N. 16 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 28 maggio 1993

                                 N. 16
 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 28
 maggio 1993 (della Corte dei conti)
 Corte dei conti - Sottrazione dell'ENEL, ENI, IRI e INA al controllo
    della Corte dei conti previsto dall'art. 100, secondo comma, della
    Costituzione, effettuato sia mediante l'esclusione dei  magistrati
    della Corte dei conti dalle sedute degli organi di amministrazione
    e   di  revisione,  sia  mediante  l'omesso  invio  dei  documenti
    richiesti dalla sezione di controllo  della  gestione  finanziaria
    degli  enti  -  Mancato  riconoscimento, da parte del Governo, del
    persistente obbligo di sottoporre  a  controllo  della  Corte  dei
    conti  gli  enti  trasformati  in  societa'  per azioni - Ritenuta
    legittimazione della  Corte  dei  conti  quale  espressione  della
    "funzione  di controllo" a sollevare conflitto di attribuzione tra
    poteri  dello  Stato  (sentenze  della  Corte  costituzionale  nn.
    226/1976  e  406/1989)  -  Asserita  menomazione di una competenza
    costituzionalmente garantita.
 Mancanza di fondamento legislativo del comportamento omissivo del
    Governo, non essendo riconducibile al d.l.  n. 333/1992  (ed,  in
    particolare, all'art. 20) la sottrazione dell'ENEL, IRI, ENI e INA
    al  controllo  della  Corte  dei  conti  e non essendo sufficiente
    motivo la trasformazione di detti enti  in  societa'  per  azioni,
    trattandosi di societa' a prevalente partecipazione statale.
 (Note del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 agosto 1992 e
    del Ministro del tesoro del 15 settembre 1992).
 (Cost., art. 100, secondo comma).
(GU n.24 del 9-6-1993 )
   Ricorso  per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato della
 Corte dei conti, in persona del presidente pro-tempore dott. Giuseppe
 Carbone - in forza dei poteri conferitigli con la  determinazione  n.
 45/1992  del  15-16  dicembre 1992 della Corte dei conti, sezione del
 controllo sulla gestione  finanziaria  degli  enti  a  cui  lo  Stato
 contribuisce  in  via ordinaria (doc. n. 1) -, rappresentato e difeso
 dal prof. avv.  Giorgio  Oppo  e  dal  prof.  avv.  Alessandro  Pace,
 elettivamente  domiciliato presso lo studio di quest'ultimo, in Roma,
 piazza delle Muse n. 8, come da mandato in  calce  al  presente  atto
 contro  il  governo  della  Repubblica, in persona del Presidente del
 Consiglio dei Ministri pro-tempore on. prof. Giuliano Amato,  nonche'
 del  Ministro  del  tesoro  pro-tempore,  prof.  Piero  Barucci,  del
 Ministro del bilancio e della  programmazione  economica  pro-tempore
 prof.  Franco  Reviglio, del Ministro dell'industria, del commercio e
 dell'artigianato pro-tempore  prof.  avv.  Giuseppe  Guarino,  e  del
 Ministro  delle partecipazioni statali ad interim prof. avv. Giuseppe
 Guarino, in relazione alla sottrazione dell'Enel, dell'Eni,  dell'Iri
 e dell'Ina al controllo della Corte dei conti previsto dall'art. 100,
 secondo  comma, della Costituzione effettuata sia mediante esclusione
 dei magistrati della Corte dei conti dalle sedute dei relativi organi
 di amministrazione e di revisione, sia mediante  l'omesso  invio  dei
 documenti  concernenti  la  gestione  di  tali enti, in esecuzione di
 deliberazioni e/o decisioni governative di cui non  si  conoscono  il
 testo  e  la  data,  ma  implicitamente  richiamate  dalle  note  del
 Presidente del consiglio del 10 agosto 1992 e del Ministro del tesoro
 del  15  settembre  1992  (docc.    numeri  8  e   9);   al   mancato
 riconoscimento  da  parte  del  governo,  del  persistente obbligo di
 sottoporre a controllo della Corte dei conti gli enti trasformati  in
 societa'  per azioni e, comunque, alla mancata ottemperanza, da parte
 di esso,  dell'obbligo  di  adottare  i  provvedimenti  necessari  al
 ripristino  di tale controllo, come dichiarato dalla Corte dei conti,
 sezione  del  controllo,  con  determinazione  n.  29/1992   del   22
 settembre/3 ottobre 1992;
                               F A T T O
    Si  riportano  le  "premesse  in  fatto"  della  determinazione n.
 45/1992 della Corte dei conti:
    1. - Per disposto dell'art. 100, comma secondo della  Costituzione
 la  Corte dei conti partecipa, nei casi e nelle forme stabilite dalla
 legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti  a  cui  lo
 Stato  contribuisce  in  via  ordinaria.  Riferisce direttamente alle
 Camere sul risultato del controllo  eseguito:  "In  attuazione  della
 norma costituzionale e' stata emanata la legge 21 marzo 1958, n. 259,
 che,  ai  fini  dell'esercizio  del  controllo della Corte dei conti,
 "istituisce una speciale sezione in seno alla Corte stessa" (art. 9).
    "La legge ordina il controllo  in  diversi  modi,  a  seconda  che
 l'ente sia destinatario di contribuzioni continuative periodiche, in-
 dicate  con  l'art. 2, ovvero fruisca di 'apporto al patrimonio' o di
 garanzia finanziaria dello Stato, di cui e' previsione nell'art. 12".
 2.  -   Il   destinatario   delle   contribuzioni   continuative   e'
 genericamente  indicato  dell'art.  2 in "un ente"; pertanto, secondo
 incontroversa interpretazione, al controllo disposto dalla norma sono
 assoggettate figure soggettive pubbliche e private, e in  particolare
 anche  societa'  per  azioni,  come  in  concreto  si verifica per la
 societa' Rai - radiotelevisione italiana, e per le  quattro  societa'
 di  navigazione di preminente interesse nazionale (Adriatica, Italia,
 Lloyd Triestino, Tirrenia).
    Diversamente,  l'art.  12  fa  testuale   menzione   degli   "enti
 pubblici".
    L'individuazione  in concreto degli enti assoggettati al controllo
 ai sensi dell'art. 2 era originariamente effettuata con  decreto  del
 Presidente  della  Repubblica  (art. 3 della legge citata); e' ora di
 competenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, ai sensi  della
 legge  12  gennaio 1991, n. 13.  Per gli enti di cui all'art. 12, pur
 nel silenzio della legge del 1958, e' stata fin dagli  inizi  seguita
 la  medesima  procedura;  cosi', ad esempio, l'Iri, l'Eni, l'Ina sono
 stati  assoggettati   al   controllo   in   questione   con   decreti
 presidenziali  dell'11 marzo e del 24 aprile 1961.  In casi sporadici
 l'assoggettamento  al  controllo  e'  disposto  dalle  stesse   norme
 ordinative  degli  enti,  che di regola fanno espresso richiamo della
 legge n. 259/1958; ad esempio, la legge 6  dicembre  1962,  n.  1643,
 istitutiva  dell'Enel ne prescrive il controllo della Corte dei conti
 con le modalita' previste dalla legge predetta; analoga  disposizione
 e'  dettata  per l'azienda nazionale di assistenza al volo (d.lgs. 24
 marzo 1981, n. 145), l'Ente ferrovie dello  Stato  (legge  17  maggio
 1985,  n. 210), l'agenzia spaziale italiana (legge 30 maggio 1988, n.
 186), l'Inps e l'Inail (legge 9 marzo 1989, n. 88), l'Istituto per il
 commercio estero (legge 19 marzo 1989,  n.  106),  l'Enea  (legge  25
 agosto  1991,  n.  282)  e da ultimo l'unioncamere (d.l. 19 novembre
 1992, n. 440).
    Nei confronti degli enti destinatari di contribuzioni continuative
 il controllo e' esercitato dalla competente sezione sugli  atti  e  i
 documenti  contabili  concernenti  l'ordinamento  e la gestione degli
 enti stessi, trasmessi dai medesimi e dalle amministrazioni vigilanti
 (artt. 4, 5 e 6 della legge).
    "Presso gli enti di cui all'art. 12 il controllo e'  esercitato  (
 ..)  da  un magistrato della Corte dei conti, nominato dal presidente
 della  Corte  stessa,  che  assiste  alle  sedute  degli  organi   di
 amministrazione   e   di   revisione.   Piu'   propriamente,  secondo
 interpretazione  della  sezione  competente,  il  magistrato  esplica
 attivita'   istruttoria,  per  il  controllo  esercitato  nella  sede
 collegiale della sezione medesima".
    3. - Al  momento  attuale  gli  enti  assoggettati  al  controllo,
 disposto  nella  prevalenza dei casi ai sensi dell'art. 2 della legge
 del 1958, assommano a circa 300 unita'.  Alcuni,  per  massima  parte
 soggetti  al  controllo  di  cui  all'art.  12  della  legge  stessa,
 rivestono la qualita' di  "ente  pubblico  economico",  espressamente
 loro  attribuita  dalle  norme istitutive, o dichiarata con decisione
 giurisprudenziale delle sezioni unite della Corte di cassazione.
    "In particolare, con riferimento agli enti dei quali  direttamente
 tratta la presente determinazione, al controllo disposto dall'art. 12
 sono  soggetti  l'Iri,  l'Eni,  l'Ina  e  l'Enel".   4. - Degli "enti
 pubblici economici" il d.l. 3 ottobre 1991, n.   309, con  soluzione
 profondamente   innovativa,   aveva  previsto  la  trasformazione  in
 societa' per azioni.  L'innovazione ha formato oggetto di esame nella
 relazione  della  Corte  dei  conti  al  Parlamento  sulla   gestione
 finanziaria  dell'Enel  per  l'esercizio  1990  (determinazione della
 sezione  controlo  enti  n.    58/1991  del 13 novembre 1991), che ha
 rimarcato l'esigenza, nella prospettiva  dell'accennata  riforma,  di
 conservare  il  controllo  della  Corte  dei  conti,  svolto a tutela
 dell'erario sulle  gestioni  incidenti  sulla  finanza  pubblica,  ed
 essenzialmente  preordinato  al referto al parlamento, in adempimento
 dell'art. 100 della Costituzione.
    Dopo la mancata conversione in  legge  del  precitato  decreto  la
 trasformazione degli enti pubblici economici, in figure societarie e'
 stata  prevista  dal  d.l. 5 dicembre 1991, n. 386, convertito senza
 modificazioni nella legge 29 gennaio 1992, n. 35,  e  successivamente
 integrato dal d.l. 26 maggio 1992, n. 298 (poi decaduto, per mancata
 conversione  in legge).  "Sulla complessa disciplina della materia, e
 sulla sua prima applicazione, la Corte ha riferito al parlamento  con
 determinazione n. 23/1992 del 18 giugno 1992" (doc. 2).
    5.  - Una radicale riforma del processo di trasformazione in esame
 e' stata attuata con il d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito  con
 modificazioni nella legge 8 agosto 1992, n. 359.
    Il decreto, come modificato dalla legge di conversione, dispone la
 diretta  trasformazione  in  societa' per azioni di quatto enti (Iri,
 Eni,  Ina  ed  Enel);  l'attribuzione  al  tesoro  del   loro   netto
 patrimoniale,  trasformato  in  titoli  azionari,  e  l'esercizio dei
 "diritti dell'azionista" del Ministro del  tesoro  di  intesa  con  i
 Ministri del bilancio, dell'industria e delle partecipazioni statali.
    Il  decreto  stesso  prevede  che  per  gli  altri  enti  pubblici
 economici il Cipe potra' deliberare la trasformazione in societa' per
 azioni .. qualunque sia il loro settore di attivita'. In applicazione
 della norma il  Cipe,  con  deliberazione  del  12  agosto  1992,  ha
 disposto  la trasformazione in societa' per azioni dell'Ente ferrovie
 dello Stato, ed ha attribuito i diritti  dell'azionista  ai  Ministri
 del bilancio, del tesoro e dei trasporti.
    "In applicazione della citata legge n. 210/1985 l'Ente ferrovie e'
 assoggettato  al controllo della Corte dei conti ai sensi dell'art. 2
 della legge n. 259/1958".
    6. - Dopo l'emanazione del d.l. n. 333 e'  pervenuta  alla  Corte
 dei  conti  la  richiesta  del  Presidente  del  senato,  di elementi
 informativi sull'esercizio delle attivita' in concessione,  da  parte
 delle  societa' per azioni succedute agli enti pubblici economici. Al
 fine di  fornire  la  dovuta  risposta  e'  stata  avviata  attivita'
 istruttoria  a  cura  dei  magistrati incaricati del controllo presso
 alcuni enti, tra i quali l'Enel. Il presidente  dell'ente  stesso  ha
 comunicato  alla  Corte  di  avere trasmesso la richiesta al Ministro
 dell'industria, "per  le  opportune  valutazioni".  La  richiesta  e'
 rimasta  inevasa,  come  e'  stato  rilevato  nella determinazione di
 questa sezione n.  29/1992  del  22  settembre  1992  (depositata  in
 segreteria  il  3  ottobre  successivo) (doc. 3).   In attuazione del
 precitato decreto legge i presidenti dei quattro enti trasformati  in
 figure  societarie  hanno  convocato  per i giorni 6 e 7 agosto 1992,
 mediante annuncio in Gazzetta Ufficiale,  le  assemblee  delle  nuove
 societa', per la deliberazione dello statuto e la nomina dei titolari
 degli  organi  sociali.   "In data 10 agosto il magistrato incaricato
 del controllo ha richiesto  al  presidente  dell'Enel  i  motivi  del
 mancato  invito  a  partecipare  alle  assemblee  della  societa'. In
 risposta, il presidente  dell'ente  ha  comunicato  la  nota  del  15
 settembre  del Ministro del tesoro, che esprimeva avviso di 'ritenere
 ormai  superata  la  disposizione del citato art. 12' della legge del
 1958, 'in quanto le modalita'  di  nomina  e  la  composizione  degli
 organi  di  amministrazioni  e di controllo delle societa' ( ..) sono
 state, per legge, devolute agli statuti societari' e 'lo Stato non ha
 piu'  poteri  di  autorizzazione  e  direttive,  bensi'   i   diritti
 dell'azionista'".    7. - Il presidente della Corte dei conti ha piu'
 volte rappresentato ai Presidenti delle Camere ed ai presidenti delle
 Commissioni bilancio del Parlamento, e al  Presidente  del  Consiglio
 dei  Ministri  (da  ultimo  con  lett.  del  22  e  29  luglio 1992),
 l'istituzionalita' necessita che sulle nuove societa' per azioni, che
 "attingono ingenti risorse dal bilancio dello Stato", siano  previste
 forme di controllo cui partecipi la Corte dei conti.
    "Il  Presidente del Consiglio ha dato risposta, con lettera del 10
 agosto, nella quale e' affermato che le  nuove  societa'  fuoriescono
 dal  rapporto  con  lo Stato che fa da presupposto al controllo della
 Corte.".
    8. - In coerente corrispondenza alle accennate  dichiarazioni  del
 Presidente  del Consiglio dei Ministri e del Ministro del tesoro, fin
 dall'emanazione del precitato  d.l.  n.  333  il  controllo  di  cui
 all'art.  12  della  legge  n.  259/1958  non e' stato esercitato, in
 quanto i magistrati della Corte non sono stati invitati  alle  sedute
 degli organi colleggiali delle societa' succedute agli enti pubblici,
 ne'  da  queste  e'  pervenuto  alla  Corte stessa alcun documento di
 gestione.
    Al  fine  di  chiarire  in  termini  certi   e   incontrovertibili
 l'atteggiamento  del Governo la situazione e' stata presa in esame da
 parte di questa Sezione, nella precitata adunanza  del  22  settembre
 1992,  conclusa  con  la deliberazione della determinazione 29/92; la
 determinazione e'  stata  inviata  ai  Presidenti  delle  Camere  del
 Parlamento,  al  Presidente del Consiglio dei Ministri ed al Ministro
 del tesoro, con comunicazione del 5 ottobre successivo.
    Con riferimento alle  accennate  comunicazioni  del  Ministro  del
 tesoro  e del Presidente del Consiglio dei Ministri la determinazione
 ha formulato i rilievi di seguito richiamati.  a) Gli  statuti  delle
 societa'  non  sono  atti idonei a disporre sul controllo della Corte
 dei conti; si tratta, infatti, di materia riservata alla  legge,  per
 espresso  disposto  della  norma  costituzionale.   b) La fuoriuscita
 delle societa' dal "rapporto con lo Stato" non trova alcun  riscontro
 nella  situazione  attuale; il rapporto di finanziamento, consistente
 nell'apporto  al  patrimonio,  non  e'  affatto  cessato,  stante  la
 proprieta'  statale  del patrimonio stesso, e cioe' dei corrispettivi
 titoli azionari, che sono infatti intestati al Ministero del  tesoro;
 di  conseguenza,  neppure  e'  cessato il rapporto di sottordinazione
 delle  societa'  all'Amministrazione  statale,  poiche'  i   "diritti
 dell'azionista",  e quindi i poteri di organizzazione statutaria e di
 nomina degli organi di governo e di controllo,  sono  esercitati  dai
 titolari  dei  Ministeri designati dalla legge.  E' vero che la nuova
 disciplina legislativa prevede il collocamento  dei  titoli  azionari
 sul mercato, e quindi la possibilita' della partecipazione privata, e
 comunque  di  soggetti  diversi  dallo Stato, al capitale delle nuove
 societa', e in questa prospettiva sara' possibile  un  mutamento  del
 rapporto di queste con lo Stato; ma si tratta di un'ipotesi di futuro
 avveramento,  che  non  puo'  giustificare l'anticipazione al momento
 attuale delle sue possibili conseguenze.
    Agli  accennati  rilievi - prosegue la determinazione stessa - non
 potrebbe opporsi che il controllo della Corte  continua  comunque  ad
 essere  esercitato sul conto generale del patrimonio dello Stato, nel
 quale sono iscritte le partecipazioni ai fondi  di  dotazione  ed  al
 capitale degli enti pubblici e delle societa'.
    Infatti,  come  risulta dalle decisioni rese dalla Corte dei conti
 al Parlamento, l'accennato riscontro, effettuato ai sensi  del  testo
 unico  12  luglio  1934,  n.  1214, assolve alla funzione di primaria
 importanza della verifica dei dati figuranti nel conto  predetto,  ma
 non  si  svolge, ne' potrebbe svolgersi, nel controllo sulla gestione
 finanziaria degli enti partecipanti, come  prescritto  dall'art.  100
 della   Costituzione.    "D'altronde  -  e'  ancora  osservato  nella
 determinazione - ove tale controllo fosse praticabile in  alternativa
 a  quello successivamente disposto dalla legge 21 marzo 1958, n. 259,
 di  questa  stessa  legge,  emanata   in   attuazione   della   norma
 costituzionale,  verrebbe  meno la ragione".  9. - Sulla scorta delle
 richiamate  considerazioni  la  determinazione   rilevava   che   "la
 riscontrata  interruzione  del  rapporto di controllo della Corte dei
 conti  sulle  societa'  per  azioni  succedute  agli  enti   pubblici
 economici  da'  luogo ( ..) ad uno stato di fatto contrastante con la
 legislazione vigente, a  sua  volta  attuativa  dell'art.  100  della
 Costituzione".  Pertanto la sezione dichiarava "l'obbligo del governo
 di  adottare  i  provvedimenti  di assoggettamento al controllo della
 Corte dei  conti  delle  societa'  per  azioni  succedute  agli  enti
 pubblici economici".
    Alla  data  attuale  nessun riscontro e' stato dato dal governo, e
 persiste il denunciato stato di interruzione del controllo.
 I  fatti  finora  esposti  in  narrativa  evidenziano   l'intervenuta
 interruzione del controllo nei confronti dei quattro enti trasformati
 in  societa'  per  azioni.  In  merito  a tale complessiva vicenda la
 sezione del controllo ha ravvisato:  che l'interruzione del controllo
 e' stata  determinata  da  intenzionale  comportamento  omissivo  del
 governo;  che, per difetto effetto di tale comportamento omissivo, e'
 stato impedito alla Corte dei conti l'esercizio di  una  funzione  ad
 essa  ascritta  dalla Costituzione; che pertanto si profila conflitto
 di  attribuzioni  tra  poteri  dello   Stato,   il   quale   richiede
 l'intervento della Corte costituzionale.
    Conseguentemente,  dopo una approfondita disamina dei vari profili
 giuridico-costituzionali, la sezione ha  deliberato,  con  la  citata
 determinazione   n.   45/92,   di   proporre   dinanzi   alla   Corte
 costituzionale conflitto di attribuzione nei confronti  del  governo,
 in  quanto  il  medesimo ha illegittimamente menomato le attribuzioni
 costituzionali della Corte dei conti.
    A tali fini la sezione ha richiesto alla Corte costituzionale:  1)
 di  dichiarare  che  spetta  alla Corte dei conti, nella composizione
 della Sezione di controllo sugli enti a cui lo Stato contribuisce  in
 via  ordinaria,  l'esercizio  del  controllo, previsto dalla legge 21
 marzo 1958, n. 259, sulle societa' per  azioni  succedute  agli  enti
 pubblici  economici,  nei confronti delle quali lo Stato esercita in-
 fluenza dominante,  nei  termini  esplicati  in  motivazione;  2)  di
 dichiarare il conseguente obbligo del governo di adottare i necessari
 provvedimenti.
                             D I R I T T O
     A. Presupposti soggettivi del conflitto.
    A1). Identificazione del potere dello Stato:
    La  tesi, prospettata da alcuni dei primi commentatori della nuova
 Costituzione - secondo la quale i "poteri" dello Stato a  cui  allude
 l'art.  134  della  Costituzione presupporrebbero il riferimento alle
 sole funzioni a cui si riferiva la classica tripartizione  dottrinale
 (e cioe' le funzioni legislativa, esecutiva e giudiziaria) - e' stata
 da  tempo  superata  non  solo  dalla  unanime dottrina, ma anche - e
 soprattutto   -   dalla   giurisprudenza   costituzionale.    Codesta
 eccellentissima  Corte,  nella concretezza dell'esperienza giuridica,
 ha  infatti  individuato  funzioni  ulteriori   rispetto   a   quelle
 classiche:  la  c.d.  "funzione  presidenziale" di cui e' titolare il
 Presidente della Repubblica (ord. n. 150/1980, sent. n. 129/1981); la
 c.d.  "funzione  parlamentare"  (distinta  da   quella   propriamente
 legislativa) di cui sono titolari gli organi parlamentari che a vario
 titolo possono impegnare il relativo potere (il senato, la camera, le
 singole commissione parlamentari d'inchiesta; ord. n. 150/1980, sent.
 n.  129/1981,  sent. n. 13/1975); la c.d. "funzione referendaria", di
 cui gli  elettori  firmatari  delle  richieste  referendarie  sono  i
 titolari  e  di  cui  il  Comitato  promotore costituisce l'organo di
 vertice (ord. n. 17/1978, sent. n. 69/1978);  la  c.d.  "funzione  di
 assegnazione  delle  funzioni  giudiziarie  e  di  trasferimento  dei
 giudici",  di  cui  e'  titolare   il   consiglio   superiore   della
 magistratura  (sent.  n.  379/1992).  Ha  ammesso,  infine, che anche
 codesta  eccellentissima  Corte  costituzionale  potrebbe  rientrare,
 "potenzialmente",  tra  gli  "organi  legittimati  ad essere parti in
 conflitti  di  attribuzione  fra  i  poteri  dello  Stato"  (ord.  n.
 77/1981).
    Quanto  alla  "funzione  di  controllo"  ne  sono  state affermate
 l'esistenza e la  rilevanza  costituzionale,  implicitamente  con  la
 sentenza n. 226/1976, ed esplicitamente con la sentenza n.  406/1989.
 Da  tali  decisioni  consegue, infatti, convergentemente, che secondo
 codesta eccellentissima Corte la titolarita' di tale ultima  funzione
 compete  alla  Corte  dei conti "l'unico organo di controllo che, nel
 nostro ordinamento costituzionale, goda di una  diretta  garanzia  in
 sede  costituzionale":    v.  Giur. cost. 1976, p. 1828). Ed infatti,
 ancorche' la funzione di controllo sia dalla Costituzione qualificata
 come "ausiliaria", e'  pero'  indiscutibile  che  tale  funzione  "e'
 attribuita  direttamente  dalla  Costituzione ad un dato organo dello
 Stato al fine di assicurare il piu' corretto, o di agevolare il  piu'
 efficiente,  svolgimento  delle  funzioni  di altri organi" (v. Giur.
 cost. 1989, I, p. 1837). Il rapporto di  ausiliarita'  non  puo',  in
 conseguenza,  essere  dismesso  dall'organo  ausiliato  (sia  esso il
 governo o il parlamento) appunto perche' e' la Costituzione a imporne
 l'esistenza.
    Nella specie, l'art. 100, secondo comma della Costituzione dispone
 che la Corte dei conti "partecipa, nei casi e nelle  forme  stabiliti
 dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui
 lo  Stato  contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle
 Camere sul risultato del riscontro eseguito". Ne  consegue  che,  per
 disposto   costituzionale,   l'obbligo   della  Corte  dei  conti  di
 effettuare il referto alle Camere (referto che, appunto,  costituisce
 il  fine  del  controllo  della  Corte dei conti sulla gestione degli
 enti) puo' bensi' venir meno, ma solo se il legislatore  ordinario  -
 nel rispetto della Costituzione e del razionale perseguimento di fini
 di interesse generale da questa imposti (v., sul punto, il n. 5 della
 cit.  sentenza  n.  406/1989)  -  decida,  con  un  atto  formalmente
 legislativo, di sopprimere, in taluni casi, tale controllo.
    Sul punto si tornera' infra sub B1, allorche'  si  discuteranno  i
 profili  oggettivi  del  conflitto.  Quanto  fin  qui  illustrato  e'
 tuttavia piu' che sufficiente per affermare che, poiche', nella  spe-
 cie,  come si vedra', la soppressione del controllo sulla gestione di
 tali enti non e' stata disposta dalla legge, ne consegue:  a) che nel
 presente  giudizio  non  viene   in   discussione   la   legittimita'
 costituzionale  degli  atti legislativi sulla cui base il Governo sta
 procedendo alla privatizzazione di tali enti, ne' il presente ricorso
 intende  porre  minimamente   in   dubbio   la   legittimita'   della
 trasformazione  di  taluni  enti  pubblici  economici in societa' per
 azioni; b) che l'ordinamento legislativo, nel  suo  collegamento  con
 l'art. 100, secondo comma della Costituzione, a tutt'oggi prevede che
 la  Corte  dei  conti  debba  effettuare  il controllo sulla gestione
 finanziaria  dell'Enel,  dell'Eni,  dell'Iri   e   dell'Ina   e   che
 corrispondentemente   il   governo  ha  l'obbligo  costituzionale  di
 cooperare attivamente per il miglior svolgimento delle funzioni della
 Corte dei conti (cfr. gli artt. 4, 5 e 6 della legge n. 259/1958).
    E' pertanto indubbio che la Corte  dei  conti  sia  legittimata  a
 sollevare  conflitto,  ai  sensi  dell'art.  134  della Costituzione,
 contro quegli atti o quei comportamenti di qualsiasi altro  organo  -
 ivi  compresi  gli  organi costituzionali ausiliati (cfr. la sent. n.
 406/1989, sub n. 2, in Giur. cost.  1989,  II.  p.  1837)  -  che  si
 palesino lesivi di siffatte attribuzioni della Corte dei conti.
     A2.   Identificazione   dell'organo   competente   a   dichiarare
 definitivamente la "volonta'" della Corte dei conti.
    Non   e'   parimenti   dubbio   che   competente   a    dichiarare
 definitivamente  la volonta' della Corte dei conti sia, nella specie,
 la sezione della Corte dei conti che ha  deliberato  di  proporre  il
 presente conflitto di attribuzione nei confronti del governo; e cioe'
 la "Sezione del controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui
 lo Stato contribuisce in via ordinaria".
    Tale  Sezione e' stata infatti appositamente istituita dall'art. 9
 della cit.  legge  n.  259/1958  per  l'adempimento  degli  specifici
 compiti  costituzionalmente  assegnati  alla  Corte dei conti. Ne' e'
 teoricamente prospettabile che vi siano altri organi della Corte  dei
 conti  che avrebbero potuto o potrebbero sostituirsi alla sezione del
 controllo  sugli  enti  nella  determinazione  di  adire   la   Corte
 costituzionale.
    Del  resto,  non va obliterato che la "Sezione del controllo sugli
 enti" sta alla presente fattispecie, come la "Sezione  del  controllo
 sugli  atti  del  governo"  sta  alla  fattispecie  decisa da codesta
 eccellentissima Corte  con  la  sentenza  n.  406/1989,  nella  quale
 (implicitamente)  si  ritenne  che,  sotto  il  profilo  formale,  il
 conflitto  fosse  stato  ritualmente  proposto  dalla   Sezione   del
 controllo.
     B. Presupposti oggettivi del conflitto.
     B1.  Natura  "costituzionale"  dell'attribuzione  della  Corte di
 conti dei cui si lamenta la menomazione.
    Si  e'  gia'  accennato supra ( sub n. 1A) che il "controllo sulla
 gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato  contribuisce  in  via
 ordinaria"  e'  effettuato  dalla  Corte  "nei  casi  e  nelle  forme
 stabiliti dalla legge" (art. 100 secondo comma, della Costituzione).
    Cio' non di meno  si  puo'  tranquillamente  affermare  la  natura
 costituzionale delle attribuzioni in contestazione.
    In  primo  luogo,  in  favore  della  natura  costituzionale delle
 attribuzioni, sta la considerazione  che  la  legge  n.  259/1958  si
 autoqualifica  espressamente  come attuativa "dell'art.  100, secondo
 comma, della  Costituzione,  al  fine  di  sottoporre  all'esame  del
 Parlamento   le   gestioni   finanziarie  degli  enti  cui  lo  Stato
 contribuisce in via ordinaria" (art. 1).
    In  secondo  luogo,  deve  essere  sottolineato  che,  da  codesta
 eccellentissima  Corte, la "natura costituzionale" delle attribuzioni
 e' sempre stata intesa in senso ampio. Il che costituisce  la  logica
 conseguenza   dell'allargamento   dell'oggetto  del  conflitto  dalle
 contestazioni delle "generali attribuzioni"  alle  menomazioni  delle
 "specifiche  competenze"  e, quindi, del passaggio della problematica
 dei conflitti dalle gestioni attinenti alla "spettanza" del potere  a
 quelle  relative  all'"esercizio"  del  medesimo. In altre parole, la
 giurisprudenza   di   codesta   eccellentissima   Corte   offre    la
 indiscutibile  conferma  che  l'oggetto del giudizio sul conflitto di
 attribuzione tra poteri si e' - dal momento in cui  e'  stato  esteso
 fino a ricomprendere i conflitti "da menomazione" (sent. n. 129/1981;
 L.  Paladin,  Diritto  costituzionale. Cedam, Padova, 1991, p. 789) -
 corrispondentemente allargato alla valutazione delle norme  di  legge
 ordinaria attributive di competenza.
    Le attribuzioni costituzionali del tribunale di Torino, cosi' come
 menomate   dalla   commissione   parlamentare   antimafia  (sent.  n.
 231/1975); del Comitato promotore dei referendum, cosi' come menomate
 dall'ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione
 (sent. n. 69/1978); del governo, cosi' come menomate da vari  Pretori
 (sent.    n. 150/1981, 283/1986); del C.S.M., cosi' come menomate dal
 Ministro guardasigilli (sent. n. 379/1992)  derivavano,  infatti,  da
 norme   legislative  (e  non,  quindi,  formalmente  costituzionali),
 ancorche',  in  tutti  tali  casi,  si   e'   prospettato   che,   in
 contestazione,  venissero  "attribuzioni costituzionali".  Il che ben
 puo' essere  spiegato  anche  partendo  dalla  dottrina  che  tuttora
 sostiene  la  "natura  costituzionale del conflitto" (per tutti v. A.
 Pizzorusso, art. 137, in commentario della Costituzione,  Zanichelli-
 Foro  it.,  Bologna-Roma,  1981,  pp.  474  ss.;  G.  Zagrebelsky, la
 giustizia costituzionale(Elevato al Quadrato),  Il  Mulino,  Bologna,
 1988,  p.  374  ss.), posto che tale dottrina si limita a richiedere,
 per la positiva identificazione  del  conflitto  costituzionale,  che
 sussista  "una  base  costituzionale, sia pure solo una base (poiche'
 tale definizione  non  e'  chiusa  ma  si  presta  a  integrazioni  e
 specificazioni)"  (in  questo  senso  v. G. Zagrebelsky, op. cit., p.
 375; v. anche A. Pizzorusso, op. cit., p. 477; le sottolineature sono
 nostre). Anche da questa angolatura e' allora di  tutta  evidenza  la
 natura  costituzionale  del conflitto in questione, in quanto la base
 delle attribuzioni costituzionali di cui  la  ricorrente  lamenta  la
 menomazione  e' nell'art. 100, secondo comma, della Costituzione, nei
 confronti del quale la legge n. 259/1958 esplica dichiaratamente  una
 funzione  integrativa  o specificativa.  Alla medesima conclusione si
 puo' del resto pervenire anche sulla base  di  un'altra  recentissima
 dottrina.  Riprendendo  la  distinzione  tra "ordine di produzione" e
 "ordine di imputazione", si e' infatti sottolineato - con riferimento
 al problema che ci occupa - che per aversi "conflitto costituzionale"
 e'  sufficiente  la  rilevanza  costituzionale  del   solo   "momento
 dell'imputazione"   (nel   che  si  risolverebbe  l'attribuzione  del
 potere), laddove la concreta  competenza  attiene  all'"ordine  della
 produzione", il quale si risolve nella disciplina degli atti, e cioe'
 delle  "forme"  dei "casi" e dei "modi", con riferimento ai quali ben
 puo' essere disposta dalla Costituzione una riserva  di  legge  (come
 per   l'appunto   accade   nell'art.   100,   secondo   comma,  della
 Costituzione)  senza  che,  con  cio',  venga   meno   l'attribuzione
 costituzionale  del  potere  (in  questo  senso,  v. A. Pisaneschi. I
 conflitti di attribuzione tra i poteri  dello  Stato.  Presupposto  e
 processo, Giuffre', Milano, 1992, pp. 153 ss., 159).
     B2.   Applicabilita'   dell'art.   100,   secondo   comma,  della
 Costituzione anche agli enti a cui lo Stato contribuisce con  apporto
 al patrimonio.
    Nel  caso  in esame, l'attribuzione della Corte dei conti menomata
 dagli  atti  e  dai  comportamenti  del  governo  si  identifica  nel
 controllo  sulla gestione finanziaria dell'Enel, dell'Eni, dell'Ina e
 dell'Iri,  in  favore  dei  quali,  com'e'  noto,  lo  Stato  tuttora
 contribuisce  con  apporto al patrimonio, tant'e' vero che, a seguito
 della trasformazione di tali enti pubblici in societa' per azioni, le
 azioni delle societa' sono state attribuite al  Ministro  del  Tesoro
 (che  esercita  i  "diritti  dell'azionista"  d'intesa  con altri tre
 Ministri:  i  Ministri   del   bilancio,   dell'industria   e   delle
 partecipazioni  statali:  v.  l'art.  15,  terzo  comma, del d.l. 11
 luglio 1992, n. 333, cosi' come modificato, in sede  di  convenzione,
 della  legge  8  agosto  1992,  n.  359).   Potrebbe eccepirsi che la
 fattispecie  non  configuri   la   menomazione   di   un'attribuzione
 "costituzionale",   posto   che  l'art.  100,  secondo  comma,  della
 Costituzione esplicitamente  attribuisce  alla  Corte  dei  conti  il
 controllo  sulla  gestione  finanziaria  degli  enti  a  cui lo Stato
 contribuisce in via ordinaria (e, quindi - potrebbe sostenersi -  non
 anche  degli  enti  ai  quali  lo  Stato  contribuisce con apporto al
 patrimonio,  come  invece  previsto  dall'art.  12  della  legge   n.
 259/1958).    E'  tuttavia  facile  replicare che una distinzione del
 genere fraintenderebbe  il  precetto  costituzionale  anche  nel  suo
 rapporto  con  la  legge  di  attuazione  n.  259/1958. Gli strumenti
 predisposti dall'art. 100 della Costituzione sono  tutti  finalizzati
 al controllo della "spesa pubblica" (cfr. la sent. n. 406/1989 sub n.
 5).  Sotto questo profilo la costituente del patrimonio e il supporto
 del medesimo sono la piu' "ordinaria" delle contribuzioni,  dovendosi
 la "ordinarieta'" (come bene avverte la relazione Pella alla legge n.
 259/1958) intendere in senso funzionale e non temporale; diversamente
 la  legge  n.  259/1958  non  avrebbe potuto includere (art. 12), "in
 attuazione dell'art. 100 della  Costituzione",  le  contribuzioni  "a
 patrimonio",  le  quali  sono,  peraltro - se ordinarie - ancora piu'
 rilevanti e gravi delle attribuzioni periodiche o  saltuarie  (v.  in
 questo  senso  R.  Coltelli,  attribuzioni  patrimoniali  ad  enti  e
 contribuzioni statali, in riv. trim. dir. pubbl. 1960, p. 593 ss.).
    In questo senso  si  e',  del  resto,  pronunciata  anche  codesta
 eccellentissima  Corte  nella  sent.  n.  35/1962  resa  in  sede  di
 conflitto intersoggettivo di attribuzione,  che  la  regione  Sicilia
 aveva sollevato contro lo Stato in relazione al decreto presidenziale
 di  assoggettamento  al controllo della Corte dei conti dell'Ente per
 la riforma fondiaria e agraria in Sicilia (Eras). L'argomento  allora
 addotto  dalla  regione  si  compendiava  nell'affermazione  che  una
 contribuzione statale non continuativa, in ragione  della  quale  era
 stato  disposto il controllo della Corte dei conti ai sensi dell'art.
 12  legge  n.   259/1958,   non   rientrerebbe   nella   nozione   di
 "contribuzione  ordinaria",  di  cui all'art. 100 della Costituzione.
 Ebbene  la  cit.  sentenza  di  codesta  eccellentissima   Corte   ha
 dichiarato,  con riferimento alla disciplina della legge n. 259/1958,
 che "le sovvenzioni al patrimonio in capitale,  menzionate  dall'art.
 12  (  ..) anche se non erogate secondo le modalita' tipiche indicate
 nell'art. 2 ( ..) non  possono  non  ritenersi  comprese  nell'ambito
 dell'art.   100   della   Costituzione";   e   quindi   "giustificano
 l'intervento da parte dello Stato di un controllo continuo, anche  di
 carattere politico, sulla gestione dei fondi".
    Il riferimento al "carattere politico" del controllo caratterizza,
 anzi, la funzione referente della Corte dei conti nei confronti delle
 Camere  del Parlamento, che verra' successivamente considerata (infra
 sub B5., B6.).
     B3. La non  imputabilita'  al  legislatore  (e,  in  particolare,
 all'art.  20  del  d.l.  n.  333/1992)  della sottrazione dell'Enel,
 dell'Eni, dell'Iri e dell'Ina al controllo della Corte dei conti.
    La legittimazione passiva del  governo,  nel  presente  conflitto,
 presuppone  che  il  mancato  assoggettamento  al controllo, da parte
 della Corte dei conti, delle societa' succedute agli enti pubbici sia
 imputabile al governo stesso, e non al legislatore. E in primo  luogo
 non  sia  imputabile  alle  norme  legislative di riforma del luglio-
 agosto 1992.
    Ebbene, la legislazione di riforma nulla dice espressamente  circa
 il  (preesistente)  controllo  della  Corte dei conti.   Pur tuttavia
 l'art. 20 dispone l'abrogazione di "tutte le  disposizioni  di  legge
 contrarie  od incompatibili". Potrebbe pertanto prospettarsi, con una
 capziosa interpretazione di tale disposto, che  tra  le  disposizioni
 abrogate rientrino anche le norme (generali e particolari) impositive
 del  controllo  stesso,  limitatamente  alla  loro applicabilita' nei
 confronti degli enti in questione.
    Siffatta soluzione interpretativa non  pare  accoglibile,  per  un
 duplice ordine di considerazioni.  In primo luogo va osservato che il
 controllo   in   questione  forma  oggetto  di  specifica  previsione
 costituzionale, attuata da un corpo organico e separato di norme, che
 sono raccolte nella piu'  volte  cit.    legge  n.  259/1958.  Questa
 disciplina   legislativa   si   affianca,   senza  sovrapposizioni  o
 interferenze, alle norme ordinamentali degli enti controllati, che al
 piu' si limitano, in alcuni casi, a fare richiamo delle  disposizioni
 della  legge  predetta  (Enel:  art. 1 della legge 6 dicembre 1962 n.
 1643; Eni: art. 15 della legge 10 febbraio 1953, n.  136; v. altresi'
 i decreti presidenziali di "assoggettamento"; Eni:   d.P.R. 11  marzo
 1961;  Iri:  d.P.R. 11 marzo 1961; Ina: d.P.R. 25 asprile 1961; docc.
 nn. 5, 6, 7). Non e' dunque ipotizzabile un'abrogazione implicita. Ed
 infatti non e' evidenziabile alcuna  incompatibilita'  tra  le  nuove
 disposizioni  e  le  precedenti (anche altre societa' per azioni sono
 tuttora sottoposte al controllo della Corte ex legge
   n.  259/1958);  ne'  puo'  sostenersi  che  il  d.l.  n.  333/1992
 regolerebbe l'"intera  materia"  gia'  disciplinata  dalla  legge  n.
 259/1958.
    In  secondo  luogo, l'accennata interpretazione solleverebbe gravi
 dubbi sulla sua stessa conformita' al dettato della Costituzione.  E'
 vero  infatti  che  l'art.  100,  secondo  comma,  della Costituzione
 dispone il controllo della Corte dei conti sugli  enti  "nei  casi  e
 nelle  forme  stabiliti  dalla  legge",  e  che, nell'esercizio della
 propria discrezionalita' politica, il legislatore del 1958 ha escluso
 dal controllo stesso una serie di  soggetti:  le  regioni,  gli  enti
 locali,   gli  enti  destinatari  di  contribuzioni  "di  particolare
 tenuita'" e "gli  istituti  di  credito"  (in  quanto  "sottoposti  a
 vigilanza dell'Ispettorato del credito"). Ma mentre queste esclusioni
 possano  giustificarsi  per  la presenza di controlli diversi (ad es.
 quelli implicati dalla c.d.  "tesoreria  unica"),  un'interpretazione
 dell'art.  20  del  d.l.  n.  333/1992  che escludesse dal controllo
 un'intera area di primario interesse per la finanza pubblica -  quale
 quella  costituita  dagli  enti in via di privatizzazione, ma tuttora
 esclusivamente in "mano pubblica" -  non  potrebbe  non  configurarsi
 come  una  capziosa  soluzione  irrazionalmente  elusiva del precetto
 costituzionale.  Ebbene, ove questa - in denegata ipotesi - fosse  la
 soluzione  accolta da codesta eccellentissima Corte, non potrebbe non
 prospettarsi l'illegittimita' costituzionale del  cit.  art.  20  del
 d.l.  n.  333/1992  per contrasto con gli artt. 3, 81 e 100, secondo
 comma della Costituzione.  B4. La trasformazione  dell'ente  pubblico
 in   societa'   per   azioni   non   fa  venir  meno  il  titolo  per
 l'assoggettamento al controllo.
    Con riguardo alla  disciplina  legislativa  della  materia,  e  al
 conseguente vincolo che ne puo' derivare alle iniziative del Governo,
 viene  inoltre  in  rilievo  il  riferimento del controllo agli "enti
 pubblici" nel disposto dell'art.  12  della  legge  n.  259/1958.  E'
 prevedibile  che  Controparte  assuma  che  la  trasformazione  abbia
 implicato il venir meno  della  natura  di  ente  pubblico  dell'Iri,
 dell'Eni,  dell'Ina  e  dell'Enel,  con  la  conseguenza  che sarebbe
 altresi' venuto meno il titolo  giuridico  per  l'assoggettamento  di
 tali enti al controllo della Corte dei conti.
    Va preliminarmente osservato in proposito:
       aa)  la  legge  n.  259/1958 segue a breve distanza di tempo la
 legge 22 dicembre 1956,  n.  1589,  istitutiva  del  Ministero  delle
 partecipazioni   statali,  la  quale  dispone  l'inquadramento  delle
 "imprese con partecipazione statale" negli enti autonomi di gestione,
 di natura indubbiamente pubblica. Ebbene, alla previsione della legge
 n. 1589/1956 puo' correlarsi anche l'art. 12 della legge n.  259/1958
 -  concernente  il  controllo  della  Corte  dei  conti  sugli  "enti
 pubblici" - nell'implicito presupposto che il controllo sugli enti di
 gestione importasse il controllo sulle imprese partecipate.
    Si aggiunga che, fin dalle prime  relazioni  al  Parlamento  sulla
 gestione finanziaria degli enti di gestione, e' stato avvertito dalla
 Corte  dei  conti  che  "la  gestione delle societa' del gruppo forma
 oggetto ( ..) dell'azione di intervento dell'ente, che  a  sua  volta
 rientra nell'ambito del controllo della Corte (relazione sull'Eni per
 gli  esercizi  1969-1971;  precedentemente,  in  termini analoghi, v.
 relazione sulla gestione finanziaria degli enti  sovvenzionati  dallo
 Stato  nel periodo 1950-1961)" (v. la determinazione n. 45/1992: doc.
 n. 1);
       bb) Va altresi' richiamata - come sottolinea la Corte dei conti
 nella   determinazione   n.   45/1992   -  "la  prospettiva  attuale,
 soprattutto delineata nell'ambito  dell'ordinamento  delle  Comunita'
 europee,  e recepita nel nostro stesso ordinamento, che comprende tra
 le "imprese pubbliche" anche le figure societarie alimentate da mezzi
 provenienti dalla  finanza  pubblica,  e  sulle  quali  le  pubbliche
 autorita'  esercitano  influenza  dominante (si possono richiamare, a
 titolo di esempio, la direttiva del Consiglio C.E.E. del 17 settembre
 1990, n. 90/531, sulle procedure di appalto degli enti  erogatori  di
 servizi  a rete, e la legge 10 ottobre 1990, n. 287, sulla disciplina
 della concorrenza).  Nell'accennata prospettiva, lo  stesso  art.  12
 della  legge  n.   259/1958 puo' essere interpretato nel senso che al
 controllo della Corte dei conti sono soggette, in  quanto  "pubbliche
 imprese",  anche  le  societa'  risultanti dalla trasformazione degli
 enti  pubblici  economici,  sulle  quali   le   pubbliche   autorita'
 esercitano   influenza  dominante,  in  particolare  in  forza  della
 partecipazione al capitale sociale. Il rapporto tra  controllo  della
 Corte  dei conti e struttura societaria degli enti trasformati merita
 tuttavia ulteriore esame.
     B5. Non e' ipotizzabile un contrasto tra il controllo della Corte
 dei conti e la disciplina degli enti trasformati in quanto  "Societa'
 per  azioni".    Il  contrasto  sembra  ipotizzato dal Presidente del
 Consiglio dei ministri e dal Ministro del tesoro la'  dove  assumono,
 nelle  note  gia'  ricordate  (doc. nn. 8 e 9), che per effetto della
 trasformazione gli enti "fuoriescono dal rapporto con lo Stato che fa
 da presupposto al controllo della Corte" e che "lo Stato non ha  piu'
 poteri di autorizzazione e direttiva bensi' i diritti dell'azionista"
 affermazioni  non  solo  in singolare contrasto con la realta' ma del
 tutto inconciliabili con il regime giuridico degli enti trasformati.
    E'  mera  constatazione  che,  con  la  assunzione  diretta  delle
 partecipazioni,  lo  Stato  (attraverso  il  Ministero del Tesoro) ha
 "rapporto" anche piu' immediato con le imprese partecipate di  quanto
 lo avesse attraverso un ente dotato di autonomia fondazionale; mentre
 e'  parimenti incontestabile che lo Stato, come azionista attualmente
 unico e verosimilmente (negli enti di cui in premesse) "di controllo"
 anche in futuro, non solo continua a contribuire "ordinatamente" agli
 enti trasformati, ma ha pieno  e  legittimo  potere  di  direttiva  e
 comando  su  ognuna delle nuove "societa'" e sul loro insieme come lo
 ha una holding (Cass. 26 febbraio 1990 n. 1439), anche a  prescindere
 dal potere "esterno" di direttiva di cui e' gia' esempio imponente la
 delibera  Cipe  30  dicembre 1992 (v. infra, in questo paragrafo, sub
 c).
    Cio' posto, quelle affermazioni sono lungi  da  giustificare,  sia
 pure in nome di una vera o presunta "privatizzazione", la sottrazione
 al  controllo  di  un  imponente  settore  di  imprese  ed  attivita'
 sovvenute e (attualmente ma verosimilmente anche in futuro) governate
 dallo Stato; e cioe' per vario ordine di ragioni che qui gradualmente
 si sintetizzano.
       a) E' indiscutibile che l'art. 100 della  Costituzione  prevede
 la  soggezione a controllo degli "enti ai quali lo Stato contribuisce
 in  via  ordinaria"  (nella  eccezione  supra   precisata   sub   B2)
 indipendentemente  dalla loro natura pubblica o privata. Una norma, o
 la interpretazione di una norma, che contraddica questa equiparazione
 e discrimini in linea di principio  gli  enti  a  seconda  di  quella
 natura,  con il risultato di escludere dal controllo enti interamente
 o prevalentemente "capitalizzati" dallo Stato solo perche' di  natura
 privata, sarebbe certamente contraria alla previsione costituzionale.
 Cio'  varrebbe  anche per l'art. 12 della legge n. 259/1958 ove lo si
 interpretasse nel senso di escludere dal controllo gli  enti  privati
 patrimonializzati  dallo  Stato.  E'  possibile  che il controllo sia
 esercitato, anziche' su singoli enti, su quello che  li  raggruppi  e
 governi;  non  e' invece possibile che non sia esercitato affatto per
 cio' solo che i detti enti abbiano  natura  privata;  b)  di  diritto
 privato  e' lo schema codicistico della societa' per azioni (salvo il
 disposto dell'art. 2461 del c.c.). Ma la societa' per  azioni,  nella
 realta'  dell'ordinamento, non si esaurisce nello schema codicistico.
 L'ordinamento conosce "societa' di diritto  speciale"  o  "singolare"
 che  si  adeguano  a quello schema solo in alcuni aspetti strutturali
 mentre  ne  divergono  sotto  l'aspetto  genetico,  sotto   l'aspetto
 funzionale,  sotto  l'aspetto  del  rapporto, con interessi generali:
 talche' sempre piu' frequentemente si parla  di  "neutralita'"  della
 forma  azionaria (da ultimo Ibba, le societa' "legali", Torino, 1992,
 passim e  specie  p.  370  segg.;  Cirenei,  societa'  per  azioni  a
 partecipazione  pubblica, in trattato delle s.p.a. a cura di Colombo-
 Portale, Milano, 1992, part. 8 segg.; con  diretto  riferimento  alle
 leggi  di  privatizzazioni,  Cicconi, in quaderni giur. dell'impresa,
 1992, legge p. 6 segg.; 2, p. 17 ss.).
    Per tali societa' il  problema  della  qualificazione  e'  aperto,
 quand'anche  si  ritenga  che  l'etichetta societaria debba indurre a
 partire dall'ipotesi privatistica;
       c) si puo' dire che le  "societa'"  nate  dalla  trasformazione
 degli  enti  di  cui  alle  premesse assommano, per il disposto degli
 artt. 15 e 16 del d.l. n. 333/1992, sotto tutti i profili  anzidetti
 (genetico,  funzionale  e  di  rapporto con l'interesse generale), le
 piu' rilevanti difformita', rispetto alla societa'  codicistica,  che
 si colgono nelle diverse societa' "di diritto speciale": derivazione,
 senza soluzione di continuita' ne' mutamento di identita', da un ente
 pubblico  preesistente;  assenza, all'origine, di un contratto e piu'
 in genere di un atto  di  autonomia,  sostituito,  nel  caso,  da  un
 intervento legislativo; mancanza iniziale di una pluralita' di "soci"
 costituenti e iniziale concentrazione delle azioni e del controllo in
 una  sola mano; mancanza iniziale di un capitale determinato e di uno
 statuto  (elementi  che  sopravverranno  dopo   la   trasformazione);
 statuizione  per  legge  dell'esercizio  dei  poteri sociali da parte
 dell'azionista d'intesa con altri  soggetti;  carattere  pubblico  di
 tale  intesa  che  la legge vuole intervenga tra l'azionista Ministro
 del tesoro e altri tre Ministri;  esercizio  del  potere  sociale  da
 parte  dell'azionista secondo un programma elaborato in sede pubblica
 da piu' Ministri, finalizzato al riordino e alla valorizzazione delle
 partecipazioni  con  previsione  legislativa  di  cessioni,   scambi,
 funzioni ecc. e con devoluzione dei ricavi "alla riduzione del debito
 pubblico".
    Si  aggiunga  che  la  delibera  del Cipe 30 dicembre 1992, con la
 quale sono state dettate direttive per eventuali dismissioni  future,
 prevede  tra l'altro: la attribuzione allo Stato di golden shares con
 diritti speciali nella  nomina  degli  organi  sociali  e  potere  di
 impedire riduzioni e mutamenti di attivita'; la costituzione non solo
 di  sindacati di controllo (ritenuti nulli dalla giurisprudenza nella
 societa' per azioni "tipica") ma di "nuclei stabili" tra azionisti di
 riferimento  in cui lo Stato abbia diritto di prelazione sulle azioni
 degli altri partecipanti e diritto  di  gradimento  dell'ingresso  di
 nuovi   soci;   infine,   l'imposizione   di   limiti   massimi  alle
 partecipazioni individuali (altrui).
       d) E' lecito chiedersi - di fronte a  tutto  cio'  -  che  cosa
 avanzi della societa' per azioni "tipica" e anche (almeno per chi non
 si  rassegni  a  cogliere il carattere pubblico esclusivamente in una
 espressa qualificazione legislativa) se veramente residui  lo  stesso
 carattere  privato:  che  il carattere pubblico non sia incompatibile
 con  la  struttura  azionaria  basterebbe  a  dimostrarlo  l'espressa
 attribuzione  della  "forma  di  societa' per azioni con personalita'
 giuridica di diritto pubblico" alla  Age  Control  S.p.a.  (art.  18,
 comma  8,  legge  22  dicembre 1984, n. 887, legge finanziaria per il
 1985); dove non potrebbe essere piu'  significativa  la  distinzione,
 sotto  il profilo che interessa, tra "forma" e sostanza. Si consideri
 altresi' che, almeno per  uno  degli  enti  trasformati,  l'Enel,  il
 carattere pubblico e' condizionato dalla "riserva di attivita'" (art.
 43  della  Costituzione)  e  cio'  a prescindere dalla investitura di
 attribuzioni autoritarie e non meramente imprenditoriali (sulla quale
 Scoca, le funzioni pubbliche dell'Enel, in quaderni della rass. giur.
 dell'energia elettrica, Milano, 1987, p. 27 segg.).
    Certo e' comunque che non e' configurabile contrasto  tra  "forma"
 azionaria  e  controllo  della  Corte dei conti, cosi' come non vi e'
 contrasto tra quella forma  e  la  presenza  di  risorse,  interessi,
 azione di comando dello Stato. Il controllo della Corte dei conti non
 va   configurato,   nel  nostro  caso,  come  (diretta)  deroga  alla
 disciplina societaria  ma  come  conseguenza  di  quella  presenza  e
 applicazione  del  diverso  regime che, in ragione di essa, la stessa
 legge dispone per le nostre "societa'".
    Ma va anche detto che quel controllo non contrasta minimamente ne'
 con le regole della gestione sociale ne'  con  l'esistenza  di  altri
 controlli  "tipici" che si ritengano applicabili - in particolare con
 il  controllo  giudiziario  -   essendo   il   primo   essenzialmente
 preordinato al referto al Parlamento di dati informativi e valutativi
 della gestione finanziaria degli enti, senza incidenza sull'efficacia
 degli atti ne' sui diritti e poteri degli azionisti.
    Meno  che  mai  ha rilievo la diversita' delle forme del controllo
 previste rispettivamente dagli artt. 2 e 12 della legge n.  259/1958:
 si  tratta appunto di diverse "forme" cioe' di modalita' di esercizio
 del momento istruttorio che non toccano l'essenziale unitarieta'  del
 controllo  medesimo,  sia con riguardo all'organo che ne e' titolare,
 sia con riguardo all'oggetto e alle finalita'.
    Di piu'. E' ben chiaro che nei riguardi degli enti trasformati  il
 controllo  non ha minore ma ben maggiore ragion d'essere che in altre
 "societa'" per le quali esso e' disposto, come le gia' ricordate  RAI
 e  Societa'  di  navigazione  di interesse nazionale. Che la legge di
 trasformazione non lo disponga si spiega agevolmente con cio' che  il
 controllo  era  preesistente  e  gia' in atto: il che anzi renderebbe
 necessaria, da parte del governo, la assunzione (e la indicazione  in
 questa  sede)  dei  provvedimenti  (peraltro  nel  caso  illegittimi)
 richiesti dalla legge del 1959, art. 3, quarto comma). E si  e'  gia'
 dimostrato  che  effetto  di  soppressione  del  controllo  non  puo'
 attribuirsi al disposto dell'art. 20 del d.l. n. 333/1992.
       e)  Il  confronto  con  altre  societa'  soggette  a  controllo
 suggerisce  un'ulteriore   prospettiva   critica   della   contestata
 sottrazione dei nostri enti al controllo della Corte dei conti.
    Fermo restando che non vi e' incompatibilita' tra assunzione della
 forma   azionaria   e  controllo  della  Corte  dei  conti,  ma  anzi
 doverosita'  del  persistere  del  controllo  medesimo,  una  diversa
 conclusione, comunque argomentata nei casi che interessano, urterebbe
 contro  i  principi di razionalita' e parita' di trattamento non solo
 considerando il rapporto tra i nostri enti e gli enti societari sopra
 richiamati  ma  altresi',  e  piu'  specificamente,  considerando  il
 rapporto  tra  gli  stessi enti trasformati e trasformabili inter se.
 Ai sensi  dell'art.  18  del  d.l.  n.  333/1992,  "il  Cipe  potra'
 deliberare  la trasformazione in societa' per azioni di enti pubblici
 economici, qualunque sia il settore di  attivita'.  La  deliberazione
 del  Cipe produce i medesimi effetti di cui al presente decreto". Per
 intanto questi enti,  quale  che  sia  la  contribuzione,  diretta  o
 indiretta,  in  una  o  altra misura, dello Stato al loro patrimonio,
 restano soggetti alla disciplina  anteriore,  tra  cui  il  controllo
 della  Corte  dei  conti che sia ad essi applicabile in ragione della
 contribuzione medesima.
    La constatazione e' rilevante non solo in linea  di  fatto  ma  in
 linea  di  diritto  sotto  il  profilo  della  inammissibilita' di un
 diverso  trattamento  con  gli  enti  gia'  trasformati  i  quali  ne
 sarebbero  privilegiati, benche', come si e' visto, conservino con lo
 Stato un rapporto, patrimoniale e di governo, non meno intenso e anzi
 piu' diretto di altri enti  trasformabili  ma  non  trasformati.  Non
 potrebbe  replicarsi  che  questa situazione e' transitoria: in primo
 luogo  perche',  finche'  la  situazione  esiste,   dovrebbe   essere
 mantenuta  la  corrispondenza  di  trattamento;  in  secondo luogo, e
 soprattutto, perche' l'art. 18 del d.l. n.  333/1992  facoltizza  il
 Cipe,  e  non  lo  vincola,  a trasformare in societa' per azioni gli
 altri (o altri) enti pubblici economici.
       f) Si conferma,  conclusivamente,  che  non  e'  dato,  con  un
 mutamento  di  etichetta,  o  anche  di  qualificazione,  superare la
 realta' degli interessi coinvolti e le normative che, anche a livello
 costituzionale, li tutelano. E non e'  dubbio  che  negli  enti  gia'
 trasformati  l'interesse  dello  Stato e' imponente e ben superiore a
 quello ravvisabile in qualunque altro ente che abbia gia' assunto,  o
 possa assumere, la "forma" societaria.
     B6.  L'intenzionalita'  della  sottrazione  degli  enti citati al
 controllo  della  Corte  dei  conti.  La  gravita'  delle   ulteriori
 conseguenze della menomazione in atto.
    Dalle   precedenti  indicazioni  risulta  che  l'interruzione  del
 controllo, della Corte sulle societa' succedute agli enti pubblici e'
 stata  intenzionalmente  disposta  dal   Governo,   in   assenza   di
 prescrizioni  o  vincoli di legge.  In tal senso gia' deponevano, pur
 nella loro laconicita', le citate note del Presidente  del  Consiglio
 dei  Ministri  e  del Ministro del tesoro, rispettivamente in data 10
 agosto e 15 settembre 1992  (docc.  nn.  8  e  9).    L'atteggiamento
 negativo   del  Governo  risulta  ora  accertato,  senza  margini  di
 incertezza, dalla mancata adozione delle  iniziative  in  adempimento
 della  determinazione di questa sezione n. 29/1992 del 3 ottobre 1992
 (doc. n. 2).   Come richiamato nelle premesse  "in  fatto",  in  tale
 determinazione sono stati esposti i motivi di non conformita' a legge
 della  soluzione adottata dal governo.  In questa sede, ai fini della
 proposizione  del  conflitto  di  attribuzione,  assume  rilievo   la
 conseguenza   diretta   del   comportamento   omissivo  del  governo,
 consistente   nell'impedimento   all'esercizio   di   un'attribuzione
 conferita  alla  Corte  dei conti dalla Costituzione, in virtu' della
 previsione del controllo sugli enti a cui lo  Stato  contribuisce  in
 via ordinaria, ancorche' conformati secondo il modello societario.
    La   questione  proposta  concerne  percio'  "una  lesione  o  una
 menomazione delle competenze costituzionalmente garantite al soggetto
 ricorrente",   nei   termini   della   soluzione   elaborata    dalla
 giurisprudenza di codesta eccellentissima Corte costituzionale (v. da
 ultimo la sentenza n. 379/1992).
    Ai  fini  di  una  adeguata  ponderazione  della  importanza della
 questione sottoposta a codesta eccellentissima Corte con il  presente
 ricorso, ci si consenta di sottolineare, sotto altro profilo, la gia'
 rilevata  eventualita'  di  una  ulteriore  riduzione  dell'ambito di
 applicazione del controllo della Corte dei  conti,  a  seguito  della
 trasformazione  in  figure societarie, per deliberazione del Cipe, di
 altri  "enti  pubblici  economici",  secondo  le   previsioni   della
 richiamata legislazione di riforma.
    Questa  evenienza  presenta aspetti di particolare gravita', posti
 in evidenza nella citata  determinazione  n.  23/1992,  dato  che  il
 controllo  di  cui  ai  tratta e' preordinato alla "comunicazione dei
 dati  conoscitivi  e  valutativi  necessari   al   Parlamento",   per
 l'esercizio  delle  sue  funzioni: di guisa che la "sottrazione ( ..)
 degli enti operanti nel campo dell'economia,  di  essenziale  rilievo
 nell'ambito  della finanza pubblica, determinerebbe il corrispondente
 impoverimento dell'area di conoscenza degli  organi  parlamentari,  e
 quindi  la  riduzione  in  concreto delle possibilita' di intervento"
 (doc. n. 2).
                               P. Q. M.
    Si chiede che codesta  eccellentissima  Corte  costituzionale,  in
 risoluzione del presente conflitto, voglia:
      1)   dichiarare   che  spetta  alla  Corte  dei  conti  -  nella
 composizione della sezione di controllo sugli enti  a  cui  lo  Stato
 contribuisce  in  via ordinaria - l'esercizio del controllo, previsto
 dalla legge 21 marzo 1958, n.  259,  sugli  enti  pubblici  economici
 trasformati  in  societa' per azioni con partecipazione totalitaria o
 comunque prevalente dello Stato;
      2) di dichiarare il conseguente obbligo del Governo di  adottare
 i  necessari  provvedimenti,  con  riferimento  agli enti indicati in
 premesse, per il mantenimento o il  ripristino  del  controllo  della
 Corte dei conti;
      3)   di   disporre   l'annullamento   degli   atti   governativi
 eventualmente contrari.
    Si depositeranno i seguenti atti e documenti:
      1) determinazione n. 45/1992;
      2) determinazione n. 23/1992;
      3) determinazione n. 29/1992;
      4) determinazione n. 7/1961;
      5) d.P.R. 11 marzo 1961 (Eni);
      6) d.P.R. 11 marzo 1961 (Iri);
      7) d.P.R. 25 aprile 1961 (Ina);
      8)  nota  10  agosto  1992  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
      9) nota del 19 settembre 1992 del Ministro del tesoro;
      10) lettera in data 15 settembre 1992 del  presidente  dell'Enel
 P.  Viezzoli  al prof. dott. R. Coltelli, presidente di sezione della
 Corte dei conti.
      Roma, addi' 12 febbraio 1993.
         Prof. avv. Giorgio OPPO - Prof. avv. Alessandro PACE

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