N. 236 ORDINANZA (Atto di promovimento) 26 febbraio 1993

                                N. 236
 Ordinanza  emessa  il  26  febbraio 1993 dal tribunale amministrativo
 regionale della Lombardia, sezione distaccata di Brescia, sul ricorso
 proposto da Alfani Luciano ed altri  contro  Ministero  di  grazia  e
 giustizia
 Impiego pubblico - Trattamento economico dei pubblici dipendenti -
    Previsione con norma qualificata interpretativa che, dalla data di
    entrata   in  vigore  (11  luglio  1992)  del  d.l.  n.  333/1992
    (convertito  in  legge  n.  359/1992),  non  possono  essere  piu'
    adottati provvedimenti di allineamento stipendiali - Irragionevole
    e  ingiustificata  abrogazione ex tunc di un istituto riconosciuto
    dalla giurisprudenza di generale applicazione, con  incidenza  sui
    principi  della salvaguardia dei diritti acquisiti, della certezza
    del diritto, della tutela  giurisdizionale  dei  diritti  e  degli
    interessi  legittimi  nonche' dei principi di imparzialita' e buon
    andamento della p.a.
 (D.L. 19 settembre 1992, n. 284, art. 7, settimo comma, convertito
    in legge 14 novembre 1992, n. 438).
 (Cost., artt. 3, 97 e 113).
(GU n.22 del 26-5-1993 )
                 IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunziato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  317/1992
 proposto  da Luciano Alfani, Maria Vittora Azzolini, Simonetta Bruno,
 Tommaso Buonanno, Manuela Cantu', Paola Carosella,  Domenico  Chiaro,
 Biagio  Roberto  Cimini,  Mario Conte, Galileo D'Agostino, Valeria De
 Risi, Anna Lucia Faneli, Enrico  Fischetti,  Massimo  Gaballo,  Elena
 Giuppi,   Patrizia   Ingrasci',   Maria   Vittoria  Isella,  Giuseppe
 Locatelli, Marino Marongiu,  Vittorio  Masia,  Silvia  Milesi,  Carlo
 Masini,   Battista   Palestra,  Giancarlo  Pesce,  Giovanni  Petillo,
 Carmelina Pugliese, Nicola  Restivo,  Romano  Gargarella  Giuseppe  e
 Mauro  Mocci,  tutti  rappresentanti  e  difesi  dall'avv.  Francesco
 Fugazzola come da mandato in calce al ricorso, con  domicilio  presso
 la segreteria del t.a.r. ex art. 35 del r.d. n. 1054 del 1924, contro
 il  Ministero  di  grazia  e  giustizia, in persona del Ministro pro-
 tempore, rappresentato e difeso  dall'avvocatura  distrettuale  dello
 Stato  di  Brescia,  domiciliataria per legge, per l'accertamento del
 diritto   dei   ricorrenti,   magistrati   dell'ordine   giudiziario,
 all'allineamento  stipendiale sulla posizione retributiva del collega
 Antonio Francesco Esposito ex art.  4,  terzo  comma,  del  d.l.  27
 settembre  1982,  n.  681 convertito nella legge 20 novembre 1982, n.
 869;
    Visto il ricorso, notificato e depositato presso la segreteria con
 i relativi allegati;
    Visto l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'amministrazione
 intimata;
    Viste le memorie prodotte;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Uditi  alla  pubblica  udienza  del  26 febbraio 1993 (relatore il
 consigliere Lorenzo Stevanato) l'avv. Fugazzola per  i  ricorrenti  e
 l'avv.   dello   Stato   De   Bellis  per  l'amministrazione  statale
 resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    I  ricorrenti,  magistrati   dell'ordine   giudiziario,   invocano
 l'applicazione   del   c.d.  "allineamento  stipendiale",  introdotto
 dall'art. 4, terzo comma, del d.l. n. 681  del  1982  convertito  in
 legge  n.  869  del 1982, confermato per il personale di magistratura
 dall'art. 1 della legge 8 agosto 1991, n. 265.
    Espongono di avere tutti un'anzianita'  di  carriera  superiore  o
 uguale a quella del loro collega Antonio Francesco Esposito il quale,
 nominato   uditore  giudiziario  nel  1989,  ha  conservato  il  piu'
 favorevole trattamento economico maturato nella  precedente  carriera
 di referendario parlamentare presso il Senato della Repubblica.
    Chiedono pertanto che sia riconosciuto il loro diritto a percepire
 lo  stesso  trattamento retributivo dell'anzidetto magistrato, con la
 condanna  dell'amministrazione  alla  corresponsione  delle  relative
 differenze retributive con interessi e rivalutazione monetaria.
    Deducono  a  sostegno del ricorso che l'istituto dell'allineamento
 stipendiale, rimedio di carattere generale del pubblico impiego volto
 ad evitare  situazioni  di  squilibrio  retributivo,  e'  conforme  a
 principi   costituzionali   ed   a  norme  riconosciute  dal  diritto
 internazionale, secondo cui a parita' di funzione deve  corrispondere
 lo stesso trattamento economico.
    Nella   memoria   12  febbraio  1993  e  nell'odierna  udienza  di
 discussione  il  difensore  dei  ricorrenti  ha  poi  osservato   che
 l'abrogazione  dell'allineamento  stipendiale,  recata  dall'art.  2,
 quarto comma, del d.l. 11 luglio  1992,  n.  333,  convertito  nella
 legge  8 agosto 1992, n. 359, e la relativa interpretazione autentica
 di cui all'art. 7 del d.l. 18 settembre  1992,  n.  384,  convertito
 nella  legge  14 novembre 1992, n. 438, non incide sulla legge n. 265
 del 1991, che disciplina  specificamente  l'allineamento  stipendiale
 del   personale   di   magistratura.   Comunque   si  tratterebbe  di
 disposizioni prive di efficacia retroattiva: questo anche per  l'art.
 7  del  d.l.  n.  384  del  1992,  la  cui natura di interpretazione
 autentica sarebbe solo apparente, avendo contenuto innovativo.
    Una  diversa  impostazione,  ad  avviso  degli  interessati,   non
 potrebbe   non   ingenerare   sospetti   di  incostituzionalita'  per
 violazione  degli  artt.  3  e  97  della  Costituzione,  in   quanto
 emergerebbe  lo  sviamento e l'irragionevolezza dello strumento usato
 per eludere il principio di irretroattivita'.
    L'amministrazione statale intimata, costituitasi in  giudizio,  ha
 controdedotto  puntualmente instando per la reiezione del ricorso: in
 particolare ha osservato che l'istituto dell'allineamento stipendiale
 e'  stato  soppresso  retroattivamente   dalle   disposizioni   sopra
 menzionate e che esso comunque non sarebbe stato applicabile al caso,
 poiche'  il  dott. Esposito non proviene da una carriera dirigenziale
 dello Stato o equiparata, come prescritto dall'art. 1,  primo  comma,
 della legge n. 265 del 1991.
                             D I R I T T O
    1.  -  Nel  far  valere la pretesa all'allineamento stipendiale, i
 magistrati  ricorrenti  premettono  di  avere   tutti   un'anzianita'
 maggiore  o  uguale  a quella del collega Antonio Francesco Esposito:
 tale  circostanza  e'  pacifica,   non   essendo   stata   contestata
 dall'amministrazione resistente.
    Il  presupposto  dell'allineamento  si sarebbe realizzato nel 1989
 allorche' il dott. Antonio Francesco  Esposito  fu  nominato  uditore
 giudiziario  conservando  il  piu'  favorevole  trattamento economico
 maturato  nella  precedente  carriera  di  referendario  parlamentare
 presso il Senato della Repubblica.
    2.   -   Occorre   premettere   che  l'istituto  dell'allineamento
 stipendiale e' stato introdotto dall'art. 4, terzo comma,  del  d.l.
 27  settembre  1982, n. 681, convertito in legge 20 novembre 1982, n.
 869, per il personale militare con norma  del  seguente  tenore:  "al
 personale  con  stipendio inferiore a quello spettante al collega con
 pari o minore anzianita' di servizio, ma promosso successivamente  e'
 attribuito lo stipendio di quest'ultimo".
    La   giurisprudenza   formatasi  successivamente  ha  riconosciuto
 nell'anzidetta disposizione  un  principio  o  rimedio  di  carattere
 generale,   idoneo   ad   evitare   un'ingiustificata  disparita'  di
 trattamento derivante dalla conservazione di trattamenti  retributivi
 personalizzati:  all'allineamento  consegue  infatti  il riequilibrio
 della retribuzione degli appartenenti al medesimo ruolo, in  possesso
 della  medesima anzianita' (cfr. Cons. St. sez. VI, 26 marzo 1990, n.
 410; Corte conti, sez. contr. Stato, 13  luglio  1984,  n.  1472;  28
 settembre  1984,  n. 1479; 3 febbraio 1985, n. 1518; 3 febbraio 1989,
 n. 2093; 16 luglio 1992, n. 67; T.r.g.a. Trentino-A.A., sez.  Trento,
 12  giugno  1989, n. 174, e 3 settembre 1992, n. 321; t.a.r. Sicilia,
 sez. Catania 27 agosto 1990, n. 640; t.a.r. Lazio, sez. I, 24  maggio
 1991,  n.  739, e 11 febbraio 1992, n. 138; t.a.r. Puglia, sez. Lecce
 13 aprile 1989, n. 315).
    3.  -  Tale  principio,  variamente  inteso  ed  applicato   dalla
 giurisprudenza  che ne ha via via definito gli specifici presupposti,
 e' stato infine confermato, ma anche delimitato, per il personale  di
 magistratura  dalla  legge  8  agosto 1991, n. 265. Nella fattispecie
 all'esame rilevano il primo ed  il  terzo  comma:  il  primo  esclude
 l'allineamento   per  trattamenti  economici  conseguiti  in  settori
 diversi dalle carriere dirigenziali  dello  Stato  o  equiparate;  il
 secondo  esclude  nel  caso  di  accesso  alla  magistratura mediante
 concorso di primo grado  la  valutazione  di  trattamenti  che  nella
 precedente  carriera  erano  stati  a  loro  volta acquisiti mediante
 allineamento.
    Nessuna di queste limitazioni riguarda tuttavia il caso all'esame:
 a) non la prima, poiche' la carriera di  referendario  al  Senato  e'
 equiparata  a  quella  dirigenziale dello Stato (cfr. Cons. St., sez.
 IV, 26 febbraio 1985, n. 64) tant'e' che altrimenti non sarebbe stato
 applicato l'art. 202 del  d.P.R.  10  gennaio  1957,  n.  3,  per  il
 mantenimento  al  dott.  Esposito del superiore trattamento economico
 nel passaggio di carriera; b) non  la  seconda,  poiche'  il  miglior
 trattamento  retributivo  conservato dal dott. Esposito non deriva da
 un allineamento stipendiale nella precedente  carriera,  ma  soltanto
 dalla maggiore entita' del relativo stipendio, come e' pacifico.
    In  ogni  caso,  il  presupposto  da  cui sorgerebbe il diritto al
 preteso allineamento stipendiale si e' verificato prima  dell'entrata
 in vigore della legge n. 265 del 1991 e questa non e' retroattiva.
    L'Avvocatura   dello  Stato  sostiene  di  contro  che  la  natura
 interpretativa  farebbe  propendere   per   l'efficacia   retroattiva
 dell'art.  1 della legge n. 265 del 1991. Ora, sembra al Collegio che
 in realta' tale normativa  abbia  soltanto  circoscritto  e  limitato
 l'istituto,  implicitamente  riconoscendone  la portata generale e la
 derivazione dalla fonte costituita  dall'art.  4,  terzo  comma,  del
 d.l.  27  settembre  1982,  n.  681, convertito in legge 20 novembre
 1982, n. 869.
    Comunque, il collegio ritiene che le condizioni poste dal primo  e
 dal  terzo  comma  dell'art.  1  della  legge  n.  265 del 1991 siano
 rispettate nella fattispecie.
    Cio' stante, il riconoscimento del diritto  non  troverebbe  alcun
 ostacolo: si confrontino anche le ragioni chiare e convincenti formu-
 late nella sentenza del T.r.g.a. del Trentino-A.A., sez. di Trento, 3
 settembre  1992,  n.  321,  la  cui impostazione appare perfettamente
 condivisibile.
    Ne' avrebbe rilevanza l'art. 2, quarto comma, del d.l. 11  luglio
 1992,  n.  333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, emanato
 nelle more del giudizio, che a decorrere dalla sua entrata in  vigore
 ha   abrogato  le  disposizioni  sull'allineamento,  tra  cui  quella
 contenuta nell'art. 4 del d.l. n. 681/1982, convertito  nella  legge
 869/1982.  L'abrogazione  vale  infatti  soltanto per il futuro e non
 elimina i diritti sorti nel passato in virtu' delle norme abrogate.
    4.  -  Questa  soluzione  lineare  e'  pero' preclusa dall'art. 7,
 settimo comma, del d.l. 19 settembre 1992, n. 284, convertito  nella
 legge  14 novembre 1992, n. 438, che recita: "L'art. 2, quarto comma,
 del d.l. 11 luglio 1992,  n.  333,  convertito,  con  modificazioni,
 dalla  legge  8  agosto  1992,  n. 359, va interpretato nel senso che
 dalla data di  entrata  in  vigore  del  predetto  decreto-legge  non
 possono   essere   piu'   adottati   provvedimenti   di  allineamento
 stipendiale, ancorche' avente effetti anteriori all'11 luglio 1992".
    Di questa disposizione possono darsi due possibili interpretazioni
 e precisamente:
      1)  che  e'  stato   espunto   dall'ordinamento,   con   effetto
 retroattivo, il diritto all'allineamento stipendiale;
      2)  che  e'  stato  vietato  all'amministrazione di procedere ad
 operazioni  di  allineamento  stipendiale   riferite   a   situazioni
 pregresse, pur senza eliminare il relativo diritto gia' maturato.
    Accedendo  all'ipotesi  interpretativa  sub  1), si avrebbe che il
 legislatore ha inteso incidere retroattivamente su  diritti  perfetti
 maturati nell'ambito di un rapporto continuativo non ancora esaurito,
 e   che   tuttavia,  per  non  violare  esplicitamente  il  principio
 dell'affidamento e quello della certezza dei rapporti tra lo Stato ed
 i  cittadini,  e'  ricorso  all'utilizzo  surrettizio  di  una  norma
 interpretativa accessoria.
    Senonche',  il  legislatore interprete e' intervenuto senza che ve
 ne fosse alcun  bisogno:  la  disposizione  interpretata  non  rivela
 alcuna  ambiguita'  o  incertezza di significato, ne' era sorto alcun
 contrasto   interpretativo   giurisprudenziale   (del    resto    non
 ipotizzabile  nel  breve  tempo  intercorso), anzi si puo' senz'altro
 dire che l'uso della tipica funzione  dell'interpretazione  autentica
 e' sviato dal fine istituzionale.
    L'ipotesi  interpretativa  sub 2) evidenzia il ricorso surrettizio
 ad una  legge-provvedimento  che  anch'essa  esorbita  dalla  propria
 funzione  tipica.  A  prescindere  dall'inadeguatezza  della  tecnica
 legislativa  adoperata,  la  portata  precettiva  ed   il   carattere
 strumentale  della  norma rivelano l'intima incoerenza e lo sviamento
 della funzione legislativa: il legislatore non si e'  spinto  fino  a
 dichiarare che l'intento della legge e' quello di abrogare ex tunc un
 diritto  gia'  riconosciuto,  ma  nondimeno  lo  ha  svuotato del suo
 contenuto e comunque della possibilita' di realizzarlo.
    In  tal  modo,  pero',  e'  stata  introdotta   una   disposizione
 legislativa   che  vieta  all'amministrazione  comportamenti  o  atti
 contrari al diritto sostanziale e tali da compulsare anche le pretese
 azionate in sede giurisdizionale, come nella presente fattispecie  in
 cui  il  ricorso  e' stato proposto prima dell'emanazione della norma
 abrogativa.
    In altri termini, il legislatore senza  porsi  alcun  problema  di
 diritto  sostanziale ordina all'amministrazione di non applicare piu'
 l'allineamento stipendiale.
    5.  -  In  entrambi  i  significati,  il  collegio  dubita   della
 costituzionalita'  di  tale  disposizione,  che si palesa illogica ed
 irragionevole e, quindi,  in  contrasto  col  postulato  fondamentale
 recato dall'art. 3 della Costituzione.
    Il  dato  dal quale occorre muovere per impostare correttamente la
 questione e' costituito dalla individuazione della ratio della norma.
 L'intento  e'  quello  -  evidente  -  di  bloccare  ogni   ulteriore
 applicazione  dell'istituto  dell'allineamento stipendiale fondato su
 norme gia' abrogate, e  per  far  questo  il  legislatore  ha  voluto
 incidere  retroattivamente  eliminando,  ex  tunc, ogni effetto delle
 norme abrogate.
    La  disposizione,  come   si   e'   detto,   e'   formulata   come
 un'interpretazione  autentica.  In  realta',  se  cosi' fosse, la sua
 retroattivita' dovrebbe arrestarsi al momento dell'entrata in  vigore
 della   disposizione   interpretativa:  di  fatto  si  e'  introdotta
 un'innovazione consistente  nell'estensione  della  decorrenza  della
 legge interpretativa (cfr. Corte costituzionale 3 marzo 1988, n. 233;
 31 luglio 1990, n. 380).
    La  finalita'  perseguita  dalla  legge "interpretata" era (ed e')
 quella  di  contenere  la  spesa  pubblica  riferita  ai  trattamenti
 stipendiali   del   pubblico   impiego:   finalita'  che  non  appare
 irragionevole o comunque sindacabile nella presente congiuntura della
 finanza pubblica.
    Cio' che appare invece irragionevole e' l'interpretazione additiva
 successivamente   introdotta:   l'irretroattivita'   costituisce   un
 principio  dell'ordinamento  e  la  sua  deroga  si  pone  come fatto
 eccezionale da utilizzare solo in presenza  di  una  effettiva  causa
 giustificatrice, prevalente sui rapporti preteriti e sul principio di
 affidamento (cfr. Corte costituzionale 4 aprile 1990, n. 155).
    Qui   invece   sono   stati   lesi   vari  principi  di  rilevanza
 costituzionale, come quello dell'affidamento, della  trasparenza  nei
 rapporti  tra  Stato e cittadino, della certezza dei diritti maturati
 per i quali gli interessati coltivavano legittime aspettative,  della
 correttezza della funzione giurisdizionale chiamata ad accertare tali
 diritti,   paralizzata   anch'essa   nel   suo   lineare  svolgimento
 dall'intervento retrospettivo  del  legislatore,  nella  finzione  di
 un'inutile interpretazione autentica.
    La  norma  retroattiva  produce  inoltre un'ingiusta disparita' di
 trattamento applicandosi a rapporti sorti precedentemente  ed  ancora
 pendenti  (cfr.  Corte  costituzionale  28  gennaio  1993, n. 39): la
 disparita' si verifica tra coloro  che,  alla  stregua  del  medesimo
 presupposto,  avevano  gia'  ottenuto l'applicazione amministrativa o
 una sentenza favorevole passata in giudicato  (rapporti  esauriti)  e
 tutti gli altri (rapporti non ancora esauriti).
    Il  collegio  si  rende  conto dell'esigenza finanziaria sottesa a
 tale disposizione, ma la discrezionalita' legislativa  poteva  essere
 esercitata in modo meno criticabile: l'eliminazione dell'istituto era
 gia'  stata  raggiunta per il futuro; per il passato la necessita' di
 non espandere la  spesa  pubblica  avrebbe  potuto  giustificare  una
 temporanea  sospensione  dell'applicazione  dell'istituto, oppure una
 graduazione dell'entita' delle relative corresponsioni retributive.
    L'abrogazione delle disposizioni  che  prevedono  automatismi  che
 influenzano   il  trattamento  economico  e'  bensi'  prevista  anche
 dall'art. 2, lett. o) della legge-delega  23  ottobre  1992,  n.  421
 (recante  la  c.d.  privatizzazione  del pubblico impiego), ma previa
 sostituzione con disposizioni di accordi contrattuali che valorizzino
 la produttivita' individuale e collettiva.  Tale  criterio  e'  stato
 attuato  con l'art. 72, secondo comma, del d.P.R. 3 febbraio 1993, n.
 29,  che  sposta   tale   effetto   abrogativo   al   momento   della
 sottoscrizione dei prossimi contratti collettivi.
    Si   evidenzia   quindi  una  sostanziale  contraddittorieta'  del
 legislatore nell'emanazione di disposizioni  analoghe  e  ravvicinate
 nel tempo.
    Oltretutto,   la   particolarita'  del  rapporto  di  impiego  dei
 magistrati (cfr. art. 2, lett.  e),  della  legge-delega  23  ottobre
 1992,  n. 421, e art. 2, quarto comma, del d.P.R. 3 febbraio 1993, n.
 29) potrebbe  anche  giustificare  il  mantenimento  del  particolare
 istituto  secondo  la  disciplina,  peraltro non espressamente ancora
 abrogata, della legge n. 265 del 1991.
    Comunque, se l'abrogazione delle norme concernenti  l'allineamento
 stipendiale  e'  avvenuta  a  decorrere dall'11 luglio 1992 il blocco
 dell'allineamento  riferito  a  situazioni  pregresse  non   ha   una
 giustificazione giuridica.
    Esclusa   la  materia  penale  la  Costituzione  non  vieta  leggi
 retroattive ma esse devono  corrispondere  al  generale  criterio  di
 ragionevolezza  e non deve violare gli altri principi costituzionali:
 condizioni  queste  che,  per  le  anzidette  ragioni,  non  sembrano
 rispettare.
    6.  -  Sotto  gli  anzidetti  profili  e'  quindi  ravvisabile  la
 violazione  dei  principi  di  eguaglianza,  di  ragionevolezza,   di
 imparzialita'  e  di  buon  andamento dell'amministrazione nonche' di
 pienezza della tutela giurisdizionale: principi recati dagli artt. 3,
 97 e 113 della Costituzione.
                               P. Q. M.
    Ritiene rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 costituzionalita'  dell'art. 7, settimo comma, del d.l. 19 settembre
 1992, n. 284, convertito nella legge 14 novembre 1992, n. 438;
    Sospende quindi il giudizio  ed  ordina  l'immediata  trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone  che,  a  cura della segreteria, la presente ordinanza sia
 notificata alle parti in causa ed al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri  e  sia  comunicata  ai  Presidenti  delle  due  Camere  del
 Parlamento.
    Cosi' deciso in Brescia il 26 febbraio 1993.
                      Il presidente f.f.: ZUBALLI
    Il consigliere, relatore: STEVANATO
                                            Il referendario: BURICELLI
    Depositata in segreteria il 31 marzo 1993.
                  Il segretario: (firma illeggibile)

 93C0533