le dichiarazioni  e/o  le  istanze  di  condono  che  sono  state
 presentate sotto il vigore di decreti non convertiti.
    Con il d.l. n. 455/92 e con il d.-l. n. 16/1993, pertanto, non vi
 e' stata alcuna "sanatoria" delle domande di condono presentate sotto
 il  vigore  di decreti non convertiti, ma una semplice riapertura dei
 termini del condono previsto dalla legge 30 dicembre 1991, n. 413.
    La tesi sostenuta da questo collegio trova una  decisiva  conferma
 nel  disegno  di  legge governativo che accompagna il citato d.l. n.
 16/1993. Nel secondo comma dell'art. 1 del citato disegno di legge si
 prevede, infatti, che "Restano  validi  gli  atti  e  ..  i  rapporti
 giuridici  sorti  sulla  base dei decreti legge .. 25 giugno 1992, n.
 319 .. 24 novembre 1992, n. 455".
    Pertanto, non avendo il parlamento, almeno fino alla data odierna,
 approvato il citato disegno di legge, la estinzione del giudizio  non
 puo'  essere  accolta e il ricorso deve essere oggetto di un esame di
 merito.
   Ma anche se puo' sembrare che questo collegio  persegua  uno  scopo
 dilatorio,   peraltro  suggerito  da  una  legislazione  quanto  meno
 discutibile,  l'esame  del  ricorso  deve  essere   preceduto   dalla
 soluzione  di  due questioni di legittimita' costituzionale, a parere
 di  questo  collegio,  "non  manifestamente   infondate"   ed   anche
 "rilevanti".
    Questo  collegio  ritiene  che  il d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546
 (Disposizioni sul processo tributario) sia gia' in  vigore  e  quindi
 produttivo di effetti.
    Infatti  l'art.  80,  primo comma, del citato decreto ha stabilito
 che "Il presente decreto ha stabilito che "Il presente decreto  entra
 in  vigore  il  15  gennaio  1993" e con l'entrata in vigore, secondo
 l'unanime insegnamento della  dottrina  e  della  giurisprudenza,  le
 norme  giuridiche  diventano  obbligatorie  e  quindi  debbono essere
 osservate.
    Questo collegio non ignora che nel secondo comma del  citato  art.
 80, in contrasto con quanto in precedenza disposto, e' stato aggiunto
 che "Le disposizioni del presente decreto hanno effetto dalla data di
 insediamento delle commissioni tributarie provinciali e regionali .."
 (e presumibilmente cio' dovrebbe verificarsi il 1½ ottobre 1993).
    La  disposizione  del primo comma, a parere di questo collegio, e'
 ineccepibile, mentre la disposizione del secondo comma e' chiaramente
 illegittima sia perche' il legislatore delegato, in  assenza  di  una
 precisa  indicazione nella legge delega, non avrebbe potuto differire
 l'inizio di efficacia delle  norme  in  oggetto  di  nove  mesi,  sia
 perche'  trattasi  di  una  norma  che,  in  violazione dell'art. 30,
 secondo comma, della legge n. 413/1z991, non e' stata sottoposta  per
 il  parere  alla  commissione  parlamentare dei Trenta, ne' da questa
 proposta.
    La disposizione di cui al secondo comma dell'art. 80 del d.P.R. n.
 546/1992, infatti, non figurava nello schema di decreto approvato dal
 consiglio dei ministri  nella  riunione  del  30  settembre  1992  ed
 inviato per il parere all'anzidetta commissione dei Trenta.
    L'art.  12,  quarto  comma,  del  d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546,
 prevede che "L'ufficio del Ministero delle finanze, nel  giudizio  di
 secondo grado, puo' essere assistito dall'avvocatura dello Stato".
    Se   ne   deduce   che   analoga   facolta'   non   sussiste   per
 l'amministrazione finanziaria nel giudizio di primo  grado.  Ubi  lex
 voluit dixit, ubi noluit tacuit.
    Invece,  i  contribuenti  e/o  gli  evasori  fiscali possono, anzi
 debbono,  essere  assistiti  da  un  difensore  abilitato  (avvocati,
 procuratori  legali,  dottori commercialisti, etc.) art. 12 d.P.R. n.
 546/1992.
    La difesa dello Stato  davanti  alle  commissioni  tributarie  nel
 giudizio  di  primo  grado  e'  lasciata  a  funzionari  della stessa
 amministrazione finanziaria.  Ed  anche  se  non  mancano  funzionari
 preparati e scrupolosi, come i rappresentanti dell'ufficio tributario
 oggi  presenti  in  udienza  (ma  non  tutta l'attivita' difensiva si
 svolge in udienza), non tutti quelli che difendono  l'amministrazione
 finanziaria  sono  muniti della necessaria preparazione giuridica per
 sostenere anche in sede giurisdizionale le ragioni dello Stato.
    E a cio' si  deve  anche  aggiungere  che  non  tutti  gli  uffici
 tributari  partecipano (o sono messi nelle condizioni di partecipare)
 alle udienze di discussione dei ricorsi che li riguardano.
    Vi  e',  ad  es.,  nella  circoscrizione  di  questa   Commissione
 tributaria  un  ufficio  tributario  che,  ormai  da  molti anni, "di
 regola" non presenta deduzioni scritte e non partecipa alle udienze.
    Conseguentemente, anche nei casi in  cui  la  difesa  dello  Stato
 formalmente  e'  presente  -  e  non  sempre  e'  presente  -,  se  i
 contribuenti e/o gli evasori fiscali sono rappresentati e  difesi  da
 professionisti  preparati e ben retribuiti, il contraddittorio tra le
 parti in causa non sempre si svolge "ad armi pari" e la difesa  dello
 Stato e' piu' apparente che reale.
    Ne' potrebbe validamente affermarsi che la ragione giustificatrice
 dell'affidamento, in via esclusiva, della difesa dell'Amministrazione
 finanziaria, sia pure solo in primo grado, ai funzionari degli uffici
 tributari,  e'  costituita  da una presunta idoneita' degli anzidetti
 funzionari a  sostenere  le  ragioni  dell'Amministrazione  anche  in
 giudizio.
    Infatti,  le  questioni sottoposte alle commissioni tributarie, di
 solito concernono non soltanto il diritto tributario  sostanziale  ma
 anche  il  diritto  processuale  sul quale .. i liberi professionisti
 sono piu' preparati.
    Pertanto, all'amministrazione finanziaria, per quanto concerne  le
 possibilita'   di  difesa,  a  parere  di  questo  collegio,  non  e'
 riconosciuta la stessa tutela giuridica che, invece,  puo'  avere  il
 contribuente e/o l'evasore fiscale.
    Anche  per lo Stato, come per tutti gli altri soggetti di diritto,
 deve valere il principio di uguaglianza delle parti in giudizio.
    E in proposito appare opportuno ricordare che, in  passato,  sulle
 norme  del  Contenzioso tributario (d.P.R.  n. 636/1972), nella parte
 in   cui   le   anzidette   norme   non   prevedevano    l'intervento
 dell'avvocatura  dello  Stato davanti alle commissioni tributarie, e'
 stata sollevata analoga questione di legittimita' costituzionale,  ma
 la  Corte costituzionale con l'ordinanza n.  48/1988, per dichiararne
 la  "manifesta  infondatezza",  ha  affermato   che   "la   questione
 concernente   la   rappresentanza   e   difesa   dell'amministrazione
 finanziaria  nei  giudizi  davanti  alle  commissioni  tributarie  e'
 palesemente  priva  di  fondamento,  in  quanto,  come rilevato dalla
 stessa avvocatura generale, la  normativa  censurata,  contrariamente
 all'assunto   del   giudice   remittente,  non  esclude  affatto  che
 l'amministrazione possa, anche dinanzi alle  commissioni  tributarie,
 avvalersi del patrocinio dell'avvocatura dello Stato ..".
    Le  affermazioni  della Corte costituzionale, indubbiamente valide
 sotto il vigore della normativa precedente, debbono essere oggetto di
 riconsiderazione, in quanto, ora, non sussiste alcun dubbio  che,  in
 base  alla normativa vigente, l'amministrazione finanziaria non possa
 essere rappresentata e difesa davanti alle commissioni tributarie nei
 giudizi di primo grado dall'avvocatura dello Stato.
    La norma anzidetta (art. 12, quarto comma, del d.P.R. 31  dicembre
 1992,  n. 546) e' di dubbia legittimita' costituzionale, in relazione
 agli artt. 3, primo  comma,  e  24,  primo  e  secondo  comma,  della
 Costituzione,  non  solo  perche'  non  prevede che l'Amministrazione
 finanziaria, in analogia con  quanto  previsto  per  i  contribuenti,
 almeno per le cause di valore non inferiore al milione di lire, anche
 nel  giudizio  di primo grado, debba essere assistita dall'avvocatura
 dello  Stato  o,  quanto  meno,  possa   avvalersi   del   patrocinio
 dell'avvocatura dello Stato.
    La  presente  questione  di  legittimita' costituzionale, oltre ad
 essere "non manifestamente infondata", e' anche  "rilevante"  perche'
 l'Ufficio  tributario di Verbania e' rappresentato in udienza da suoi
 funzionari.
    Uno dei componenti questo collegio e'  iscritto  nel  ruolo  degli
 esperti  e  dei  periti tributari della locale camera di commercio e,
 pur non esercitando "l'assistenza o la rappresentanza di contribuenti
 in vertenze di carattere tributario", svolge e, pur dopo la  prevista
 riorganizzazione  delle  commissioni  tributarie, potra' continuare a
 svolgere,  probabilmente  in  modo legittimo, attivita' di consulenza
 tributaria.
    Infatti, l'art. 5 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n.  636,  stabilisce
 che non possono far parte delle commissioni tributarie .. "Le persone
 che  esercitano  abitualmente  l'assistenza  o  la  rappresentanza di
 contribuenti in vertenze di carattere tributario" ma non anche quelle
 che esercitano attivita' di consulenza tributaria.
    E l'art. 8, lett. i), del d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 545, gia' in
 vigore ai  sensi  dell'art.  51,  primo  comma,  del  citato  decreto
 stabilisce  che  non  possono  essere  componenti  delle  commissioni
 tributarie .. "gli iscritti negli albi professionali degli  avvocati,
 procuratori   legali,  notai,  commercialisti,  ragionieri  e  periti
 commerciali, o gli iscritti nei ruoli o elenchi istituiti  presso  le
 direzioni  regionali delle entrate di cui all'art. 36 del decreto del
 Presidente della Repubblica 27 marzo 1992, n. 287, che esercitano  in
 qualsiasi forma l'assistenza e la rappresentanza dei contribuenti nei
 rapporti  con  l'amministrazione  finanziaria o nelle controversie di
 carattere tributario", ma non anche  gli  iscritti  nel  ruolo  degli
 esperti e dei periti tributari tenuto dalle camere di commercio e gli
 altri  soggetti previsti dall'art. 12, secondo comma, e dall'art. 48,
 terzo comma, del d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 546.
    La mancata esclusione dalle commissioni tributarie di tutti coloro
 che, indipendentemente dall'iscrizione in  un  albo  o  ruolo,  etc.,
 svolgono,   sotto   qualsiasi   forma,   attivita'   di   assistenza,
 rappresentanza  o  consulenza  in  materia  tributaria  e,  piu'   in
 generale, la mancata istituzione del giudice tributario a tempo pieno
 hanno  impedito  ed  impediscono  di  avere  organi  di giurisdizione
 tributaria indipendenti e credibili.
    Questo  convincimento  si  fonda   sul   parere   espresso   dalla
 Commissione   parlamentare   dei  Trenta  sullo  schema  dei  decreti
 legislativi di revisione del contenzioso tributario,  la  quale,  tra
 l'altro, ha affermato che "La commissione ritiene peraltro necessario
 rilevare  ..  che  l'assetto  del  sistema del contenzioso tributario
 risultante dall'azione combinata della legge di  delega  n.  413  del
 1991  e  del  decreto  legislativo  di  attuazione .. non puo' essere
 considerato il punto finale del percorso indispensabile per pervenire
 ad un sistema del contenzioso tributario del tutto soddisfacente".
    "Restano invero irrisolte - ha affermato l'autorevole  commissione
 parlamentare  -  alcune rilevanti questioni tra le quali, un posto di
 preminente rilievo e' da riconoscere alla istituzione di un giudice a
 tempo pieno, idoneo in tal modo ad assicurare piena professionalita',
 indipendenza (la sottolineatura e' di questo collegio) ed impegno. Di
 tale questione e di  altre  ancora  il  parlamento  dovra'  occuparsi
 affinche' il processo di cambiamento avviato arrivi a soddisfacente e
 piena conclusione".
    Dal  parere  dell'anzidetta  commissione emerge senza alcun dubbio
 che soltanto un giudice  a  tempo  pieno  puo'  essere  indipendente,
 mentre  giudici  non  a  tempo  pieno, quali sono gli attuali giudici
 tributari, non possono assicurare professionalita',  indipendenza  ed
 impegno.
    Il giudice tributario a tempo pieno non e' un problema dei giudici
 tributari,  ma  dei  contribuenti  e di tutti coloro che vogliono una
 giustizia  tributaria  efficiente  e  qualificata.  Per   i   giudici
 tributari, invece, puo' essere comoda e preferibile la normativa che,
 almeno di fatto, consente il cumulo di funzioni che dovrebbero essere
 sempre separate e nettamente distinte.
    E'  notorio, e percio' non richiede alcuna prova, che gli iscritti
 negli albi degli avvocati, procuratori legali, notai, commercialisti,
 ragionieri, ecc., se  esercitano  l'attivita'  professionale  per  la
 quale   sono   iscritti  all'albo,  possono  forse  non  assistere  o
 rappresentare contribuenti "nelle controversie  tributarie",  ma,  di
 certo, non possono non assisterli "nei rapporti con l'amministrazione
 finanziaria".
    L'avvocato  che  provvede  alla  registrazione di una sentenza, il
 commercialista, incaricato della tenuta delle scritture contabili,  o
 che redige la dichiarazione dei redditi, il notaio che per il cliente
 compila   la   dichiarazione  ai  fini  Invim  o  che  provvede  alla
 registrazione di un atto,  assistono  o  rappresentano,  senza  alcun
 dubbio,    contribuenti    "nei    rapporti   con   l'amministrazione
 finanziaria".
    Tuttavia, tanti stimati professionisti, per ottenere la  nomina  a
 giudice tributario, recentemente invitati dal Ministero delle finanze
 -  il  quale  forse  ha  applicato  con  un  certo  anticipo la nuova
 normativa di cui all'art. 8, lett. i), del d.P.R. n. 545/1992 - hanno
 presentato o presentano  una  dichiarazione,  o  un  certificato  del
 consiglio  del  proprio  ordine professionale, da cui risulta che non
 esercitano "sotto qualsiasi forma l'assistenza o la rappresentanza di
 contribuenti nei rapporti con l'amministrazione finanziaria  o  nelle
 controversie tributarie".
    L'istituzione   del  giudice  tributario  a  tempo  pieno  e'  una
 questione "politica", della quale "il parlamento  dovra'  occuparsi",
 ma   e'   anche,   senza   alcun   dubbio,  una  questione  giuridica
 costituzionale, della quale, quindi, e' opportuno che si occupi anche
 la Corte costituzionale.
    Il d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, e sue successive  modifiche  ed
 integrazioni  e  il  d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 545, in quanto detti
 decreti non prevedono il giudice tributario a tempo pieno, potrebbero
 essere costituzionalmente  illegittimi  in  relazione  all'art.  108,
 secondo comma, della Costituzione, il quale prevede che la legge deve
 assicurare  l'indipendenza  anche  dei  giudici  delle  giurisdizioni
 speciali, e in relazione all'art. 97, primo comma, applicabile  anche
 alla giurisdizione, il quale stabilisce che i pubblici uffici debbono
 essere  organizzati  secondo disposizioni di legge, in modo che siano
 assicurati il buon andamento e l'imparzialita' dell'amministrazione.
    Trattasi di questione  "non  manifestamente  infondata"  ed  anche
 "rilevante",   in   quanto   attiene  alla  composizione  dell'organo
 giudicante.
                               P. Q. M.
    Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge  11  marzo
 1953, n. 87;
    Visti  gli  artt. 80, primo comma, del d.P.R. 31 dicembre 1992, n.
 546 e 51, primo comma, del d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 545;
    Dichiara, d'ufficio, "non manifestamente infondata"  la  questione
 di legittimita' costituzionale dell'art. 12, quarto comma, del d.P.R.
 31  dicembre  1992,  n. 546 (disposizioni sul processo tributario) in
 quanto detta norma  non  prevede  che  l'amministrazione  finanziaria
 davanti alle commissioni tributarie nel giudizio di primo grado nelle
 cause  di  valore  non  inferiore  al milione di lire debba o, quanto
 meno,  possa  essere  assistita  dall'avvocatura  dello   Stato,   in
 relazione  agli  artt.  3,  primo comma, e 24, primo e secondo comma,
 della Costituzione e "rilevante" per quanto in motivazione;
    Dichiara, d'ufficio, "non manifestamente infondata"  la  questione
 di  legittimita' costituzionale del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, e
 del d.P.R. 31 dicembre 1992, n. 545,  in  quanto  detti  decreti  non
 prevedono  il  giudice  tributario  a  tempo pieno, in relazione agli
 artt. 108, secondo comma, e 97, primo  comma,  della  Costituzione  e
 "rilevante" per quanto in motivazione;
    Sospende  il  giudizio in corso ed ordina l'immediata trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone che, a cura della segreteria, la presente ordinanza  venga
 notificata  alle  parti  in  causa  e al Presidente del Consiglio dei
 Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
      Verbania, addi' 10 febbraio 1993
                       Il presidente: PISCITELLO

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