N. 225 SENTENZA 23 aprile - 7 maggio 1993

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 "
 Processo  penale  - G.I.P. - Imputato - Visione degli atti depositati
 in cancelleria - Termine di quindici giorni -  Brevita'  -  Emissione
 del decreto di condanna - Imputato residente o domiciliato all'estero
 -  Mancata previsione dell'invito a nominare difensore nel territorio
 dello Stato - Nomina di difensore d'ufficio prima della notifica  del
 decreto  penale  di  condanna  -  Pratica  impossibilita' di proporre
 personalmente opposizione  -  Specialita'  della  disciplina  dettata
 dall'art.    169    del   c.p.p.   ai   fini   delle   notificazioni,
 indipendentemente dal rito mediante il quale si  procede  -  Richiamo
 alla giurisprudenza della Cassazione - Assicurazione in ogni caso del
 diritto di difesa dell'imputato - Non fondatezza.
 "
 (C.P.P., artt. 169, primo comma, 459, 460 e 461).
 "
 (Cost., art. 24, secondo comma)
(GU n.20 del 12-5-1993 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA;
 Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo
    SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE,  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,
    avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott.
    Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,
    prof. Cesare MIRABELLI;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 169, comma 1,
 459, 460 e 461 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza
 emessa  il  1›  giugno  1992  dal giudice per le indagini preliminari
 presso la Pretura di Massa nel procedimento penale a carico  di  Roka
 Attila,  iscritta  al n. 760 del registro ordinanze 1992 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  51,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1992;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio  del  10  marzo  1993  il  Giudice
 relatore Vincenzo Caianiello;
                           Ritenuto in fatto
    Richiesto  dal  pubblico  ministero  di emettere decreto penale di
 condanna nei confronti di un imputato straniero residente - in  luogo
 conosciuto  -  all'estero,  il  giudice  per  le indagini preliminari
 presso la Pretura circondariale di Massa ha sollevato, con  ordinanza
 del  1›  giugno  1992, questione di legittimita' costituzionale degli
 articoli 169, n. 1), (recte: comma 1), 459, 460 e 461 del  codice  di
 procedura  penale,  in  riferimento all'art. 24, secondo comma, della
 Costituzione.
    Premesso di ritenere accoglibile la richiesta del p.m.,  quanto  a
 qualificazione  del  fatto  e  commisurazione  della pena, il giudice
 remittente osserva che la  disposizione  dell'art.  169  c.p.p.,  che
 regola  la  notificazione all'imputato all'estero, appare di "incerta
 interpretazione",  giacche'  non  chiarisce  se  il  procedimento  di
 interpello   per   la  dichiarazione  o  elezione  di  domicilio  ivi
 contemplato debba essere attivato dal p.m., prima  di  richiedere  il
 decreto  penale,  ovvero dal giudice richiesto di emettere il decreto
 medesimo. Optato, peraltro, per la impossibilita'  di  "rinviare  gli
 atti  al  p.m.  per l'integrazione dell'attivita' di indagine ai fini
 della notifica", il giudice  a  quo  reputa  che  la  disciplina  del
 procedimento per decreto sia lesiva del diritto inviolabile di difesa
 allorche',   come   nella  specie,  concerna  un  imputato  straniero
 residente all'estero, ravvisando in detta disciplina tre  profili  di
 illegittimita' costituzionale rispetto al parametro invocato:
      1)  il  primo profilo attiene alla ritenuta brevita' del termine
 di quindici giorni accordato all'imputato per prendere visione  degli
 atti   depositati  in  cancelleria  ed  assumere  quindi  le  proprie
 determinazioni in  merito  alla  proposizione  dell'opposizione,  una
 volta  effettuata  la  consegna  del decreto alla persona abilitata a
 riceverlo a seguito della dichiarazione o elezione  di  domicilio  ex
 art.  169 c.p.p.; di qui il sospetto di illegittimita' costituzionale
 dell'art. 459 c.p.p. nella parte in cui  non  prevede,  oltre  quelli
 gia'  indicati  nella  norma  denunziata,  un  ulteriore  e  generale
 requisito di ammissibilita' della richiesta di decreto penale, ovvero
 la residenza o il domicilio effettivi  dell'imputato  nel  territorio
 dello Stato (italiano);
      2)  il  secondo  profilo si incentra sul rilievo della mancanza,
 nell'atto di interpello ex art. 169, comma 1, c.p.p.,  di  un  invito
 contestuale all'imputato straniero residente o dimorante all'estero a
 nominare  un  difensore  nel territorio dello Stato italiano; da tale
 rilievo  discende  la notazione per cui all'imputato in argomento non
 sarebbe consentito l'esercizio dell'opposizione a mezzo di  difensore
 a  cio'  delegato,  e,  inoltre - non potendosi a tal fine coordinare
 l'art. 169 con l'autonoma norma  dell'art.  369  c.p.p.  che  prevede
 l'invito  alla  nomina del difensore di fiducia - l'imputato potrebbe
 non conoscere  affatto  il  luogo  di  notifica  del  decreto  penale
 allorche'  non vi sia ne' nomina fiduciaria da parte dello stesso ne'
 preventiva  comunicazione  di  quale  sia   il   difensore   nominato
 d'ufficio.  Per  tale profilo, pertanto, viene sottoposto a scrutinio
 di costituzionalita' il combinato disposto degli artt. 169, 459,  460
 e  461  c.p.p.,  nella  parte in cui tali norme non prevedono che, ai
 fini dell'emissione del decreto, l'imputato residente  o  domiciliato
 all'estero  debba  essere invitato, in sede di interpello ex art. 169
 c.p.p., a nominare un difensore nel territorio dello  Stato  italiano
 e,  ove  cio' non avvenga, che sia nominato un difensore d'ufficio il
 cui nominativo  debba  essere  comunicato  all'imputato  prima  della
 notifica del decreto penale di condanna;
      3)  il  terzo  profilo  attiene alla pratica impossibilita', per
 l'imputato in  discorso,  di  proporre  personalmente  l'opposizione,
 giacche',  non  richiamando  l'art.  461  c.p.p.  la disciplina delle
 impugnazioni, non sarebbe consentita la proposizione dell'opposizione
 nelle forme di cui all'art. 583 c.p.p., a mezzo del servizio postale.
    A  conclusivo  sostegno  delle  argomentazioni  sulle   questioni,
 proposte  "in via gradata e alternativa", il giudice a quo rileva che
 il procedimento monitorio non e' consentito in sede civile  allorche'
 la  notificazione  all'intimato  debba  avvenire fuori del territorio
 della Repubblica (art. 633, ultimo comma, c.p.c.); il che rafforza le
 perplessita' formulate riguardo al procedimento per decreto penale.
    E'  intervenuto  in  giudizio  il  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, che ha concluso
 per l'infondatezza di tutte e tre le questioni sollevate, osservando:
       a) in  ordine  al  termine  di  quindici  giorni  per  proporre
 opposizione,  che  tale  termine  appare  congruo anche se l'imputato
 risiede o dimora all'estero, potendo  l'opposizione  essere  proposta
 anche dal difensore, a tal fine nominato (art. 461, comma 1, c.p.p.),
 il  quale  potra'  assicurare  adeguata difesa tecnica; e che in ogni
 caso all'imputato che non abbia proposto opposizione e' accordato  il
 rimedio della restituzione in termini ex art. 462 c.p.p.;
       b)   in  ordine  alla  denunciata  mancanza  di  un  preventivo
 interpello ai fini della nomina  di  difensore  di  fiducia  e  -  in
 difetto   -  di  una  preventiva  comunicazione  del  nominativo  del
 difensore di ufficio, che le formalita'  di  cui  il  giudice  a  quo
 richiede   l'addizione  nella  dinamica  del  procedimento  monitorio
 snaturerebbero la speditezza del rito speciale,  creando  un  anomalo
 procedimento sui generis; in ogni caso, rileva l'Avvocatura, per tale
 profilo  la  questione  risulta simile a quella gia' affrontata dalla
 Corte costituzionale con le sentenze nn. 344 del 1991 e 346 del 1992;
       c) in ordine al modo di trasmissione dell'atto di impugnazione,
 infine, che, contrariamente a quanto  ritenuto  dal  giudice  a  quo,
 l'opposizione al decreto penale rappresenta una forma di impugnazione
 -  sia pure con peculiarita' sue proprie - cosicche' non v'e' ragione
 di non applicare  le  regole  generali  dettate  negli  artt.  568  e
 seguenti  del  c.p.p.  e,  tra  esse, appunto la norma che prevede la
 spedizione dell'atto a mezzo del servizio postale.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Sono  state  sollevate, in riferimento all'art. 24, secondo
 comma, della Costituzione, questioni di  legittimita'  costituzionale
 degli  articoli: a) 459 c.p.p. nella parte in cui, tenuto conto della
 (ritenuta) brevita' del termine di quindici giorni per apprestare  da
 parte dell'imputato la propria difesa, non prevede tra i requisiti di
 ammissibilita'  dell'adozione  del  decreto penale di condanna quello
 della  residenza  o  del  domicilio   effettivi   dell'imputato   nel
 territorio  dello  Stato  italiano;  b)  169, comma 1, 459, 460 e 461
 c.p.p. (in combinato disposto), nella parte in  cui  tali  norme  non
 prevedono  che  l'imputato  residente  o  domiciliato all'estero - in
 luogo   conosciuto   -   debba   essere   invitato,   contestualmente
 all'interpello  di  cui  all'art. 169, comma 1, c.p.p., a nominare un
 difensore nel territorio dello Stato italiano, nonche' nella parte in
 cui, in mancanza di detta nomina,  non  prevedono  la  nomina  di  un
 difensore  d'ufficio  il  cui  nominativo  debba essere comunicato al
 residente all'estero, prima della  notifica  del  decreto  penale  di
 condanna;  c)  461,  comma 2, c.p.p., nella parte in cui non consente
 all'imputato  residente  o   domiciliato   all'estero   di   proporre
 opposizione  con  le forme di cui all'art. 583 dello stesso codice (a
 mezzo del servizio postale).
    2. - Le questioni non sono fondate.
    Anche se,  dal  modo  con  cui  le  questioni  stesse  sono  state
 prospettate,  appare  evidente  che  lo scopo principale cui tende il
 giudice rimettente - pur ponendo in discussione anche gli artt.  169,
 comma  1, 460 e 461 c.p.p., in quanto ritenuti inidonei ad assicurare
 la difesa dell'imputato, residente o dimorante all'estero, avverso il
 decreto penale di condanna - e' la  dichiarazione  di  illegittimita'
 costituzionale  dell'art.  459 c.p.p., nella parte in cui non prevede
 tra i requisiti di ammissibilita' per l'adozione del  decreto  quello
 della   residenza   o   del  domicilio  effettivi  dell'imputato  nel
 territorio dello Stato italiano, tuttavia  per  un'esigenza  d'ordine
 logico e' opportuno muovere dall'esame dell'art. 169, comma 1, c.p.p.
    Questo  articolo,  nel disciplinare le modalita' per effettuare le
 notificazioni all'imputato all'estero,  stabilisce  che,  se  risulta
 dagli  atti  notizia  precisa  del  luogo  di  residenza  o di dimora
 all'estero della persona nei cui confronti si  deve  procedere,  come
 nel  caso  interessato  dal giudizio a quo, "il giudice o il pubblico
 ministero le invia raccomandata con avviso di ricevimento, contenente
 l'indicazione della autorita' che procede, il titolo del reato  e  la
 data  e  il  luogo  in  cui  e'  stato  commesso  nonche'  l'invito a
 dichiarare o eleggere  domicilio  nel  territorio  dello  Stato".  Lo
 stesso  articolo  stabilisce  altresi'  che "se nel termine di trenta
 giorni dalla ricezione della raccomandata  non  viene  effettuata  la
 dichiarazione  o  l'elezione  di  domicilio  ovvero  se  la stessa e'
 insufficiente o risulta  inidonea,  le  notificazioni  sono  eseguite
 mediante consegna al difensore".
    Da  quanto  precede,  tenuto  anche conto della collocazione della
 norma teste' richiamata, risulta che essa disciplina in via  generale
 le  modalita'  delle notificazioni all'imputato all'estero, modalita'
 che devono percio'  applicarsi  indipendentemente  dall'adozione  del
 rito   attraverso   il   quale   si  perviene  alla  conclusione  del
 procedimento.
    Questo  significa  che  le  notificazioni  degli  atti processuali
 all'imputato all'estero, qualunque sia il rito  cui  si  riferiscano,
 devono  essere  effettuate  con l'osservanza delle modalita' previste
 dall'art. 169 c.p.p. E' percio' con l'osservanza di dette  modalita',
 in  mancanza  di  una  norma  che  espressamente  deroghi ad esse nel
 procedimento per decreto, che  deve  effettuarsi  la  notifica  dello
 stesso decreto penale, il che implica che le formalita' prescritte da
 detto  articolo per l'imputato all'estero, qualunque sia l'organo che
 deve effettuarle, devono precedere la  stessa  adozione  del  decreto
 penale di condanna - quando si intenda procedere con tale rito - onde
 consentire  la  notificazione  di esso secondo quanto previsto in via
 generale.
    3. - Chiariti nei sensi anzidetti  il  significato  e  la  portata
 dell'art.  169  c.p.p.,  vengono  meno  i  dubbi di costituzionalita'
 espressi  relativamente  agli  articoli  dello  stesso   codice   che
 disciplinano specificamente il procedimento per decreto. Difatti, una
 volta  stabilito che all'adozione del decreto penale nei confronti di
 un imputato residente o dimorante all'estero non possa pervenirsi  se
 non  previo  l'esperimento  delle  formalita'  indicate dall'art. 169
 c.p.p.,  la  notifica  del  decreto  penale  dovra'  effettuarsi  nel
 domicilio  eletto  o dichiarato nel territorio dello Stato ovvero, in
 mancanza di tale elezione o dichiarazione o di loro  insufficienza  o
 inidoneita',  mediante  consegna al difensore di fiducia, se nominato
 dall'imputato a seguito della raccomandata inviatagli per  l'elezione
 del domicilio, o, in mancanza, al difensore di ufficio. Relativamente
 a  quest'ultima  formalita'  non  osta la circostanza che, come anche
 precisato da questa Corte (sent. n. 344 e ord. n. 346 del 1992),  non
 sia   previsto   che  l'adozione  del  decreto  penale  debba  essere
 accompagnata dalla nomina del difensore d'ufficio,  ove  non  risulti
 gia'  nominato  quello di fiducia. Se questo vale in via generale per
 la disciplina propria del procedimento  per  decreto,  per  quel  che
 riguarda  l'ipotesi dell'imputato residente o dimorante all'estero il
 problema, come valutato e risolto dalle richiamate decisioni nn.  344
 e  346  del  1992,  deve  essere  affrontato  tenendosi  conto  della
 specialita' della disciplina dettata dall'art.  169  c.p.p.  ai  fini
 delle  notificazioni, indipendentemente dal rito mediante il quale si
 procede.
    Orbene, alla stregua dell'art.  169  cit.,  se,  a  seguito  della
 raccomandata  speditagli  alla  residenza  o  alla dimora all'estero,
 l'imputato dichiari o elegga domicilio in Italia, le notifiche  degli
 atti del processo debbono essergli ivi eseguite, onde il problema non
 si  pone  in  termini  diversi  da quello che accade per gli imputati
 residenti nel territorio italiano  e,  quindi,  perdono  rilievo  gli
 inconvenienti  addotti  dal giudice rimettente. Se invece l'imputato,
 in luogo della dichiarazione o elezione del domicilio nel  territorio
 italiano,  si  limita  a nominare un difensore di fiducia, il decreto
 penale deve essere notificato a mani di questo, ai sensi  dell'ultima
 parte  del  primo  comma  dell'art.  169  cit.  E poiche', come si e'
 rilevato, le formalita' prescritte da questo articolo  devono  essere
 comunque  osservate,  ai  fini  delle  notificazioni all'imputato che
 risieda o dimori all'estero, allorche' questi  abbia  lasciato  senza
 (idonea) risposta l'interpello formulato ai sensi di tale articolo (e
 non   abbia   neppure  nominato  un  difensore  di  fiducia),  dovra'
 procedersi alla nomina del difensore di  ufficio  cui  effettuare  la
 notifica  degli  atti  processuali in genere, ivi compreso il decreto
 penale, perche' questa formalita' e' richiesta, come si e' detto, non
 dalla disciplina del procedimento per decreto (sent. n. 344 e ord. n.
 346 del 1992 cit.), bensi' dalla disciplina per le  notificazioni  da
 eseguirsi in via generale all'imputato all'estero.
    La  notifica  nelle  mani  del  difensore di fiducia o di ufficio,
 qualora da detto imputato non sia stato dichiarato o eletto domicilio
 in Italia, appare idonea ad assicurare il diritto di  difesa,  tenuto
 conto  del  fatto che l'imputato ha puntuale notizia del procedimento
 (attraverso l'interpello  ex  art.  169  c.p.p.)  e  che  fruisce  di
 adeguato  termine  -  di  trenta  giorni  -  per  assumere le proprie
 determinazioni in  ordine  all'utilita'  di  indicare  uno  specifico
 recapito  degli  atti  del  procedimento stesso; vengono quindi meno,
 anche sotto questo profilo, i dubbi di costituzionalita' prospettati.
    4. - Per quel  che  riguarda,  infine,  la  censura  espressamente
 rivolta  all'art.  461,  comma  2,  c.p.p.,  nella  parte  in cui non
 consentirebbe all'imputato  residente  o  domiciliato  all'estero  di
 proporre  opposizione  al decreto penale a mezzo di servizio postale,
 il  problema  e'  superato  dalla  giurisprudenza  della  Cassazione.
 Questa,  muovendo, in conformita' di precedente giurisprudenza, dalla
 assimilazione  della  opposizione  a  decreto  penale  ai  mezzi   di
 impugnazione,  ha  ritenuto  che l'art. 461, comma 1, c.p.p., secondo
 cui  l'opposizione   al   decreto   penale   si   propone   "mediante
 dichiarazione  ricevuta  nella cancelleria", non e' incompatibile con
 la norma contenuta nel successivo art. 583 il quale prevede,  in  via
 generale,   che   l'impugnazione   puo'   essere  proposta  "mediante
 telegramma, ovvero con atto da trasmettersi a mezzo di raccomandata".
    Secondo  l'indicata  giurisprudenza  risulta  percio'   assicurata
 all'imputato residente o dimorante all'estero, che riceva notizia del
 decreto  notificatogli  con  l'osservanza  delle  formalita' previste
 dall'art.  169,  comma  1,  c.p.p.,  la  possibilita'   di   proporre
 direttamente  opposizione  a  mezzo  posta  senza  bisogno  di  dover
 rientrare  in  Italia  per  recarsi  personalmente  presso  l'ufficio
 giudiziario,  il  che  induce  a  disattendere  anche  il  dubbio  di
 costituzionalita' per ultimo  preso  in  esame,  essendo  assicurato,
 anche sotto questo profilo, il diritto di difesa invocato dal giudice
 rimettente.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondate  le questioni di legittimita' costituzionale
 degli artt. 169, comma 1, 459, 460 e  461  del  codice  di  procedura
 penale,  sollevate,  in riferimento all'art. 24, secondo comma, della
 Costituzione, dal giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  la
 Pretura di Massa con l'ordinanza indicata in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 23 aprile 1993.
                        Il Presidente: CASAVOLA
                       Il redattore: CAIANIELLO
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 7 maggio 1993.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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