N. 212 SENTENZA 22 aprile - 3 maggio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Lavoro  - Tutela penale - Impresa familiare - Partecipanti - Obblighi
 di prevenzione  -  Esclusione  -  Conseguente  irresponsabilita'  del
 titolare  dell'azienda - Richiesta di sentenza additiva - Ininfluenza
 di una  decisione  sul  procedimento    a  quo  -  Irrilevanza  della
 questione - Inammissibilita'.
 
 (D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, art. 3, secondo comma).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.20 del 12-5-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI,  prof.  Antonio  BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO,
    avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 3, secondo
 comma, del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (Norme  per  la  prevenzione
 degli infortuni sul lavoro), promosso con ordinanza emessa l'8 aprile
 1992  dal  Pretore  di  Udine,  sezione  distaccata di Cervignano del
 Friuli,  nel  procedimento  penale  a  carico  di  Apuzzo  Salvatore,
 iscritta  al  n.  334  del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  27,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1992;
    Visto l'atto di costituzione di Apuzzo Salvatore;
    Udito  nell'udienza  pubblica del 9 marzo 1993 il Giudice relatore
 Francesco Paolo Casavola;
    Udito l'avv. Roberto Nania per Apuzzo Salvatore;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  un procedimento penale per violazione delle
 norme antinfortunistiche e per lesioni personali colpose, promosso  a
 carico  del  titolare  di  un  pubblico esercizio la cui moglie aveva
 subito un infortunio durante alcuni lavori di pulizia, il Pretore  di
 Udine  (sezione di Cervignano del Friuli) ha sollevato, con ordinanza
 emessa l'8 aprile 1992, questione di legittimita' costituzionale,  in
 relazione  all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 3, secondo comma,
 del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, nella parte in cui  non  comprende
 anche   i   partecipanti  all'impresa  familiare  tra  i  soggetti  -
 equiparati ai lavoratori subordinati  -  con  riguardo  ai  quali  va
 osservata la normativa di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
    Gli  obblighi  relativi, infatti, e la conseguente responsabilita'
 penale sussistono nell'area di applicabilita' del  citato  d.P.R.  n.
 547 del 1955 - osserva il Pretore nel motivare la rilevanza - si' che
 l'invocata    decisione    additiva   consentirebbe   di   contestare
 all'imputato i reati in argomento.
    A parere del giudice a quo, la norma impugnata, nell'escludere per
 i partecipanti all'impresa familiare  gli  obblighi  di  prevenzione,
 irrazionalmente  priverebbe  questi ultimi di tutela, discriminandoli
 anche rispetto ad altri soggetti, come i soci-lavoratori.
    L'assenza di obblighi e quindi  di  responsabilita'  del  titolare
 dell'azienda   con   riguardo   ai   familiari   sarebbe  inoltre  in
 contraddizione  con  il  riconoscimento  dell'istituto   dell'impresa
 familiare   contenuto   nel   codice   civile,  ed  accentuerebbe  la
 "soggezione economica e sociale" dei partecipanti nei rapporti con il
 capofamiglia-imprenditore.
    Tale ordine di idee risulterebbe altresi' sotteso alla sentenza n.
 476 del 1987, con la quale questa  Corte  ha  dichiarato  illegittima
 l'esclusione  dell'obbligo  assicurativo  per  infortuni  e  malattie
 professionali dei familiari che prestino opera lavorativa o a  questa
 assimilata quali partecipanti all'impresa familiare.
    2. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si e' costituita la parte
 privata  contestando  preliminarmente la rilevanza della questione in
 quanto, ex art. 25 della Costituzione, non sarebbe  configurabile  la
 perseguibilita' per un reato non attualmente previsto. Nell'imminenza
 dell'udienza  la  parte  privata ha depositato memorie, ulteriormente
 insistendo sulle ragioni di inammissibilita' connesse alla  creazione
 di  una nuova fattispecie penale incriminatrice. Tale conseguenza, in
 palese contrasto con  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  non  si
 potrebbe  poi  in  alcun  modo far derivare dalla sentenza n. 476 del
 1987, concernente il ben diverso tema dell'estensione ai partecipanti
 all'impresa  familiare  dell'assicurazione  obbligatoria  contro  gli
 infortuni sul lavoro.
    Sul  punto  la  parte  richiama  anche  gli  artt.  5, 6 e 7 della
 Convenzione europea dei diritti  dell'uomo,  interpretata  da  questa
 Corte  con  sentenza n. 202 del 1991 "nel senso che, per la rilevanza
 delle trasgressioni dei doveri generali sanciti da  una  disposizione
 di legge, occorre la conoscibilita' di essa al momento del fatto".
    Nel   merito   la   parte   ha  infine  sottolineato,  a  sostegno
 dell'infondatezza, la particolarita' dell'impresa  familiare  in  cui
 sarebbero  implicati  i  valori  solidaristici  caratteristici  della
 famiglia.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  giudice  a quo dubita della legittimita' costituzionale
 dell'art. 3, secondo comma, del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547,  nella
 parte  in cui esclude i partecipanti all'impresa familiare dal novero
 dei soggetti in favore dei quali - in quanto equiparati ai lavoratori
 subordinati - deve essere applicata la normativa per  la  prevenzione
 degli  infortuni  sul  lavoro,  con  la  conseguente estensione della
 relativa tutela penale specifica per le ipotesi di  violazioni  delle
 prescrizioni  antinfortunistiche  e  delle comuni sanzioni in caso di
 danni alle persone.
    In particolare il  Pretore  rimettente  ravvisa  un'ingiustificata
 disparita'  di  trattamento rispetto ai soci di societa' e di enti in
 genere cooperativi che la norma viceversa contempla tra i beneficiari
 delle misure imposte dal citato d.P.R. ai datori di lavoro.
    2. - La questione e' inammissibile.
    A questa Corte e' richiesta una decisione  di  tipo  additivo  che
 inserisca  nel  testo  legislativo  in  argomento  una nuova ipotesi,
 secondo cui i titolari  dell'impresa  sarebbero  tenuti  a  porre  in
 essere  gli  strumenti di prevenzione previsti dalla normativa per la
 sicurezza dei lavoratori, tra  i  quali  dovrebbero  rientrare  cosi'
 anche i partecipanti all'impresa familiare medesima.
    Ma  il  modulo  estensivo  suggerito dal Pretore di Cervignano del
 Friuli  che  vorrebbe  l'inclusione  dei  familiari  tra  i  soggetti
 protetti,  comporta,  inevitabilmente,  anche  la  creazione  di  una
 fattispecie  penale  nuova,   consistente   nell'applicazione   delle
 sanzioni  descritte  dal  titolo XI del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547
 anche ai  titolari  d'impresa  familiare.  Inoltre,  l'attrazione  di
 quest'ultimo  istituto  nell'area del rapporto di lavoro anche a fini
 di tutela antinfortunistica,  implicherebbe  la  configurabilita'  di
 reati  colposi  contro  la  vita  e  l'incolumita' delle persone, ove
 l'inosservanza  delle  misure  di  prevenzione  abbia  prodotto  tali
 conseguenze lesive.
    E'  chiaro  come  l'intero  disegno  della prevenzione non avrebbe
 senso ove si volesse scriminare il profilo sanzionatorio, logicamente
 correlato a garantire l'osservanza del precetto.
    Ma l'imputato di cui al giudizio a quo mai potrebbe rispondere per
 fatti che non costituivano reato al momento in cui  furono  commessi,
 onde  appare chiara l'assoluta ininfluenza dell'invocata sentenza sul
 procedimento penale in corso dinanzi al Pretore.
    La garanzia posta dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione,
 esclude infatti che la Corte possa far sorgere una nuova  fattispecie
 penale  "cosi'  determinando  conseguenze sfavorevoli per l'imputato"
 (cfr. sentenze n. 148 del 1983 e n. 108 del 1981).
    3. - Alla suddetta ragione d'inammissibilita' per  irrilevanza  si
 aggiunge,  con  analoga conseguenza, quell'ulteriore implicazione del
 principio di legalita' che impone una stretta  riserva  di  legge  in
 favore dello Stato in materia penale.
    Tale  appartenenza  esclusiva  della potesta' punitiva si appalesa
 tanto  piu'  evidente  in  rapporto  alla  peculiarita'  dell'impresa
 familiare  cui  e'  stata estesa l'assicurazione contro gli infortuni
 (cosi' appagando una diffusa esigenza  di  tutela  del  lavoro:  cfr.
 sentenza  n.  476 del 1987), ma che resta comunque permeata di legami
 affettivi, onde appare quanto meno problematico l'innesto di obblighi
 e  doveri  sanzionati  attraverso  ipotesi   di   reato   procedibili
 d'ufficio.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  inammissibile la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 3, secondo comma, del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547  (Norme
 per  la  prevenzione  degli  infortuni  sul  lavoro),  sollevata,  in
 riferimento all'art. 3 della  Costituzione,  dal  Pretore  di  Udine,
 sezione  distaccata di Cervignano del Friuli, con ordinanza di cui in
 epigrafe.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 22 aprile 1993.
                  Il Presidente e redattore: CASAVOLA
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 3 maggio 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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