N. 240 SENTENZA 3 - 13 maggio 1993
Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale. Lavoro (contratto di) - Aziende che occupano fino a trentacinque dipendenti - Disciplina limitativa del potere di recesso - Applicabilita' - Esclusione - Discriminazione in danno dei lavoratori licenziabili ad nutum - Richiamo alla sentenza della Corte n. 2/1986 - Non irragionevolezza dell'esercizio del potere discrezionale del legislatore in materia - Avvenuto mutamento della disciplina legislativa dei licenziamenti - Fattispecie gia' esaminata - Non fondatezza. (Legge 15 luglio 1966, n. 604, art. 11). (Cost., artt. 3, primo e secondo comma, e 35, primo comma).(GU n.21 del 19-5-1993 )
LA CORTE COSTITUZIONALE composta dai signori: Presidente: prof. Francesco Paolo CASAVOLA; Giudici: dott. Francesco GRECO, prof. Gabriele PESCATORE, avv. Ugo SPAGNOLI, prof. Antonio BALDASSARRE, prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv. Mauro FERRI, prof. Luigi MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof. Fernando SANTOSUOSSO;
ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), promosso con ordinanza emessa il 25 maggio 1992 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Pedrielli Tiziano e MacDue s.r.l., iscritta al n. 510 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1992; Visto l'atto di costituzione di Pedrielli Tiziano; Udito nell'udienza pubblica del 20 aprile 1993 il Giudice relatore Francesco Greco. Ritenuto in fatto 1. - Il Pretore di Bologna, con ordinanza del 14 aprile 1990, nel corso del procedimento civile promosso da Pedrielli Tiziano nei confronti della societa' MacDue s.r.l. avente ad oggetto la declaratoria di nullita' del licenziamento intimatogli dalla convenuta, siccome illegittimo, ed il risarcimento dei danni, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge 15 luglio 1966, n. 604, nella parte in cui ne esclude l'applicazione ai datori di lavoro che occupano fino a trentacinque dipendenti. La Corte, con ordinanza n. 575 del 1990, ha restituito gli atti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza della questione, alla stregua della sopravvenuta disciplina dei licenziamenti individuali dettata dalla legge n. 108 del 1990. Il giudice a quo ha ritenuto, invece, tuttora rilevante la questione sollevata sull'assunto della non applicabilita' dello jus superveniens a licenziamenti intimati, come nella specie, anteriormente all'entrata in vigore delle nuove norme non avendo esse efficacia retroattiva. E, pertanto, con ordinanza del 25 maggio 1992, ha di nuovo investito la Corte dell'esame della questione. In particolare, il giudice a quo ha ravvisato nella norma impugnata la violazione: a) dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, sia sotto il profilo della disparita' di trattamento tra i lavoratori tutelati contro eventuali licenziamenti illegittimi e quelli che non lo sono in funzione di un elemento accidentale quale l'entita' dimensionale dell'impresa datrice di lavoro, sia sotto il profilo della pari dignita' sociale dei cittadini; b) dell'art. 3, secondo comma, della Costituzione, in quanto frapporrebbe ostacoli di ordine economico-sociale che, limitando di fatto la liberta' dei lavoratori privati di qualsiasi tutela contro licenziamenti ingiustificati, impedirebbero il pieno sviluppo della loro personalita' e la loro partecipazione all'attivita' politica o, quanto meno, sindacale del Paese; c) l'art. 35, primo comma, della Costituzione, che dispone che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. 2. - L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, e' stata altresi' pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. 2.1. - Nel giudizio davanti alla Corte si e' costituito il lavoratore che ha concluso per la declaratoria di illegittimita' costituzionale della norma impugnata, all'uopo svolgendo argomenti sostanzialmente sovrapponibili a quelli esposti dal giudice a quo con l'ordinanza di remissione. Considerato in diritto 1. - La Corte e' chiamata a esaminare se l'art. 11 della legge 15 luglio 1966, nella parte in cui esclude l'applicabilita' della legge stessa, e, quindi, dell'ivi prevista disciplina limitativa del potere di recesso, nei confronti dei datori di lavoro che occupano fino a trentacinque dipendenti, violi: a) l'art. 3, primo comma, della Costituzione, per la discriminazione che tale esclusione comporta in danno dei lavoratori licenziabili ad nutum rispetto a quanti fruiscono di un regime di stabilita', in relazione ad un elemento del tutto accidentale, quale e' la dimensione dell'organizzazione facente capo al datore di lavoro, irrilevante per la stabilita' obbligatoria; b) l'art. 3, secondo comma, della Costituzione, poiche' la mancanza di una sia pur minima sicurezza di continuita' del rapporto di lavoro si risolve in una remora al libero sviluppo della personalita' dei lavoratori ed alla loro partecipazione alla vita politica e sindacale del Paese; c) l'art. 35, primo comma, della Costituzione, perche' il difetto di tutela che l'esclusione comporta in danno dei menzionati lavoratori non e' compatibile con la necessita', imposta dal precetto sovraordinato, di assicurare la tutela medesima indipendentemente dalle forme e dalle applicazioni in cui la vita lavorativa si svolge. 2. - La questione non e' fondata. L'esclusione della tutela obbligatoria, non accordata dall'art. 11 della legge 15 luglio 1966, n. 604, ai lavoratori occupati presso datori di lavoro con un numero di dipendenti inferiore a trentacinque, ha gia' formato oggetto di esame da parte di questa Corte (sent. n. 2 del 1986). Nella suddetta sentenza sono state elencate le ragioni che rendono non irragionevole l'esercizio del potere discrezionale che il legislatore ha in materia e si e' formulato l'auspicio che potesse essere adottata una disciplina legislativa diversa per effetto di una politica sociale differente ed anche in aderenza alle indicazioni e ai principi vigenti in sede internazionale. Cio' e' avvenuto con la legge n. 108 del 1990 che il giudice a quo ha ritenuto di non poter applicare nella fattispecie perche' non innovativa e carente di efficacia retroattiva. Le ragioni addotte nella ordinanza di remissione sono sostanzialmente identiche a quelle a suo tempo poste a sostegno delle ordinanze dei giudici remittenti gia' esaminate e che sono state con- siderate non sufficienti a ritenere la fondatezza della questione. In tale situazione, anche in considerazione dell'avvenuto mutamento della disciplina legislativa dei licenziamenti, trattandosi di una fattispecie della stessa epoca delle altre che hanno costituito oggetto delle ordinanze gia' esaminate e non essendo stati dedotti motivi diversi, validi a fondare una differente decisione, la questione deve essere dichiarata infondata.
PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE Dichiara non fondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, sollevata dal Pretore di Bologna con l'ordinanza in epigrafe. Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 maggio 1993. Il Presidente: CASAVOLA Il redattore: GRECO Il cancelliere: DI PAOLA Depositata in cancelleria il 13 maggio 1993. Il direttore della cancelleria: DI PAOLA 93C0523