N. 16 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 28 maggio 1993
N. 16 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 28 maggio 1993 (della Corte dei conti) Corte dei conti - Sottrazione dell'ENEL, ENI, IRI e INA al controllo della Corte dei conti previsto dall'art. 100, secondo comma, della Costituzione, effettuato sia mediante l'esclusione dei magistrati della Corte dei conti dalle sedute degli organi di amministrazione e di revisione, sia mediante l'omesso invio dei documenti richiesti dalla sezione di controllo della gestione finanziaria degli enti - Mancato riconoscimento, da parte del Governo, del persistente obbligo di sottoporre a controllo della Corte dei conti gli enti trasformati in societa' per azioni - Ritenuta legittimazione della Corte dei conti quale espressione della "funzione di controllo" a sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (sentenze della Corte costituzionale nn. 226/1976 e 406/1989) - Asserita menomazione di una competenza costituzionalmente garantita. Mancanza di fondamento legislativo del comportamento omissivo del Governo, non essendo riconducibile al d.l. n. 333/1992 (ed, in particolare, all'art. 20) la sottrazione dell'ENEL, IRI, ENI e INA al controllo della Corte dei conti e non essendo sufficiente motivo la trasformazione di detti enti in societa' per azioni, trattandosi di societa' a prevalente partecipazione statale. (Note del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 agosto 1992 e del Ministro del tesoro del 15 settembre 1992). (Cost., art. 100, secondo comma).(GU n.24 del 9-6-1993 )
Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato della Corte dei conti, in persona del presidente pro-tempore dott. Giuseppe Carbone - in forza dei poteri conferitigli con la determinazione n. 45/1992 del 15-16 dicembre 1992 della Corte dei conti, sezione del controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria (doc. n. 1) -, rappresentato e difeso dal prof. avv. Giorgio Oppo e dal prof. avv. Alessandro Pace, elettivamente domiciliato presso lo studio di quest'ultimo, in Roma, piazza delle Muse n. 8, come da mandato in calce al presente atto contro il governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore on. prof. Giuliano Amato, nonche' del Ministro del tesoro pro-tempore, prof. Piero Barucci, del Ministro del bilancio e della programmazione economica pro-tempore prof. Franco Reviglio, del Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato pro-tempore prof. avv. Giuseppe Guarino, e del Ministro delle partecipazioni statali ad interim prof. avv. Giuseppe Guarino, in relazione alla sottrazione dell'Enel, dell'Eni, dell'Iri e dell'Ina al controllo della Corte dei conti previsto dall'art. 100, secondo comma, della Costituzione effettuata sia mediante esclusione dei magistrati della Corte dei conti dalle sedute dei relativi organi di amministrazione e di revisione, sia mediante l'omesso invio dei documenti concernenti la gestione di tali enti, in esecuzione di deliberazioni e/o decisioni governative di cui non si conoscono il testo e la data, ma implicitamente richiamate dalle note del Presidente del consiglio del 10 agosto 1992 e del Ministro del tesoro del 15 settembre 1992 (docc. numeri 8 e 9); al mancato riconoscimento da parte del governo, del persistente obbligo di sottoporre a controllo della Corte dei conti gli enti trasformati in societa' per azioni e, comunque, alla mancata ottemperanza, da parte di esso, dell'obbligo di adottare i provvedimenti necessari al ripristino di tale controllo, come dichiarato dalla Corte dei conti, sezione del controllo, con determinazione n. 29/1992 del 22 settembre/3 ottobre 1992; F A T T O Si riportano le "premesse in fatto" della determinazione n. 45/1992 della Corte dei conti: 1. - Per disposto dell'art. 100, comma secondo della Costituzione la Corte dei conti partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del controllo eseguito: "In attuazione della norma costituzionale e' stata emanata la legge 21 marzo 1958, n. 259, che, ai fini dell'esercizio del controllo della Corte dei conti, "istituisce una speciale sezione in seno alla Corte stessa" (art. 9). "La legge ordina il controllo in diversi modi, a seconda che l'ente sia destinatario di contribuzioni continuative periodiche, in- dicate con l'art. 2, ovvero fruisca di 'apporto al patrimonio' o di garanzia finanziaria dello Stato, di cui e' previsione nell'art. 12". 2. - Il destinatario delle contribuzioni continuative e' genericamente indicato dell'art. 2 in "un ente"; pertanto, secondo incontroversa interpretazione, al controllo disposto dalla norma sono assoggettate figure soggettive pubbliche e private, e in particolare anche societa' per azioni, come in concreto si verifica per la societa' Rai - radiotelevisione italiana, e per le quattro societa' di navigazione di preminente interesse nazionale (Adriatica, Italia, Lloyd Triestino, Tirrenia). Diversamente, l'art. 12 fa testuale menzione degli "enti pubblici". L'individuazione in concreto degli enti assoggettati al controllo ai sensi dell'art. 2 era originariamente effettuata con decreto del Presidente della Repubblica (art. 3 della legge citata); e' ora di competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi della legge 12 gennaio 1991, n. 13. Per gli enti di cui all'art. 12, pur nel silenzio della legge del 1958, e' stata fin dagli inizi seguita la medesima procedura; cosi', ad esempio, l'Iri, l'Eni, l'Ina sono stati assoggettati al controllo in questione con decreti presidenziali dell'11 marzo e del 24 aprile 1961. In casi sporadici l'assoggettamento al controllo e' disposto dalle stesse norme ordinative degli enti, che di regola fanno espresso richiamo della legge n. 259/1958; ad esempio, la legge 6 dicembre 1962, n. 1643, istitutiva dell'Enel ne prescrive il controllo della Corte dei conti con le modalita' previste dalla legge predetta; analoga disposizione e' dettata per l'azienda nazionale di assistenza al volo (d.lgs. 24 marzo 1981, n. 145), l'Ente ferrovie dello Stato (legge 17 maggio 1985, n. 210), l'agenzia spaziale italiana (legge 30 maggio 1988, n. 186), l'Inps e l'Inail (legge 9 marzo 1989, n. 88), l'Istituto per il commercio estero (legge 19 marzo 1989, n. 106), l'Enea (legge 25 agosto 1991, n. 282) e da ultimo l'unioncamere (d.l. 19 novembre 1992, n. 440). Nei confronti degli enti destinatari di contribuzioni continuative il controllo e' esercitato dalla competente sezione sugli atti e i documenti contabili concernenti l'ordinamento e la gestione degli enti stessi, trasmessi dai medesimi e dalle amministrazioni vigilanti (artt. 4, 5 e 6 della legge). "Presso gli enti di cui all'art. 12 il controllo e' esercitato ( ..) da un magistrato della Corte dei conti, nominato dal presidente della Corte stessa, che assiste alle sedute degli organi di amministrazione e di revisione. Piu' propriamente, secondo interpretazione della sezione competente, il magistrato esplica attivita' istruttoria, per il controllo esercitato nella sede collegiale della sezione medesima". 3. - Al momento attuale gli enti assoggettati al controllo, disposto nella prevalenza dei casi ai sensi dell'art. 2 della legge del 1958, assommano a circa 300 unita'. Alcuni, per massima parte soggetti al controllo di cui all'art. 12 della legge stessa, rivestono la qualita' di "ente pubblico economico", espressamente loro attribuita dalle norme istitutive, o dichiarata con decisione giurisprudenziale delle sezioni unite della Corte di cassazione. "In particolare, con riferimento agli enti dei quali direttamente tratta la presente determinazione, al controllo disposto dall'art. 12 sono soggetti l'Iri, l'Eni, l'Ina e l'Enel". 4. - Degli "enti pubblici economici" il d.l. 3 ottobre 1991, n. 309, con soluzione profondamente innovativa, aveva previsto la trasformazione in societa' per azioni. L'innovazione ha formato oggetto di esame nella relazione della Corte dei conti al Parlamento sulla gestione finanziaria dell'Enel per l'esercizio 1990 (determinazione della sezione controlo enti n. 58/1991 del 13 novembre 1991), che ha rimarcato l'esigenza, nella prospettiva dell'accennata riforma, di conservare il controllo della Corte dei conti, svolto a tutela dell'erario sulle gestioni incidenti sulla finanza pubblica, ed essenzialmente preordinato al referto al parlamento, in adempimento dell'art. 100 della Costituzione. Dopo la mancata conversione in legge del precitato decreto la trasformazione degli enti pubblici economici, in figure societarie e' stata prevista dal d.l. 5 dicembre 1991, n. 386, convertito senza modificazioni nella legge 29 gennaio 1992, n. 35, e successivamente integrato dal d.l. 26 maggio 1992, n. 298 (poi decaduto, per mancata conversione in legge). "Sulla complessa disciplina della materia, e sulla sua prima applicazione, la Corte ha riferito al parlamento con determinazione n. 23/1992 del 18 giugno 1992" (doc. 2). 5. - Una radicale riforma del processo di trasformazione in esame e' stata attuata con il d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito con modificazioni nella legge 8 agosto 1992, n. 359. Il decreto, come modificato dalla legge di conversione, dispone la diretta trasformazione in societa' per azioni di quatto enti (Iri, Eni, Ina ed Enel); l'attribuzione al tesoro del loro netto patrimoniale, trasformato in titoli azionari, e l'esercizio dei "diritti dell'azionista" del Ministro del tesoro di intesa con i Ministri del bilancio, dell'industria e delle partecipazioni statali. Il decreto stesso prevede che per gli altri enti pubblici economici il Cipe potra' deliberare la trasformazione in societa' per azioni .. qualunque sia il loro settore di attivita'. In applicazione della norma il Cipe, con deliberazione del 12 agosto 1992, ha disposto la trasformazione in societa' per azioni dell'Ente ferrovie dello Stato, ed ha attribuito i diritti dell'azionista ai Ministri del bilancio, del tesoro e dei trasporti. "In applicazione della citata legge n. 210/1985 l'Ente ferrovie e' assoggettato al controllo della Corte dei conti ai sensi dell'art. 2 della legge n. 259/1958". 6. - Dopo l'emanazione del d.l. n. 333 e' pervenuta alla Corte dei conti la richiesta del Presidente del senato, di elementi informativi sull'esercizio delle attivita' in concessione, da parte delle societa' per azioni succedute agli enti pubblici economici. Al fine di fornire la dovuta risposta e' stata avviata attivita' istruttoria a cura dei magistrati incaricati del controllo presso alcuni enti, tra i quali l'Enel. Il presidente dell'ente stesso ha comunicato alla Corte di avere trasmesso la richiesta al Ministro dell'industria, "per le opportune valutazioni". La richiesta e' rimasta inevasa, come e' stato rilevato nella determinazione di questa sezione n. 29/1992 del 22 settembre 1992 (depositata in segreteria il 3 ottobre successivo) (doc. 3). In attuazione del precitato decreto legge i presidenti dei quattro enti trasformati in figure societarie hanno convocato per i giorni 6 e 7 agosto 1992, mediante annuncio in Gazzetta Ufficiale, le assemblee delle nuove societa', per la deliberazione dello statuto e la nomina dei titolari degli organi sociali. "In data 10 agosto il magistrato incaricato del controllo ha richiesto al presidente dell'Enel i motivi del mancato invito a partecipare alle assemblee della societa'. In risposta, il presidente dell'ente ha comunicato la nota del 15 settembre del Ministro del tesoro, che esprimeva avviso di 'ritenere ormai superata la disposizione del citato art. 12' della legge del 1958, 'in quanto le modalita' di nomina e la composizione degli organi di amministrazioni e di controllo delle societa' ( ..) sono state, per legge, devolute agli statuti societari' e 'lo Stato non ha piu' poteri di autorizzazione e direttive, bensi' i diritti dell'azionista'". 7. - Il presidente della Corte dei conti ha piu' volte rappresentato ai Presidenti delle Camere ed ai presidenti delle Commissioni bilancio del Parlamento, e al Presidente del Consiglio dei Ministri (da ultimo con lett. del 22 e 29 luglio 1992), l'istituzionalita' necessita che sulle nuove societa' per azioni, che "attingono ingenti risorse dal bilancio dello Stato", siano previste forme di controllo cui partecipi la Corte dei conti. "Il Presidente del Consiglio ha dato risposta, con lettera del 10 agosto, nella quale e' affermato che le nuove societa' fuoriescono dal rapporto con lo Stato che fa da presupposto al controllo della Corte.". 8. - In coerente corrispondenza alle accennate dichiarazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro del tesoro, fin dall'emanazione del precitato d.l. n. 333 il controllo di cui all'art. 12 della legge n. 259/1958 non e' stato esercitato, in quanto i magistrati della Corte non sono stati invitati alle sedute degli organi colleggiali delle societa' succedute agli enti pubblici, ne' da queste e' pervenuto alla Corte stessa alcun documento di gestione. Al fine di chiarire in termini certi e incontrovertibili l'atteggiamento del Governo la situazione e' stata presa in esame da parte di questa Sezione, nella precitata adunanza del 22 settembre 1992, conclusa con la deliberazione della determinazione 29/92; la determinazione e' stata inviata ai Presidenti delle Camere del Parlamento, al Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro del tesoro, con comunicazione del 5 ottobre successivo. Con riferimento alle accennate comunicazioni del Ministro del tesoro e del Presidente del Consiglio dei Ministri la determinazione ha formulato i rilievi di seguito richiamati. a) Gli statuti delle societa' non sono atti idonei a disporre sul controllo della Corte dei conti; si tratta, infatti, di materia riservata alla legge, per espresso disposto della norma costituzionale. b) La fuoriuscita delle societa' dal "rapporto con lo Stato" non trova alcun riscontro nella situazione attuale; il rapporto di finanziamento, consistente nell'apporto al patrimonio, non e' affatto cessato, stante la proprieta' statale del patrimonio stesso, e cioe' dei corrispettivi titoli azionari, che sono infatti intestati al Ministero del tesoro; di conseguenza, neppure e' cessato il rapporto di sottordinazione delle societa' all'Amministrazione statale, poiche' i "diritti dell'azionista", e quindi i poteri di organizzazione statutaria e di nomina degli organi di governo e di controllo, sono esercitati dai titolari dei Ministeri designati dalla legge. E' vero che la nuova disciplina legislativa prevede il collocamento dei titoli azionari sul mercato, e quindi la possibilita' della partecipazione privata, e comunque di soggetti diversi dallo Stato, al capitale delle nuove societa', e in questa prospettiva sara' possibile un mutamento del rapporto di queste con lo Stato; ma si tratta di un'ipotesi di futuro avveramento, che non puo' giustificare l'anticipazione al momento attuale delle sue possibili conseguenze. Agli accennati rilievi - prosegue la determinazione stessa - non potrebbe opporsi che il controllo della Corte continua comunque ad essere esercitato sul conto generale del patrimonio dello Stato, nel quale sono iscritte le partecipazioni ai fondi di dotazione ed al capitale degli enti pubblici e delle societa'. Infatti, come risulta dalle decisioni rese dalla Corte dei conti al Parlamento, l'accennato riscontro, effettuato ai sensi del testo unico 12 luglio 1934, n. 1214, assolve alla funzione di primaria importanza della verifica dei dati figuranti nel conto predetto, ma non si svolge, ne' potrebbe svolgersi, nel controllo sulla gestione finanziaria degli enti partecipanti, come prescritto dall'art. 100 della Costituzione. "D'altronde - e' ancora osservato nella determinazione - ove tale controllo fosse praticabile in alternativa a quello successivamente disposto dalla legge 21 marzo 1958, n. 259, di questa stessa legge, emanata in attuazione della norma costituzionale, verrebbe meno la ragione". 9. - Sulla scorta delle richiamate considerazioni la determinazione rilevava che "la riscontrata interruzione del rapporto di controllo della Corte dei conti sulle societa' per azioni succedute agli enti pubblici economici da' luogo ( ..) ad uno stato di fatto contrastante con la legislazione vigente, a sua volta attuativa dell'art. 100 della Costituzione". Pertanto la sezione dichiarava "l'obbligo del governo di adottare i provvedimenti di assoggettamento al controllo della Corte dei conti delle societa' per azioni succedute agli enti pubblici economici". Alla data attuale nessun riscontro e' stato dato dal governo, e persiste il denunciato stato di interruzione del controllo. I fatti finora esposti in narrativa evidenziano l'intervenuta interruzione del controllo nei confronti dei quattro enti trasformati in societa' per azioni. In merito a tale complessiva vicenda la sezione del controllo ha ravvisato: che l'interruzione del controllo e' stata determinata da intenzionale comportamento omissivo del governo; che, per difetto effetto di tale comportamento omissivo, e' stato impedito alla Corte dei conti l'esercizio di una funzione ad essa ascritta dalla Costituzione; che pertanto si profila conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, il quale richiede l'intervento della Corte costituzionale. Conseguentemente, dopo una approfondita disamina dei vari profili giuridico-costituzionali, la sezione ha deliberato, con la citata determinazione n. 45/92, di proporre dinanzi alla Corte costituzionale conflitto di attribuzione nei confronti del governo, in quanto il medesimo ha illegittimamente menomato le attribuzioni costituzionali della Corte dei conti. A tali fini la sezione ha richiesto alla Corte costituzionale: 1) di dichiarare che spetta alla Corte dei conti, nella composizione della Sezione di controllo sugli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, l'esercizio del controllo, previsto dalla legge 21 marzo 1958, n. 259, sulle societa' per azioni succedute agli enti pubblici economici, nei confronti delle quali lo Stato esercita in- fluenza dominante, nei termini esplicati in motivazione; 2) di dichiarare il conseguente obbligo del governo di adottare i necessari provvedimenti. D I R I T T O A. Presupposti soggettivi del conflitto. A1). Identificazione del potere dello Stato: La tesi, prospettata da alcuni dei primi commentatori della nuova Costituzione - secondo la quale i "poteri" dello Stato a cui allude l'art. 134 della Costituzione presupporrebbero il riferimento alle sole funzioni a cui si riferiva la classica tripartizione dottrinale (e cioe' le funzioni legislativa, esecutiva e giudiziaria) - e' stata da tempo superata non solo dalla unanime dottrina, ma anche - e soprattutto - dalla giurisprudenza costituzionale. Codesta eccellentissima Corte, nella concretezza dell'esperienza giuridica, ha infatti individuato funzioni ulteriori rispetto a quelle classiche: la c.d. "funzione presidenziale" di cui e' titolare il Presidente della Repubblica (ord. n. 150/1980, sent. n. 129/1981); la c.d. "funzione parlamentare" (distinta da quella propriamente legislativa) di cui sono titolari gli organi parlamentari che a vario titolo possono impegnare il relativo potere (il senato, la camera, le singole commissione parlamentari d'inchiesta; ord. n. 150/1980, sent. n. 129/1981, sent. n. 13/1975); la c.d. "funzione referendaria", di cui gli elettori firmatari delle richieste referendarie sono i titolari e di cui il Comitato promotore costituisce l'organo di vertice (ord. n. 17/1978, sent. n. 69/1978); la c.d. "funzione di assegnazione delle funzioni giudiziarie e di trasferimento dei giudici", di cui e' titolare il consiglio superiore della magistratura (sent. n. 379/1992). Ha ammesso, infine, che anche codesta eccellentissima Corte costituzionale potrebbe rientrare, "potenzialmente", tra gli "organi legittimati ad essere parti in conflitti di attribuzione fra i poteri dello Stato" (ord. n. 77/1981). Quanto alla "funzione di controllo" ne sono state affermate l'esistenza e la rilevanza costituzionale, implicitamente con la sentenza n. 226/1976, ed esplicitamente con la sentenza n. 406/1989. Da tali decisioni consegue, infatti, convergentemente, che secondo codesta eccellentissima Corte la titolarita' di tale ultima funzione compete alla Corte dei conti "l'unico organo di controllo che, nel nostro ordinamento costituzionale, goda di una diretta garanzia in sede costituzionale": v. Giur. cost. 1976, p. 1828). Ed infatti, ancorche' la funzione di controllo sia dalla Costituzione qualificata come "ausiliaria", e' pero' indiscutibile che tale funzione "e' attribuita direttamente dalla Costituzione ad un dato organo dello Stato al fine di assicurare il piu' corretto, o di agevolare il piu' efficiente, svolgimento delle funzioni di altri organi" (v. Giur. cost. 1989, I, p. 1837). Il rapporto di ausiliarita' non puo', in conseguenza, essere dismesso dall'organo ausiliato (sia esso il governo o il parlamento) appunto perche' e' la Costituzione a imporne l'esistenza. Nella specie, l'art. 100, secondo comma della Costituzione dispone che la Corte dei conti "partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito". Ne consegue che, per disposto costituzionale, l'obbligo della Corte dei conti di effettuare il referto alle Camere (referto che, appunto, costituisce il fine del controllo della Corte dei conti sulla gestione degli enti) puo' bensi' venir meno, ma solo se il legislatore ordinario - nel rispetto della Costituzione e del razionale perseguimento di fini di interesse generale da questa imposti (v., sul punto, il n. 5 della cit. sentenza n. 406/1989) - decida, con un atto formalmente legislativo, di sopprimere, in taluni casi, tale controllo. Sul punto si tornera' infra sub B1, allorche' si discuteranno i profili oggettivi del conflitto. Quanto fin qui illustrato e' tuttavia piu' che sufficiente per affermare che, poiche', nella spe- cie, come si vedra', la soppressione del controllo sulla gestione di tali enti non e' stata disposta dalla legge, ne consegue: a) che nel presente giudizio non viene in discussione la legittimita' costituzionale degli atti legislativi sulla cui base il Governo sta procedendo alla privatizzazione di tali enti, ne' il presente ricorso intende porre minimamente in dubbio la legittimita' della trasformazione di taluni enti pubblici economici in societa' per azioni; b) che l'ordinamento legislativo, nel suo collegamento con l'art. 100, secondo comma della Costituzione, a tutt'oggi prevede che la Corte dei conti debba effettuare il controllo sulla gestione finanziaria dell'Enel, dell'Eni, dell'Iri e dell'Ina e che corrispondentemente il governo ha l'obbligo costituzionale di cooperare attivamente per il miglior svolgimento delle funzioni della Corte dei conti (cfr. gli artt. 4, 5 e 6 della legge n. 259/1958). E' pertanto indubbio che la Corte dei conti sia legittimata a sollevare conflitto, ai sensi dell'art. 134 della Costituzione, contro quegli atti o quei comportamenti di qualsiasi altro organo - ivi compresi gli organi costituzionali ausiliati (cfr. la sent. n. 406/1989, sub n. 2, in Giur. cost. 1989, II. p. 1837) - che si palesino lesivi di siffatte attribuzioni della Corte dei conti. A2. Identificazione dell'organo competente a dichiarare definitivamente la "volonta'" della Corte dei conti. Non e' parimenti dubbio che competente a dichiarare definitivamente la volonta' della Corte dei conti sia, nella specie, la sezione della Corte dei conti che ha deliberato di proporre il presente conflitto di attribuzione nei confronti del governo; e cioe' la "Sezione del controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria". Tale Sezione e' stata infatti appositamente istituita dall'art. 9 della cit. legge n. 259/1958 per l'adempimento degli specifici compiti costituzionalmente assegnati alla Corte dei conti. Ne' e' teoricamente prospettabile che vi siano altri organi della Corte dei conti che avrebbero potuto o potrebbero sostituirsi alla sezione del controllo sugli enti nella determinazione di adire la Corte costituzionale. Del resto, non va obliterato che la "Sezione del controllo sugli enti" sta alla presente fattispecie, come la "Sezione del controllo sugli atti del governo" sta alla fattispecie decisa da codesta eccellentissima Corte con la sentenza n. 406/1989, nella quale (implicitamente) si ritenne che, sotto il profilo formale, il conflitto fosse stato ritualmente proposto dalla Sezione del controllo. B. Presupposti oggettivi del conflitto. B1. Natura "costituzionale" dell'attribuzione della Corte di conti dei cui si lamenta la menomazione. Si e' gia' accennato supra ( sub n. 1A) che il "controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria" e' effettuato dalla Corte "nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge" (art. 100 secondo comma, della Costituzione). Cio' non di meno si puo' tranquillamente affermare la natura costituzionale delle attribuzioni in contestazione. In primo luogo, in favore della natura costituzionale delle attribuzioni, sta la considerazione che la legge n. 259/1958 si autoqualifica espressamente come attuativa "dell'art. 100, secondo comma, della Costituzione, al fine di sottoporre all'esame del Parlamento le gestioni finanziarie degli enti cui lo Stato contribuisce in via ordinaria" (art. 1). In secondo luogo, deve essere sottolineato che, da codesta eccellentissima Corte, la "natura costituzionale" delle attribuzioni e' sempre stata intesa in senso ampio. Il che costituisce la logica conseguenza dell'allargamento dell'oggetto del conflitto dalle contestazioni delle "generali attribuzioni" alle menomazioni delle "specifiche competenze" e, quindi, del passaggio della problematica dei conflitti dalle gestioni attinenti alla "spettanza" del potere a quelle relative all'"esercizio" del medesimo. In altre parole, la giurisprudenza di codesta eccellentissima Corte offre la indiscutibile conferma che l'oggetto del giudizio sul conflitto di attribuzione tra poteri si e' - dal momento in cui e' stato esteso fino a ricomprendere i conflitti "da menomazione" (sent. n. 129/1981; L. Paladin, Diritto costituzionale. Cedam, Padova, 1991, p. 789) - corrispondentemente allargato alla valutazione delle norme di legge ordinaria attributive di competenza. Le attribuzioni costituzionali del tribunale di Torino, cosi' come menomate dalla commissione parlamentare antimafia (sent. n. 231/1975); del Comitato promotore dei referendum, cosi' come menomate dall'ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione (sent. n. 69/1978); del governo, cosi' come menomate da vari Pretori (sent. n. 150/1981, 283/1986); del C.S.M., cosi' come menomate dal Ministro guardasigilli (sent. n. 379/1992) derivavano, infatti, da norme legislative (e non, quindi, formalmente costituzionali), ancorche', in tutti tali casi, si e' prospettato che, in contestazione, venissero "attribuzioni costituzionali". Il che ben puo' essere spiegato anche partendo dalla dottrina che tuttora sostiene la "natura costituzionale del conflitto" (per tutti v. A. Pizzorusso, art. 137, in commentario della Costituzione, Zanichelli- Foro it., Bologna-Roma, 1981, pp. 474 ss.; G. Zagrebelsky, la giustizia costituzionale(Elevato al Quadrato), Il Mulino, Bologna, 1988, p. 374 ss.), posto che tale dottrina si limita a richiedere, per la positiva identificazione del conflitto costituzionale, che sussista "una base costituzionale, sia pure solo una base (poiche' tale definizione non e' chiusa ma si presta a integrazioni e specificazioni)" (in questo senso v. G. Zagrebelsky, op. cit., p. 375; v. anche A. Pizzorusso, op. cit., p. 477; le sottolineature sono nostre). Anche da questa angolatura e' allora di tutta evidenza la natura costituzionale del conflitto in questione, in quanto la base delle attribuzioni costituzionali di cui la ricorrente lamenta la menomazione e' nell'art. 100, secondo comma, della Costituzione, nei confronti del quale la legge n. 259/1958 esplica dichiaratamente una funzione integrativa o specificativa. Alla medesima conclusione si puo' del resto pervenire anche sulla base di un'altra recentissima dottrina. Riprendendo la distinzione tra "ordine di produzione" e "ordine di imputazione", si e' infatti sottolineato - con riferimento al problema che ci occupa - che per aversi "conflitto costituzionale" e' sufficiente la rilevanza costituzionale del solo "momento dell'imputazione" (nel che si risolverebbe l'attribuzione del potere), laddove la concreta competenza attiene all'"ordine della produzione", il quale si risolve nella disciplina degli atti, e cioe' delle "forme" dei "casi" e dei "modi", con riferimento ai quali ben puo' essere disposta dalla Costituzione una riserva di legge (come per l'appunto accade nell'art. 100, secondo comma, della Costituzione) senza che, con cio', venga meno l'attribuzione costituzionale del potere (in questo senso, v. A. Pisaneschi. I conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato. Presupposto e processo, Giuffre', Milano, 1992, pp. 153 ss., 159). B2. Applicabilita' dell'art. 100, secondo comma, della Costituzione anche agli enti a cui lo Stato contribuisce con apporto al patrimonio. Nel caso in esame, l'attribuzione della Corte dei conti menomata dagli atti e dai comportamenti del governo si identifica nel controllo sulla gestione finanziaria dell'Enel, dell'Eni, dell'Ina e dell'Iri, in favore dei quali, com'e' noto, lo Stato tuttora contribuisce con apporto al patrimonio, tant'e' vero che, a seguito della trasformazione di tali enti pubblici in societa' per azioni, le azioni delle societa' sono state attribuite al Ministro del Tesoro (che esercita i "diritti dell'azionista" d'intesa con altri tre Ministri: i Ministri del bilancio, dell'industria e delle partecipazioni statali: v. l'art. 15, terzo comma, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, cosi' come modificato, in sede di convenzione, della legge 8 agosto 1992, n. 359). Potrebbe eccepirsi che la fattispecie non configuri la menomazione di un'attribuzione "costituzionale", posto che l'art. 100, secondo comma, della Costituzione esplicitamente attribuisce alla Corte dei conti il controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria (e, quindi - potrebbe sostenersi - non anche degli enti ai quali lo Stato contribuisce con apporto al patrimonio, come invece previsto dall'art. 12 della legge n. 259/1958). E' tuttavia facile replicare che una distinzione del genere fraintenderebbe il precetto costituzionale anche nel suo rapporto con la legge di attuazione n. 259/1958. Gli strumenti predisposti dall'art. 100 della Costituzione sono tutti finalizzati al controllo della "spesa pubblica" (cfr. la sent. n. 406/1989 sub n. 5). Sotto questo profilo la costituente del patrimonio e il supporto del medesimo sono la piu' "ordinaria" delle contribuzioni, dovendosi la "ordinarieta'" (come bene avverte la relazione Pella alla legge n. 259/1958) intendere in senso funzionale e non temporale; diversamente la legge n. 259/1958 non avrebbe potuto includere (art. 12), "in attuazione dell'art. 100 della Costituzione", le contribuzioni "a patrimonio", le quali sono, peraltro - se ordinarie - ancora piu' rilevanti e gravi delle attribuzioni periodiche o saltuarie (v. in questo senso R. Coltelli, attribuzioni patrimoniali ad enti e contribuzioni statali, in riv. trim. dir. pubbl. 1960, p. 593 ss.). In questo senso si e', del resto, pronunciata anche codesta eccellentissima Corte nella sent. n. 35/1962 resa in sede di conflitto intersoggettivo di attribuzione, che la regione Sicilia aveva sollevato contro lo Stato in relazione al decreto presidenziale di assoggettamento al controllo della Corte dei conti dell'Ente per la riforma fondiaria e agraria in Sicilia (Eras). L'argomento allora addotto dalla regione si compendiava nell'affermazione che una contribuzione statale non continuativa, in ragione della quale era stato disposto il controllo della Corte dei conti ai sensi dell'art. 12 legge n. 259/1958, non rientrerebbe nella nozione di "contribuzione ordinaria", di cui all'art. 100 della Costituzione. Ebbene la cit. sentenza di codesta eccellentissima Corte ha dichiarato, con riferimento alla disciplina della legge n. 259/1958, che "le sovvenzioni al patrimonio in capitale, menzionate dall'art. 12 ( ..) anche se non erogate secondo le modalita' tipiche indicate nell'art. 2 ( ..) non possono non ritenersi comprese nell'ambito dell'art. 100 della Costituzione"; e quindi "giustificano l'intervento da parte dello Stato di un controllo continuo, anche di carattere politico, sulla gestione dei fondi". Il riferimento al "carattere politico" del controllo caratterizza, anzi, la funzione referente della Corte dei conti nei confronti delle Camere del Parlamento, che verra' successivamente considerata (infra sub B5., B6.). B3. La non imputabilita' al legislatore (e, in particolare, all'art. 20 del d.l. n. 333/1992) della sottrazione dell'Enel, dell'Eni, dell'Iri e dell'Ina al controllo della Corte dei conti. La legittimazione passiva del governo, nel presente conflitto, presuppone che il mancato assoggettamento al controllo, da parte della Corte dei conti, delle societa' succedute agli enti pubbici sia imputabile al governo stesso, e non al legislatore. E in primo luogo non sia imputabile alle norme legislative di riforma del luglio- agosto 1992. Ebbene, la legislazione di riforma nulla dice espressamente circa il (preesistente) controllo della Corte dei conti. Pur tuttavia l'art. 20 dispone l'abrogazione di "tutte le disposizioni di legge contrarie od incompatibili". Potrebbe pertanto prospettarsi, con una capziosa interpretazione di tale disposto, che tra le disposizioni abrogate rientrino anche le norme (generali e particolari) impositive del controllo stesso, limitatamente alla loro applicabilita' nei confronti degli enti in questione. Siffatta soluzione interpretativa non pare accoglibile, per un duplice ordine di considerazioni. In primo luogo va osservato che il controllo in questione forma oggetto di specifica previsione costituzionale, attuata da un corpo organico e separato di norme, che sono raccolte nella piu' volte cit. legge n. 259/1958. Questa disciplina legislativa si affianca, senza sovrapposizioni o interferenze, alle norme ordinamentali degli enti controllati, che al piu' si limitano, in alcuni casi, a fare richiamo delle disposizioni della legge predetta (Enel: art. 1 della legge 6 dicembre 1962 n. 1643; Eni: art. 15 della legge 10 febbraio 1953, n. 136; v. altresi' i decreti presidenziali di "assoggettamento"; Eni: d.P.R. 11 marzo 1961; Iri: d.P.R. 11 marzo 1961; Ina: d.P.R. 25 asprile 1961; docc. nn. 5, 6, 7). Non e' dunque ipotizzabile un'abrogazione implicita. Ed infatti non e' evidenziabile alcuna incompatibilita' tra le nuove disposizioni e le precedenti (anche altre societa' per azioni sono tuttora sottoposte al controllo della Corte ex legge n. 259/1958); ne' puo' sostenersi che il d.l. n. 333/1992 regolerebbe l'"intera materia" gia' disciplinata dalla legge n. 259/1958. In secondo luogo, l'accennata interpretazione solleverebbe gravi dubbi sulla sua stessa conformita' al dettato della Costituzione. E' vero infatti che l'art. 100, secondo comma, della Costituzione dispone il controllo della Corte dei conti sugli enti "nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge", e che, nell'esercizio della propria discrezionalita' politica, il legislatore del 1958 ha escluso dal controllo stesso una serie di soggetti: le regioni, gli enti locali, gli enti destinatari di contribuzioni "di particolare tenuita'" e "gli istituti di credito" (in quanto "sottoposti a vigilanza dell'Ispettorato del credito"). Ma mentre queste esclusioni possano giustificarsi per la presenza di controlli diversi (ad es. quelli implicati dalla c.d. "tesoreria unica"), un'interpretazione dell'art. 20 del d.l. n. 333/1992 che escludesse dal controllo un'intera area di primario interesse per la finanza pubblica - quale quella costituita dagli enti in via di privatizzazione, ma tuttora esclusivamente in "mano pubblica" - non potrebbe non configurarsi come una capziosa soluzione irrazionalmente elusiva del precetto costituzionale. Ebbene, ove questa - in denegata ipotesi - fosse la soluzione accolta da codesta eccellentissima Corte, non potrebbe non prospettarsi l'illegittimita' costituzionale del cit. art. 20 del d.l. n. 333/1992 per contrasto con gli artt. 3, 81 e 100, secondo comma della Costituzione. B4. La trasformazione dell'ente pubblico in societa' per azioni non fa venir meno il titolo per l'assoggettamento al controllo. Con riguardo alla disciplina legislativa della materia, e al conseguente vincolo che ne puo' derivare alle iniziative del Governo, viene inoltre in rilievo il riferimento del controllo agli "enti pubblici" nel disposto dell'art. 12 della legge n. 259/1958. E' prevedibile che Controparte assuma che la trasformazione abbia implicato il venir meno della natura di ente pubblico dell'Iri, dell'Eni, dell'Ina e dell'Enel, con la conseguenza che sarebbe altresi' venuto meno il titolo giuridico per l'assoggettamento di tali enti al controllo della Corte dei conti. Va preliminarmente osservato in proposito: aa) la legge n. 259/1958 segue a breve distanza di tempo la legge 22 dicembre 1956, n. 1589, istitutiva del Ministero delle partecipazioni statali, la quale dispone l'inquadramento delle "imprese con partecipazione statale" negli enti autonomi di gestione, di natura indubbiamente pubblica. Ebbene, alla previsione della legge n. 1589/1956 puo' correlarsi anche l'art. 12 della legge n. 259/1958 - concernente il controllo della Corte dei conti sugli "enti pubblici" - nell'implicito presupposto che il controllo sugli enti di gestione importasse il controllo sulle imprese partecipate. Si aggiunga che, fin dalle prime relazioni al Parlamento sulla gestione finanziaria degli enti di gestione, e' stato avvertito dalla Corte dei conti che "la gestione delle societa' del gruppo forma oggetto ( ..) dell'azione di intervento dell'ente, che a sua volta rientra nell'ambito del controllo della Corte (relazione sull'Eni per gli esercizi 1969-1971; precedentemente, in termini analoghi, v. relazione sulla gestione finanziaria degli enti sovvenzionati dallo Stato nel periodo 1950-1961)" (v. la determinazione n. 45/1992: doc. n. 1); bb) Va altresi' richiamata - come sottolinea la Corte dei conti nella determinazione n. 45/1992 - "la prospettiva attuale, soprattutto delineata nell'ambito dell'ordinamento delle Comunita' europee, e recepita nel nostro stesso ordinamento, che comprende tra le "imprese pubbliche" anche le figure societarie alimentate da mezzi provenienti dalla finanza pubblica, e sulle quali le pubbliche autorita' esercitano influenza dominante (si possono richiamare, a titolo di esempio, la direttiva del Consiglio C.E.E. del 17 settembre 1990, n. 90/531, sulle procedure di appalto degli enti erogatori di servizi a rete, e la legge 10 ottobre 1990, n. 287, sulla disciplina della concorrenza). Nell'accennata prospettiva, lo stesso art. 12 della legge n. 259/1958 puo' essere interpretato nel senso che al controllo della Corte dei conti sono soggette, in quanto "pubbliche imprese", anche le societa' risultanti dalla trasformazione degli enti pubblici economici, sulle quali le pubbliche autorita' esercitano influenza dominante, in particolare in forza della partecipazione al capitale sociale. Il rapporto tra controllo della Corte dei conti e struttura societaria degli enti trasformati merita tuttavia ulteriore esame. B5. Non e' ipotizzabile un contrasto tra il controllo della Corte dei conti e la disciplina degli enti trasformati in quanto "Societa' per azioni". Il contrasto sembra ipotizzato dal Presidente del Consiglio dei ministri e dal Ministro del tesoro la' dove assumono, nelle note gia' ricordate (doc. nn. 8 e 9), che per effetto della trasformazione gli enti "fuoriescono dal rapporto con lo Stato che fa da presupposto al controllo della Corte" e che "lo Stato non ha piu' poteri di autorizzazione e direttiva bensi' i diritti dell'azionista" affermazioni non solo in singolare contrasto con la realta' ma del tutto inconciliabili con il regime giuridico degli enti trasformati. E' mera constatazione che, con la assunzione diretta delle partecipazioni, lo Stato (attraverso il Ministero del Tesoro) ha "rapporto" anche piu' immediato con le imprese partecipate di quanto lo avesse attraverso un ente dotato di autonomia fondazionale; mentre e' parimenti incontestabile che lo Stato, come azionista attualmente unico e verosimilmente (negli enti di cui in premesse) "di controllo" anche in futuro, non solo continua a contribuire "ordinatamente" agli enti trasformati, ma ha pieno e legittimo potere di direttiva e comando su ognuna delle nuove "societa'" e sul loro insieme come lo ha una holding (Cass. 26 febbraio 1990 n. 1439), anche a prescindere dal potere "esterno" di direttiva di cui e' gia' esempio imponente la delibera Cipe 30 dicembre 1992 (v. infra, in questo paragrafo, sub c). Cio' posto, quelle affermazioni sono lungi da giustificare, sia pure in nome di una vera o presunta "privatizzazione", la sottrazione al controllo di un imponente settore di imprese ed attivita' sovvenute e (attualmente ma verosimilmente anche in futuro) governate dallo Stato; e cioe' per vario ordine di ragioni che qui gradualmente si sintetizzano. a) E' indiscutibile che l'art. 100 della Costituzione prevede la soggezione a controllo degli "enti ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria" (nella eccezione supra precisata sub B2) indipendentemente dalla loro natura pubblica o privata. Una norma, o la interpretazione di una norma, che contraddica questa equiparazione e discrimini in linea di principio gli enti a seconda di quella natura, con il risultato di escludere dal controllo enti interamente o prevalentemente "capitalizzati" dallo Stato solo perche' di natura privata, sarebbe certamente contraria alla previsione costituzionale. Cio' varrebbe anche per l'art. 12 della legge n. 259/1958 ove lo si interpretasse nel senso di escludere dal controllo gli enti privati patrimonializzati dallo Stato. E' possibile che il controllo sia esercitato, anziche' su singoli enti, su quello che li raggruppi e governi; non e' invece possibile che non sia esercitato affatto per cio' solo che i detti enti abbiano natura privata; b) di diritto privato e' lo schema codicistico della societa' per azioni (salvo il disposto dell'art. 2461 del c.c.). Ma la societa' per azioni, nella realta' dell'ordinamento, non si esaurisce nello schema codicistico. L'ordinamento conosce "societa' di diritto speciale" o "singolare" che si adeguano a quello schema solo in alcuni aspetti strutturali mentre ne divergono sotto l'aspetto genetico, sotto l'aspetto funzionale, sotto l'aspetto del rapporto, con interessi generali: talche' sempre piu' frequentemente si parla di "neutralita'" della forma azionaria (da ultimo Ibba, le societa' "legali", Torino, 1992, passim e specie p. 370 segg.; Cirenei, societa' per azioni a partecipazione pubblica, in trattato delle s.p.a. a cura di Colombo- Portale, Milano, 1992, part. 8 segg.; con diretto riferimento alle leggi di privatizzazioni, Cicconi, in quaderni giur. dell'impresa, 1992, legge p. 6 segg.; 2, p. 17 ss.). Per tali societa' il problema della qualificazione e' aperto, quand'anche si ritenga che l'etichetta societaria debba indurre a partire dall'ipotesi privatistica; c) si puo' dire che le "societa'" nate dalla trasformazione degli enti di cui alle premesse assommano, per il disposto degli artt. 15 e 16 del d.l. n. 333/1992, sotto tutti i profili anzidetti (genetico, funzionale e di rapporto con l'interesse generale), le piu' rilevanti difformita', rispetto alla societa' codicistica, che si colgono nelle diverse societa' "di diritto speciale": derivazione, senza soluzione di continuita' ne' mutamento di identita', da un ente pubblico preesistente; assenza, all'origine, di un contratto e piu' in genere di un atto di autonomia, sostituito, nel caso, da un intervento legislativo; mancanza iniziale di una pluralita' di "soci" costituenti e iniziale concentrazione delle azioni e del controllo in una sola mano; mancanza iniziale di un capitale determinato e di uno statuto (elementi che sopravverranno dopo la trasformazione); statuizione per legge dell'esercizio dei poteri sociali da parte dell'azionista d'intesa con altri soggetti; carattere pubblico di tale intesa che la legge vuole intervenga tra l'azionista Ministro del tesoro e altri tre Ministri; esercizio del potere sociale da parte dell'azionista secondo un programma elaborato in sede pubblica da piu' Ministri, finalizzato al riordino e alla valorizzazione delle partecipazioni con previsione legislativa di cessioni, scambi, funzioni ecc. e con devoluzione dei ricavi "alla riduzione del debito pubblico". Si aggiunga che la delibera del Cipe 30 dicembre 1992, con la quale sono state dettate direttive per eventuali dismissioni future, prevede tra l'altro: la attribuzione allo Stato di golden shares con diritti speciali nella nomina degli organi sociali e potere di impedire riduzioni e mutamenti di attivita'; la costituzione non solo di sindacati di controllo (ritenuti nulli dalla giurisprudenza nella societa' per azioni "tipica") ma di "nuclei stabili" tra azionisti di riferimento in cui lo Stato abbia diritto di prelazione sulle azioni degli altri partecipanti e diritto di gradimento dell'ingresso di nuovi soci; infine, l'imposizione di limiti massimi alle partecipazioni individuali (altrui). d) E' lecito chiedersi - di fronte a tutto cio' - che cosa avanzi della societa' per azioni "tipica" e anche (almeno per chi non si rassegni a cogliere il carattere pubblico esclusivamente in una espressa qualificazione legislativa) se veramente residui lo stesso carattere privato: che il carattere pubblico non sia incompatibile con la struttura azionaria basterebbe a dimostrarlo l'espressa attribuzione della "forma di societa' per azioni con personalita' giuridica di diritto pubblico" alla Age Control S.p.a. (art. 18, comma 8, legge 22 dicembre 1984, n. 887, legge finanziaria per il 1985); dove non potrebbe essere piu' significativa la distinzione, sotto il profilo che interessa, tra "forma" e sostanza. Si consideri altresi' che, almeno per uno degli enti trasformati, l'Enel, il carattere pubblico e' condizionato dalla "riserva di attivita'" (art. 43 della Costituzione) e cio' a prescindere dalla investitura di attribuzioni autoritarie e non meramente imprenditoriali (sulla quale Scoca, le funzioni pubbliche dell'Enel, in quaderni della rass. giur. dell'energia elettrica, Milano, 1987, p. 27 segg.). Certo e' comunque che non e' configurabile contrasto tra "forma" azionaria e controllo della Corte dei conti, cosi' come non vi e' contrasto tra quella forma e la presenza di risorse, interessi, azione di comando dello Stato. Il controllo della Corte dei conti non va configurato, nel nostro caso, come (diretta) deroga alla disciplina societaria ma come conseguenza di quella presenza e applicazione del diverso regime che, in ragione di essa, la stessa legge dispone per le nostre "societa'". Ma va anche detto che quel controllo non contrasta minimamente ne' con le regole della gestione sociale ne' con l'esistenza di altri controlli "tipici" che si ritengano applicabili - in particolare con il controllo giudiziario - essendo il primo essenzialmente preordinato al referto al Parlamento di dati informativi e valutativi della gestione finanziaria degli enti, senza incidenza sull'efficacia degli atti ne' sui diritti e poteri degli azionisti. Meno che mai ha rilievo la diversita' delle forme del controllo previste rispettivamente dagli artt. 2 e 12 della legge n. 259/1958: si tratta appunto di diverse "forme" cioe' di modalita' di esercizio del momento istruttorio che non toccano l'essenziale unitarieta' del controllo medesimo, sia con riguardo all'organo che ne e' titolare, sia con riguardo all'oggetto e alle finalita'. Di piu'. E' ben chiaro che nei riguardi degli enti trasformati il controllo non ha minore ma ben maggiore ragion d'essere che in altre "societa'" per le quali esso e' disposto, come le gia' ricordate RAI e Societa' di navigazione di interesse nazionale. Che la legge di trasformazione non lo disponga si spiega agevolmente con cio' che il controllo era preesistente e gia' in atto: il che anzi renderebbe necessaria, da parte del governo, la assunzione (e la indicazione in questa sede) dei provvedimenti (peraltro nel caso illegittimi) richiesti dalla legge del 1959, art. 3, quarto comma). E si e' gia' dimostrato che effetto di soppressione del controllo non puo' attribuirsi al disposto dell'art. 20 del d.l. n. 333/1992. e) Il confronto con altre societa' soggette a controllo suggerisce un'ulteriore prospettiva critica della contestata sottrazione dei nostri enti al controllo della Corte dei conti. Fermo restando che non vi e' incompatibilita' tra assunzione della forma azionaria e controllo della Corte dei conti, ma anzi doverosita' del persistere del controllo medesimo, una diversa conclusione, comunque argomentata nei casi che interessano, urterebbe contro i principi di razionalita' e parita' di trattamento non solo considerando il rapporto tra i nostri enti e gli enti societari sopra richiamati ma altresi', e piu' specificamente, considerando il rapporto tra gli stessi enti trasformati e trasformabili inter se. Ai sensi dell'art. 18 del d.l. n. 333/1992, "il Cipe potra' deliberare la trasformazione in societa' per azioni di enti pubblici economici, qualunque sia il settore di attivita'. La deliberazione del Cipe produce i medesimi effetti di cui al presente decreto". Per intanto questi enti, quale che sia la contribuzione, diretta o indiretta, in una o altra misura, dello Stato al loro patrimonio, restano soggetti alla disciplina anteriore, tra cui il controllo della Corte dei conti che sia ad essi applicabile in ragione della contribuzione medesima. La constatazione e' rilevante non solo in linea di fatto ma in linea di diritto sotto il profilo della inammissibilita' di un diverso trattamento con gli enti gia' trasformati i quali ne sarebbero privilegiati, benche', come si e' visto, conservino con lo Stato un rapporto, patrimoniale e di governo, non meno intenso e anzi piu' diretto di altri enti trasformabili ma non trasformati. Non potrebbe replicarsi che questa situazione e' transitoria: in primo luogo perche', finche' la situazione esiste, dovrebbe essere mantenuta la corrispondenza di trattamento; in secondo luogo, e soprattutto, perche' l'art. 18 del d.l. n. 333/1992 facoltizza il Cipe, e non lo vincola, a trasformare in societa' per azioni gli altri (o altri) enti pubblici economici. f) Si conferma, conclusivamente, che non e' dato, con un mutamento di etichetta, o anche di qualificazione, superare la realta' degli interessi coinvolti e le normative che, anche a livello costituzionale, li tutelano. E non e' dubbio che negli enti gia' trasformati l'interesse dello Stato e' imponente e ben superiore a quello ravvisabile in qualunque altro ente che abbia gia' assunto, o possa assumere, la "forma" societaria. B6. L'intenzionalita' della sottrazione degli enti citati al controllo della Corte dei conti. La gravita' delle ulteriori conseguenze della menomazione in atto. Dalle precedenti indicazioni risulta che l'interruzione del controllo, della Corte sulle societa' succedute agli enti pubblici e' stata intenzionalmente disposta dal Governo, in assenza di prescrizioni o vincoli di legge. In tal senso gia' deponevano, pur nella loro laconicita', le citate note del Presidente del Consiglio dei Ministri e del Ministro del tesoro, rispettivamente in data 10 agosto e 15 settembre 1992 (docc. nn. 8 e 9). L'atteggiamento negativo del Governo risulta ora accertato, senza margini di incertezza, dalla mancata adozione delle iniziative in adempimento della determinazione di questa sezione n. 29/1992 del 3 ottobre 1992 (doc. n. 2). Come richiamato nelle premesse "in fatto", in tale determinazione sono stati esposti i motivi di non conformita' a legge della soluzione adottata dal governo. In questa sede, ai fini della proposizione del conflitto di attribuzione, assume rilievo la conseguenza diretta del comportamento omissivo del governo, consistente nell'impedimento all'esercizio di un'attribuzione conferita alla Corte dei conti dalla Costituzione, in virtu' della previsione del controllo sugli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria, ancorche' conformati secondo il modello societario. La questione proposta concerne percio' "una lesione o una menomazione delle competenze costituzionalmente garantite al soggetto ricorrente", nei termini della soluzione elaborata dalla giurisprudenza di codesta eccellentissima Corte costituzionale (v. da ultimo la sentenza n. 379/1992). Ai fini di una adeguata ponderazione della importanza della questione sottoposta a codesta eccellentissima Corte con il presente ricorso, ci si consenta di sottolineare, sotto altro profilo, la gia' rilevata eventualita' di una ulteriore riduzione dell'ambito di applicazione del controllo della Corte dei conti, a seguito della trasformazione in figure societarie, per deliberazione del Cipe, di altri "enti pubblici economici", secondo le previsioni della richiamata legislazione di riforma. Questa evenienza presenta aspetti di particolare gravita', posti in evidenza nella citata determinazione n. 23/1992, dato che il controllo di cui ai tratta e' preordinato alla "comunicazione dei dati conoscitivi e valutativi necessari al Parlamento", per l'esercizio delle sue funzioni: di guisa che la "sottrazione ( ..) degli enti operanti nel campo dell'economia, di essenziale rilievo nell'ambito della finanza pubblica, determinerebbe il corrispondente impoverimento dell'area di conoscenza degli organi parlamentari, e quindi la riduzione in concreto delle possibilita' di intervento" (doc. n. 2).
P. Q. M. Si chiede che codesta eccellentissima Corte costituzionale, in risoluzione del presente conflitto, voglia: 1) dichiarare che spetta alla Corte dei conti - nella composizione della sezione di controllo sugli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria - l'esercizio del controllo, previsto dalla legge 21 marzo 1958, n. 259, sugli enti pubblici economici trasformati in societa' per azioni con partecipazione totalitaria o comunque prevalente dello Stato; 2) di dichiarare il conseguente obbligo del Governo di adottare i necessari provvedimenti, con riferimento agli enti indicati in premesse, per il mantenimento o il ripristino del controllo della Corte dei conti; 3) di disporre l'annullamento degli atti governativi eventualmente contrari. Si depositeranno i seguenti atti e documenti: 1) determinazione n. 45/1992; 2) determinazione n. 23/1992; 3) determinazione n. 29/1992; 4) determinazione n. 7/1961; 5) d.P.R. 11 marzo 1961 (Eni); 6) d.P.R. 11 marzo 1961 (Iri); 7) d.P.R. 25 aprile 1961 (Ina); 8) nota 10 agosto 1992 del Presidente del Consiglio dei Ministri; 9) nota del 19 settembre 1992 del Ministro del tesoro; 10) lettera in data 15 settembre 1992 del presidente dell'Enel P. Viezzoli al prof. dott. R. Coltelli, presidente di sezione della Corte dei conti. Roma, addi' 12 febbraio 1993. Prof. avv. Giorgio OPPO - Prof. avv. Alessandro PACE 93C0598