N. 207 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 febbraio 1993
N. 207 Ordinanza emessa il 22 febbraio 1993 dalla Corte di cassazione sui ricorsi avverso ordinanza del tribunale di Palermo di conferma sequestro preventivo, proposti da Mezzatesta Francesco Paolo ed altri Mafia - Provvedimenti di contrasto alla criminalita' mafiosa - Possesso ingiustificato di beni di valore sproporzionato alla attivita' svolta o ai redditi dichiarati - Configurazione di tale condotta come reato proprio richiedendosi per il soggetto attivo la qualifica di indagato per determinati reati o di soggetto nei cui confronti si procede per l'applicazione di una misura di prevenzione - Prospettata violazione del principio della presunzione di innocenza in considerazione della non definitivita' delle suddette qualifiche - Lamentata disparita' di trattamento, con incidenza sul diritto di difesa, fra gli indagati di tale reato, che non possono avvalersi della facolta' di non rispondere (essendo obbligati a fornire la giustificazione del possesso dei beni) e gli indagati per altri reati - Riconoscimento di rilevanza penale ad una condotta (acquisizione della disponibilita' dei beni) antecedentemente commessa e in quel momento non costituente reato almeno in via di presunzione. (Legge 7 agosto 1992, n. 356, art. 12-quinquies, secondo comma, modificato dal d.l. 21 gennaio 1993, n. 14, art. 5). (Cost., artt. 3, 24, 25 e 27).(GU n.19 del 5-5-1993 )
LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sui ricorsi proposti da: 1) Mezzatesta Francesco Paolo, nato a Ficarazzi il 21 ottobre 1944; 2) Tinervia Elena, nata a Palermo il 10 febbraio 1941; 3) Alaimo Francesca, nata a Villabate il 5 settembre 1915; 4) Tinervia Pietro, nato a Palermo il 17 dicembre 1947, avverso l'ordinanza del tribunale di Palermo del 3 novembre 1992; Sentita la relazione fatta dal consigliere Paolino Dell'Anno; Sentite le conclusioni del p.g. che ha chiesto di dichiararsi non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies del d.l. n. 306 del 1992; R I L E V A Con decreto del 12 ottobre 1992 il giudice per le indagini preliminari della pretura di Palermo, in accoglimento della richiesta del locale procuratore della Repubblica, dispose il sequestro preventivo di titoli e di valori, di provenienza ritenuta non giustificata, dei quali risultava che avevano la disponibilita' Mezzatesta Francesco Paolo e Tinervia Pietro a cui carico si procedeva a indagini preliminari da parte del pubblico ministero per i reati di cui agli artt. 644, 644- bis del codice penale e 12-quinquies, secondo comma, del d.l. 8 giugno 1992, n. 306. In particolare il sequestro colpi', per quanto attinente al Mezzatesta, certificati di deposito bancario al portatore per 300.000.000 di lire, e, per il Tinervia, un buono ordinario del tesoro del valore nominale di 58.000.000 di lire pagabile alla scadenza del 30 giugno 1993 intestato allo stesso e a Tinervia Elena e la somma di lire 54.436.055 costituente il saldo attivo di un deposito di conto corrente bancario a lui personalmente intestato. Del provvedimento fu richiesto il riesame dal Mezzatesta, dai due Tinervia e da Alaimo Francesca, madre di questi ultimi, che con il relativo atto assunse di vantare la esclusiva proprieta' effettiva del buono ordinario del tesoro. I reclami furono respinti dal tribunale con la ordinanza indicata in epigrafe avverso la quale sono stati interposti ricorsi dai quattro interessati che denunciano, tutti, vizi della sua motivazione nella parte nella quale si e' ritenuta ingiustificata la provenienza delle somme depositate e di quella utilizzata per l'acquisto del buono intestato ai Tinervia. Pregiudiziale al controllo nel merito della impugnata ordinanza e' evidentemente l'indagine, sollecitata dal procuratore generale di udienza, sulla costituzionalita' della norma incriminatrice la cui violazione si e' contestata dal procuratore della Repubblica presso la pretura di Palermo ai ricorrenti Mezzatesta e Tinervia e ha legittimato la emissione del decreto di sequestro conservativo dei beni dei quali si assume che gli stessi, direttamente o indirettamente, abbiano la disponibilita' e la cui legittima provenienza si e' ritenuta non giustificata. Va al proposito rilevato che risulta che gia' della questione, la cui rilevanza non puo' essere contestata nel presente procedimento, e' stata investita la Corte costituzionale alla quale la si e' sottoposta dal tribunale di Salerno che, con ordinanza del 2 novembre 1992 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5 del 3 febbraio 1993, ha ritenuto la non manifesta infondatezza di essa per il presunto contrasto tra la norma e gli articoli 27, secondo comma, 24 e 3 della Costituzione. Anche questa Corte, sezione seconda penale, piu' recentemente all'udienza di camera di consiglio del giorno 17 scorso, chiamata a pronunciarsi nel procedimento n. 31022 del 1992 sul ricorso proposto da Pastore Cosimo avverso l'ordinanza del Tribunale di Taranto confermativa di un decreto di sequestro preventivo emesso per ragioni analoghe a quelle che indussero alla adozione del provvedimento a carico degli odierni ricorrenti, ha rilevato la necessita' di rimettere alla stessa Corte costituzionale la decisione sulla legittimita' della norma apparendo essa contrastare con gli articoli della legge fondamentale dello Stato sopra indicati oltre che con l'art. 42, secondo comma. Questo collegio condivide le perplessita' sulla conformita' della disposizione in questione ad alcuni dei principi e a talune delle garanzie del cittadino affermati e tutelate dalla Costituzione repubblicana. L'articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, prevede, come ipotesi di illecito penalmente perseguibile, il possesso o in ogni caso la disponibilita' ingiustificati di denaro, beni o altre utilita' di valore sproporzionato al reddito dichiarato o alla attivita' economica esercitata da parte di colui nei cui confronti sia pendente (secondo la modificazione apportata al testo originario della norma dall'art. 5 del d.l. 21 gennaio 1993, n. 14) procedimento penale per determinati delitti o per l'applicazione di una misura di prevenzione personale, delineando quindi una figura di reato "proprio" del quale soggetto attivo puo' essere chi si viene a trovare nella particolare posizione personale, per quanto qui interessa, di imputato o anche solo di indagato, come nella fattispecie concreta, per alcuni fatti illeciti che si ritiene siano stati commessi dallo stesso sulla base di elementi indizianti ancora non sottoposti alla verifica del giudice circa la loro effettiva sussistenza, la loro gravita' e idoneita' probatoria, la loro riferibilita' al soggetto, la cui responsabilita' in relazione ai fatti che gli si addebitano in ogni caso non si e' accertata con sentenza definitiva nel momento nel quale sorge il sospetto e si consolida la condotta descritta come illecita che viene ancorata, da un lato, a una situazione personale che potrebbe anche vanificarsi nel corso del procedimento ma che anche in tale caso non varra', pur nella ipotesi nella quale dovesse accertarsi la innocenza o non dovesse provarsi la colpevolezza dell'agente in ordine al reato la cui presunta commissione ha dato luogo al sospetto, a fare venire meno il presupposto relativo alla situazione soggettiva iniziale richiesta prima per l'inizio della indagine e successivamente per l'esercizio dell'azione penale, e, da altro, come unico parametro oggettivo sul quale fondare un giudizio di responsabilita', la sproporzione tra il valore delle disponibilita' e il reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito richiedendosi al soggetto di fornire in tale ipotesi la prova della provenienza legittima dei beni. Al fine di rendere ragione dei motivi per i quali deve dubitarsi della conformita' della norma alla Costituzione, pare opportuno prendere le mosse da quanto la Corte costituzionale con la sentenza n. 110 del 1968 osservo' per motivare le ragioni per le quali doveva ritenersi la illegittimita' dell'art. 708 del codice penale nella parte nella quale annoverava tra i possibili soggetti attivi del reato i condannati per mendicita', ammoniti, sottoposti a misure di sicurezza o a cauzione di buona condotta, mentre dovevano respingersi i dubbi di costituzionalita' prospettati con riferimento alla posizione di colui nei cui confronti era stata accertata la definitiva colpevolezza per reati contro il patrimonio e che in tale situazione gia' si trovasse al momento della condotta dante luogo al sospetto. Rilevo' la Corte che, con riferimento a questi ultimi soggetti, la norma dettata dall'art. 708 sfuggiva a rilievi di incostituzionalita' sotto il profilo della violazione dei principi di uguaglianza tra cittadini e ragionevolezza, della violazione della riserva di legge in materia penale, della non presunzione di colpevolezza e della funzione rieducativa della pena (art. 3, 25, secondo comma e 27, secondo e terzo comma, della Costituzione). E cio' in quanto, essendo il reato da essa previsto annoverato fra le contravvenzioni di polizia dirette alla prevenzione dei delitti contro il patrimonio, la norma stessa trova il suo fondamento logico in quelle situazioni soggettive nelle quali l'agente abbia dei precedenti penali specifici relativi a reati contro il patrimonio, conseguendone che lo stato dello stesso, concretantesi nel rapporto intercorrente tra una situazione oggettiva, quale il possesso dei beni in uno con la particolare condizione soggettiva di persona della quale si e' gia' giudiziariamente accertata la responsabilita' per fatti pregressi in danno del patrimonio, e la sua condotta di vita, legittima il sospetto in ordine alla dubbia legittimita' delle modalita' di acquisizione dei beni nel suo attuale possesso non confacenti alle personali e dimostrabili disponibilita' economiche e conseguentemente il diverso trattamento rispetto a coloro che in tale stato non versino, escludendosi per tale ragione il contrasto della disposizione con l'art. 3 della Costituzione. Si aggiunge ancora che e' da escludersi che la norma - la cui formulazione pone il soggetto, sin dal momento nel quale sorge il presupposto che attiene alla sua situazione personale (condanna per reato contro il patrimonio) nella condizione di conoscere il divieto formante oggetto della disposizione incriminatrice (possesso ingiustificato di denaro e oggetti di valore) e percio' di attivarsi al fine di non incorrere nella violazione a esso - nel richiedere la giustificazione del possesso ne imponga anche la prova richiedendosi invece l'elemento della coscienza e della volontarieta' dell'azione, che nei reati contravvenzionali puo' esprimersi nella semplice colpa. Incostituzionale venne invece dichiarata la stessa disposizione, perche' contrastante con l'art. 3 della Costituzione, nella parte nella quale si indicavano tra i possibili soggetti attivi del reato anche quelli rientranti nelle altre categorie in essa elencate proprio per il difetto in essi dello stato quale sopra inteso. Orbene, sembra al collegio che le osservazioni e i rilievi che la Corte costituzionale formulo' per rispettivamente escludere la illegittimita' dell'art. 708 del codice penale con riferimento a coloro che gia' hanno riportato condanna per reati contro il patrimonio e per ritenerla invece con riguardo alle altre categorie di soggetti si attaglino perfettamente alla previsione della norma incriminatrice di cui all'art. 12-quinquies del decreto-legge numero 306/1992 nel senso della sua incostituzionalita'. Va immediatamente posto nel dovuto rilievo che nella ipotesi che interessa non appare seriamente contestabile la assenza di uno stato del possibile soggetto attivo del reato proprio che lo diversifichi da chiunque altro si trovi nella medesima situazione oggettiva rispetto ai beni dei quali abbia la disponibilita', beni cioe' che siano sproporzionati rispetto al reddito dichiarato o alla attivita' economica propria del soggetto richiedendosi solo al primo la giustificazione della loro legittima provenienza. Ne' puo' valere la obiezione che muove dalla diversa condizione soggettiva dell'uno rispetto agli altri, condizione da ravvisarsi nella pendenza di un procedimento penale per determinati reati a carico del primo, non potendo certamente equipararsi tale circostanza all'accertamento pregresso giudiziale di responsabilita' del soggetto stesso che giustificherebbe una presunzione di sospetto circa la liceita' del possesso. E invero la condizione di indagato o anche di imputato una tale presunzione non puo' autorizzare essendo essa ancora sub iudice sicche' resta indifferente rispetto all'ordinamento se non per le misure provvisorie cautelari personali o reali la cui necessita' di imposizione possa in ipotesi ravvisarsi nel procedimento. In aggiunta deve osservarsi che tale previsione incriminatrice si rivolge indiscriminatamente a tutti coloro che verranno eventualmente a trovarsi quali indagati o imputati e quindi per il verificarsi di una condizione futura, incerta e addirittura imprevedibile, derivandone che il sospetto non e' posto nella possibilita' di evitare il realizzarsi della situazione oggettiva che varra' ad integrare la condotta illecita e quindi l'elemento oggettivo del reato (il possesso dei beni), in relazione al quale, essendo esso previsto come delitto non potranno valere le considerazioni svolte dalla Corte costituzionale a proposito dell'art. 708 del codice penale. Ancora va aggiunto che, coincidendo il momento iniziale della condotta (possesso dei beni) con quello del presupposto di fatto costituente elemento costitutivo del reato (assunzione da parte del soggetto della qualita' di indagato in relazione a un reato diverso), non sembra contestabile che con la disposizione in questione si viene a criminalizzare un fatto (acquisizione delle disponibilita' dei beni) antecedentemente commesso e in quel momento non costituente reato almeno in via di presunzione nella assenza di un qualsiasi precetto che imponga particolari cautele per colui che agisce non rientrando in categorie considerate sospette, ponendosi inammissibilmente a carico del soggetto stesso l'onere di una prova che deve invece incombere sulla accusa in violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito. Diversamente si verifica invece per la ipotesi prevista dall'art. 708 del codice penale nella quale il momento della sorpresa nella flagranza del possesso altro non costituisce che quello dell'accertamento di una condotta presuntivamente illecita, certamente anche essa antecedente ma successiva alla insorgenza del presupposto riferentesi alla condizione personale dell'agente (condanne per reati contro il patrimonio) legittimante il sospetto circa le modalita' di acquisizione del possesso stesso giustificandosi per tale ragione, come da questa Corte costantemente ritenuto, sin dal momento stesso della acquisizione la pretesa dello Stato di una immediata attendibile spiegazione della provenienza delle cose.
P. Q. M. Visti l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Sulla conforme richiesta del procuratore generale, dichiara la non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale del secondo comma dell'art. 12-quinquies della legge 7 agosto 1982, n. 356, come modificato dall'art. 5 del decreto-legge 21 gennaio 1993, n. 14, in relazione agli artt. 3, 24, secondo comma, 25 e 27, secondo comma, della Costituzione; Sospende il procedimento e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale e la notifica della presente ordinanza alle parti, al p.m. e al Presidente del Consiglio dei Ministri e la comunicazione ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Roma, addi' 22 febbraio 1993 Il presidente: VALENTE Il consigliere estensore: (firma illeggibile) Depositata in cancelleria il 12 marzo 1993. Il collaboratore di cancelleria: (firma illeggibile) 93C0461