N. 247 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 gennaio 1993
N. 247 Ordinanza emessa il 29 gennaio 1993 dal tribunale per i minorenni di Trento nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilita' di minore in stato di abbandono Adozione - Dichiarazione dello stato di adottabilita' - Procedura - Figlio legittimo di madre che ha dichiarato di non voler essere nominata nell'atto di nascita per evitare al proprio figlio l'inserimento in una famiglia inidonea alla sua educazione - Obbligo per il tribunale di effettuare, con ogni mezzo, la ricerca della paternita' anche contro la volonta' della madre - Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ai figli naturali, per i quali, a parita' di contenuto dell'atto di nascita (recante la dichiarazione che la donna non intende essere nominata) la ricerca della paternita' non e' obbligatoria - Lamentato contrasto con i principi che impongono al legislatore di garantire la riservatezza della donna al fine di tutelare la vita e la maternita'. (Legge 4 maggio 1983, n. 184, art. 10). (Cost., artt. 2, 3 e 31).(GU n.23 del 2-6-1993 )
IL TRIBUNALE PER I MINORENNI Ha emesso la seguente ordinanza nel procedimento n. 15/1992 Rsmsa. E' necessaria una sintetica descrizione della fattispecie concreta posta all'esame del tribunale per illustrare le ragioni che inducono a chiedere l'intervento della Corte costituzionale. Il tribunale e' stato informato dai servizi sociali locali della nascita di un bambino non riconosciuto da nessuno dei genitori. Nell'atto di nascita, formato dall'ufficiale di stato civile su denuncia dell'ostetrica che ha assistito al parto, il bambino e' stato indicato come figlio di donna che non intende essere nominata. Ricevuta la segnalazione, il presidente del tribunale ha delegato i servizi sociali a comunicare alla madre le facolta' spettanti ai sensi dell'art. 11 della legge 4 maggio 1983, n. 184. L'assistente sociale incaricata ha comunicato che la madre non intendeva ne' riconoscere il figlio, ne' chiedere la sospensione del procedimento. Nel riferire tale volonta' l'assistente sociale ha anche comunicato di aver appreso dalla puerpera che il bambino e' figlio del marito della donna; al padre e' stata tenuta nascosta la gravidanza e la nascita del figlio; lo stesso e' tossicodipendente e si trova in carcere; altri figli avuti in precedenza non vivono con i genitori a causa di problemi familiari; la decisione di non rinconoscere il nascituro era maturata in lei durante la gravidanza: in un primo tempo essa aveva pensato di interrompere la gestazione ma era invece fuggita dall'ospedale poco prima dell'operazione abortiva. Il tribunale ha dichiarato lo stato di adottabilita' e, decorsi i termini per eventuali opposizioni, puo' dichiarare farsi luogo ad affidamento preadottivo non essendo intervenuto alcun riconoscimento nel frattempo. Si e', tuttavia, astenuto dal deliberare in quanto una tale pronuncia renderebbe definitivamente inefficace un eventuale tardivo riconoscimento. Il caso prospettato pone in evidenza un contrasto tra la condizione giuridica e la condizione storica del minore. Il bambino e' infatti da considerare, per l'ordinamento, quale figlio naturale non riconosciuto, poiche' tale si presenta in base all'atto di nascita. Nella realta' storico-fattuale, invece, il neonato e' figlio legittimo. I due genitori legittimi pero' sono affatto sconosciuti al tribunale. Il contrasto tra le due realta' e' consentito dall'ordinamento giuridico, per il valore attribuito all'atto di nascita quale atto attributivo dello stato di figlio legittimo e per la liceita' del comportamento della madre la quale ha espresso la volonta' di non essere nominata nell'atto di nascita. Il contrasto non si esaurisce in ambito privatistico ma si riflette direttamente sull'attivita' che il tribunale deve svolgere nel momento in cui inizia il procedimento di adozione e sul contenuto della decisione da prendersi. Nel disciplinare la procedura per la dichiarazione dello stato di adottabilita' la legge n. 184/1983 distingue due ipotesi. In caso di filiazione naturale l'art. 11 prevede che il tribunale, in ogni caso, anche a mezzo dei servizi locali, informi entrambi i presunti genitori, se possibile, o comunque quello reperibile, che si possono avvalere della facolta' di chiedere la sospensione del procedimento per provvedere al riconoscimento. Tale norma pone dei limiti alla ricerca della paternita', nella misura del "possibile", da intendersi quale materiale possibilita' di individuazione del padre. Dalla formulazione della norma si deduce che l'interesse del padre naturale non e' in ogni caso tutelato, poiche' incontra il limite di cui si e' detto: il tribunale non e' tenuto ad effettuare particolari ricerche per individuare il padre e contestare lo stato di abbandono. Analoga previsione legislativa non vi e' nel caso di figlio nato in costanza di matrimonio da persona coniugata: in tal caso e', invero, sempre possibile risalire al padre legittimo. L'art. 10, infatti, prescrive "approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore, sull'ambiente in cui ha vissuto e vive, al fine di verificare se sussiste lo stato di abbandono". In forza di tale norma, il tribunale e' tenuto - direttamente o tramite i servizi sociali o l'ufficiale di Stato civile - ad accertare la condizione giuridica del minore e quindi accertare lo stato di figlio legittimo non allo scopo di costituire lo status ma contestare al padre legittimo (oltre che alla madre) lo stato di abbandono, effettuando altresi' la ricerca dei parenti entro il quarto grado che possano assistere il minore, per l'attivazione della procedura prevista dall'art. 12 della stessa legge. Il sistema delineato dagli artt. 10, 11 e 12 della legge sulle adozioni si presenta coerente con la normativa civilistica in tema di filiazione legittima (artt. 231 e 232 cod. civ.) e naturale (artt. 250, 254 e 258 del cod. civ.). Nell'interpretare e nell'applicare la normativa sulle adozioni occorre tener presente la rilevanza attribuita dall'ordinamento all'atto di nascita quale titolo costitutivo dello stato di figlio legittimo. Autorevole dottrina, che trova il consenso della giurisprudenza della Corte di cassazione in materia civile e in materia penale, ritiene l'atto di nascita elemento costitutivo della legittimita' del figlio e conseguentemente afferma che la formazione dell'atto di nascita realizza un'ipotesi di pubblicita' costitutiva. L'adesione a tale tesi non comporta tuttavia che in presenza di un atto di nascita che indichi il figlio come nato da donna che non vuole essere nominata venga preclusa ogni ulteriore indagine al tribunale investito della procedura per l'adozione. Nell'ipotesi in esame, sulla scorta delle notizie fornite dai servizi sociali, il tribunale, dovrebbe effettuare ricerche dirette risalendo alla madre attraverso il certificato di assistenza al parto e gli atti attinenti il ricovero in ospedale della puerpera ed individuare il padre mediante il certificato di matrimonio della donna. Potrebbe, in alternativa, trasmettere copia delle informazioni dei servizi sociali all'ufficiale di stato civile perche' egli pervenga all'individuazione dei genitori nello stesso modo. Sulla base dell'art. 73 della legge sullo stato civile al bambino verra' conseguentemente attribuito lo stato di figlio legittimo e cio' comportera' l'instaurazione della procedura prevista dagli artt. 12 e ss. della legge n. 184/1983. Si deve, quindi, necessariamente osservare che alla madre che abbia concepito fuori dal matrimonio e' consentito tacere il nome del padre del bambino, ed un'eventuale ricerca di quest'ultimo, da attuarsi ai fini dell'art. 11 della legge adoz. e percio' solo "se possibile" (sesto comma, art. cit.), incontra il limite della volonta' della donna. Quando invece risulta, da qualsiasi fonte, che la nascita avviene da donna coniugata ed all'interno del rapporto matrimoniale, alla donna non e' in alcun modo possibile impedire l'individuazione del padre, in quanto l'art. 10 della legge sulle adozioni impone al tribunale "approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore". Il sistema normativo non si presenta tuttavia omogeneo. Un primo elemento di contraddizione si evidenzia tra la disposizione dell'art. 10 della legge sulle adozioni e la facolta' riconosciuta alla madre di non voler essere nominata nell'atto di nascita, con la conseguente rilevanza attribuita all'atto dello stato civile. Il secondo elemento di contrasto con l'omogeneita' del sistema e' costituito dal diritto potestativo della donna di interrompere la gravidanza se maggiorenne, senza richiedere l'assenso o il consenso di altre persone, nemmeno del padre del nascituro e se minorenne con i limiti di assenso indicati nell'art. 12 della legge n. 184 del 22 maggio 1978. La facolta' della madre biologica di non essere nominata nell'atto di nascita del figlio e il citato potere di interrompere la gravidanza senza richiedere l'assenso o il consenso del padre del nascituro indicano che l'ordinamento attribuisce rilevanza alla esclusiva volonta' della donna per decisioni di importanza comuni del padre o della madre. Tale volonta' esclude il padre, attuale o futuro da decisioni rilevanti per il suo stesso status di padre. La fattispecie all'esame del tribunale contiene in se questo paradosso: la donna avrebbe potuto abortire - ed era sulla soglia per farlo - senza dover neppure informare il padre. Avrebbe potuto, in caso di filiazione naturale, dichiarare di non voler essere nominata (e l'ufficiale di stato civile avrebbe incontrato il divieto di identificazione del padre naturale) senza dover chiedere l'assenso al padre naturale. La conoscenza informale del reale stato di filiazione del minore impone, invece, al tribunale di superare la volonta' della madre e risalire al padre. Dagli elementi di fatto in possesso del tribunale si puo' evincere che il comportamento della madre e' stato dettato dalla necessita' di evitare al proprio figlio l'inserimento in una famiglia del tutto inidonea ad una sua corretta educazione. Non motivi egoistici hanno indotto la madre a non riconoscere il figlio ma, e' da ritenersi, la consapevolezza che il figlio gia' si trovava nel momento stesso della nascita in una situazione di abbandono morale e materiale. Di fronte a tale evenienza la donna si e' indotta a far ugualmente nascere il figlio, lasciando alla pubblica assistenza il compito di provvedere alle sue necessita'; e' da valutare in tale prospettiva il volontario allontanamento dall'ospedale al momento di effettuare l'intervento abortivo. Di fronte ad un bene di importanza suprema quale la vita la donna ha un potere non comprimibile ne' sindacabile, nei limiti della legge n. 184/1978; di fronte ad un interesse sicuramente di rango costituzionale quale l'inserimento in una famiglia legittima ma sottordinato rispetto al bene dell'esistenza non vi e' alcun potere per la donna di valutare l'interesse del figlio attraverso il diniego ad essere nominata nell'atto di nascita. La contraddizione, ad avviso del tribunale va rimossa attraverso la dichiarazione di incostituzionalita' dell'art. 10, legge n. 184/1983 nella parte in cui ai fini della dichiarazione dello stato di abbandono impone al tribunale, con qualsiasi mezzo, l'individuazione della donna, che non intende essere nominata nell'atto di nascita e conseguentemente l'individuazione del marito di lei. La norma appare in contrasto con l'art. 3 della Carta fondamentale che sancisce l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge senza distinzione di condizioni personali e sociali. A parita' di contenuto dell'atto di stato civile indicante che il neonato e' figlio di donna che non vuole essere nominata viene infatti realizzata una non razionale disparita' di trattamento tra i figli naturali per i quali la ricerca della paternita' incontra i limiti contenuti nell'art. 11 legge sulle adozioni e i figli cui spetterebbe lo status di figlio legittimo in forza degli artt. 231 e 232 del cod. civ. Per questi ultimi, infatti, la ricerca della paternita' e' sempre possibile, indipendentemente dalla volonta' della madre. La norma si pone in contrasto anche con le disposizioni dell'art. 31, secondo comma, della Costituzione e dell'art. 2 della Costituzione. La tutela della vita e della maternita' impongono, invero, al legislatore ordinario la tutela della riservatezza della donna. L'intervento dei pubblici poteri e' da attuare solo se comporta una piu' intensa protezione dell'infanzia: quando invece si risolve, nel caso concreto, in un pregiudizio per il minore e in una lesione del diritto alla riservatezza e' da evitarsi. (In tal senso Corte costituzionale ordinanza n. 388 del 31 marzo 1988).
P. Q. M. Visto l'art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87; Solleva d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 31 della Costituzione, nella parte in cui sussistendo una dichiarazione della madre che non vuole essere nominata nell'atto di nascita del proprio figlio nato da unione legittima impone al tribunale per i minorenni l'accertamento delle condizioni giuridiche del minore; Sospende la procedura di affidamento preadottivo del procedimento n. 15/1992 Rsmsa e ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata al pubblico ministero, nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri ed altresi' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Trento il 29 gennaio 1993 Il presidente: IANNETTI Il giudice estensore: ROSSATO Il collaboratore di cancelleria: VENTURA 93C0553