N. 195 SENTENZA 19 - 27 aprile 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Edilizia  -  Regione  Abruzzo - Confessioni religiose - Erogazione di
 contributi - Riserva esclusiva per quegli enti che abbiano regolato i
 loro  rapporti  con  lo   Stato   attraverso   intese   -   Incidenza
 sull'esercizio  in  concreto  del  diritto fondamentale e inviolabile
 della liberta' religiosa - Illegittimita' costituzionale parziale.
 
 (Legge regione Abruzzo 16 marzo 1988, n. 29, art. 1)
 
 (Cost., artt. 2 e 3).
(GU n.19 del 5-5-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio
    BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof.
    Luigi MENGONI, prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato  GRANATA,  prof.
    Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI,
    prof. Fernando SANTOSUOSSO;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 5, terzo
 comma, della legge della  Regione  Abruzzo  16  marzo  1988,  n.  29,
 recante  "Disciplina urbanistica dei servizi religiosi", promosso con
 ordinanza emessa il 19 febbraio  1992  dal  Tribunale  amministrativo
 regionale  per  l'Abruzzo  sul  ricorso  proposto dalla Congregazione
 cristiana dei  Testimoni  di  Geova  contro  il  Comune  dell'Aquila,
 iscritta  al  n.  549  del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  41,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1992;
    Visti  gli  atti di costituzione della Congregazione cristiana dei
 Testimoni di  Geova  e  del  Comune  dell'Aquila  nonche'  l'atto  di
 intervento del Presidente della Regione Abruzzo;
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  9  febbraio  1993  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Uditi gli  avvocati  Stefano  Grassi,  Pietro  Rescigno  e  Angelo
 Clarizia  per  la  Congregazione  cristiana  dei Testimoni di Geova e
 l'Avvocato dello Stato Carlo Salimei per la Regione Abruzzo;
                           Ritenuto in fatto
    1. - La  Congregazione  cristiana  dei  Testimoni  di  Geova,  con
 istanza  del  19  giugno  1988,  ha  chiesto al Comune dell'Aquila la
 concessione dei contributi di cui alla legge della Regione Abruzzo 16
 marzo 1988,  n.  29,  recante  "Disciplina  urbanistica  dei  servizi
 religiosi",  al  fine  di  poter  realizzare un edificio di culto. La
 richiesta  e'   stata   respinta   dal   Sindaco   dell'Aquila,   con
 provvedimento del 21 settembre 1990, con il motivo che la richiedente
 non  e'  in  possesso  del  requisito di cui all'art. 8, terzo comma,
 della Costituzione (previsto  dall'art.  1  della  citata  L.R.),  in
 quanto  i  rapporti fra la Congregazione e lo Stato italiano non sono
 regolati "per legge, sulla base di intese".
    Avverso il provvedimento di diniego la Congregazione dei Testimoni
 di  Geova  ha  presentato  ricorso  avanti  il  T.A.R. per l'Abruzzo,
 deducendo la violazione degli artt. 1 e 5 della  legge  regionale  in
 esame  ed  assumendo  che  l'interpretazione restrittiva adottata dal
 Sindaco si poneva in  contrasto  con  i  principi  costituzionali  in
 materia.
    Il T.A.R. adito, ritenuta la normativa regionale insuscettibile di
 un'interpretazione diversa, ed estensiva, rispetto a quella enunciata
 nell'impugnato  provvedimento, ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale degli artt. 1 e 5, terzo comma, della predetta  legge,
 in  riferimento  agli  artt.  2,  3,  primo e secondo comma, 8, primo
 comma, 19, 20, 117 e 120,  terzo  comma,  della  Costituzione,  nella
 parte  in  cui  dette  norme  prevedono  la possibilita' di concedere
 contributi alle sole confessioni religiose  i  cui  rapporti  con  lo
 Stato  siano  regolati  per  legge,  sulla  base  di intese, ai sensi
 dell'art. 8, terzo comma, della Costituzione.
    2. - Ad avviso del giudice remittente  il  prevedere  anche  detto
 requisito, al fine di accedere ai contributi regionali, introduce una
 ingiustificata    discriminazione    tra    confessioni    religiose,
 suscettibile di incidere sulla liberta' di  culto  in  danno  di  una
 Congregazione  che  detti  contributi  per  l'edilizia religiosa gia'
 percepisce in altre Regioni e che ripetutamente ha chiesto allo Stato
 italiano di stipulare l'intesa prevista dal ricordato  art.  8  della
 Costituzione.
    In  particolare,  il  T.A.R. dell'Abruzzo, premesso ancora che con
 d.P.R. 31 ottobre 1986 e' stata riconosciuta  personalita'  giuridica
 alla  Congregazione  cristiana  dei  Testimoni  di Geova, ritiene non
 manifestamente infondato il dubbio che le disposizioni  impugnate  si
 pongano   in   contrasto   con   le   seguenti   norme   della  carta
 costituzionale:
      l'art. 2, in quanto vengono ad incidere sui diritti  inviolabili
 dell'uomo che detta norma tende a tutelare;
      l'art.  3,  primo  comma,  per  la  creazione  di  inammissibili
 discriminazioni fra cittadini in base alla loro religione, anche  con
 riferimento  alla  diversa regolamentazione della materia da parte di
 altre Regioni;
      l'art. 3, secondo comma, che impone di rimuovere gli ostacoli di
 ordine economico che limitano di fatto  l'eguaglianza  dei  cittadini
 (quali le difficolta' di poter costruire edifici di culto);
      l'art.  8, che garantisce la liberta' religiosa nell'eguaglianza
 e che non puo' risolversi in danno di una Confessione  religiosa  che
 ha  ripetutamente  chiesto  di  concludere  l'intesa  di cui al terzo
 comma;
      l'art. 19, che garantisce il diritto di  professare  liberamente
 la  fede  religiosa e di esercitarne il culto e che viene violato con
 l'introduzione   di   ingiustificati   e   maggiori   ostacoli   alla
 realizzazione di edifici di culto;
      l'art.  20,  che  vieta ogni discriminazione fra associazioni ed
 istituzioni in relazione al loro fine religioso o di culto;
      l'art. 117, che, attribuendo alle regioni  potesta'  legislativa
 nella  materia  "urbanistica",  non  consente pero' di incidere sulla
 liberta' religiosa o sulla disciplina delle confessioni religiose;
      l'art.  120, terzo comma, in quanto il requisito richiesto viene
 di fatto a limitare il libero esercizio, in una parte del  territorio
 nazionale,  dell'attivita' dei ministri del culto della Congregazione
 cristiana dei Testimoni di Geova.
    3. - E' intervenuto  nel  giudizio  il  Presidente  della  Regione
 Abruzzo,   rappresentato   dall'Avvocatura   generale   dello  Stato,
 concludendo per l'infondatezza della questione sotto ogni profilo.
    La  difesa  della  Regione  rileva  che   l'illegittimita'   della
 normativa   regionale  e'  prospettata  fondamentalmente  sulla  base
 dell'allegata discriminazione tra confessioni religiose  che  abbiano
 posto in essere il regime delle intese con lo Stato italiano e quelle
 che viceversa non lo abbiano posto in essere.
    Ma  detto  differente  trattamento,  a suo avviso, non costituisce
 un'illegittima discriminazione  ma,  al  contrario,  rappresenta  una
 razionale e legittima conseguenza di situazioni non omogenee.
    Non  e' infatti contestabile, afferma l'Avvocatura, che le intese,
 e la successiva regolamentazione per  legge,  intervengano  solo  nei
 confronti  delle  comunita'  religiose che siano istituzionalmente ed
 effettivamente organizzate quale corpo sociale,  e,  quindi,  consol-
 idate  dal  punto  di  vista  storico-giuridico. E nell'ambito stesso
 delle confessioni religiose, cioe'  delle  comunita'  di  fedeli  che
 abbiano  quelle  caratteristiche,  e'  indubbio  che  le  intese e la
 regolamentazione per legge intervengano solo con quelle che hanno una
 maggiore presenza  nella  popolazione,  una  maggior  estensione  sul
 territorio;  in breve, solo con quelle di rilievo nazionale. La norma
 costituzionale non prevede l'assoluta necessita' di una  legislazione
 sulle  confessioni  religiose;  questa  interviene solo se il Governo
 valuti  positivamente  l'opportunita'  delle  intese,  se  le  intese
 effettivamente   si   raggiungano   e   se,  infine,  il  Parlamento,
 condividendo l'opportunita'  della  regolamentazione  per  legge  dei
 rapporti  e  condividendo il merito delle intese raggiunte, recepisca
 queste in una legge.
    Poiche', quindi, la  devoluzione  dei  contributi  urbanistici  e'
 operata  al fine della costruzione e della manutenzione degli edifici
 destinati al culto, risulterebbe del tutto ragionevole la  previsione
 della  normativa regionale di ripartire tali fondi esclusivamente tra
 le comunita' religiose che, per la loro diffusione tra la popolazione
 e la loro estensione nel territorio nazionale, abbiano  raggiunto  un
 rilievo  di  indubbio  interesse;  cioe'  solo  tra  quelle comunita'
 religiose cui lo Stato riconosca  rilievo  tale  da  meritare  che  i
 reciproci rapporti siano regolati per legge.
    Ne'   sarebbe   configurabile,   prosegue   l'Avvocatura,   alcuna
 violazione dei principi consacrati nell'art.  8  della  Costituzione.
 Tale  norma  non  afferma  che  tutte  le confessioni religiose siano
 eguali, il che comporterebbe  un'assurda  equiparazione  di  fenomeni
 diversi,  ma  che  sono  tutte ugualmente libere. La Costituzione, in
 altri  termini,  affermerebbe  solennemente  che  non  possono  farsi
 limitazioni  in base al culto delle confessioni, ma non giungerebbe a
 dire che il trattamento deve necessariamente essere uguale  anche  se
 si tratti di fenomeni di dimensioni totalmente diverse.
    Altrettanto la difesa della Regione rileva in ordine alla liberta'
 di  associazione.  Se il diritto della Congregazione dei Testimoni di
 Geova di professare la  loro  fede,  sia  in  forma  individuale  sia
 associativa,  di  farne propaganda e di esercitarne il culto e' fuori
 discussione,  nondimeno il diritto ad ottenere un contributo pubblico
 non attiene alla  liberta'  di  associazione  e  non  potrebbe  certo
 configurarsi come un diritto costituzionalmente garantito.
    Del  tutto  fuor  di  luogo  sarebbe anche il richiamo ai principi
 consacrati nell'art. 20 della Costituzione.  La  normativa  regionale
 non  porrebbe  infatti  limitazioni  ne'  gravami  fiscali  diversi a
 seconda del culto o della religione, limitandosi soltanto a prevedere
 la ripartizione di contributi. Nei limiti entro i quali la differenza
 di trattamento  sia  ragionevole  o  giustificata  da  una  effettiva
 diversita'   di   situazione   non   vi  sarebbe  alcuna  illegittima
 discriminazione.
    Del pari infondato, ad avviso dell'Avvocatura,  sarebbe  anche  il
 richiamo  alle  competenze regionali. Rientrano infatti indubbiamente
 nella materia urbanistica tanto le prescrizioni che la Regione impone
 ai  Comuni  affinche'  negli  strumenti  urbanistici  generali  siano
 previsti   i   servizi  di  tipo  religioso  quanto  le  norme  sulla
 destinazione dei contributi alla realizzazione di quei servizi.
    Incomprensibile, infine, risulterebbe il riferimento agli articoli
 2 e  120  della  Costituzione.  Il  diritto  di  ricevere  contributi
 pubblici   non  e'  un  diritto  inviolabile  dell'uomo,  neppure  se
 considerato parte  di  formazione  sociali,  e  l'assenza  di  questi
 contributi  certo  non  puo'  configurare,  di  per  se',  un  limite
 all'esercizio del culto nel territorio nazionale.
    4. - Si e' costituita in giudizio la Congregazione  cristiana  dei
 Testimoni  di  Geova, ricorrente nel giudizio a quo , instando per la
 declaratoria d'illegittimita' costituzionale  delle  norme  censurate
 dal T.A.R. per l'Abruzzo.
    La  difesa  della  Congregazione rammenta, in primo luogo, di aver
 ottenuto fin dal 1986 la personalita' giuridica e  di  aver  altresi'
 stipulato,  ai  sensi  della  legge  22  dicembre  1973  n.  903,  le
 cosiddette "piccole intese", ottenendo a favore dei  propri  ministri
 di  culto  l'applicazione  delle  norme  in  materia  assistenziale e
 previdenziale nonche' l'autorizzazione a celebrare  matrimoni  validi
 agli effetti civili ed a prestare assistenza religiosa ai detenuti ed
 ai ricoverati nelle case di cura.
    La  Congregazione,  inoltre,  rammenta  di aver presentato fin dal
 1977 formale richiesta di stipulazione dell'intesa ai sensi dell'art.
 8, terzo comma, della Costituzione, senza - finora - alcun esito.
    Cio' premesso, la  parte  costituita  afferma  che  a  tenore  del
 principio  di  eguale  liberta'  religiosa sancito nell'art. 8, primo
 comma, della Costituzione, le confessioni religiose devono godere  in
 egual   misura,  non  solo  di  un  generico  diritto  alla  liberta'
 religiosa, ma di  tutte  le  facolta'  previste  dall'art.  19  della
 Costituzione,  nonche'  di  tutti  gli  altri diritti garantiti dalla
 Costituzione, che, in via diretta  o  strumentale,  possono  rilevare
 nell'esercizio del diritto di liberta' religiosa.
    Tutte  le  confessioni  religiose,  a suo avviso, devono godere di
 "assoluta parita' di trattamento, quanto all'esercizio  di  tutte  le
 liberta'  garantite dalla Costituzione", assicurandosi, a prescindere
 dall'esistenza di  concordati  o  di  intese,  la  stessa  misura  di
 liberta',  sia  per  cio' che concerne l'organizzazione, sia per cio'
 che concerne il culto o la propaganda.
    La  norma  costituzionale  imporrebbe  quindi  di disciplinare gli
 interventi legislativi senza discriminare tra un culto  e  un  altro,
 garantendo,  a  tutti, quei mezzi e strumenti predisposti per rendere
 effettivi i medesimi diritti di  liberta',  in  quanto  non  potrebbe
 affermarsi che esista liberta' veramente eguale laddove le condizioni
 di esercizio di essa siano diverse per i vari soggetti.
    Il  principio  di  "eguale liberta' di culto" sancito dall'art. 8,
 primo comma, della Costituzione, sarebbe dunque violato  dalle  norme
 regionali  che  prevedono  soltanto  per la Chiesa cattolica e per la
 confessioni religiose che hanno stipulato un'intesa con lo Stato  una
 disciplina urbanistica specifica e l'assegnazione di contributi: tali
 norme, afferma la Congregazione, vengono a determinare esclusivamente
 per  alcune  confessioni  religiose  una situazione di privilegio che
 incide in definitiva sulla concreta possibilita' di  costruire  e  di
 aprire  templi e quindi sul concreto godimento del diritto - che deve
 invece essere assicurato in modo eguale a tutte le confessioni  -  di
 esercitare in pubblico il culto.
    5. - Si e' parimenti costituito in giudizio il Comune dell'Aquila,
 parte resistente nel giudizio a quo , deducendo l'inammissibilita', e
 comunque  l'infondatezza,  della  questione  sollevata dal T.A.R. per
 l'Abruzzo.
    La   difesa   dell'Amministrazione   comunale   rileva   come   la
 Costituzione   italiana,   nella   parte  relativa  alle  confessioni
 religiose,  abbia  seguito  un  duplice  criterio:  ha  garantito  la
 liberta'  religiosa  individuale  e dei gruppi informali, ma ha anche
 garantito la liberta' delle confessioni religiose  in  misura  uguale
 per  tutte  (art. 8 primo comma, della Costituzione), riconoscendo il
 carattere originario e indipendente della Chiesa  cattolica  e  delle
 altre confessioni.
    Inoltre  nell'art.  20  ha garantito la liberta' ed il trattamento
 paritario degli Enti di religione o di culto e negli artt. 7, secondo
 comma, e 8, terzo comma, ha dettato norme riguardanti  le  forme  del
 diritto   idonee  a  disciplinare  i  rapporti  tra  lo  Stato  e  le
 confessioni religiose.
    Quest'ultime disposizioni artt. 7  e  8,  terzo  comma,  esprimono
 quello  che  autorevole dottrina ha definito, il "principio pattizio"
 tra Stato e confessioni religiose (concordato con la Chiesa cattolica
 e "intese" con le altre confessioni).
    La natura giuridica dei rapporti pattizi non sarebbe dunque quella
 di meri atti politici, ma condizione di  legittimita'  costituzionale
 delle confessioni religiose.
    La  legge  diretta  ad  eseguire  le  intese,  prosegue  il Comune
 dell'Aquila, consente non solo di dare una  disciplina  pubblicistica
 ai  rapporti tra Stato e confessioni religiose, ma anche il controllo
 di costituzionalita' sulla legge esecutiva delle intese stesse.
    La  rilevanza  giuridica  cosi'   conseguita   dalle   confessioni
 religiose  e' stato il criterio seguito dal legislatore della Regione
 Abruzzo: il 10% del  contributo  degli  oneri  di  urbanizzazione  va
 erogato  dai  Comuni entro il 30 marzo di ciascun anno a favore della
 Chiesa Cattolica e delle altre confessioni  che  hanno  stipulato  le
 intese  con  lo Stato italiano (e quindi abbiano acquistato rilevanza
 giuridica con la legge che dichiara esecutive le intese stesse) e che
 abbiano una presenza organizzata nell'ambito del territorio comunale.
    In  conclusione,  non solo non sussisterebbe alcun contrasto della
 legge regionale con gli  invocati  principi  della  Costituzione  che
 attengono  al  principio  della  liberta'  religiosa,  ma anzi questa
 risulterebbe  pienamente  conforme  all'art.  8,  terzo  comma,   che
 disciplina   i  rapporti,  anche  economici,  per  l'esercizio  della
 liberta' religiosa.
                        Considerato in diritto
    1. -  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  l'Abruzzo  ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 5,
 terzo  comma,  della  legge  regionale  Abruzzo  16 marzo 1988 n. 29,
 recante la disciplina urbanistica dei servizi religiosi, nella  parte
 in  cui prevedono l'erogazione di contributi solamente a favore delle
 confessioni religiose i cui rapporti  con  lo  Stato  siano  regolati
 sulla  base  di  intese,  ai  sensi  dell'art.  8, terzo comma, della
 Costituzione.
    Siffatte disposizioni - ad avviso  del  giudice  remittente  -  si
 porrebbero in contrasto con gli artt. 2, 3, primo e secondo comma, 8,
 primo comma, 19, 20, 117 e 120, terzo comma, della Costituzione.
    2.  -  La legge della Regione Abruzzo deferita al vaglio di questa
 Corte disciplina - come e' espressamente enunciato nell'art. 1  -  "i
 rapporti   intercorrenti  tra  insediamenti  residenziali  e  servizi
 religiosi ad essi pertinenti, nel quadro delle attribuzioni spettanti
 rispettivamente ai comuni ed agli enti  istituzionalmente  competenti
 in  materia di culto della Chiesa cattolica e delle altre confessioni
 religiose, i cui rapporti con lo Stato siano  disciplinati  ai  sensi
 dell'art.  8,  terzo  comma,  della  Costituzione  e  che abbiano una
 presenza  organizzata  nell'ambito  dei  comuni   interessati   dalle
 previsioni urbanistiche di cui ai successivi articoli".
    L'art.  5,  poi,  prevede, al primo comma, che "I comuni devolvono
 entro il 31 marzo di ogni anno alle competenti autorita' religiose di
 cui alla presente legge una aliquota pari al 10% dei  contributi  per
 urbanizzazione  secondaria  loro  dovuti"; successivamente, dopo aver
 regolato le modalita' di determinazione delle somme, il  terzo  comma
 del  medesimo  art.  5  dispone:  "i contributi sono corrisposti alle
 confessioni  religiose  che  facciano  richiesta  e  che  abbiano   i
 requisiti  di  cui  al precedente art. 1: proporzionalmente alla loro
 consistenza ed incidenza sociale".
    Questa Corte  e'  pertanto  chiamata  a  decidere  se  la  riserva
 esclusiva  dei  detti  contributi  in  favore, oltre naturalmente che
 della Chiesa cattolica, delle sole confessioni religiose che  abbiano
 regolato  i  loro rapporti con lo Stato attraverso le intese previste
 dall'art. 8,  terzo  comma,  della  Costituzione,  contrasti  con  il
 principio  di eguale liberta' di tutte le confessioni religiose e con
 il diritto assicurato a tutti di professare la propria fede religiosa
 e di esercitarne in pubblico il culto; in  particolare,  quindi,  con
 riferimento agli artt. 8, primo comma, e 19 della Costituzione.
    3. - La questione e' fondata.
    La  norma  sottoposta  al  vaglio  della  Corte  e' compresa nella
 "disciplina urbanistica dei servizi religiosi" adottata dalla Regione
 Abruzzo nell'ambito della propria competenza in materia  urbanistica,
 e nel contesto delle disposizioni statali che comprendono le chiese e
 gli   altri   edifici  per  i  servizi  religiosi  tra  le  opere  di
 urbanizzazione secondaria, al  pari  di  altri  servizi  di  pubblico
 interesse  (cfr.  legge n. 167 del 1962 modificata dalla legge n. 865
 del 1971). La disciplina della Regione Abruzzo prevede  fra  l'altro,
 all'art. 3, una dotazione di aree specificamente riservate ai servizi
 religiosi  sino  ad  un  massimo  del 20% di quelle obbligatoriamente
 previste per attrezzature di interesse  comune,  nonche'  all'art.  5
 l'erogazione  di  contributi  nella misura pari al 10% dei contributi
 per urbanizzazione secondaria dovuti ai comuni, da utilizzarsi per la
 realizzazione di attrezzature di interesse comune di tipo religioso.
    Si e' di fronte quindi ad un intervento generale ed  autonomo  dei
 pubblici  poteri che trova la sua ragione e giustificazione - propria
 della materia urbanistica - nell'esigenza di assicurare uno  sviluppo
 equilibrato  ed  armonico  dei centri abitativi e nella realizzazione
 dei servizi di interesse pubblico nella loro  piu'  ampia  accezione,
 che comprende percio' anche i servizi religiosi.
    La  realizzazione  di  questi  ultimi  ha  per  effetto di rendere
 concretamente possibile, e comunque di facilitare,  le  attivita'  di
 culto,  che rappresentano un'estrinsecazione del diritto fondamentale
 ed  inviolabile  della  liberta'  religiosa  espressamente  enunciata
 nell'art. 19 della Costituzione.
    In  tale  campo  percio'  l'intervento  dei  pubblici  poteri deve
 uniformarsi al principio supremo "della laicita' dello Stato  che  e'
 uno   dei   profili  della  forma  di  Stato  delineata  nella  Carta
 Costituzionale  della  Repubblica",  principio   che   "implica   non
 indifferenza  dello  Stato  dinanzi  alle religioni ma garanzia dello
 Stato per la salvaguardia della liberta' di religione, in  regime  di
 pluralismo confessionale e culturale" (cfr. sent. n. 203 del 1989).
    4.  -  La tesi difensiva della Regione Abruzzo si basa in sostanza
 sull'argomento  secondo  cui  l'esclusione   dai   contributi   delle
 confessioni  religiose  che  non  abbiano regolato per legge i propri
 rapporti con lo Stato mediante intese non darebbe luogo a  violazione
 dei  principi  di  liberta'  e  di  uguaglianza essendo il differente
 trattamento legittima conseguenza di situazioni non omogenee.
    Ma l'argomento e' fuorviante: il rispetto dei principi di liberta'
 e di uguaglianza  nel  caso  in  esame  va  garantito  non  tanto  in
 raffronto  alle  situazioni delle diverse confessioni religiose, (fra
 l'altro sarebbe difficile negare la diversita'  di  situazione  della
 Chiesa cattolica), quanto in riferimento al medesimo diritto di tutti
 gli  appartenenti alle diverse fedi o confessioni religiose di fruire
 delle  eventuali  facilitazioni  disposte  in  via   generale   dalla
 disciplina  comune  dettata  dallo  Stato  perche'  ciascuno possa in
 concreto piu' agevolmente esercitare  il  culto  della  propria  fede
 religiosa.
    Se  la  diversita'  di  trattamento  ai  fini  dell'ammissione  al
 contributo pubblico, come la stessa difesa della Regione  sottolinea,
 e'  collegata  alla  entita' della presenza nel territorio dell'una o
 dell'altra confessione religiosa, il criterio e' del tutto  logico  e
 legittimo,  e la previsione in tal senso della legge regionale (artt.
 1 e 5) non e' contestabile; essa non integra  nemmeno  stricto  sensu
 una   discriminazione   in  quanto  si  limita  a  condizionare  e  a
 proporzionare l'intervento all'esistenza e all'entita' dei bisogni al
 cui soddisfacimento l'intervento stesso e' finalizzato.
    Rispetto, pero',  alla  esigenza  sopra  enunciata  di  assicurare
 edifici  aperti  al culto pubblico mediante l'assegnazione delle aree
 necessarie  e  delle  relative  agevolazioni,  la   posizione   delle
 confessioni   religiose   va   presa   in  considerazione  in  quanto
 preordinata alla soddisfazione dei bisogni religiosi dei cittadini, e
 cioe'  in  funzione di un effettivo godimento del diritto di liberta'
 religiosa, che comprende l'esercizio pubblico  del  culto  professato
 come esplicitamente sancito dall'art. 19 della Costituzione.
    In questa prospettiva tutte le confessioni religiose sono idonee a
 rappresentare  gli  interessi religiosi dei loro appartenenti. L'aver
 stipulato  l'intesa  prevista  dall'art.  8,   terzo   comma,   della
 Costituzione  per  regolare  in modo speciale i rapporti con lo Stato
 non   puo'   quindi   costituire   l'elemento   di    discriminazione
 nell'applicazione di una disciplina, posta da una legge comune, volta
 ad agevolare l'esercizio di un diritto di liberta' dei cittadini.
    5.  -  Invero,  tutte  le  confessioni religiose sono - secondo il
 dettato dell'art. 8, primo comma,  della  Costituzione  -  egualmente
 libere  davanti  alla legge. A questo principio generale si aggiunge,
 nella disciplina del citato art. 8, l'affermazione del diritto  delle
 confessioni  di  "organizzarsi secondo i propri statuti in quanto non
 contrastino con l'ordinamento giuridico  italiano"  (secondo  comma),
 cui  segue la facolta' di aver rapporti con lo Stato, da disciplinare
 per  legge  sulla  base  di  intese  con  le   rappresentanze   delle
 confessioni organizzate (terzo comma).
    Possono  quindi  sussistere confessioni religiose che non vogliono
 ricercare un'intesa con lo  Stato,  o  pur  volendola  non  l'abbiano
 ottenuta,  ed  anche  confessioni religiose strutturate come semplici
 comunita' di  fedeli  che  non  abbiano  organizzazioni  regolate  da
 speciali  statuti.  Per tutte, anche quindi per queste ultime - ed e'
 ipotesi certo  piu'  rara  rispetto  a  quella  della  sola  mancanza
 d'intesa - vale il principio dell'uguale liberta' davanti alla legge.
    Una  volta,  dunque,  che  lo  Stato e i poteri pubblici in genere
 ritengano di intervenire con una disciplina comune, quale  e'  quella
 urbanistica,   per   agevolare  la  realizzazione  di  edifici  e  di
 attrezzature destinati al culto mediante  l'attribuzione  di  risorse
 finanziarie  ricavate dagli oneri di urbanizzazione, la esclusione da
 tali benefici di una confessione religiosa in dipendenza dello  "sta-
 tus"  della  medesima,  e  cioe' in relazione alla sussistenza o meno
 delle condizioni di cui al secondo e terzo comma  dell'art.  8  della
 Costituzione,   viene   a  integrare  una  violazione  del  principio
 affermato nel primo comma del medesimo articolo.
    Resta fermo che per l'ammissione ai benefici sopra  descritti  non
 puo'  bastare  che  il richiedente si autoqualifichi come confessione
 religiosa. Nulla quaestio quando sussista un'intesa con lo Stato.  In
 mancanza  di  questa, la natura di confessione potra' risultare anche
 da precedenti riconoscimenti pubblici, dallo statuto che  ne  esprima
 chiaramente i caratteri, o comunque dalla comune considerazione.
    Ferma   restando   quindi  la  natura  di  confessione  religiosa,
 l'attribuzione dei contributi previsti dalla legge  per  gli  edifici
 destinati  al  culto rimane condizionata soltanto alla consistenza ed
 incidenza sociale della confessione richiedente e all'accettazione da
 parte  della  medesima  delle  relative  condizioni  e   vincoli   di
 destinazione.
    6.  -  Quanto  e'  stato  detto  fin qui in riferimento a tutte le
 confessioni  religiose  e  all'art.  8  della   Costituzione,   trova
 ulteriore  ed  ampia  conferma  se  si esamina piu' specificamente la
 questione sotto il profilo dell'art.  19  della  Costituzione  e  dei
 diritti della persona.
    L'Assemblea  Costituente pervenne alla definitiva formulazione del
 testo cosi'  da  garantire  a  chiunque  il  "diritto  di  professare
 liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale
 o  associata,  di  farne  propaganda e di esercitarne in privato o in
 pubblico il culto, purche' non si tratti di  riti  contrari  al  buon
 costume".  L'esercizio  del  culto  -  come si e' gia' accennato - e'
 dunque componente essenziale della liberta' religiosa, conseguenziale
 alla stessa professione di una fede  religiosa,  non  soggetto  anche
 nella  sua forma pubblica a nessun controllo, salvo la condizione, in
 un certo senso ovvia e naturale, che "non si tratti di riti  contrari
 al buon costume" (A.C. pagg. 2773 e segg.).
    Gia'  nella sentenza n. 59 del 1958 questa Corte aveva ritenuto di
 dover "stabilire con chiarezza la distinzione, da  cui  si  disnodano
 poi  tutte  le  conseguenze,  fra  la liberta' di esercizio dei culti
 acattolici  come  pura  manifestazione  di  fede  religiosa,   e   la
 organizzazione  delle  varie  confessioni  nei  loro  rapporti con lo
 Stato",  distinzione  "evidente  dal  punto   di   vista   logico   e
 positivamente fondata negli artt. 8 e 19 della Costituzione".
    A  parte  la  terminologia di "culti acattolici", che trova la sua
 spiegazione nella natura del  giudizio  che  investiva  la  legge  24
 giugno  1929  n.  1159  e  il  regio decreto 28 febbraio 1930 n. 289,
 concernenti appunto i culti definiti acattolici, la Corte sottolineo'
 che la formula dell'art. 19 non potrebbe essere piu' ampia, nel senso
 di comprendere tutte le manifestazioni del culto, e  conseguentemente
 dichiaro'  l'illegittimita' costituzionale della norma che richiedeva
 l'autorizzazione governativa per l'apertura di templi od oratori  per
 l'esercizio del culto.
    7.  -  In  definitiva  anche  la decisione della questione oggi in
 esame e' conseguenziale alle affermazioni di quella pronuncia e  alla
 lettura che essa ha data degli artt. 8 e 19 della Costituzione.
    Esattamente  pertanto  il  T.A.R.  remittente,  nel  riferirsi  ai
 suddetti articoli, li  ha  collegati  con  gli  artt.  2  e  3  della
 Costituzione, richiamando percio' la garanzia dei diritti inviolabili
 della  persona  ed  il  principio di uguaglianza nella sua piu' ampia
 accezione, comprendente la considerazione dei contenuti  di  liberta'
 "in  positivo"  giusta  la  formulazione del secondo comma del citato
 art. 3.
    Infatti  gli  interventi  pubblici  previsti  dalla   disposizione
 sottoposta   al   vaglio   di   questa   Corte  vengono  ad  incidere
 positivamente  proprio  sull'esercizio  in   concreto   del   diritto
 fondamentale e inviolabile della liberta' religiosa ed in particolare
 sul  diritto  di  professare  la  propria  fede  religiosa  in  forma
 associata e di esercitarne in privato o  in  pubblico  il  culto.  Ne
 consegue che qualsiasi discriminazione in danno dell'una o dell'altra
 fede   religiosa   e'   costituzionalmente  inammissibile  in  quanto
 contrasta  con  il  diritto  di  liberta'  e  con  il  principio   di
 uguaglianza.  Ne' siffatte conclusioni possono cambiare in dipendenza
 del fatto che i contributi pubblici per le finalita' sopra  descritte
 e   con   i   controlli   circa  la  loro  effettiva  destinazione  e
 utilizzazione che  la  stessa  legge  prevede,  vengano  richiesti  e
 percepiti dalle confessioni religiose, che provvedono a realizzare in
 rapporto  alle  esigenze  della  popolazione gli edifici di culto. E'
 determinante la finalita' che caratterizza la disposizione  impugnata
 e  l'effetto  che ne discende: finalita' ed effetto essendo quelli di
 facilitare l'esercizio del  culto,  l'agevolazione  non  puo'  essere
 subordinata  alla  condizione  che  il  culto  si  riferisca  ad  una
 confessione  religiosa  la  quale  abbia  chiesto   e   ottenuto   la
 regolamentazione  dei propri rapporti con lo Stato ai sensi dell'art.
 8, terzo comma, della Costituzione.
    Restano assorbiti  gli  altri  parametri  costituzionali  invocati
 nell'ordinanza di rimessione.
   8.  -  La  questione sollevata dal giudice a quo investe l'art. 1 e
 l'art. 5, terzo comma, della legge regionale dell'Abruzzo n.  29  del
 1988.
    Invero  la  norma  discriminatrice riconosciuta costituzionalmente
 illegittima e' enunciata nell'art. 1  ed  ha  effetto  non  solo  per
 l'art.  5  che  espressamente la richiama a proposito dei contributi,
 bensi' delimita l'area di applicazione dell'intera legge con  effetto
 quindi per tutti gli interventi in essa previsti.
    Per  le  ragioni  su svolte la illegittimita' costituzionale della
 norma discriminatrice  contenuta  nell'art.  1  non  puo'  non  avere
 effetto  per tutte le disposizioni della legge che la presuppongono o
 ad essa fanno esplicito riferimento.
    Deve dunque dichiararsi la illegittimita' costituzionale dell'art.
 1 nella parte che enuncia l'anzidetto criterio discriminante.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita' costituzionale dell'art.  1  della  legge
 della Regione Abruzzo 16 marzo 1988 n. 29 "Disciplina urbanistica dei
 servizi  religiosi") limitatamente alle parole "i cui rapporti con lo
 Stato siano disciplinati ai sensi dell'art.  8,  terzo  comma,  della
 Costituzione e".
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 19 aprile 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                          Il redattore: FERRI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 27 aprile 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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