N. 228 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 febbraio 1993
N. 228 Ordinanza emessa il 17 febbraio 1993 dalla Corte di cassazione sui ricorsi riuniti avverso ordinanze di conferma di sequestro probatorio di documenti, proposti da Pastore Cosimo Mafia - Provvedimenti di contrasto alla criminalita' mafiosa - Possesso ingiustificato di beni di valore sproporzionato alla attivita' svolta o ai redditi dichiarati - Configurazione di tale condotta come reato proprio richiedendosi per il soggetto attivo la qualifica di indagato per determinati reati o di soggetto nei cui confronti si procede per l'applicazione di una misura di prevenzione - Prospettata violazione del diritto di proprieta' e del principio della presunzione di innocenza in considerazione della non definitivita' delle suddette qualifiche - Lamentata disparita' di trattamento, con incidenza sul diritto di difesa, fra gli indagati di tale reato, che non possono avvalersi della facolta' di non rispondere (essendo obbligati a fornire la giustificazione del possesso dei beni) e gli indagati per altri reati. (Legge 7 agosto 1992, n. 356, art. 12-quinquies, secondo comma, modificato dal d.l. 21 gennaio 1993, n. 14). (Cost., artt. 3, 24, secondo comma, 27, secondo comma, e 42, secondo comma).(GU n.21 del 19-5-1993 )
LA CORTE DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sulla eccezione di costituzionalita' proposta dal procuratore generale presso questa Corte, condivisa dalla difesa dell'indagato, in ordine all'art. 12-quinquies del d.l. n. 306/1992, convertito con modificazioni dalla legge n. 356/1992, come modificato dall'art. 5 del d.l. 21 gennaio 1993, n. 14, sui ricorsi riuniti proposti da Pastore Cosimo avverso le ordinanze in data 11 e 20 novembre 1992 del tribunale di Taranto, sez. riesame, che hanno confermato rispettivamente il decreto di sequestro probatorio dei documenti bancari descritti in atti per un valore di oltre un miliardo emesso dal p.m. presso il tribunale di Taranto in data 23 ottobre 1992 a fronte del reato di usura e il decreto di sequestro prventivo del g.i.p. presso lo stesso tribunale concernente gli stessi beni con riferimento al reato di ingiustificato possesso di valori di cui all'art. 12-quinquies, seconco comma, cit.; F A T T O Contro le infrascritte ordinanze confermative dei decreti di sequestro probatorio e preventivo sui beni meglio descritti in atti, emessi rispettivamente dal p.m. e dal g.i.p. presso il tribunale di Taranto in sede di indagini nei confronti del Pastore per i reati di usura e di possesso ingiustirficato di valori, costui proponeva distinti ricorsi contestando in particolare, a prescindere dalle questioni non rilevanti in questa sede, con riferimento al sequestro probatorio disposto dal p.m. (confermato tempestivamente in sede di riesame, essendo il decimo giorno festivo), che i beni sequestrati, quali dossiers, certificati di deposito e quant'altro, potessero considerarsi corpo del reato, come ritenuto dal tribunale, essendo esclusa "l'esistenza di un rapporto di immediatezza tra la cosa e l'illecito penale ..", dovendo i lauti, documentati guadagni ascriversi alla sua attivita' agraria. D'altra parte, con riferimento al sequestro preventivo rilevava che a suo carico non "pendeva alcun procedimento penale", o imputazione, secondo quanto espresso dall'art. 5 del d.l. 20 novembre 1992, n. 450 (oggi reiterato dal d.l. n. 14/1993), che aveva interpolato, prima del deposito dell'ordinanza impugnata (23 novembre 1992), l'art. 12-quinquies, secondo comma, della legge n. 356/1992. D I R I T T O Sul presupposto dell'ammissibilita' del sequestro preventivo (art. 321, secondo comma, del c.p.p.) disposto su talini beni (documentazione bancaria relativa a una disponibilitga' di fondi per oltre un miliardo di lire) del Pastore, indagato del reato di cui all'art. 12-quinquies del d.l. n. 306/1992, convertito con modificazioni dalla legge n. 356/1992, come modificato dall'art. 5 del d.l. 21 gennaio 1993, n. 14, nonche' del reato di usura, che aveva giustificato il sequestro probatorio sugli stessi beni, legittimando pertanto la disposta riunione dei procedimenti, il procuratore generale ha sollevato eccezione di costituzionalita' della norma richiamata. Essa prevede la confisca dei beni di colore nei cui confronti penda procedimento penale per particolari reati, fra cui l'usura, e non giustifichino la legittima provenienza del patrimonio che risulti di valore sproporzionato al reddito dichiarato ai fini delle imposte sul reddito o all'attivita' economica. La norma urterebbe ad avviso del p.g. contro il principio di ragionevolezza sotteso all'art. 3 della Costituzione in considerazione della qualita' transitoria e neutra dello status di indagato o di soggetto "nei cui confronti pende procedimento penale"; contrasterebbe inoltre con il principio costituzionale posto a garanzia del diritto di proprieita' dall'art. 42, secondo comma; introdurrebbe infine, violando i principi della Carta di cui agli articoli 24, secondo comma, e 27, secondo comma, l'inversione dell'onere della prova che verrebbe trasferito dal titolare dell'accusa, e dal giudice che la deve avvalorare, a colui che, avendo assunto la qualita' di indagato/sottoposto a procedimento (e non di condannato) per altro reato, viene onerato della prova della non colpevolezza. Cosi' riassunti i termini dell'eccezione, cui s'e' associata la difesa dell'indagato, ritiene la Corte rilevanti e non manifestamente infondate le questioni sollevate, che in una certa misura richiamano la questione anche di recente trattata dalla Corte costituzionale a proposito dell'art. 708 del c.p. (sentenza n. 464 del 19 novembre 1992, in Gazzetta Ufficiale 25 novembre 1992, n. 49). Cio' posto ritiene anzitutto questa Corte che la sostituzione delle parole originarie "sono svolte indagini" con le parole "pende procedimento penale" offerta dall'art. 5 del d.l. cit. non abbia immutato nella sostanza, al di la' dell'intenzione del legislatore, lo status del soggetto attivo mediante una maggiore precisazione della caratterizzazione processuale dell'autore del reato, in quanto l'attuale formula non consente di identificare questo soggetto in colui che assume la qualita' di imputato, in considerazione della specificita' giuridica di questo nomen iuris: articoli 60 e 405 del c.p.p. Ne' puo' contribuire a sciogliere il dilemma l'impianto codicistico che distingue i procedimenti dal giudizio, posto che anche le indagini preliminari realizzano un procedimento (art. 328, comma 1-bis, del c.p.p.). Cio' premesso la questione e' comunque rilevante in quanto questa Corte deve valutare la legittimita' dei provvedimenti cautelari emessi in funzione di indagini e nel corso di procedimenti penali, sia pure in senso lato, che concernono il reato di usura e di possesso ingiustificativo di valori (che dal primo trae alimento secondo il precetto in esame). Dall'altra parte l'eccezione d'incostituzionalita' non e' manifestamente infondata. Merita ricordare che di tanto ne erano ben consapevoli i Ministri pro-tempore dell'interno e di grazia e giustizia, che pure avevano introdotto il reato come emendamento in fase di legge di conversione: Senato della Repubblica, Assemblea - resoconto stenografico della seduta pomeridiana 23 luglio 1992: "Certo in quest'ultimo caso dobbiamo convenire che si realizza un ribaltamento di uno dei principi generali in materia di prove, dal momento che e' lo stesso soggetto a dovere dimostrare la provenienza e la natura lecita delle sue sostanze per non incorrere in sanzioni penali" (Mancino); "So bene che si agisce qui su un terreno difficile e delicato per i poteri conferiti alle pubbliche autorita' di incidere sui diritti e sui beni della persona, prima ancora che rigorosi accertamenti probatori si siano compiuti in sede giudiziaria; .." (Martelli). Il reato di cui all'art. 12-quinquies si materializza dunque in capo ai soggetti nei cui confronti pende procedimento penale (era indagato) per taluni particolari delitti (o si procede per l'applicazione di una misura di sicurezza personale). Potendo essere commesso esclusivamente da chi riveste una particolare qualita' o status, esso consiste in un "reato proprio". Peraltro, pur essendo, la qualita' specifica necessariamente destinata ad evolversi nel procedimento la norma incriminatrice prescinde totalmente dall'instabilita' processuale in itinere che caratterizza l'elemento soggettivo del reato, confliggendo apertamente con il principio di ragionevolezza e logicita' garantito dall'art. 3 della Costituzione a fronte dei diversi esiti processuali (assoluzione/condanna) del reato sorgente. Il che evidenzia una situazione soggettiva in capo al reo priva di connotazioni degne di rilevanza penale (a differenza di quanto succede con l'art. 708 del c.p.), che tuttavia assurgono a elemento costitutivo della fattispecie criminosa, discriminando pertanto questi da colui che, seppure titolare di ricchezze sproporzionate, non incappa in un procedimento penale. D'altra parte, proprio perche' la norma non esige la condanna per i reati presupposti, che sottenderebbero delittuosi trasferimenti di ricchezze, ma unicamente la sottoposizione a siffatti procedimenti, la mancata giustificazione della legittima accumulazione patrimoniale comporta che la condanna per il reato di cui all'art. 12-quinquies derivi non gia' dall'impulso dell'ufficio nella ricerca delle prove, bensi' da un comportamento che la Costituzione garantisce a ogni imputato, attraverso il riconoscimento del diritto di difesa (art. 24, secondo comma) e della presunzione di non colplevolezza (art. 27, secondo comma). Infatti essendo punito se non giustifica la legittima provenienza dei beni, il prevenuto e' obbligato, a fronte della ritenuta sproporzione dei beni, ad attivarsi per dimostrare la propria innocenza, contraddicendo il legittimo suo diritto di non rispondere e di non collaborare, dovendo l'accusa essere suffragata da chi l'allega. Quanto infine al sospetto di non conformita' della norma al principio costituzionale che tutela la proprieta' e' appena il caso di osservare, aderendo anche per questa parte alle tesi del p.g., che la materialita' del fatto criminoso consiste nella sproporzione fra le disponibilita' economiche del sottoposto a procedimento penale e il reddito dichiarato ai fini fiscali o all'attivita' economica, prescindendo assolutamente dai filtri di accertamento della concentrazione criminale della ricchezza costituiti ad esempio da indizi (v. art. 2-ter, secondo comma, della legge n. 575/1965) o, comunque, dall'attivo intervento e riscontro giudiziario (v. infatti la legge n. 646/1982). In altre parole nel caso in esame il reato si configura in base alla ritenuta sproporzione (che e' oltretutto dato non obiettivo, ma elastico e quindi ulteriore fonte di ingiustificate ineguaglianze) fra reddito e patrimonio, prescindendo da qualsiasi collegamento immediato con un'attivita' delinquenziale giudiziariamente accertata. Il che contrasta con i principi dettati a tutela della proprieta', i cui limiti non hanno alcun riferimento alle sue dimensioni quanti- tative.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12-quinquies, secondo comma, della legge n. 356/1992, come modificato dal d.l. 21 gennaio 1993, n. 14, in relazione agli articoli 3, 24, secondo comma, 27, secondo comma, e 42, secondo comma, della Costituzione; Sospende il procedimento e dispone che a cura della cancelleria gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale e che l'ordinanza sia notificata alla parte e al p.m. nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Roma, camera di consiglio del 17 febbraio 1993. Il presidente: CARULLO Il consigliere est.: (firma illeggibile) Depositato in cancelleria il 12 marzo 1993. Il collaboratore di cancelleria: (firma illeggibile) 93C0513