N. 217 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 febbraio 1993

                                N. 217
 Ordinanza  emessa  il  26  febbraio  1993  dal  giudice  dell'udienza
 preliminare presso il tribunale militare  di  Roma  nel  procedimento
 penale a carico di Scalise Pino
 Processo penale - Tribunale militare - Udienza preliminare -
    Richiesta  di  applicazione  della  pena  -  Rigetto  per ritenuta
    inadeguatezza -  Successiva  istanza  per  il  rito  abbreviato  -
    Consenso    del    p.m.   -   Lamentata   omessa   previsione   di
    incompatibilita' per il  giudice  che  ha  formulato  il  rigetto,
    effettuando  una valutazione di merito - Disparita' di trattamento
    rispetto all'analoga situazione avanti al giudice del dibattimento
    - Compressione del diritto di difesa - Richiamo alla  sentenza  n.
    186/1992.
 (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma).
 (Cost., artt. 3 e 24).
(GU n.20 del 12-5-1993 )
                  IL GIUDICE DELL'UDIENZA PRELIMINARE
    Il  giudice  dell'udienza  preliminare all'udienza del 26 febbraio
 1993 ha pronunciato la seguente ordinanza nel precedimento penale  n.
 2573/A/92 a carico di Scalise Pino, nato a Catanzaro il 7 giugno 1971
 imputato  del reato di rifiuto del servizio militare (art. 8, secondo
 comma,  della  legge  15  dicembre  1972,  n.  772,  come  sostituito
 dall'art.  2  della  legge  24  dicembre 1974, n. 695) perche', al di
 fuori dei casi di ammissione  ai  servizi  sostitutivi  del  servizio
 militare,  adducendo  motivi di coscienza attinenti ad una concezione
 generale  della  vita,  fondata  sui  convincimenti   religiosi   dei
 testimoni di Geova, rifiutava, prima ancora di assumerlo, il servizio
 militare di leva, in Ascoli Piceno l'11 novembre 1992.
                            FATTO E DIRITTO
    Al termine delle indagini preliminari il p.m. chiedeva il rinvio a
 giudizio dell'imputato per il reato di rifiuto del servizio miliatare
 (art. 8 della legge 15 dicembre 1972, n. 772).
    All'udienza  preliminare   del   1½   febbraio   1993   le   parti
 preliminarmente chiedevano l'applicazione, ai sensi dell'art. 444 del
 c.p.p., della pena di mesi tre di reclusione militare. Questo giudice
 pronunciava  ordinanza  con  cui,  ritenuta  incongrua  ai fini della
 rieducazione del condannato, la pena proposta, rigettava la richiesta
 delle parti.
   Nella stessa  udienza  l'imputato  chiedeva  che  si  procedesse  a
 giudizio  abbreviato  e  il  p.m.  prestava  il  suo consenso. Questo
 giudice dichiarava con ulteriore ordinanza la propria incompatibilta'
 a partecipare al giudicio abbreviato, nella  considerazione  che  "la
 Corte   costituzionale,   con   sentenza   n.   186/1992   (integrata
 dall'ordinanza   n.   313/1992)   ha   dichiarato    l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p. nella parte in
 cui  non  prevede  l'incompatibilita'  a  partecipare al giudizio del
 giudice  del  dibattimento  che  abbbia  rigettato  la  richiesta  di
 applicazione della pena concordata ex art. 444 del c.p.p. e che "alla
 stregua  degli  argomenti  addotti  dalla  Corte costituzionale, tale
 incompatibilta' non puo' non estendersi anche al giudice dell'udienza
 preliminare che sia investito di una richiesta di giudizio abbreviato
 quando gia' abbia respinto la richiesta  proposta  ex  art.  444  del
 c.p.p.".
    Era quindi fissata la data di nuova udienza preliminare.
    Le    predette   ordinanze   venivano   trasmesse,   con   rituale
 dichiarazione di astensione (ai  sensi  dell'art.  36,  primo  comma,
 lett.  g),  del  c.p.p) al presidente del tribunale militare. Questi,
 con provvedimento del 18 febbraio 1993,  ritenuto  che  "non  risulta
 allo  stato, esplicitamente prevista l'incompatibilita' a partecipare
 al giudizio abbreviato del g.u.p. che abbia rigettato la richiesta di
 patteggiamento", e che la richiamata declaratoria  di  illegittimita'
 costituzionale  di cui alla sentenza della Corte n. 186/1992 concerne
 esclusivamente la mancata previsione, nell'art.  34,  secondo  comma,
 del  c.p.p.,  dell'incompatibilita'  a  partecipare  al  giudizio del
 giudice del dibattimento che abbia rigettato la richiesta ex art. 444
 del  c.p.p.,   dichiarava   l'insussistenza   della   situazione   di
 incompatibilita' prospettata.
    All'ordine  udienza  le  parti  si  riportano  alla  richiesta  di
 giudizio  abbreviato  gia'a'  formulata  e   il   giudice   pronuncia
 ordinanza,  ai  sensi dell'art. 440 del c.p.p., con cui, ritenuto che
 il procedimento sia definibile allo stato degli atti, dispone che  si
 proceda  a  giudizio  abbreviato.  Il  difensore  chiede  poi che sia
 sollevata questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  34,
 secondo   comma,   del   c.p.p.,  nella  parte  in  cui  non  prevede
 l'incompatibilita' del  giudice  dell'udenza  preliminare  che  abbia
 rigettato la richiesta di applicazione di pena ex art. 444 del c.p.p.
 a partecipare al giudizio abbreviato. Il p.m. si associa.
    Cio'   premesso,  ritiene  questo  giudice  che  la  questione  di
 costituzionalita'  sollevata  dalle  parti  sia   rilevante   e   non
 manifestamente  infondata  e  che quindi, rilevato il contrasto della
 disposizione impugnata con gli artt. 3 e  24  della  Costituzione  (e
 constatata   l'impossibilita'   di   ricorrere   ad   una  estensione
 interpretativa del contenuto della sentenza n. 186/1992 della Corte),
 debba essere sospeso il procedimento in corso e  trasmessi  gli  atti
 alla Corte costituzionale.
    Al  riguardo,  va  rilevato  anzitutto  che,  secondo  quanto gia'
 affermato dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza 4 novembre  1991,
 n.  401) la locuzione "giudizio" "e' di per se' tale da ricomprendere
 qualsiasi tipo di giudizio, cioe' ogni processo che  in  base  ad  un
 esame  delle  prove  pervenga  ad  una  decisione di merito, compreso
 quello che si svolge con il rito abbreviato".
    Ebbene, se il rigetto della  richiesta  di  applicazione  di  pena
 concordata costituisce "valutazione di merito circa l'idoneita' delle
 risultanze  delle  indagini  preliminari  a  fondare  un  giudizio di
 responsabilita'     dell'imputato",     tale      da      determinare
 l'incompatibilita' del giudice del dibattimento (secondo la specifica
 motivazione  della  sentenza n. 186/1992), sembra che identica sia la
 posizione del  g.u.p.  che,  dopo  aver  rigettato  la  richiesta  di
 applicazione  di  pena,  debba  definire  il  processo  con  il  rito
 abbreviato. Anche per il g.u.p, infatti, il rigetto  della  richiesta
 di applicazione di pena concordata comporta "una valutazione negativa
 circa l'esistenza delle condizioni legittimanti il proscioglimento ex
 art.  129  del  c.p.p. e circa la congruenza alle suddette risultanze
 della  qualificazione  giuridica  del  fatto  e/o  delle  circostanze
 ritenute nella richiesta".
    Situazione  non  diversa  da  quella prospettata nella motivazione
 della citata decisione della Corte si ha poi nel  caso,  verificatosi
 nel  presente  procedimento,  in cui il rigetto della richiesta delle
 parti sia dovuto ad una valutazione di incongruita',  ai  fini  della
 rieducazione  del  condannato, della pena concordata: anche in questa
 ipotesi il rigetto  della  richiesta  presuppone  la  valutazione  di
 inesistenza  delle condizioni legittimanti il proscioglimento ex art.
 129 del c.p.p.; inoltre, la decisione gia' adottata  dal  giudice  in
 relazione  all'entita'  della  pena, ritenuta incongrua, "pregiudica"
 l'imparzialita' del giudice nel successivo giudizio.
    La rilevanza della suddetta questione di costituzionalita'  appare
 evidente  in  quanto  se essa fosse accolta questo giudice diverrebbe
 incompatibile alla partecipazione  al  giudizio  abbreviato,  per  il
 quale sussistono i requisiti previsti dall'art. 440 del c.p.p.
                                P. Q. M.
    Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Solleva  la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34,
 secondo  comma,  del  c.p.p.  (nella  parte  in   cui   non   prevede
 l'incompatibilita'  a  partecipare al giudizio abbreviato del giudice
 dell'udienza  preliminare  che  abbia  rigettato  la   richiesta   di
 applicazione  di  pena  concordata  di  cui all'art. 444 dello stesso
 codice), in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione; ritenendo
 tale questione rilevante e non manifestamente infondata;
    Dispone la sospensione del preocedimento incorso e la trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Ordina che la presente ordinanza sia notificata alle  parti  e  al
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e comunicata ai Presidenti
 delle due Camere del Parlamento.
      Roma, addi' 26 febbraio 1993
              Il giudice dell'udienza preliminare: MAZZI
 93C0479